2
dalle esperienze quotidiane, sia quando si riferiscono a racconti di
ricordi remoti.
Spesso, inoltre, nel raccontare storie fantastiche o episodi
personali, facciamo riferimento ai sentimenti e alle motivazioni che
accompagnano i vissuti dei protagonisti menzionati.
Il mio studio affronta due aspetti dell’evolversi delle abilità
narrative: le caratteristiche e lo sviluppo dei vari tipi di narrazione,
quali script, resoconti di esperienze personali, racconti di storie
fantastiche, e le modalità con cui i bambini fanno riferimento agli
stati mentali dei personaggi.
3
PARTE I
4
CAPITOLO I
LA NARRAZIONE
Normalmente con il termine “narrazione” si intende il
racconto, sia in forma orale che scritta, di un fatto reale o
immaginario.
Alcuni particolari filoni di ricerca hanno favorito lo sviluppo
del concetto di “narrazione”, che solo di recente è stato indagato
come forma di pensiero e di linguaggio, mentre in passato era stato
preso in considerazione nel modo di studiare i processi di lettura o
nel momento in cui si chiedeva al bambino di raccontare storie o di
ascoltare brani per rispondere a domande di comprensione o di
ragionamento.
Un importante contributo deriva dalle ricerche sul concetto di
copione o script
1
, nonché da quelle svolte sulla teoria dalla mente
2
.
Per quanto riguarda il primo costrutto, le indagini più recenti
1
Per un maggior approfondimento del concetto di “script” si rimanda al paragrafo 1.2.
2
Per un maggior approfondimento del concetto di “teoria dalla mente” si rimanda al capitolo
III°.
5
hanno attribuito particolare rilevanza al criterio di
concettualizzazione basato sull’evento, come iniziale forma di
classificazione attraverso la quale il bambino forma successivi
livelli di “generalizzazione”
3
.
Il criterio di concetti basato sull’evento è “inseribile in quello
più generale di copione, che ha la funzione di schematizzare gli
eventi attesi”
4
.
Esso ha in un certo modo favorito gli studi sul pensiero
narrativo: infatti il costrutto di “copione”, comportando una
diacronicità, un’articolazione soggetto-scopo, una concretezza, una
scena, si avvicina per alcuni aspetti alla narrazione, ma al medesimo
tempo se ne distingue, trattando, quest’ultima, anche
dell’eccezionalità, dell’imprevisto, laddove, ad un certo punto della
storia, subentra un evento, che crea una situazione di squilibrio,
deviando il corso delle azioni.
Così, quando un comportamento viola certe norme di
previsione, la narrazione costruisce un mondo possibile, in cui
l’eccezione acquista un significato.
3
Benelli B. (a cura di), “Lo sviluppo dei concetti nel bambino”, Giunti Barbera, Firenze, 1989.
4
Schank R., Abelson R., “Scipts, plans, goals and understanding”, Lawrence Erlbaum
Associates, Hillsdale, NJ, 1977.
6
Questa importante proprietà della narrazione, che J. Bruner
chiama “violazione della canonicità”, permette di collegarla alle
strutture di conoscenze schematiche, di tipo routinario.
Infatti, mentre questi ultimi permettono di dare organicità agli
eventi attesi, le narrazioni consentono all’individuo di far fronte agli
stimoli che violano le attese create dalle conoscenze schematiche, e
gli danno la possibilità di ordinare gli avvenimenti allo scopo di
renderli comprensibili
5
.
In effetti, questa situazione è riflessa già nelle prime
produzioni narrative del bambino: ne è un valido esempio la
descrizione che J. Dunn
6
fornisce della scena della famiglia inglese,
dove il bambino impara molto presto, nel raccontare un
avvenimento, ad utilizzare le forme retoriche del linguaggio e
contemporaneamente comprende che l’accettazione delle proprie
azioni da parte degli interlocutori è profondamente condizionata dal
modo adottato per raccontarle.
Ciò significa che il piccolo utilizza un linguaggio particolare al fine
di dimostrare agli altri la validità del proprio comportamento.
5
Smorti A., “Il pensiero narrativo”, in Età Evolutiva: rivista di scienze dello sviluppo, N. 44.,
1993, pag. 101-114.
6
Dunn J., “The beginnings of social understanding”, Harvard University Press, Cambridge.
Trad. it. “La nascita della competenza sociale”, Cortina, Milano, 1990.
7
J. Bruner ha studiato in maniera particolareggiata la
narrazione
7
, ipotizzando che essa sia espressione di una forma
particolare di pensiero, appunto, contrapposto al pensiero
scientifico.
Da un punto di vista evolutivo il pensiero narrativo entra in
relazione con altre componenti dello sviluppo.
Pensiamo, ad esempio, alla “intenzionalità” che riguarda le
azioni dei personaggi di una storia: essa, riferendosi alle vicende
umane, implica il coinvolgimento di altri contesti importanti, come
quello affettivo e sociale. Infatti, nel predire gli stati intenzionali di
un personaggio, normalmente ci si basa sui suoi sentimenti, nonché
sulle credenze e sui valori che gli sono propri.
Per coordinare tra loro l’azione, cioè la sequenza dei fatti che
accadono nel racconto, e i sentimenti, i pensieri, le intenzioni dei
personaggi, è importante tener conto delle motivazioni che
muovono i loro comportamenti.
Tali considerazioni ci conducono direttamente all’altro
interessante concetto, che ha arricchito le ricerche sul pensiero
narrativo, cioè la teoria della mente.
7
Bruner J., “La costuzione narrativa della realtà”, in Ammaniti M., Stern D.N., (a cura di),
“Rappresentazioni e narrazioni”, Biblioteca di cultura moderna Laterza, Roma-Bari, 1991.
8
Infatti, raccontare le intenzioni, le idee, le emozioni dei
protagonisti implica disporre di una forma di teoria della mente su
di loro.
E, come afferma Bruner, solo rifacendosi agli stati mentali è
possibile interpretare quella “rottura della canonicità”
8
che si
verifica in occasione della comparsa dell’evento imprevisto e
discrepante, già menzionato.
Un ulteriore aspetto interessante della narrazione è l’essere
caratterizzata da una determinata logica delle azioni, pur
conservando un certo grado di somiglianza con il mondo che ci
circonda, che conosciamo e di cui facciamo esperienza giorno per
giorno.
Anche se può essere sospeso il principio di verità, per cui le
azioni narrate possono non essere effettivamente compiute, le
sequenze devono presentare connessioni causali e temporali
appropriate
9
, come sostiene M. C. Levorato.
Il mondo fantastico di un racconto, di una storia, può essere
un’alternativa a quello reale, ma deve comunque prendere come
riferimento le norme e le regolarità del mondo.
8
Bruner J., 1991, op. cit.
9
Levorato M.C., “Racconti, storie e narrazioni”, Il Mulino, Bologna, 1988.
9
Anche le favole che consentono delle violazioni al principio
di verità, come ad esempio che gli animali parlino (si pensi al lupo
nella fiaba di Cappuccetto Rosso), rispecchiano, in realtà, questo
punto di vista.
Tutti questi aspetti della narrazione possono essere ravvisati
nei bambini fin dalle loro prime relazioni sociali, ed è per questo
interessante vedere come il racconto diviene una forma di vita,
quando il bambino comincia a raccontare e a raccontarsi.
1.1 La nascita della competenza narrativa nei bambini.
I bambini piccoli cominciano molto precocemente ad
assumere una prospettiva narrativa. Infatti, il racconto è il mezzo
principale che viene utilizzato fin dalle prime relazioni sociali.
A questo proposito la famiglia diviene il luogo ideale in cui il
bambino sperimenta le proprie abilità narrative, relative alla
descrizione di realtà, idee e sentimenti.
Questo punto è ben evidenziato nel lavoro di Ochs, Taylor,
Rudolph e Smith
10
, i quali, studiando l’attività narrativa quotidiana
10
Ochs E., Taylor C., Rudolph D., Smith R., “Raccontare storie come pratica scientifica”, in
Età Evolutiva: rivista di scienze dello sviluppo, N. 55, 1996, pp. 72-90.
10
che si svolge nell’ambito familiare, hanno rilevato come il
momento del pasto rappresenti un contesto importante e ideale in
cui i membri del nucleo familiare comunicano attraverso il
racconto, essendo un’occasione speciale in cui la maggior parte o
tutti i protagonisti si incontrano dopo essere stati lontani durante la
giornata.
E’ un momento in cui prendono avvio i resoconti e le storie,
che si riferiscono alla parte del giorno appena trascorsa, e vengono
organizzate le cose da fare per quello successivo.
Questa è dunque un’opportunità importante per la
socializzazione e l’acquisizione della competenza narrativa nel
bambino, che ha pertanto la possibilità di condividere esperienze e
conoscenze con i familiari, i quali, attraverso le loro riformulazioni
e le eventuali correzioni sulle narrazioni dei più piccoli, fanno in
modo di motivarli in misura sempre maggiore alla partecipazione
al discorso, promuovendo l’attività di raccontare.
Le figure adulte che aiutano il bambino in questa importante
fase possono essere, oltre ai familiari, anche gli educatori o altre
persone che hanno relazioni col piccolo.
11
Un primo approccio al contesto narrativo avviene quando da
bambini, con un bel sorriso e gli occhi sgranati, ci sediamo di fronte
all’adulto, che pazientemente accontenta la nostra importante
richiesta “Mi racconti una storia?”, intrattenendo la nostra
attenzione sui particolari immaginari del mondo incantato delle
fiabe.
Le favole e le storie rappresentano per il bambino uno degli
strumenti privilegiati per lo sviluppo linguistico e per la conoscenza
del mondo, delle caratteristiche delle azioni umane, del sistema di
norme e valori propri della cultura in cui vive
11
e in tal senso la
narrazione permette di esprimere il sistema di credenze di un
individuo.
Un’altra attività, a cui il bambino è esposto molto presto, è la
lettura di un libro condotta con l’adulto, in particolare con la madre.
In questo contesto, già intorno ai due anni
12
il bambino è in
grado di prendere parte al dialogo con l’adulto attraverso elementi
di tipo narrativo, tentando sempre più di assumere il ruolo di
narratore.
11
Levorato M. C., 1988, op. cit.
12
Pontecorvo C., “Narrazione e pensiero discorsivo nell’infanzia”, in Ammaniti M. e Stern
D.N. (a cura di), Biblioteca di cultura moderna Laterza, Roma-Bari, 1991.
12
A questo proposito Clotilde Pontecorvo cita uno studio
13
molto interessante condotto sui monologhi che precedono
l’addormentamento di Emily, una bambina della quale è stato
osservato il linguaggio dai 22 ai 37 mesi.
E’ stata riscontrata la prevalenza di discorso narrativo nei
suoi monologhi, rivolto a ciò che è successo nel passato, a ciò che
deve succedere nel futuro e a ciò che accade solitamente nella vita
di ogni giorno.
In particolare è emerso che la bambina utilizza la narrazione
allo scopo di dare un significato agli avvenimenti, alle sue
esperienze, nonché alle sue emozioni e lo fa distinguendo, ad
esempio, ciò che è ordinario da ciò che non lo è, spiegandone anche
l’intenzionalità.
In questo modo, narrare a sé stessa le permette di dare un
senso alla sua vita.
La nostra esperienza è ricca di tante forme di racconto che
nascono nell’ambiente familiare e nelle relazioni sociali, dove
scopriamo, fin da piccoli, che le persone parlano di ciò che accade
nella vita di tutti i giorni e impariamo, a nostra volta, a cimentarci
13
Pontecorvo C., 1991, op. cit.
13
con diverse abilità nei vari tipi di racconto, come la descrizione di
fatti personali, avventure, sentimenti, intenzioni.
Infatti, spesso utilizziamo il racconto anche per spiegare i
nostri comportamenti, le nostre azioni, allo scopo di dar voce alle
nostre motivazioni.
In questo senso la narrazione diventa uno strumento utile,
non solo per raccontare ciò che è accaduto, ma anche per
giustificare l’azione raccontata.
Così, già all’età di tre anni i bambini imparano a usare le loro
narrazioni, per ingannare, per adulare, per discolparsi, per ottenere
quello che vogliono senza provocare situazioni di conflitto con le
persone che amano.
E si trovano, in tal modo, avviati a diventare narratori sempre
più esperti.
Sotto questo punto di vista l’attività narrativa diviene
importante allo scopo di rivestire un ruolo all’interno del nucleo
familiare o nel gruppo dei pari, laddove il bambino molto presto
impara a schierarsi e capisce che parlare di ciò che è accaduto
significa raccontarlo in forma spesso “teatrale” e “drammatizzata”,
14
giustificando l’azione raccontata e il proprio ruolo, oltre ad esporre
i fatti
14
.
Circondati in tal modo dai resoconti degli altri su episodi
accaduti, dalle novelle narrate frequentemente dall’adulto, nonché
dall’educatore che spesso a scuola ci tiene “buoni”, o dai genitori
che, la sera prima di immergerci nel mondo dei sogni, ci raccontano
la fiaba tanto amata, ognuno di noi ha imparato a sua volta a
narrare.
In questo modo la narrazione offre un genere di discorso
entro cui i bambini riescono a inserire le loro prospettive
15
.
Il fatto che la narrazione, in particolare nelle sue forme
particolari delle fiabe, avvicini l’aspetto emotivo al mondo del
bambino, è stato dimostrato chiaramente dalla letteratura
psicoanalitica, ad esempio, nell’opera di Bettelheim
16
.
L’autore sostiene che i personaggi che si muovono negli
scenari fantastici sono figure archetipiche che incarnano le
contraddittorie tendenze del bambino e raffigurano i membri della
sua famiglia, oltre agli adulti che popolano il mondo intorno a lui.
14
Baumgartner E., Devescovi A., “Come e perché nelle favole raccontate dai bambini”,
Edizioni Sestante, Ripatransone (AP), 1996.
15
Pontecorvo C., 1991,op. cit.
16
Bettelheim B., “Il mondo incantato delle fiabe. Uso, importanza e significati psicoanalitici
delle fiabe”, Feltrinelli Editori, Milano, 1975.
15
Oltre a ciò le situazioni delle favole, rispecchiando la visione
magica e animistica che il bambino ha delle cose, i suoi stupori, le
sue paure, i suoi desideri, gli permettono di placare le inquietudini,
lo aiutano a superare le insicurezze, ad accettare responsabilità e lo
pongono di fronte alle reali difficoltà della vita attraverso un
linguaggio non realistico, che è l’unico che lui è in grado di
comprendere a livello profondo.
Inoltre, raccontando le storie, i bambini ragionano sugli
eventi, riescono a ricavare ciò che la storia dice o non dice e
cercano di interpretare gli stati mentali dei personaggi.
Tutto ciò mette in luce come la narrazione sia un importante
strumento per imparare a “dare senso” all’esperienza umana, fin
dalla prima infanzia.
Tutti i tipi di racconto, che i bambini producono, cioè la
narrazione di storie, i resoconti delle proprie esperienze e il
racconto di eventi di ruotine, sono stati studiati come veri e propri
generi narrativi all’interno della letteratura psicologica.