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1.1 Il porto di Genova dal Medioevo ai giorni nostri
“Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba
per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica Signora del Mare:
Genova”. Così scriveva Francesco Petrarca, nel 1358, a seguito di un
viaggio avvenuto nello stesso anno nel capoluogo ligure, denominandolo
per la prima volta con il soprannome Superba che la caratterizza ancor
oggi.
La storia della Signora del Mare è strettamente legata alla storia del
suo porto: già attivo durante i traffici di età classica (V secolo a.C.),
raggiunse il suo pieno sviluppo dopo l’anno Mille, diventando
inevitabilmente una vera capitale europea. Così come Venezia, Istanbul, o
come Liverpool (dal XVI secolo), Genova era considerata una città-mondo
a tutti gli effetti. Al suo interno vi era una consistente circolazione di merci
provenienti da tutto il continente europeo e dai territori medio-orientali,
grazie alla prosperosa attività della nuova classe dominante in Italia, i
mercanti; dopo la scoperte delle Americhe, Genova divenne uno dei porti
internazionali più importanti per i commerci transatlantici. Inoltre, Genova
proliferava di una vasta e diversificata popolazione di etnie diverse, stabili
o di passaggio, e molto spesso venivano create delle “frontiere” interne, che
però, a differenza della concezione odierna, non erano intese come un
confine da abbattere, ma un limite necessario per definire la giusta distanza
per una buona convivenza.
Nel 1815, con il Congresso di Vienna, Genova venne annessa al
Regno di Sardegna: per il suo porto rinizierà un periodo di grandi
trasformazioni, che lo porteranno ad essere per tutto il periodo successivo
uno degli scali europei più importanti (porto di sbarco di cotone, materie
3
siderurgiche, ferro, ghisa e carbone).
1
Tuttavia, prima dell’Unità d’Italia,
esso non era sufficientemente attrezzato per far fronte a quell’aumento di
traffici: i fondali, poco profondi, impedivano l’attracco delle navi e delle
chiatte (tramiti necessari per lo scarico di merci tra i bastimenti e la
banchina); l’area compresa tra la Lanterna e la Darsena era completamente
priva di strutture d’approdo e vulnerabile alle frequenti mareggiate; ma il
problema più rilevante era la mancanza di strutture e magazzini sufficienti
al deposito delle merci, che costrinse all’utilizzo di “depositi fittizi”,
lontani dal porto, antigienici e di difficile accesso, che non risolsero la
situazione, bensì la peggiorarono.
2
Era necessario quindi attrezzare sia le
strutture portuali, sia il sistema di comunicazione fra il porto e i centri di
consumo.
Veduta del porto di Genova a metà Ottocento. Fotografia presa da P.
Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina, Storia dell’emigrazione italiana,
I, Partenze, Donzelli Editore, 2001
1
M. E. Tonizzi, Merci, strutture e lavoro nel porto di Genova tra ‘800 e ‘900, Milano, 2000,
p.78.
2
M. E. Tonizzi, op. cit., p.79
4
La situazione comincia a cambiare quando, nel 1875, viene donata al
Comune di Genova una cifra di venti milioni di lire
3
per l’adeguamento del
porto e delle strutture necessarie per il funzionamento e lo sviluppo dei
traffici. Grazie a questa donazione (e alle sovvenzioni del Ministero dei
Lavori Pubblici) nel 1888 venne inaugurato il nuovo porto, ma i lavori di
ammodernamento erano ancora lunghi e i problemi sempre gli stessi, cui si
era aggiunta da qualche tempo anche la questione migranti, sempre più
ingombrante e disperata.
Un’ulteriore svolta avvenne con l’inizio del nuovo secolo, nel 1903,
quando venne istituito il Consorzio Autonomo del Porto (CAP), presieduto
da Stefano Canzio. Il CAP era tenuto a: eseguire le operazioni di nuove
opere portuali e occuparsi della manutenzione di quelle già esistenti;
coordinare le attività marittime e commerciali; provvedere alle spese per
impianti ferroviari sia interni sia collegati alle principali linee d’accesso
allo scalo; assegnare personale competente ai lavori e ai servizi del porto.
Nonostante tutti gli sforzi per risanare il malfunzionamento del porto,
la classe dirigente genovese risultava del tutto incapace di gestire e
adeguare le strutture portuali, e questo dipendeva dal fatto che la loro unica
preoccupazione fu quella di gestire in maniera più proficua possibile e con
il minimo sforzo il “grande affare” dell’emigrazione transoceanica di
massa.
4
Dal 1992, anno in cui si festeggiò il quinto centenario della scoperta
dell’America, è proprio uno degli architetti più validi e noti a livello
internazionale, il genovese Renzo Piano, a concepire il progetto di
rinnovamento della vecchia area portuale , l’attuale “porto antico”: l’idea è
3
La donazione fu offerta da Raffaele De Ferrari, duca di Galliera e principe di Lucedio.
4
A. Molinari, Il porto di Genova negli anni della Grande Migrazione, in Medicina e Sanità a
Genova nel primo ‘900, Milano, 1996, p. 102.
5
quella di costruirvi nuovi edifici e di restaurarne di storici, alcuni da attuare
tutt’oggi, rendendo Genova una città completa di una vasta gamma di
servizi, nella quale la componente turistica risulta estremamente necessaria
ed efficace.
Il waterfront di Genova progettato da Renzo Piano. Galata Museo del
Mare. Fotografia presa da http://www.giornirubati.it/genova-storie-di-
mare-marinai-e-migranti-di-ieri-e-di-oggi-al-galata-museo-del-mare/
7
2.1 I flussi migratori e le motivazioni
Ondate migratorie si verificano in Italia già nel Medioevo, quando
mercanti, ma anche artisti, artigiani, marinai e soldati intrapresero – spesso
a piedi – brevi o lunghi itinerari, che li portavano talvolta a pochi
chilometri di distanza, altre all’altro capo del continente europeo.
5
Il periodo che prenderemo in considerazione, però, sarà un momento
di grande pressione economica per l’intera penisola, a causa soprattutto
della grande concorrenza a favore delle grandi industrie e a discapito delle
piccole aziende di campagna, soprattutto quelle gestite a livello familiare.
La popolazione comincia ad emigrare perché si fa fatica a competere con la
quantità e la qualità dei beni provenienti dalle Americhe, comprese materie
prima di prima necessità, dai cereali al legname.
• Dopo il 1861: nonostante la nascita del Regno d’Italia,
la penisola poteva dirsi tutt’altro che unita. Le incredibili diversità
delle regioni italiane e della sua popolazione causarono non pochi
problemi ai primi governi
6
e la distanza tra Nord e Sud era ancora
enorme, sia sul piano economico che su quello culturale; il
censimento del 1861 aveva l’intento sia di rivelare la popolazione di
5
P. Campodonico, Migrazioni italiane. La memoria e il ruolo dei musei, in Memorie e
Migrazioni, I , Mu.MA – Istituzione Musei del Mare e delle Migrazioni, Tipografia Europa,
Genova, 2014, p. 11
6
Fino al 1875, guidati dalla maggioranza parlamentare conservatrice, formata principalmente
dall’alta borghesia e dai proprietari terrieri. La destra provvide immediatamente al risanamento
finanziario del paese mediante nuove tasse che produssero scontento popolare e favorirono il
fenomeno del brigantaggio. I cambiamenti si intuirono già a partire dal 1870, quando l’accordo
con la Francia (firmato da Minghetti) per lasciare Roma al Vaticano venne meno e ci fu
l’occupazione della città con il celebre ingresso dei bersaglieri dalla breccia di Porta Pia.
Minghetti lascia il posto a Depretis nel 1876, che dà inizio all’epoca della Sinistra storica,
fautrice di riforme importanti (diritto allo sciopero, abolizione della pena di morte, abolizione
sulla tassa del macinato, leva scolastica obbligatoria per due anni), ma che sostanzialmente non
servì a risollevare completamente il paese.
8
fatto presente nel territorio italiano
7
, sia quello di accertare la
presenza di colonie italiane già esistenti in Europa, nel bacino del
Mediterraneo e nelle Americhe.
In questo periodo il porto di Genova è il punto di partenza di
un processo che riguarda una parte consistente della popolazione non
solo italiana, ma anche europea. I liguri sono presenti nelle
Americhe molto presto, perché da sempre sono stati marinai, maestri
d’ascia, calafati, e hanno una dimestichezza con il mondo marittimo,
non indifferente rispetto al resto della cittadinanza europea. Si sa
infatti che <<l’emigrazione dal Genovesato […] è la più antica e
protratta nel tempo di tutta Italia>>
8
. L’emigrazione in questo
periodo, in tutta la Liguria, riguarda ancora soprattutto la
componente contadina, stremata dalla forte imposizione fiscale (ma
anche dalle frequenti calamità naturali), con la conseguente crisi
dell’agricoltura che interessò l’intera regione. Ma a questa
condizione di povertà presente nelle campagne liguri, si
aggiungevano altre motivazioni che favorivano l’emigrazione: fra
queste, la diffidenza nei confronti dello Stato da parte dei giovani
che rifiutavano la leva militare.
9
• Gli ultimi decenni del XIX secolo: secondo i dati
disponibili
10
, negli ultimi vent’anni del secolo,la popolazione della
Provincia di Genova, insieme alla Provincia di Savona e di La
7
G. Ferro, L’emigrazione nelle Americhe dalla provincia di Genova, I, Pàtron Editore, Genova,
1991, p.120. L’autore avverte che numerosi storici moderni e contemporanei mossero alcune
critiche verso le modalità di censimento, svolta mediante l’omissione o l’aggiunta di alcune
categorie di persone (per esempio domestici e altri lavoratori dipendenti).
8
G. Ferro, L’emigrazione nelle Americhe dalla provincia di Genova, II, Pàtron Editore,
Genova, 1991, p. 42
9
G. Ferro, op. cit.
10
È necessario considerare la documentazione parziale e approssimativa, poiché, nonostante dal
1876 siano stati raccolti abbastanza regolarmente i dati dell’emigrazione italiana, questi
appaiono lacunosi e incompleti.
9
Spezia, fu quella che, in Italia, interessò maggiormente l’emigrazione
transoceanica, forse anche per la “comodità” della vicinanza ad un
porto come quello di Genova (e in maniera minore quello di Savona,
dal quale si sa partirono alcune navi clandestine). Il Sudamerica, nel
quale gli emigrati italiani si occuparono quasi esclusivamente di
monocoltura, comincia a perdere il suo primato come “destinazione
favorita”, soprattutto a causa di crisi agrarie e politiche; a partire
dalla fine dagli anni Ottanta alcune famiglie di migranti preferirono
partire per gli USA, attratti soprattutto dalle grandi costruzioni
ferroviarie e infrastrutturali, ma continuarono ad esistere colonie di
emigrati italiani in Europa (Francia e Germania). Questa intensa
ondata migratoria coincide con quella che viene definita la “Grande
Migrazione”, in cui Genova rimase il principale porto d’imbarco fino
all’inizio del secolo successivo, quando il porto di Napoli e quello di
Palermo cominciarono il loro sviluppo e vennero comprensibilmente
preferite dai migranti meridionali.
• XX secolo: il nuovo secolo coincide con la fase
dell’industrializzazione italiana, che modifica le condizioni
economiche e accentua ancora di più il divario tra alcune categorie di
lavoratori. Il porto di Genova continuava a trarre grandi vantaggi
dall’ampliamento avvenuto alla fine degli anni Ottanta del XIX
secolo e i suoi raccordi ferroviari con il Piemonte e con la Padania la
rendevano il principale scalo di quel triangolo commerciale (Milano-
Torino-Genova) che diventerà l’area italiana più industrializzata.
Inoltre, nel 1901 venne istituito il Comitato Nazionale
dell’Emigrazione, le cui norme stabilivano: le proprie competenze
riguardo i rilevamenti statistici; la tutela nei confronti dei migranti,