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CAPITOLO III
PROFILI COMPARATISTICI: OLANDA E BELGIO
SOMMARIO: 3.1. La legislazione olandese - 3.1.1. Il “Protocollo di Groningen” - 3.2. La
normativa belga - 3.2.1. Le cure palliative in Belgio - 3.2.2. Il primo caso di eutanasia su
un minore - 3.3 Differenze tra la legislazione di Olanda e Belgio
3.1. La legislazione olandese
L’Olanda, attraverso un percorso trentennale di esperienza negli atti
eutanasici e nei suicidi medicalmente assistiti, è stato il primo paese al
mondo ad aver legalizzato l’eutanasia nel 2001, introducendo una causa di
esclusione della punibilità nel caso queste pratiche siano realizzate dal
medico, in osservanza delle disposizioni contenute nella legge e abbia
redatto una relazione con l’indicazione di tutte le procedure da lui seguite.
È sempre stata presente una certa sensibilità nei confronti dell’interruzione
della vita da parte della popolazione olandese, ma anche di medici e della
stessa giurisprudenza. Difatti, anche se il codice penale contempla
rispettivamente agli artt. 293 e 294 i due reati di omicidio del consenziente
e di aiuto al suicidio con pene che arrivano al massimo edittale di 12 e 3
anni
244
, al fine di dichiarare la non punibilità di queste fattispecie delittuose
244
Art. 293 c.p.: “Colui che mette fine ai giorni di un altro a domanda esplicita e
consapevole di quest’ultimo è punito con una pena detentiva della durata massima di 12
anni o un’ammenda di quinta categoria”.
Art. 294 c.p.: “Colui che istiga un altro intenzionalmente a suicidarsi, che lo aiuta a
suicidarsi, in caso di decesso, è punito con una pena detentiva della durata massima di 3
anni o con un’ammenda di quarta categoria”.
I due reati qui analizzati avevano dei confini molto labili, per cui era facile passare da
uno all’altro.
L’eutanasia consisteva nella somministrazione al paziente da parte del medico di un
farmaco letale, mentre nell’aiuto al suicidio era il paziente stesso ad assumere i farmaci
preparati dal medico, attraverso un comportamento attivo. In quest’ultimo caso, è
necessario che il medico non solo informi il paziente sui metodi e i mezzi letali, dovendo
fornire materialmente questi mezzi.
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veniva utilizzato l’art. 40 c.p.: “Non è punibile colui che commette un fatto
al quale egli è costretto a causa di forza maggiore” (overmacht, o stato di
necessità psichico).
245
Per analizzare in modo approfondito il dibattito circa il tema dell’eutanasia
in Olanda dobbiamo inizialmente riferirci ad uno scritto della fine degli anni
’60 intitolato “Potere medico ed etica medica” del dottor van der Berg, in
cui illustrava con alcune foto come le nuove scoperte in campo medico non
portassero solo benefici, ma anche pratiche di accanimento terapeutico,
utilizzate al fine di mantenere in vita il paziente a tutti i costi, addirittura
attraverso mutilazioni. In più, affermava che la vita doveva essere
preservata fino a quando manteneva un significato, riconoscendo uno dei
principi base dell’eutanasia.
246
Intervennero, a questo punto, alcune associazioni sensibili al problema, i
medici di famiglia, perché erano soprattutto loro ad essere coinvolti nelle
scelte dei pazienti, la Royal Dutch Medical Association, la maggiore
associazione medica olandese che chiese di far emergere il fenomeno
dell’eutanasia dalla clandestinità, e la Chiesa riformata olandese, che prese
una posizione favorevole sul tema, qualora l’eutanasia fosse finalizzata a
liberare il malato da un vita meramente vegetativa, senza possibilità di
relazioni.
247
In realtà il dibattito si fece sentire più forte a seguito del caso di Gertrude
Postma, una dottoressa che uccise la propria madre con una iniezione letale
245
C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica. Il caso dell'eutanasia, cit., pag. 311.
246
M. ARAMINI, L’eutanasia. Commento giuridico-etico della nuova legge olandese,
Giuffrè, Milano, 2003, pag. 23.
247
G. CIMBALO, Eutanasia, cure palliative e diritto ad una vita dignitosa nella recente
legislazione di Danimarca, Olanda e Belgio, in S. CANESTRARI, G. CIMBALO, G.
PAPPALARDO (a cura di), Eutanasia e Diritto: confronto tra discipline, cit., pag. 141.
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di morfina e curaro. La donna, a seguito di una emorragia cerebrale, era
rimasta in parte paralizzata, con alcuni organi di senso gravemente
compromessi e, ormai in fin di vita, aveva chiesto più volte alla figlia di
morire per porre fine alle proprie sofferenze.
La Postma accettò la richiesta della madre e nel 1973 venne accusata di
omicidio del consenziente (art. 293 c.p.), ma due anni dopo venne
condannata per eutanasia volontaria e la Corte d’Assise di Leeuwarden le
comminò una pena di solamente una settimana di reclusione. La
giustificazione per una pena così lieve risiedeva nel fatto che la dottoressa
avesse agito in situazione di forza maggiore, visto il forte dolore a cui era
sottoposta da tempo la madre, e in casi simili la Corte sostenne che fosse
difficile oltrepassare il senso morale per portare a termine i propri doveri
da medico.
248
Un secondo caso molto importante si ebbe nel 1984, quando il dottor
Alkmaar venne assolto dall’imputazione di eutanasia grazie all’art. 40 c.p. Il
dottore aveva in cura una signora di 95 anni, incapace di alimentarsi in
modo autonomo, che, dopo aver perso temporaneamente la coscienza, al
suo risveglio aveva più volte chiesto al dottore di morire. Questi, prima di
248
Questa sentenza portò la Royal Dutch Medical Association a sostenere l’impunità dei
medici di fronte alla volontà dei pazienti di rifiutare o interrompere i trattamenti sanitari,
ormai vani, vista la loro situazione medica, con conseguente disapplicazione dell’art. 293
c.p. Furono elencati alcuni criteri da rispettare: la libera volontà del paziente di porre
fine alla sua vita, non frutto di una momentanea depressione; un’informativa da parte
del medico sul suo attuale stato di salute; una sofferenza insopportabile e persistente
dovuta o al dolore, o a una condizione fisica deteriorata, o a fattori sociali o sindrome
psichiatrica; l’assenza di alternative. Era richiesto il consulto con due medici, uno che
avesse seguito il paziente e uno esterno (M. B. MAGRO, Eutanasia e diritto penale, cit.
pag. 249).
120
intervenire, consultò un suo collega che confermò l’impossibilità di
guarigione della signora.
Così con una iniezione pose fine alla vita dell’anziana signora.
Il medico venne condannato in primo e secondo grado per aver violato l’art.
293 c. p., ma fu la Corte Suprema a risolvere la vicenda, sostenendo che i
medici si trovavano spesso davanti ad un conflitto tra il dovere di tutelare
la vita e quello di rispettare il diritto all’autodeterminazione e il desiderio
dei pazienti di porre fine alle proprie sofferenze. Questo contrasto tra legge
e deontologia portava gli stessi al diritto di avvalersi dello stato di necessità
e della non punibilità per i casi di eutanasia.
249
Iniziò così una stagione di confronti all’interno del Governo, con l’istituzione
di commissioni per lo studio dei casi di fine vita (una fra tutte la
Staatcommissie Euthanasie del 1985 composta da 15 membri) e furono
avanzate nuove proposte di legge.
A causa della lacuna legislativa ancora presente all’epoca, fu affidato alla
giurisprudenza il compito di dirimere i casi che gli venivano sottoposti,
guidata dai lavori delle Commissioni parlamentari di indagine.
Vennero, così, da questa predisposti dei criteri per praticare l’eutanasia in
modo lecito: il paziente doveva essere un malato terminale afflitto da un
dolore intollerabile fisico o mentale, senza prospettive di miglioramento e
doveva aver avanzato una esplicita richiesta di eutanasia, ponderata e
durevole.
249
G. RAZZANO., Dignità nel morire, eutanasia e cure palliative nella prospettiva
costituzionale, cit., pag. 194.
121
Necessariamente chi dava seguito alla volontà di morire doveva essere un
medico
250
e doveva consultare un altro medico indipendente prima di
procedere, arrivando, poi, all’interruzione della vita compiuta con
accuratezza.
251
Nel 1990 Remmelink, Procuratore Generale della Corte di Cassazione,
presiedette una Commissione che analizzò i risultati della Commissione
Jeukens del 1982
252
e la giurisprudenza riguardante l’aiuto medico alla
morte, raccogliendo testimonianze e opinioni di medici, personale
sanitario, pazienti, associazioni, confessioni religiose ed esperti di morale.
Il rapporto fornì al Parlamento tutti gli apporti ottenuti in merito a fatti di
eutanasia attiva, suicidio assistito ed eutanasia involontaria, dimostrando
che la pratica eutanasica incideva dell’1,9% (2300 casi) sul totale dei
decessi, il suicidio medicalmente assistito dello 0,2% (400 casi) e
l’interruzione della vita senza una esplicita richiesta del paziente dello 0,7%
(1000 casi).
253
Inoltre, la Commissione raccomandò l’entrata in vigore di una legge che
tenesse conto della volontà del paziente che richiedeva un aiuto a morire al
medico, nel rispetto del principio di autodeterminazione che ricade
esclusivamente nell’ambito personale, non potendo lo Stato imporre di
250
La questione viene sentita molto a livello sociale che addirittura viene fatta una
distinzione tra “de dood”, cioè la morte vera e propria, e “het levenseinde”, la fine della
vita conseguente ad una qualità della vita non più degna di essere vissuta (G. CIMBALO,
Eutanasia, cure palliative e diritto ad una vita dignitosa nella recente legislazione di
Danimarca, Olanda e Belgio, in S. CANESTRARI, G. CIMBALO, G. PAPPALARDO (a cura di),
Eutanasia e Diritto: confronto tra discipline, cit., pag. 143).
251
C. TRIPODINA, Il diritto nell'età della tecnica. Il caso dell'eutanasia, cit., pag. 312.
252
Nel 1982 venne istituita una Commissione chiamata Jeukens che aveva il compito di
studiare il problema dell’eutanasia.
253
E. DE SEPTIS, Eutanasia. Tra bioetica e diritto, EMP, Padova, 2007, pag. 131.
122
vivere per forza, a maggior ragione in situazioni di sofferenza e malattia
incurabile.
Sulla base di questo rapporto venne elaborata dal Governo olandese la
prima proposta di legge l’8 novembre del 1991 con l’obiettivo di eliminare
il reato di eutanasia e garantire la non imputabilità del medico che la
praticava alla presenza di determinate condizioni.
254
In quello stesso anno un’altra vicenda giudiziaria influenzò il dibattito in
corso, perché molto diversa da quelle viste in precedenza.
La protagonista fu Hilly Boscher, una signora di cinquant’anni che godeva di
ottima salute fisica, ma era affetta da anni da una forte depressione: un
marito violento, due figli morti, uno per suicidio e l’altro per cancro, tutte
vicende che l’avevano portata a rivolgersi alla Dutch Federation for
Voluntary Eutanasia che la misero in contatto con il dottor Chabot.
Le fu diagnosticata una non trattabile sofferenza mentale, così il medico,
nel settembre del 1991, rimase a fianco della donna, mentre ingoiava le
pillole letali che da lui le erano state prescritte.
Chabot fu processato ex art. 294 c.p. dal momento che la donna non era
una malata terminale e non soffriva nemmeno di disturbi psichici, ma la
Corte Suprema olandese lo condannò senza imporgli alcuna pena,
affermando che lo stato di necessità dell’art. 40 c.p. poteva ritenersi
254
Nel 1992 si erano raggiunte le 9000 richieste di eutanasia e solo 2000 erano state
accolte, violando gli artt. 293 e 294 c.p. Questi dati indicavano che da una parte i medici
prestavano cautela nel dar seguito alle volontà dei pazienti e dall’altra che erano sempre
maggiori le violazioni della normativa in materia di aiuto al suicidio.
Era necessario intervenire il prima possibile per regolamentare il fenomeno (G.
CIMBALO, La società olandese tra tutela dei diritti del malato, diritto all’eutanasia e crisi
della solidarietà, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 1, 1994, pag. 36).
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applicabile anche nei confronti di pazienti con sofferenze psicologiche,
andando ad ampliare il novero dei motivi per la richiesta di eutanasia.
255
Alla fine, con alcune modifiche, il disegno di legge n. 22572 del 1991 entrò
in vigore il 1 giugno 1994 con il nome “Wet op de lijkbezorging”, che
modificò gli artt. 7 e 10 della legge mortuaria e depenalizzò il reato di
eutanasia che, comunque, continuava a costituire un illecito penale, poiché
la legge non aveva inciso sul codice penale olandese, ma poneva le basi per
una procedura amministrativa di azione e autodenuncia da parte dei medici
che potevano non essere incriminati se dimostravano di averla rispettata.
Per prima cosa, il paziente terminale non aveva altre soluzioni per guarire,
la scelta era libera e consapevole e la sua decisione di porre fine alle sue
sofferenze doveva essere esternata più volte.
Il medico, per garantire l’effettivo rispetto delle procedure, rispondeva a
precise domande contenute in un questionario che inviava
successivamente all’ispettore mortuario del Comune. Questi lo trasmetteva
al P.M. competente ed entro 24 ore si pronunciava un giudice del Tribunale
distrettuale competente per territorio che dichiarava l’attendibilità o meno
delle dichiarazioni e dei metodi che si volevano adottare.
Se questo controllo ex ante fosse risultato positivo si poteva proseguire con
l’interruzione della vita.
256
255
M. ARAMINI, L’eutanasia. Commento giuridico-etico della nuova legge olandese, cit.,
pag. 26.
256
G. CIMBALO, La società olandese tra tutela dei diritti del malato, diritto all’eutanasia
e crisi della solidarietà, cit., pag. 44.
124
Infine, prima di procedere definitivamente, si doveva consultare un altro
medico per verificare la sussistenza dei presupposti appena descritti e si
doveva informare la famiglia e il personale sanitario.
257
Se prima della legge la maggior parte delle procedure di eutanasia venivano
praticate all’interno delle case dai medici di famiglia, da quel momento
emerge questo fenomeno che in parte venne limitato, perché alcuni casi
venivano rifiutati a causa della mancanza dei requisiti necessari.
Successivamente all’entrata in vigore della legge, fu portata avanti
un’ulteriore inchiesta, il rapporto van der Maas
258
, che cercò di rilevare la
reale consistenza del pericolo di slippery slope analizzando la tendenza
eutanasica nel quinquennio 1990-1995. I risultati vennero pubblicati sul
New England Journal of Medicine nel 1996: si era passati da 3700 casi a 4500
e la maggior parte riguardavano pazienti non in grado di esprimere la
propria volontà. Si stava affermando una “cultura della morte” e per molti
la liberalizzazione dell’eutanasia rappresentava l’affermarsi di un’etica
pubblica diretta alla ottimizzazione del benessere, a svantaggio del singolo
individuo.
259
257
Si tratta di una rielaborazione dei requisiti stabiliti in precedenza dalla giurisprudenza.
258
M. B. MAGRO, Eutanasia e diritto penale, cit., pag. 232 ss.
259
In verità, nel rapporto Remmelink del 1992 si ravvisava una diminuzione dei casi di
eutanasia involontaria, andando contro la previsione di un pendio scivoloso.
Gli autori giustificano questo aumento nell’invecchiamento della popolazione negli anni
successivi, ma i dati parlano chiaro: nel 1995 si erano ridotti i casi di eutanasia senza
richiesta.
Si può concludere che in sostanza non c’era stato quello slittamento verso un uso
smodato della pratica eutanasica e che i dati del rapporto van der Maas dovevano essere
letti in modo più approfondito e in relazione ai comportamenti dei medici e del numero
totale di richieste (C. DEFANTI, L’eutanasia in Olanda. A proposito del “nuovo rapporto
van der Maas”, in Bioetica, 1997, pag. 11).
125
Ci si chiese se effettivamente i criteri previsti dalla legge fossero sufficienti
per evitare abusi, soprattutto per quanto riguarda le forme di eutanasia
involontaria, ma, purtroppo, una parte dell’inchiesta, analizzando i registri
dei rapporti ufficiali, portò alla luce un fatto già noto, vale a dire che nel
1995 solo il 41% dei medici aveva depositato il rapporto e quei medici che,
invece, praticavano l’eutanasia senza la richiesta del paziente rimanevano
nell’ombra facendola passare per casi di morti naturali.
D’altro canto, anche quando questo rapporto veniva presentato, raramente
si finiva davanti ad un giudice, che al massimo comminava una sanzione o
una pena leggera.
Molti medici, però, non presentavano i rapporti anche per paura della
magistratura e delle possibili ripercussioni nella carriera, così nel 1998
venne integrata la legge con un Regolamento che aveva l’obiettivo di
strutturare in modo più garantistico il processo di richiesta di eutanasia e
ne favoriva le denunce.
A seguito di questo perfezionamento, fu previsto in capo al medico legale
l’obbligo di informare una Commissione regionale e il procuratore della
regina sui risultati ottenuti dopo aver esaminato il cadavere e aver
verificato come era avvenuta l’eutanasia; inoltre, doveva comunicare la
ricezione della comunicazione del decesso da parte del medico che vi aveva
proceduto, in cui dichiarava l’interruzione della vita a seguito della richiesta
del paziente, e di un rapporto conforme al modello previsto dal
Regolamento medesimo, grazie al quale si verificava se il medico avesse
rispettato tutti i criteri previsti dalla legge.
Un secondo Regolamento fu introdotto nello stesso anno per dar vita a 5
Commissioni regionali con funzioni di controllo, composte da un medico, un
126
giurista e uno specialista di questioni etiche e per garantire all’art. 9 nuove
modalità di verifica: il malato doveva procedere alla scelta in modo libero e
cosciente, le sue condizioni non godevano di prospettive di miglioramento
e le sofferenze erano insopportabili; venne previsto nuovamente il consulto
di un altro medico e la riprova del rispetto della procedura medica.
Queste condizioni erano verificate dalla Commissione in un momento
successivo, attraverso la redazione di un rapporto inviato all’ispettore
regionale della sanità, che a sua volta poteva iniziare una procedura di
controllo di fronte all’ordine dei medici.
Le integrazioni e le sostituzioni introdotte dai regolamenti e gli interventi
della giurisprudenza resero improcrastinabile una nuova legge unitaria e
completa per questa disciplina.
260
Tenuto conto dei risultati del Rapporto Remmelink e van der Maas, la prima
proposta venne presentata alla Camera dei Deputati il 16 aprile 1998 e
prevedeva l’esclusione di qualsiasi azione penale nei confronti dei medici
che avessero eseguito l’eutanasia o l’aiuto al suicidio secondo i dettami
stabiliti.
Questa prima proposta venne ritirata e fu il Governo a presentarne una
propria, a seguito della ricezione di un parere del Consiglio di Stato.
261
260
G. CIMBALO, Eutanasia, cure palliative e diritto ad una vita dignitosa nella recente
legislazione di Danimarca, Olanda e Belgio, in S. CANESTRARI, G. CIMBALO, G.
PAPPALARDO (a cura di), Eutanasia e Diritto: confronto tra discipline, cit., pag. 147.
261
In questo parere il Consiglio sottolineava la necessità di lasciare che il Pubblico
Ministero esercitasse l’azione penale senza alcun limite, ma il Governo controbatté
sostenendo che se la Commissione di controllo avesse rilasciato un giudizio positivo in
merito all’azione del medico, a quel punto non sussisteva il bisogno di intraprendere
alcuna azione penale.
Successivamente, il Consiglio di Stato auspicò un intervento a favore della celerità delle
procedure delle Commissioni e una regolamentazione più attenta nei confronti dei
minori (G. CIMBALO, Eutanasia, cure palliative e diritto ad una vita dignitosa nella
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L’Olanda fu il primo paese al mondo a legalizzare l’eutanasia e il suicidio
assistito con la legge del 10 aprile 2001, n. 137, entrata in vigore il 1 aprile
2002 con la denominazione “Wet toetsing van levensbeëindiging op verzoek
en hulp bij zelfdoding” (Legge sul controllo dell’interruzione della vita su
richiesta e dell’assistenza al suicidio) che modifica il codice penale agli artt.
293 e 294 c.p., abbassa i limiti di età per poter effettuare la richiesta e
istituisce 5 Commissioni regionali al fine di accentrare, velocizzare e rendere
omogenea l’applicazione della legge.
Non si tratta di una rinuncia a dei trattamenti sanitari
262
o di una cessazione
dell’accanimento terapeutico e nemmeno di una accelerazione della morte
a causa della somministrazione di antidolorifici, considerate rientranti
nell’ordinaria pratica medica, ma di una interruzione della vita su richiesta
del paziente.
263
Era la prima volta che non ci si limitava a modificare il regolamento di polizia
mortuaria, ma si interveniva emendando gli articoli del codice penale
264
e
recente legislazione di Danimarca, Olanda e Belgio, in S. CANESTRARI, G. CIMBALO, G.
PAPPALARDO (a cura di), Eutanasia e Diritto: confronto tra discipline, cit., pag. 149 ss.).
262
Per quanto riguarda l’eutanasia passiva, in Olanda l’art. 2 della Costituzione prevede
il principio per cui “il trattamento medico può essere avviato solo con il consenso del
paziente”, di conseguenza, il paziente può in ogni momento chiederne l’interruzione e il
medico è esonerato dall’obbligo di curare (A. RONZIO, Olanda: la scelta della
legalizzazione, in S. SEMPLICI (a cura di), Il diritto di morire bene, cit., pag. 110).
263
In Olanda il concetto di eutanasia coincide con quello di eutanasia su richiesta,
mentre per quella involontaria è stato creato un apposito neologismo: LAWER (Life-
terminating acts without explicit request of patient) (E. DE SEPTIS, Eutanasia. Tra
bioetica e diritto, cit., pag. 143).
264
Art. 20 legge olandese 137/2001: “Il codice penale sarà emendato come segue:
A) L'art. 293 sarà letto: 1) Una persona che pratica l'eutanasia su un'altra persona su
richiesta espressa e pressante di questa, è condannabile ad un periodo di detenzione di
non più di dodici anni, o ad una multa della quinta categoria; 2) Il reato come previsto
nel primo paragrafo non sarà punibile se è stato commesso da un medico che ha
soddisfatto le prescrizioni della cura dovuta, come previsto dall'art. 2 della legge
sull'eutanasia su richiesta e sul suicidio assistito (Procedure modificate) e che di questo
128
introducendo una specifica causa di non punibilità
265
per il medico che o
metta fine alla vita o aiuti al suicidio il paziente nel rispetto della normativa,
quest’ultima molto rigida nella definizione dei soggetti coinvolti, delle
procedure da seguire, soprattutto per quanto riguarda la manifestazione
della volontà dei minori, del ruolo delle Commissioni regionali e
preannuncia una futura regolamentazione per i soggetti incapaci di
intendere e di volere, ancora ferma al questionario del 1993.
Quindi, la non punibilità del medico non è più lasciata alla valutazione
discrezionale del P.M., ma viene sancita direttamente dalla legge.
266
Invero, si può affermare che le motivazioni alla base della liceità
dell’eutanasia e del suicidio assistito non sono dissimili dalla normativa
precedente, ma vengono ampliati e formulati in modo più preciso i requisiti
richiesti al medico per ottenere l’impunità.
267
Analizziamo ora le modalità e le procedure previste da questa legge per
poter procedere con l’eutanasia o il suicidio assistito.
informa il perito autoptico municipale, come previsto dall'art. 7, secondo paragrafo,
della legge sulla sepoltura e cremazione.
B) L'art. 294 sarà letto: 1) Una persona che intenzionalmente incita un'altra a
commettere suicidio, è condannabile ad un periodo di detenzione di non più di tre anni,
o ad una multa della quarta categoria, dove il suicidio risulta. 2) Una persona che
intenzionalmente assista nel suicidio un'altra persona, o procura per quest'altra persona
la tentazione di commettere suicidio, è condannabile ad un periodo di detenzione di non
più di tre anni, o ad una multa della quarta categoria, dove il suicidio risulta. L'articolo
293, secondo paragrafo si applica mutatis mutandis.”
265
Mentre in Olanda si opera sul codice penale, in Belgio è stata introdotta un’apposita
legge sull’eutanasia.
266
A. GIACALONE, Profili giuridici dell’eutanasia, cit., pag. 63.
267
D. VISENTIN, La legge olandese sull’eutanasia: un esempio da seguire?, in Diritto di
famiglia e delle persone, fasc. 2-3, 2002, pag. 663 ss.