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CAPITOLO III
Il Surrogacy (Regulation) Bill indiano:
limitazioni e presupposti.
SOMMARIO: 3.1 I leading cases; 3.2 Le fonti normative; 3.3 Questioni legali ed
etico-sociali; 3.4 Un approccio critico alla nuova legislazione.
3.1 I leading cases.
Diversamente dai Paesi occidentali, in cui la maternità surrogata rappresenta una delle
conseguenze dell’evoluzione della medicina, in India essa è, sin dalle origini,
considerata come un mezzo per creare e proteggere la famiglia in determinate
circostanze, come dimostrano vari racconti della mitologia. Un esempio si ritrova nel
Bhagavata Purana, testo sacro dell’induismo, in cui si narra la storia di Balarama
109
che nacque grazie al trasferimento dell’embrione dall’utero di sua madre, Devaki, in
quello della madre surrogata, Rohini, sorella della madre. La surrogazione
rappresentava l’unico modo per proteggere il bambino dall’ira dello zio materno, che
aveva giurato di ucciderlo alla nascita.
In assenza di una legislazione ad hoc, ciò ha permesso un clima di generale favore
sociale e giurisprudenziale che, insieme all’incremento delle cliniche che offrono tali
servizi e ai bassi costi rispetto agli altri Paesi in cui si possono concludere accordi
surrogativi, ha reso l’India la meta preferita del turismo procreativo internazionale, con
la conseguente emersione di problematiche relative soprattutto al riconoscimento del
minore e ai suoi documenti di viaggio.
Rispetto al primo profilo, in mancanza di una definizione giuridica di chi debba essere
autorizzato ad effettuare il riconoscimento sono sorte incertezze rispetto al soggetto da
indicarsi come madre nel certificato di nascita. Rispetto al secondo profilo, poiché la
maggior parte dei contratti conclusi in questo Paese sono transfrontalieri, i documenti
sono necessari al minore per rientrare nello Stato di residenza dei genitori. Tuttavia, la
vacatio legis non permette di determinare il criterio secondo il quale deve essere
109
Uno degli avatāra di Viṣṇu.
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attribuita la cittadinanza con un conseguente sterile passaggio di responsabilità tra
l’India e lo Stato dei genitori intenzionali.
Un esempio emblematico è il caso Baby Manji Yamada
110
, del 2008. La controversia
sorse quando il padre biologico della bambina, il signor Yamada, giapponese, decise
di voler rientrare nel proprio paese con la neonata. Egli, insieme alla moglie, aveva
fatto ricorso alla maternità surrogata gestazionale in India con ovuli di una donatrice
esterna. Prima della nascita della bambina, la coppia committente si era separata e, di
fronte all’eventualità che potesse essere considerata come genitore del nascituro, la
madre intenzionale aveva affermato di non volersene occupare.
Al momento del parto, anche la madre surrogata rinunciava ad ogni diritto sulla
neonata adducendo come motivazione la presenza del contratto. Rimasto l’unico
responsabile, il padre decideva di rientrare con la figlia in Giappone.
Inoltrata la richiesta dei documenti di viaggio, né il governo indiano né il governo
giapponese avevano provveduto al rilascio, sulla base di diverse ragioni. Da un lato,
quest’ultimo si rifiutava di fornire il passaporto alla bambina perché l’ordinamento
interno non riconosceva la maternità surrogata e attribuiva la maternità secondo la
regola gestativa, per cui doveva essere considerata madre colei che aveva partorito;
dall’altro, le autorità indiane affermavano di non poter provvedere alla richiesta poiché
la bambina, essendo frutto di un accordo surrogativo transfrontaliero, non era cittadina
indiana.
Lo stesso organo che si era pronunciato sulla richiesta, consigliava al signor Yamada
di procedere con l’adozione, al fine di chiarire lo status della figlia. Tale ipotesi
risultava essere la più lineare in quanto mancava una legge che, in caso di contrasti
diplomatici, permettesse di definire lo status del nato attraverso la maternità surrogata.
Ciononostante, l’adozione, in India, è regolata da una legge che affonda le proprie
radici nel credo religioso, per cui sono posti molti limiti ai soggetti non-Hindu. L’unica
possibilità loro riservata è l’adozione di bambini in stato di abbandono, requisito non
presente nel caso di specie poiché la minore poteva essere considerata figlia della
110
Supreme Court of India, Baby Manji Yamada vs Union Of India & Anr, 29 settembre 2008.
70
madre surrogata. La situazione, invece, rientrava perfettamente sotto la disposizione
che vieta agli uomini soli di adottare bambine.
Un’ulteriore difficoltà per il rilascio dei documenti era dovuta alla mancata
registrazione della nascita della minore. Il rifiuto era stato motivato dalla perplessità
nutrita rispetto al soggetto che doveva essere nominato come madre. In altri termini le
autorità si interrogavano se si dovesse considerare tale la madre surrogata, la donatrice
di ovuli o l’ex moglie di Yamada. Ad ogni modo, il signor Yamada controbatteva che
la registrazione non poteva essere negata per simili motivi e, dopo una controversia
legale, riusciva ad ottenere un certificato provvisorio per la figlia in cui era nominato
come unico genitore.
Nel frattempo, il signor Yamada era stato costretto a tornare in Giappone poiché era
scaduto il suo visto. Al suo posto, giungeva in India sua madre, con il duplice intento
di non lasciare da sola la neonata e di portare avanti la controversia legale con le
autorità del Paese. Poco dopo la partenza del signor Yamada, la bambina veniva
raggiunta in ospedale dalla nonna che provvedeva a formulare un’istanza alla Corte
Suprema indiana per far ottenere al padre l’affidamento e alla minore i documenti
necessari all’espatrio.
A tale ricorso si opponeva un’organizzazione locale che si occupava del benessere dei
minori e di giustizia sociale, accusando la clinica, cui si erano rivolti i coniugi Yamada,
di traffico di bambini, facilitata dalla mancanza di una legge apposita sulla maternità
surrogata. Nella sua petizione, questa ONG affermava che Manji doveva essere
considerata in stato di abbondono e, per questo, necessitava di particolare protezione.
Un provvedimento di espatrio sarebbe risultato inconciliabile con una simile esigenza.
Tuttavia, la Corte Suprema rigettava la richiesta della ONG e accordava la custodia
alla nonna.
Sebbene la Corte non avesse preso in considerazione l’istanza presentata dalla ONG,
ugualmente non ne aveva sottovalutato le implicazioni sociali, tra le quali, in primis,
la necessità di definire chiaramente lo status familiare dei soggetti nati attraverso la
surrogazione nonché la loro nazionalità. Alla bambina veniva concesso un visto
temporaneo valido solo per rientrare in Giappone.
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Dopo tre mesi, Manji e la nonna raggiungevano il signor Yamada ad Osaka. Qui, le
autorità giapponesi affermavano che il legame di parentela potesse essere riconosciuto
attraverso l’esperimento di due prove: o veniva dimostrato il legame genetico con il
padre o sarebbe stato necessario ricorrere all’adozione. Al fine di garantire al signor
Yamada il tempo necessario per sottoporsi agli esami del caso, veniva concesso a
Manji un documento per motivi umanitari di durata di un anno. Tuttavia, quasi alla
scadenza di tale visto, lo status della minore non era ancora stato definito.
Così come rilevato nella sentenza della Corte Suprema, il vuoto normativo ha lasciato
spazio allo sviluppo indiscriminato degli accordi di maternità surrogata, che ha portato
spesso a sacrificare i diritti del minore alla speculazione economica.
Oltre che per i numerosi casi
111
, simili a “Baby Manji”, in cui i genitori intenzionali e
i minori sono stati bloccati in India per mancanza di documenti, il Paese è tristemente
noto anche per subordinare il benessere dei nuovi nati alla logica di mercato, non
sanzionando adeguatamente le condotte dei genitori intenzionali che abbandonano il
bambino se non conforme ai propri desideri.
Un caso, venuto alla luce nel 2014
112
, riguarda una coppia australiana che aveva fatto
ricorso alla maternità surrogata nel 2012. Dalla gravidanza erano nati due gemelli, un
maschio e una femmina. Al momento del rientro nel loro Paese, i genitori intenzionali
avevano deciso di portare con loro solo la bambina, lasciando l’altro gemello ad una
coppia di amici che non potevano avere figli.
A scuotere l’opinione pubblica a livello internazionale fu il fatto che la loro scelta fu
appoggiata dalle autorità indiane e australiane. Quando si rese necessario provvedere
alla richiesta dei documenti, le autorità indiane si informarono della sorte dell’altro
bambino, per il quale non era stato predisposto nessun documento valido per l’espatrio.
Alla domanda, i genitori intenzionali risposero che in Australia avevano già un figlio
maschio, che avrebbero voluto completare il loro nucleo familiare con una figlia
femmina e che comunque non si sarebbero potuti occupare di tutti e tre. Conclusero
111
Si veda ad esempio il caso “Balaz Twin”, Supreme Court of India, Jan Balaz Vs. Anand Municipality
and 6 ors., 11 novembre 2009, in cui i minori e i genitori si sono trovati al centro di uno scontro
diplomatico tra la Germania e l’India per il riconoscimento della cittadinanza e del rapporto di filiazione
durato due anni.
112
Caso scoperto all’inizio di ottobre del 2014 e riportato dalla American Broadcasting Company.
72
affermando che il bambino era stato lasciato ad una coppia di amici che non potevano
avere figli.
Dopo un iniziale momento di stasi durante il quale il consolato australiano a Nuova
Delhi informò il governo del Paese di residenza dei coniugi per cercare di risolvere la
questione, furono concessi i documenti per l’espatrio e la famiglia tornò in Australia.
Il governo australiano aveva risposto alla richiesta di indicazioni sulla linea di condotta
da tenere, formulata dal consolato, affermando che la problematica doveva essere
gestita dalle autorità indiane. Fu quindi ordinato di investigare sullo stato di salute del
bambino abbandonato per essere sicuri che non fosse stato oggetto di traffico di minori.
Durante le indagini, la polizia federale scoprì che la coppia alla quale era stato lasciato
il neonato non conosceva direttamente i genitori intenzionali, ma non trovò nulla che
facesse pensare ad uno scambio di denaro, per cui non fu possibile parlare di “traffico
di minori”.
Nonostante ciò, i problemi sollevati dalla vicenda sono molti. Primo fra tutti, dal
momento che l’India riconosce la validità degli accordi di maternità surrogata, il
bambino era senza genitori, quindi in stato di abbandono. Ciò aveva un rilevante
impatto anche sulla possibilità di considerarlo un cittadino indiano per cui il governo
si rifiutò, per un periodo, di assicurargli protezione. Da parte sua, il Dipartimento per
gli Affari Esteri australiano affermava che la possibilità delle autorità australiane di
assistere il bambino era limitata dal fatto che non fosse stata fatta richiesta di
cittadinanza
113
. Purtuttavia, in una comunicazione inviata alla Australian High
Commission, il dipartimento si impegnava a monitorare da vicino la situazione al fine
di evitare che il benessere del bambino fosse compromesso.
Lo stesso organo, nel 2014, rendeva noto che il bambino era stato regolarmente
adottato. Nonostante ciò la sua situazione restava precaria dal momento che, se si fosse
scoperto che in cambio della sua cessione era stata pagata una somma di denaro,
sarebbe venuto meno ogni legame con la coppia alla quale il minore era stato lasciato.
113
In una e-mail indirizzata alla Australian high commission in India dal Department of Foreign Affairs
and Trade si legge: «If the parents do not apply for Australian citizenship for the child, the child will
be stateless in India [...] our ability to provide assistance to a non-Australian citizen is limited».
73
La vicenda ha riportato alla ribalta la necessità di una regolamentazione interna della
maternità surrogata nonché di una comunione di intenti a livello internazionale. La
nascita di un bambino e il successivo abbandono, poiché non conforme ai desideri dei
genitori committenti, deve essere considerata una violazione dei diritti umani.
In conclusione, i due casi mettono in luce i problemi che un ricorso spregiudicato alla
maternità surrogata solleva. Da un lato, nel caso “Baby Manji” le autorità si rifiutano
di riconoscere il legame di filiazione e, in nome del benessere della minore, non
consentono l’espatrio; dall’altro, gli stessi organi, pur riconoscendo nella coppia i
genitori del minore, non si preoccupano in alcun modo del suo “best interest”,
autorizzandoli a lasciarlo presso terzi. In entrambe le situazioni è la carenza di una
legislazione ad hoc che impedisce di assicurare certezza ai minori nati con il ricorso a
questa pratica.
3.2 Le fonti normative.
L’impossibilità di gestire un fenomeno tanto vasto come il turismo procreativo senza
una regolamentazione legislativa ha spinto il governo indiano ad emanare delle linee
guida per l’accreditamento, la supervisione e la regolazione delle cliniche in cui si può
far ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Tali linee guida sono
state pubblicate nel 2005 con l’intento di stabilire una procedura per permettere allo
Stato di controllare il lavoro delle cliniche
114
, appartenenti al settore privato, nonché
per fornire degli standards in merito all’equipaggiamento tecnologico necessario, al
livello di competenza che i professionisti che vi operano devono possedere e alle
procedure e ai protocolli che devono essere seguiti.
Tra le responsabilità della clinica vi è l’obbligo di informare i genitori intenzionali e
la madre surrogata delle implicazioni di un simile contratto
115
, al fine di fornire a
quest’ultima tutte le indicazioni utili per prendere una decisione consapevole. Tale
previsione si è resa necessaria poiché, nella maggior parte dei casi, le donne che si
114
§3.1 ART guidelines 2005: «Clinics which should be Registered. Clinics involved in any one of the
following activities should be regulated, registered and supervised by the State Accreditation
Authority/State Appropriate Authorities».
115
§3.3 ART guidelines 2005: «Responsibilities of the Clinic. To give adequate information to the
patients. To explain to the patient the rationale of choosing a particular treatment and indicate the
choices the patient has (including the cheapest possible course of treatment), with advantages and
disadvantages of each choice».
74
prestano a diventare “madri portanti” sono di estrazione sociale molto bassa e non
parlano altra lingua se non quella della loro regione. Senza un’accurata spiegazione da
parte della clinica si rende difficile ipotizzare che il consenso sia stato prestato
liberamente o che la donna abbia pienamente compreso tutti i risvolti della pratica.
Bisogna in ogni caso dar conto del fatto che, spesso, le informazioni fornite dai centri
non sono esaustive e veritiere perché essi hanno un ritorno economico se la donna
decide di diventare “madre gestante”. In più, possono confidare nel fatto che
difficilmente quest’ultima consulterà altre fonti al fine di ottenere ulteriori chiarimenti
in merito alla pratica.
Insieme a tali informazioni, la donna che si presta a divenire gestante per conto altrui
viene anche sottoposta ad un test per l’HIV e le viene richiesto di specificare se negli
ultimi sei mesi abbia fatto uso di droghe o abbia ricevuto trasfusioni di sangue
116
.
La clinica non può indicare una specifica madre surrogata poiché, seguendo le linee
guida del 2005, la ricerca è compito di coloro che vogliono concludere l’accordo
surrogativo
117
. Inoltre, le strutture mediche non possono essere parti commerciali di
nessun accordo che riguardi la maternità gestazionale o il ricorso a donatori
118
.
Dopo aver stabilito le responsabilità della clinica e le procedure che devono essere
seguite, il documento del 2005 indica i requisiti indispensabili per la madre surrogata
e provvede a chiarire il rapporto con i genitori intenzionali. La prima dovrà avere
un’età compresa tra i ventuno e i quarantacinque anni
119
e non potrà concludere più di
tre accordi surrogativi nella sua vita
120
. In questo modo si cerca di evitare un duplice
116
§3.10.7 ART guidelines 2005: «A prospective surrogate mother must be tested for HIV and shown to
be seronegative for this virus just before embryo transfer. She must also provide a written certificate
that (a) she has not had a drug intravenously administered into her through a shared syringe, (b) she
has not undergone blood transfusion; and (c) she and her husband (to the best of her/his knowledge)
has had no extramarital relationship in the last six months. (This is to ensure that the person would not
come up with symptoms of HIV infection during the period of surrogacy.) The prospective surrogate
mother must also declare that she will not use drugs intravenously, and not undergo blood transfusion
excepting of blood obtained through a certified blood bank».
117
§3.10.4 ART guidelines 2005: «Advertisements regarding surrogacy should not be made by the ART
clinic. The responsibility of finding a surrogate mother, through advertisement or otherwise, should
rest with the couple, or a semen bank».
118
§3.5.3 ART guidelines 2005: «The ART clinic must not be a party to any commercial element in
donor programmes or in gestational surrogacy».
119
§3.10.5 ART guidelines 2005: «A surrogate mother should not be over 45 years of age». Il limite
minimo si ricava dalla lettura delle norme sulle pratiche di procreazione assistita.
120
§3.10.8 ART guidelines 2005: «No woman may act as a surrogate more than thrice in her lifetime».
75
ordine di abusi: da un lato, la soglia dell’età minima impedisce che vi si sottopongano
soggetti troppo giovani, dall’altro, la restrizione circa il numero massimo di accordi
che si possono concludere impedisce che la donna sia ridotta a mera incubatrice e la
tutela da un punto di vista fisico. Nei successivi aggiornamenti, tale limite di tre è stato
ulteriormente ridotto.
La madre gestante deve essere registrata con il suo nome e deve fornire ogni
informazione sui genitori biologici del bambino
121
, il che implica un controllo che
assicuri che non sia anche donatrice per la medesima coppia
122
. Simili dati non
verranno in alcun modo divulgati, ma permettono al minore, una volta raggiunti i
diciotto anni, di poter ricercare la madre surrogata. Un particolare tutela è accordata ai
donatori, i cui nomi verranno disvelati solo se vi è un ordine giudiziale.
Tutte le spese relative alla gravidanza e all’immediato post partum verranno sostenute
dai genitori intenzionali, ai quali è lasciata la facoltà di concordare con la madre
portante un compenso
123
. I committenti dovranno dimostrare con un test del DNA di
essere i genitori biologici del bambino altrimenti, secondo la legge indiana, dovranno
procedere all’adozione del minore
124
. Come già precedentemente illustrato, la
procedura potrebbe essere particolarmente difficoltosa poiché l’istituto dell’adozione
è regolato da una legge di stampo religioso.
Il neonato è riconosciuto come figlio legittimo della coppia e la madre surrogata deve
rinunciare per iscritto ad ogni suo diritto genitoriale. Per rendere tale rinuncia
definitiva sul certificato di nascita saranno inseriti solo i nomi dei genitori intenzionali
121
§3.5.4 ART guidelines 2005: «A surrogate mother carrying a child biologically unrelated to her must
register as a patient in her own name. While registering she must mention that she is a surrogate mother
and provide all the necessary information about the genetic parents such as names, addresses, etc. She
must not use/register in the name of the person for whom she is carrying the child, as this would pose
legal issues, particularly in the untoward event of maternal death».
122
§3.5.4 ART guidelines 2005: «An oocyte donor can not act as a surrogate mother for the couple to
whom the ooctye is being donated».
123
§3.5.4 ART guidelines 2005: «All the expenses of the surrogate mother during the period of
pregnancy and post-natal care relating to pregnancy should be borne by the couple seeking surrogacy.
The surrogate mother would also be entitled to a monetary compensation from the couple for agreeing
to act as a surrogate; the exact value of this compensation should be decided by discussion between the
couple and the proposed surrogate mother».
124
§3.10.1 ART guidelines 2005: «A child born through surrogacy must be adopted by the genetic
(biological) parents unless they can establish through genetic (DNA) fingerprinting (of which the
records will be maintained in the clinic) that the child is theirs».
76
senza alcun riferimento alla madre gestazionale
125
e senza che sia necessario un test
che confermi la presenza di un legame biologico.
Ai genitori intenzionali è fatto obbligo di accettare la custodia legale del neonato,
indipendentemente dal fatto che siano più di uno, ed è fatto loro divieto di impiegare
due madri surrogate allo stesso tempo. Nella prassi tuttavia, tali disposizioni sono
spesso disattese.
Sebbene forniscano un quadro generale che può orientare nelle procedure relative alla
maternità surrogata, le disposizioni non permettono di risolvere le questioni etiche e
legali che il ricorso ad una simile pratica solleva. Si è affermato che questo documento,
anziché rallentare il fenomeno del turismo procreativo, lo ha favorito dal momento che
definisce una serie di regole molto permissive per i genitori intenzionali e per le
cliniche che offrono i servizi, senza proteggere adeguatamente la madre surrogata. Più
genericamente, gli esperti di politica sociale asseriscono che il risultato ottenuto è stato
quello di rafforzare i pregiudizi sociali sulla sterilità più che favorire lo sviluppo di
istituti simili all’adozione.
Tali linee guida sono state aggiornate nel 2008 e nel 2010. Quest’ultimo intervento ha
apportato alcune modifiche nell’ottica di stabilire la coercibilità degli accordi
surrogativi alla stregua di qualunque altro contratto
126
e di porre regole più rispettose
dei diritti della madre surrogata. Con riguardo a quest’ultimo punto è stato stabilito
innanzitutto che la donna debba avere un’età compresa tra i ventuno e i trentacinque
anni e che non possa portare a termine più di cinque gravidanze nella sua vita,
computando in questo termine esclusivamente le gravidanze che si sono concluse con
la nascita di un bambino vivo, inclusi i propri figli
127
. In secondo luogo, non si può
sottoporre ad un trasferimento di embrioni per più di tre volte per la stessa coppia o lo
125
§3.5.4 ART guidelines 2005: «The birth certificate shall be in the name of the genetic parents. The
clinic, however, must also provide a certificate to the genetic parents giving the name and address of
the surrogate mother».
126
§34.1 ART guidelines 2010: «Rights and duties in relation to surrogacy. Both the couple or individual
seeking surrogacy through the use of assisted reproductive technology, and the surrogate mother, shall
enter into a surrogacy agreement which shall be legally enforceable».
127
§34.5 ART guidelines 2010: «No woman less than twenty-one years of age and over thirty five years
of age shall be eligible to act as a surrogate mother under this Act. Provided that no woman shall act
as a surrogate for more than five successful live births in her life, including her own children».