INTRODUZIONE
Il presente elaborato ha come oggetto il percorso lavorativo della Gialappa’s
Band, trio comico di conduttori radiofonici e televisivi formato da Giorgio Gherarducci,
Marco Santin e Carlo Taranto.
La sacralità che ha circondato il tema del calcio fino alla metà degli anni Ottanta
ha condizionato inevitabilmente il mondo della comunicazione calcistica, traducendosi in
programmi televisivi come La Domenica Sportiva o 90° Minuto. La Gialappa’s Band
riesce a sovvertire il genere, inventando un nuovo modo di parlare di calcio attraverso la
comicità e l’ironia. L’obiettivo di questo elaborato è pertanto dimostrare come
Gherarducci, Santin e Taranto, attraverso le loro trasmissioni radiofoniche e televisive
come Bar Sport e Mai dire gol, siano riusciti a rivoluzionare la comunicazione sportiva
italiana. Inoltre, si è voluto mostrare come i tre conduttori siano riusciti ad applicare il
loro stile di conduzione anche ad altri generi televisivi, mutando le loro trasmissioni nel
corso degli anni fino a farle diventare dei veri e propri varietà.
La scelta dell’argomento è legata principalmente alla mia professione di
conduttore radiofonico sportivo, per la quale mi sono sempre ispirato al lavoro della
Gialappa’s Band, ma anche alla volontà di comprendere come sia nata la comicità
sportiva in Italia e come essa si sia relazionata negli anni con il mondo del calcio, che
fino all’arrivo del trio comico è sempre stato un ambiente fortemente tradizionalista e
conservatore.
Nel primo capitolo dell’elaborato si analizzano gli esordi radiofonici della
Gialappa’s Band a Radio Popolare, approfondendo il ruolo che quest’ultima ha avuto nel
nascente panorama delle radio libere. Il capitolo continua con la presentazione della
trasmissione radiofonica Bar Sport, di cui Gherarducci, Santin e Taranto fanno parte.
All’interno del programma i tre conduttori, insieme a Sergio Ferrentino, commentano le
varie giornate del campionato italiano di calcio utilizzando il loro stile ironico e
canzonatorio. In seguito, si analizzano le loro radiocronache ai campionati mondiali ed
europei di calcio e il caso specifico del commento alla partita del campionato italiano
Lazio-Foggia, che mobilita le istituzioni calcistiche e finisce sui principali giornali
italiani.
Il secondo capitolo è dedicato all’esperienza televisiva della Gialappa’s Band, per
poi approfondire gli elementi più significativi delle varie edizioni della loro trasmissione
più popolare: Mai dire gol. Ci si concentra poi sulla trasformazione del programma in un
varietà per poi concludere il capitolo con un’analisi della novità introdotta con il doppio
appuntamento settimanale e con Mai dire Grande Fratello, una delle varianti meglio
riuscite della trasmissione, dalla quale si riesce a eliminare completamente il tema
calcistico.
Nel terzo e ultimo capitolo vengono elencate alcune caratteristiche di Mai dire gol
che lo fanno diventare un programma di culto, considerando anche il suo ruolo particolare
all’interno del palinsesto di Fininvest. Il programma viene infatti trasmesso su Italia 1,
una rete giovanile e innovativa, contraddistinta da una spiccata vena sperimentale e
capace di dar vita a programmi televisivi di grande successo. Mai dire gol va inoltre in
onda negli anni Novanta, un decennio caratterizzato dalle crescenti simpatie popolari per
il fenomeno dell'emittenza privata e segnato dall’ascesa politica di Silvio Berlusconi,
proprietario delle reti televisive in cui la Gialappa’s Band va in onda. Gherarducci, Santin
e Taranto dimostrano però una certa autonomia nei confronti dell’emittente che li ospita,
schierandosi a volte apertamente contro Berlusconi, come in occasione dei referendum
abrogativi di materia televisiva del 1995. La trasmissione arriva quindi ad essere definita
come un’oasi ideologica indipendente all’interno delle televisioni berlusconiane.
L’ultima parte dell’elaborato è dedicata al particolare ruolo delle tre voci di
Gherarducci, Santin e Taranto in Mai dire gol e alla loro capacità di rinnovare la
trasmissione in continuazione, permettendole di durare per più di dieci anni.
6
I. L’ESORDIO A RADIO POPOLARE
1.1 Antefatto storico: la nascita di Radio Popolare nell’Italia degli anni Settanta.
Il 24 dicembre 1975 viene registrata presso il Tribunale di Milano la testata Radio
Popolare. Nel mese di giugno del 1976, iniziano le prime trasmissioni dell’emittente, in
seguito all’acquisizione della frequenza e delle apparecchiature da Radio Milano
Centrale
1
, oltre che all’assorbimento di alcuni redattori. A partire dalla sentenza della
corte costituzionale del 28 luglio 1976
2
, che sancisce la legittimità delle trasmissioni
radiofoniche private purché a diffusione locale, inizia ufficialmente l’era delle radio libere
e finisce il monopolio della radio di stato. In ogni parte d’Italia fioriscono centinaia di
nuove emittenti, che danno voce ad una parte del paese tradizionalmente ignorata dalla
Rai. Radio Popolare è una di queste e inizierà a trasmettere con continuità nella sua prima
sede di Corso Buenos Aires a partire dai mesi di settembre e ottobre dello stesso anno
3
.
La direzione della radio è assunta da Piero Scaramucci, ex giornalista Rai e
militante di Lotta Continua, ideatore del progetto di Radio Popolare. Grazie alla sua
prima
4
dichiarazione d’intenti del 1975 intitolata «Per una radio popolare» si riescono a
capire meglio le intenzioni dietro alla creazione di questo progetto editoriale,
specialmente in alcuni passaggi:
« […] Ideare la programmazione, dal notiziario alla musica, cercando di assumere come unico
punto di riferimento i reali concreti bisogni della classe; rompere lo schema della unidirezionalità,
cercando di far gestire ampi spazi di trasmissione dal proletariato.[…] È certo che se si riuscisse
ad avviare una radio nella quale larghe masse proletarie si riconoscono si otterrebbe uno
1
M. L. Fegiz, D. Ferrari, G. Coccia, Da Radio Milano Centrale a Radio Popolare, in L. Gattuso, T. Bonini,
S. Ferrentino (a cura di), Vedi alla voce Radio Popolare, Milano, Garzanti, 2006, p. 373-376.
2
s.n., Quattro richieste delle Regioni nell’incontro di oggi con Andreotti, in «l’Unità», 28 luglio 1976.
3
D. De Biasio (a cura di), Ma libera veramente: trent'anni di Radio Popolare: voci, parole e immagini,
Milano, Kowalski, 2006, p.13.
4
Nel maggio del 1990 venne scritta una seconda dichiarazione di intenti, che si può consultare a questo
indirizzo: https://www.radiopopolare.it/wp-content/uploads/2015/06/Dichiarazione-1990.jpg
7
strumento di comunicazione interno alla classe, capace di valorizzare il patrimonio politico e
culturale che le lotte di questi anni stanno esprimendo e che spesso rimane confinato anche per
impossibilità di comunicare. […] Va riconosciuta la potenzialità di uno strumento il cui scopo
non è quello di far da altoparlante a lotte esemplari, ma quello di fungere da luogo in cui settori
di proletariato esercitano la propria capacità di informare, riflettere, elaborare, discutere,
comunicare pubblicamente, contrapponendosi di fatto, quotidianamente, al punto di vista della
classe di potere»
5
.
Scaramucci vuole che la radio risponda al bisogno che c’è nella gente di «sapere
direttamente le cose, di non essere colpiti da un’informazione pilotata»
6
. C’è la volontà
di far parlare chi non ha gli strumenti per farlo e offrire forme e canali diversi di
informazione a coloro che non hanno mezzi propri per veicolare notizie e idee
7
.
All’interno del panorama informativo del monopolio Rai, nasce la domanda
urgente di voci alternative, libere e indipendenti. La parte più attiva dell’utenza,
soprattutto le nuove generazioni, rifiutano l’offerta radiotelevisiva classica, considerata
ripetitiva e unidirezionale. La crisi d’identità dei vecchi monopoli pubblici è sancita dalla
constatazione che non esiste di fatto una possibilità di scelta nell’ambito della
programmazione radiotelevisiva
8
. Le radio democratiche e di movimento nascono proprio
con l’intento di contrastare questo monopolio, offrendo un’informazione alternativa
rispetto a quella proposta dalla Rai, sperimentando delle nuove modalità comunicative
9
.
Radio Popolare fa così irruzione nel mercato della comunicazione radiofonica con un
linguaggio più diretto, immediato e identificabile con l’ordinaria comunicazione
quotidiana della gente. La radio testimonia in diretta la società, il costume, la politica di
5
P. Scaramucci, La dichiarazione di intenti del 1975, in L. Gattuso, T. Bonini, S. Ferrentino (a cura di),
Vedi alla voce Radio Popolare, Milano, Garzanti, 2006, p. 142-146.
6
Queste sono le parole di Piero Scaramucci all’interno del documentario dedicato a Radio Popolare che si
può consultare a questo indirizzo: https://memomi.it/it/00004/134/radio-popolare-libera-e-
indipendente.html
7
D. De Biasio (a cura di), Ma libera veramente: trent'anni di Radio Popolare, cit., p.164.
8
R. A. Doro, In onda: l'Italia dalle radio libere ai network nazionali (1970-1990), Roma, Viella, 2017,
p.83.
9
Ibidem, p.82.
8
questi anni, raccontando le lotte operaie e sindacali e le manifestazioni degli studenti,
inaugurando un filo diretto con il pubblico
10
.
È importante anche considerare il contesto storico e sociale all’interno del quale
nasce Radio Popolare. Gli anni Settanta sono anni di grande tensione e partecipazione
politica: è forte il movimento operaio così come è forte la sinistra che tenta il sorpasso
sulla Democrazia Cristiana. La mancanza di fiducia verso le istituzioni democratiche ha
come conseguenza delle forti spinte estremistiche che alimentano brigatismo e violenza.
In Italia, le tensioni e le contestazioni politiche cominciano ad agganciarsi con un
movimento culturale che ha anche nell’esplosione dell’emittenza privata un tratto di
riferimento. Diversi gruppi organizzati che si erano formati nei momenti più caldi dello
scontro sociale, agli inizi degli anni Settanta, pongono la comunicazione al centro delle
proprie riflessioni e analisi, individuando i media come luogo di denuncia del potere, oltre
che di divulgazione delle loro posizioni politiche
11
.
I gruppi che manifestano maggiore interesse per la possibilità di utilizzare lo
strumento radiofonico come mezzo di informazione alternativa e che hanno bisogno di
avere dei canali autonomi di espressione sono quelli legati alla sinistra extraparlamentare,
spesso con il contributo di forze sindacali e associative, come nel caso di Radio
Popolare
12
. Il collettivo che ha impostato la prima Radio Popolare a Milano è infatti
composto da una Cooperativa all’interno della quale è presente quasi tutto l’arco della
sinistra extraparlamentare di quel periodo, da Lotta Continua ad Avanguardia Operaia,
dal Movimento Lavoratori per il socialismo al Partito di unità proletaria, oltre alla sinistra
del Partito Socialista, un vasto schieramento di forze sindacali e le organizzazioni di
categoria dei metalmeccanici, che partecipano anch’esse alla realizzazione del progetto
13
.
Nonostante l’interesse dei tanti gruppi politici della nuova sinistra, Radio Popolare
è sempre stata definita come una radio d’informazione e mai una radio di movimento.
Fin dall’inizio la radio si distingue per la sua autonomia, essendo sopravvissuta
indipendentemente dai movimenti che l’hanno aiutata. Anche le forze politiche e sociali
10
https://memomi.it/it/00004/134/radio-popolare-libera-e-indipendente.html
11
R. A. Doro, In onda, cit., p.85-86.
12
Ibidem, p.83.
13
R. A. Doro, In onda, cit., p.98.