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INTRODUZIONE
1. Preludio all’elaborato
In questo elaborato verranno trattate diverse tematiche attinenti alla cosiddetta vit-
tima ‘debole’, altrimenti definita ‘vittima vulnerabile’ o ancora ‘in condizioni di particolare vul-
nerabilità’ soprattutto in relazione al sistema cautelare quale mezzo giurisdizionale a tutela
di essa.
Il tema di cui ci occuperemo è tanto recente quanto politicamente, socialmente e mediatica-
mente sensibile a tal punto che, è prassi ormai quotidiana, purtroppo, che i principali quoti-
diani cartacei di informazione ed i telegiornali televisivi divulghino notizie di cronaca nera
riguardante omicidi ed altri efferati delitti commessi in danno a vittime deboli mostrando e
dimostrando una evidente carenza di tutela, da parte del sistema di giustizia penale, nei loro
confronti.
La domanda principale che ci guiderà per tutta la stesura dell’elaborato e alla quale si cer-
cherà di fornire una risposta è la seguente: “il sistema cautelare vigente, vale a dire le misure
cautelari previste dalla legge, sono in grado di fornire alla vittima particolarmente vulnerabile
una tutela efficace ed efficiente?”.
Nel tentativo di rispondere a questo emblematico quesito, con il primissimo capitolo
si cercherà di fornire una definizione di vittima in generale, con tutte le problematiche ad
essa annesse, per poi approdare alla definizione di vittima vulnerabile analizzandone ogni
sfaccettatura tenendo conto del fatto che non esiste una definizione univoca e unilaterale
né a livello comunitario, né a livello nazionale.
Per di più, si vedrà che esistono diverse tipologie di vittime rientranti nella maxi-categoria di
vittime vulnerabili in forza del fatto che, come sappiamo, non tutte le persone offese sono
uguali.
In forza di quanto appena detto, vedremo per l’appunto che la vittima vulnerabile può essere
tipica o atipica, questo perché le condizioni di vulnerabilità sono desumibili sia da criteri
oggettivi (modalità o tipologia di reato perpetrato), sia da criteri soggettivi e quindi si dovrà
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tenere conto delle caratteristiche personali/soggettive dell’offeso dal reato anche in rela-
zione all’autore, rendendo così marcatamente flebile la linea di demarcazione tra la vittima
che possiamo definire, in modo volutamente forzato, come ‘comune’ e quella ‘debole’ o
‘vulnerabile’.
Successivamente, nella parte centrale del primo capitolo, ci si concentrerà sul ruolo
della vittima, compresa quella debole, all’interno del procedimento penale partendo dalla
sua totale esclusione nella storia, anche recente, e arrivando invece ad una sua “riscoperta”
alla luce delle modifiche apportare al sistema da due importantissime normative comunita-
rie: la Decisione Quadro del Consiglio 220/2001/GAI e la Direttiva 2012/29/UE del Parla-
mento Europeo e del Consiglio, le quali conferiscono alla persona offesa prerogative mai
concesse precedentemente, dando vita ad un ruolo tutto nuovo della vittima all’interno del
procedimento penale italiano.
Peraltro, è da rilevare come la Decisione Quadro predetta non è mai stata attuata dall’Italia
e, a seguito della Direttiva in sostituzione ad essa, il quadro nazionale, mediante il d.lgs.
attuativo n. 212/2015, non ha subito un vero e proprio stravolgimento stante il fatto che
risultava già sostanzialmente conforme ai precetti comunitari.
Nella parte conclusiva del primo capitolo si farà riferimento ad uno specifico e pecu-
liare soggetto rientrante nella categoria di vittima debole: la donna, sempre più frequente-
mente oggetto di episodi di violenza in una generale accezione (violenza di genere) nonché
nelle relazioni strette (c.d. violenza domestica) che spesso e volentieri non vengono arginati
in maniera consona culminando talvolta in eventi tragici.
Il secondo capitolo è invece dedicato ad un importante strumento di tutela della vit-
tima, ivi compresa quella vulnerabile, ossia il sistema cautelare, funzionale a prevenire un
aggravamento della situazione e delle condotte già attuate dall’indagato e/o imputato.
In particolare, verranno analizzate le tematiche relative anzitutto ai principi sui quali si fonda
e alle caratteristiche del sistema mettendo in luce i requisiti necessari (artt. 273 e 274 c.p.p.)
ai fini applicativi di una misura cautelare restrittiva della libertà personale di un soggetto,
soprattutto se si prendono in considerazione le misure cautelari coercitive personali.
Altro tema importante che merita attenzione è quello relativo ai criteri di scelta delle
misure cautelari (art. 275 c.p.p.) da applicare perché consente di carpire la logica antistante
l’adozione di uno specifico provvedimento, da parte del giudice, piuttosto che di un altro.
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Infine, ci sarà spazio per l’analisi del procedimento che porta all’applicazione della
misura cautelare il quale garantisce trasparenza, chiarezza e possibilità di difesa all’inda-
gato ed altresì uno spunto per una rivalutazione dei requisiti circa l’applicabilità della misura
stessa, posto che, una volta che la misura cautelare è applicata, vi possono essere molte-
plici vicende modificative o estintive della stessa.
Nel terzo capitolo dell’elaborato, verranno esaminati due importanti testi normativi
nazionali quali il D. L. 14 agosto 2013 n. 93 e la recentissima legge 19 luglio 2019, n. 69
emanati allo scopo di fronteggiare il fenomeno, sempre più in costante crescita, della vio-
lenza domestica e di genere.
In particolare, ci si soffermerà sulle novità normative apportare in relazione al sistema cau-
telare, al codice di rito nonché al Codice penale tenuto conto del fatto che sono state gene-
rate nuove ipotesi di delitti dirette a contrastare il fenomeno emergenziale della violenza nei
confronti di vittime particolarmente vulnerabili.
Nel quarto ed ultimo capitolo, si cercherà di sviscerare la materia cautelare mettendo
in luce i lati carenti in termini di protezione della vittima prospettando eventuali e future mo-
difiche o migliorie al sistema in modo tale da renderlo maggiormente efficace ed efficiente.
Nella parte iniziale del capitolo verranno approfondite specificamente due particolari tipolo-
gie di misure cautelari quali rispettivamente l’allontanamento dalla casa familiare ex art. 282-
bis c.p.p. ed il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ex art. 282-
ter c.p.p. che, come vedremo, nei casi in cui non sussistano i presupposti per l’applicazione
della custodia cautelare in carcere, risultano essere i provvedimenti cautelari non detentivi,
ma pur sempre limitativi della libertà personale, maggiormente applicati.
Questo specifico approfondimento è stato reso possibile grazie ad un lavoro statistico di
raccolta dati svolto, personalmente, presso il Tribunale di Busto Arsizio (VA), in collabora-
zione con la dott.ssa Nicoletta Guerrero e dott.ssa Piera Bossi (GIP/GUP), il quale mi ha
consentito di avere percezione diretta dei fatti e delle conseguenze ad essi correlate.
All’esito di uno studio approfondito di molti fascicoli presenti nella sezione GIP/GUP del Tri-
bunale, ho potuto constatare che in tema di tutela della vittima vulnerabile vi è appunto una
quasi totale egemonia nell’applicazione delle misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e ter
c.p.p., misure per altro non detentive che destano numerosi sospetti sull’efficacia e sull’effi-
cienza della tutela offerta loro alla c.d. vittima debole soprattutto perché è fortemente difficile
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il controllo sul rispetto di tali provvedimenti da parte delle forze dell’ordine in assenza del
c.d. braccialetto elettronico.
I paragrafi ed i sotto paragrafi successivi rivelano come la disciplina cautelare posta
a tutela della vittima vulnerabile, in realtà, ad un occhio attento e critico presenta una molti-
tudine di aspetti critici che naturalmente collidono con il reale scopo preventivo e di tutela
effettiva.
L’obbiettivo è quello di passare in rassegna le problematiche una ad una facendole emer-
gere; a titolo esemplificativo, i principali profili di criticità ruotano attorno ad una disciplina
disomogenea tra la misura cautelare disciplinata all’art. 282-bis e quella di cui all’art. 282-
ter c.p.p.; inoltre tema dibattuto in giurisprudenza così come in dottrina, di cui avremo modo
di disquisire, è quello riguardante la determinazione dei luoghi fatti oggetto di divieto di av-
vicinamento e/o allontanamento da parte del giudice in relazione all’ammissibilità dell’ordi-
nanza stessa nel caso in cui non vengano identificati specificatamente.
Nonostante quanto verrà detto, è bene fin da subito rilevare che malgrado le spiccate diffe-
renze di disciplina tra le due disposizioni, in realtà non sembra nascere un reale problema
in quanto sappiamo che le misure cautelari personali coercitive possono essere applicate
congiuntamente, cumulativamente e quindi le discipline divergenti si integrerebbero tra loro
uniformandosi di conseguenza.
Oltre a ciò, un ulteriore aspetto critico è legato all’art. 299 c.p.p. in tema di revoca e sostitu-
zione delle misure cautelari stante l’ormai consolidato diritto all’informazione spettante alla
vittima di reato e la problematica relativa alla previsione della inammissibilità della richiesta
di sostituzione o revoca della misura cautelare in assenza della contestuale notifica/comu-
nicazione alla persona offesa a fronte della commissione di reati commessi con violenza
alla persona, espressione che sia a livello dottrinale, sia a livello giurisprudenziale desta
tutt’oggi problemi interpretativi e definitori.
Infine, l’ultimo profilo critico ravvisabile del sistema cautelare, riguarda il c.d. braccia-
letto elettronico ossia una “particolare modalità di controllo” (ex art. 275-bis c.p.p.), il quale
a ben vedere presenta più di una problematica funzionale e a tal proposito saranno vagliate
due diverse ed opposte interpretazioni giurisprudenziali esistenti prima dell’intervento tanto
atteso delle Sezioni Unite che risolve una problematica legata all’ammissibilità di un’ordi-
nanza emessa dal giudice che sostituisce una misura cautelare con un’altra più restrittiva
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della libertà personale dell’accusato sulla base dell’accertamento circa la mancata disponi-
bilità del braccialetto elettronico.
Per cui, sarà necessario comprendere il reale peso che la giurisprudenza attribuisce a tale
dispositivo elettronico in termini di effettiva capacità tutelante dell’integrità psico-fisica della
vittima, soprattutto se debole.
A conclusione dell’elaborato, vi è l’esame di un provvedimento cautelare (ARSE)
molto utilizzato in Francia nel campo della c.d. sicurezza elettronica (SE), la quale potrebbe
costituire un valido modello da esportare al fine di tutelare in modo più efficiente ed efficace
le vittime deboli, tuttavia, anche in questo caso, le problematiche non sono del tutto assenti
e perciò, si rende necessaria una loro analisi.
Ciò che però resta innegabile è che il sistema cautelare attuale, pur risultando potenzial-
mente idoneo a tutelare la vittima di reato, presenta importanti lacune che mettono quotidia-
namente in pericolo la salute fisica e psicologica di moltissime persone offese; si rende
perciò necessario attuare al più presto dei correttivi come è stato d'altronde già attuato sia
in Spagna, sia in Francia.
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CAPITOLO I
LA VITTIMA DEBOLE: ALLA RICERCA DI UNA
DEFINIZIONE
1. La nozione di vittima debole
Prima di approdare alla nozione di vittima debole, si rende necessario definire chi sia
e cosa si intenda, in generalità, per vittima o persona offesa dal reato. Anzitutto, è importante
rilevare che, principalmente, la nozione di vittima è rinvenibile a livello comunitario: una
prima definizione è stata fornita dalla Decisione Quadro del Consiglio 2001/220/GAI del 15
marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, la quale, all’art. 1,
la identifica come una persona fisica che ha subito un pregiudizio fisico o psichico, soffe-
renze o danni materiali derivanti direttamente da condotte commissive od omissive vietate
dal diritto penale statale
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.
Tuttavia, con la successiva emanazione della Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo
e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assi-
stenza e protezione delle vittime di reato, la definizione di vittima risulta modificata ed am-
pliata: con riguardo all’art. 2, possiamo notare che ora, per vittima, si intende una persona
fisica che ha subito un danno fisico, mentale o emotivo e perdite economiche come conse-
guenza diretta di un reato (rispetto alla precedente definizione di vittima fornita dalla già
menzionata decisione quadro, in forza della direttiva, il precedente termine ‘pregiudizio’ è
stato sostituito da ‘danno’, il termine ‘psichico’ è stato sostituito dal termine ‘mentale’ ed è
stato coniato il termine ‘emotivo’; infine i ‘danni materiali’ sono stati sostituiti dalle ‘perdite
economiche’). L’elemento di maggiore novità è però dato dal fatto che lo status di vittima
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Art. 1 Decisione Quadro del Consiglio 2001/220/GAI: «ai fini della presente decisione quadro si intende per
vittima: a) la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni
materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno stato
membro».