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Capitolo II
REQUISITI DI BREVETTABILITA' E LIMITI INV ALICABILI
ALL'UTILIZZO DI CELLULE STAMINALI
1. I REQUISITI PER OTTENERE IL BREVETTO
BIOTECNOLOGICO
1.1. La novità
All’ art. 3, comma 1, la Direttiva 98/44 reputa come brevettabili quelle
invenzioni che siano “nuove, comportino attività inventiva e siano suscettibili di
applicazione industriale” così elencando in una sola affermazione tutti quei requisiti che
le invenzioni devono rispettare per poter essere coperte da brevetto
203
.
In generale, in base all’ art. 46 comma 1 c.p.i. e all’ art. 54 CBE, un’ invenzione
può considerarsi nuova “se non è compresa nello stato della tecnica”, che incorpora,
secondo quanto disposto al secondo comma, “tutto ciò che è stato reso accessibile al
pubblico nel territorio dello Stato o all’ estero, prima della data di deposito della
domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, un’ utilizzazione o
qualsiasi altro mezzo”. Fanno parte dello stato della tecnica tutte le conoscenze comuni,
le domande di brevetto ancora segrete e anche trovati di tempi remoti o caduti in disuso,
purchè di essi rimanga un qualche ricordo che ne consenta l’ attuazione
204
. Dopo il
deposito, la domanda rimane segreta per un periodo pari a 18 mesi, per cui chiunque
depositi una domanda identica ad un’ altra ancora segreta può essere sorpassato da
quest’ ultima, pur non conoscendola. Tale requisito richiede, quindi, che l’ invenzione
non sia stata resa disponibile ad altri prima della data di deposito della domanda, in
quanto ciò che risulta essere già noto e di “pubblico dominio” non può essere oggetto di
privativa
205
.
I due “parametri di misurazione” della novità sono costituiti dalle anteriorità, per
cui è necessario che un’ invenzione non sia già stata realizzata da altri e dalla mancata
predivulgazione, cioè dal fatto che l’ invenzione non sia già stata comunicata a terzi che
potrebbero divulgarla
206
.
Le anteriorità sono costituite da tutte quelle conoscenze, brevettate o meno,
diffuse, nel Paese in cui si chiede il brevetto o all’ estero, prima della data di deposito
della domanda brevettuale, comprese tutte le domande di brevetto già depositate ma non
comm., 2008, p. 359
203
G. CAFORIO, I trovati biotecnologici tra principi etico- giuridici e il Codice di proprietà industriale,
Giappichelli, Torino, 2006, p. 51
204
V . DI CATALDO, La brevettabilità delle biotecnologie. Novità, attività inventiva, industrialità, in Riv.
dir. ind., I, 1999, p. 178
205
A. STAZI, Innovazioni biotecnologiche e brevettabilità del vivente, Giappichelli, Torino, 2012, p. 21
206
A. PIZZOFERRATO, Brevetto per invenzione e biotecnologie, in F. GALGANO( a cura di), Trattato
di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’ economia, Cedam, Padova, 2002, p. 164
50
ancora pubblicate, quindi non ancora accessibili al pubblico, per evitare che per la
medesima invenzione siano rilasciati due brevetti diversi a due diversi inventori
207
. Per
individuare le anteriorità si prende, quindi, in considerazione il giorno del deposito
secondo il principio di “whole day”, il che significa che non appartengono allo stato
della tecnica quelle anteriorità rese accessibili al pubblico il giorno stesso del deposito
della domanda
208
.
Le predivulgazioni, invece, consistono in quelle comunicazioni a terzi,
riguardanti l’ invenzione, effettuate ad opera dell’ inventore o di chiunque altro prima
della data di deposito della domanda. Esse distruggono la novità se rendono accessibile
l’ invenzione ad un numero indeterminato di persone che siano in grado di comprendere
ed attuare l’ invenzione, provocando così una “perdita di controllo” sulla circolazione
del trovato
209
. In Europa il requisito della novità è interpretato in maniera “assoluta”
210
:
rischia di essere distrutto da qualsiasi divulgazione anteriore in qualunque Paese
avvenuta, imponendo così all’ inventore di agire nella maggior segretezza possibile.
Negli USA e in Giappone, invece, è previsto un “periodo di grazia” nel quale preventive
comunicazioni sono ammesse e non vanno ad incidere sulla novità del trovato. L’
inventore infatti, prima di depositare la domanda di brevetto, può aver bisogno dell’
intervento di terzi per sperimentare e perfezionare il suo trovato, terzi che vengono così
a conoscenza dell’ invenzione. Questo fatto non contrasta col requisito della novità se l’
artefatto viene comunicato loro sotto vincolo di segreto, che grava sicuramente su tutti i
collaboratori dipendenti ed autonomi e può essere stipulato coi clienti mediante apposito
accordo
211
. Se, però, il vincolo di segreto viene violato e l’ invenzione divulgata, essa
diviene accessibile al pubblico, perdendo così il requisito della novità; in tal caso
rimane comunque brevettabile ex art. 47, comma 1 c.p.i. se la domanda viene depositata
entro 6 mesi dalla predivulgazione e quest’ ultima costituisce “un’ abuso evidente ai
danni dell’ inventore”. La violazione del vincolo di segretezza integra sicuramente un’
ipotesi tipica di abuso nei confronti dell’ inventore
212
. Il 2 comma dell’ art. 47 c.p.i.
prevede una seconda eccezione al regime assoluto della novità, sancendo che non vada
ad incidere su tale requisito la divulgazione avvenuta “in esposizioni ufficiali o
ufficialmente riconosciute”. Non sono distruttive della novità quelle divulgazioni
parziali o incomplete che non consentono all’ esperto del ramo di attuare l’ invenzione,
l’ esposizione del prodotto in fiere che comporti la mera visione dello stesso o la “scarna
indicazione” delle sue prestazioni e la divulgazione a “persone inesperte incapaci di
comprendere e di attuare o far attuare” da altri il trovato
213
. Quindi la divulgazione
rilevante è solo quella che consente effettivamente di attuare l’ invenzione.
Il requisito in esame, per quanto riguarda le invenzioni biotecnologiche, và
207
A. V ANZETTI, V . DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 405
208
S. BERGIA, Commento all’ art. 46 c.p.i., in A. VANZETTI (a cura di), Codice della proprietà
industriale, Giuffrè, Milano, 2013, p. 645
209
M. CARTELLA, Requisiti dell’ invenzione, in V . FRANCESCHELLI, Brevetti, marchio, ditta,
insegna, I, Utet, Torino, 2003, p. 53
210
G. AGLIALORO, Il diritto delle biotecnologie, Giappichelli, Torino, 2001, p. 105
211
A. V ANZETTI, V . DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 407
212
S. BERGIA, Commento all’ art. 47 c.p.i., in A. VANZETTI (a cura di), Codice della proprietà
industriale, Giuffrè, Milano, 2013, p. 656
213
A. MUSSO, Brevetti per invenzioni industriali e modelli di utilità, Zanichelli, Torino, 2013, p. 142
51
interpretato come “non preesistenza in natura” del materiale biologico oggetto dell’
invenzione. La Direttiva comunitaria a riguardo stabilisce all’ art. 3 comma 2 che se
anche un materiale sia già presente in natura, ciò “non ne impedisce la brevettabilità”
214
,
così come stabilito a livello nazionale dall’ art. 81 quater, comma 1, lett. a) c.p.i. È stato
osservato in dottrina come il materiale biologico realizzato con tecniche di DNA
ricombinante, ad esempio, sia totalmente diverso da quello già esistente in natura, per il
fatto che viene prodotto tramite un procedimento tecnico in un contesto sganciato dall’
ambiente naturale e a ciò si aggiunge il fatto, poi, che esso risulta caratterizzato da un
“maggior grado di purezza ed efficacia”
215
. Relativamente, invece, all’ ottenimento di
prodotti già esistenti in natura con tecniche tradizionali, quali l’ isolamento dall’
ambiente naturale, il trovato può ritenersi nuovo se non era immediatamente e
direttamente accessibile nello stato della tecnica
216
. Quindi un elemento naturale che
non sia ancora stato reso accessibile può essere brevettato, anche se solamente isolato
dal suo ambiente, perché finchè l’ uomo non interviene per la prima volta isolando il
materiale, esso non è considerato accessibile
217
.
1.2. L’originalità
In base a questo requisito, denominato da parte della dottrina “novità
intrinseca”
218
, per distinguerlo dalla “novità estrinseca” relativa alla presenza o meno
del prodotto nello stato della tecnica, l’ invenzione non deve costituire lo “sviluppo
ovvio” di innovazioni già conosciute
219
. Esso richiede un “inventive step”, uno “sforzo
di originalità” che renda l’ invenzione non banale
220
. L’ articolo 48 del c.p.i. e l’ art. 56
CBE lo descrivono in questo modo: “un’ invenzione è considerata come implicante un’
attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo
evidente dallo stato della tecnica”. Lo stato della tecnica da prendere in considerazione
ai fini del giudizio di originalità non coincide con quello relativo al requisito di novità,
infatti qui si prendono in considerazione solo quelle anteriorità che sono state “rese
accessibili al pubblico nel territorio dello Stato o all’ estero prima della data di
deposito della domanda di brevetto mediante una descrizione scritta od orale, un’
utilizzazione o qualsiasi altro mezzo” e non anche le domande segrete
221
.
214
G. COLANGELO, La tutela delle invenzioni biotecnologiche in Europa e negli Stati Uniti alla luce dei
casi Brüstle e Myriad Genetics, in Giur. comm., I, 2012, p. 37
215
L. ALBERTINI, L’ invenzione biotecnologica: requisiti di brevettabilità ed estensione della protezione,
in Contr. impr., 2007, p. 1065
216
G. SENA, L’ importanza della protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in Riv. dir. ind., I,
2000, p. 68
217
G. AGLIALORO, Il diritto delle biotecnologie, Giappichelli, Torino, 2006, p. 20, il quale osserva che
l’ unico vero ostacolo circa il riconoscimento della novità dei trovati biotecnologici nasce dai pregiudizi,
ancora troppo diffusi, sull’ opportunità di applicare lo strumento brevettuale alla materia vivente. L’ autore
afferma che il brevetto non ostacola la diffusione delle conoscenze scientifiche ma, al contrario, la
incentiva e si pone al servizio degli enti di ricerca, attribuendo prestigio agli innovatori.
218
M. CARTELLA, Requisiti dell’ invenzione, in V . FRANCESCHELLI (a cura di), Brevetti, marchio,
ditta, insegna, I, Utet, Torino, 2003, p. 44
219
G. AGLIALORO, Il diritto delle biotecnologie, Giappichelli, Torino, 2001, p. 105
220
A. STAZI, Innovazioni biotecnologiche e brevettabilità del vivente, Giappichelli, Torino, 2012, p. 22
221
S. BERGIA, Commento all’ art. 48 c.p.i., in A. VANZETTI (a cura di), Codice della proprietà
52
L’ attività inventiva consiste in un incremento del patrimonio tecnico
preesistente non raggiungibile attraverso il normale utilizzo delle conoscenze tecniche
disponibili. Qualsiasi piccolo progresso tecnico integra un’ invenzione se non è
conseguibile da un esperto del ramo con le sue ordinarie conoscenze e capacità
finanziarie e tecniche, intendendosi per esperto del ramo un tecnico in grado di attuare
solo procedure già sperimentate e conosciute, un operatore medio e non “figure
eccellenti o depresse”
222
.
Ma nella prassi anche lo sforzo inventivo minimo è diventato suscettibile di
brevettazione. Il giudizio di originalità di un’ invenzione equivale a “non evidenza per il
tecnico medio del settore”, giudizio caratterizzato da una grande incertezza a livello
giurisprudenziale, che non mantiene mai certi standard assoluti. Analizzando la prassi
degli Uffici brevettuali si nota la tendenza a “superbrevettare”, ovvero a concedere
brevetti con molta facilità a causa del basso livello di originalità che viene richiesto
223
.
In questo modo la ricerca e lo sviluppo potrebbero essere paralizzati perchè non si
sarebbe più orientati a ricercare trovati davvero originali, venendo il diritto di esclusiva
conferito senza tener conto di alcuna meritevolezza, con l’ effetto di “appiattire” l’
apporto delle invenzioni brevettate
224
. Questo processo di abbassamento dello standard
di originalità richiesto è maturato già dagli anni 80 quando, piuttosto che tenere conto
del valore e dell’ importanza dell’ invenzione, del contributo al progresso scientifico
realmente ottenuto, iniziava a farsi leva su altri criteri più flessibili relativi alla “non
evidenza” del trovato allo stato della tecnica, alla soddisfazione di un bisogno umano, al
semplice miglioramento degli elementi già esistenti, criteri che tendono a premiare ogni
minimo apporto creativo
225
. Si verifica in tal modo un “annacquamento” di questo
requisito che rischia di perdere il suo originale significato
226
.
L’ originalità dovrebbe segnare il confine tra ciò che costituisce l’ evoluzione
naturale di ogni settore della tecnica, che potrebbe essere realizzato da qualunque
operatore del settore e che, quindi, non merita il brevetto e ciò che, invece, è il risultato
di un contributo creativo, di un’ idea che supera le normali prospettive di evoluzione
227
.
Si tratta di valutare se per il tecnico medio del settore, al momento del deposito della
domanda, un trovato discenda in modo evidente dallo stato della tecnica, cioè se sarebbe
stato in grado di concepirlo egli stesso, valutazione che si concreta in un giudizio
esposto a rischio di soggettività
228
. Per cercare di limitare e circoscrivere il più possibile
tale rischio, mai del tutto eliminabile, sono stati individuati degli elementi, degli indizi
di evidenza e non evidenza
229
.
industriale, Giuffrè, Milano, 2013, p. 670
222
V . DI CATALDO, L’ originalità dell’ invenzione, Giuffrè, Milano, 1983, p. 68
223
A. V ANZETTI, V . DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 409
224
A. MUSSO, Brevetti per invenzioni industriali e modelli d’ utilità, Zanichelli, Torino, 2013, p. 160
225
A. PIZZOFERRATO, Brevetto per invenzione e biotecnologie, in F. GALGANO (a cura di), Trattato
di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’ economia, Cedam, Padova, 2002, p. 163
226
G. BIANCHETTI, G. PIFFERI, Il requisito evanescente dell’ attività inventiva delle invenzioni
chimiche e biotecnologiche, in Dir. ind., 2000, p. 10
227
M. CARTELLA, Requisiti dell’ invenzione, in V . FRANCESCHELLI (a cura di), Brevetti, marchio,
ditta, insegna, I, Utet, Torino, 2003, p. 46
228
V . DI CATALDO, L’ originalità dell’ invenzione, Giuffrè, Milano, 1983, p. 78
229
S. BERGIA, Commento all’ art. 48 c.p.i., in A. VANZETTI (a cura di), Codice della proprietà
53
Gli indizi di non evidenza rivelano il fatto che l’ invenzione non risulta in modo
evidente dallo stato della tecnica e, quindi, richiede un’ attività inventiva che giustifica
la concessione del brevetto
230
. Essi si possono ritrovare in “tre direzioni” distinte: nelle
caratteristiche del trovato, nella storia del settore anteriore al momento dell’ invenzione
e nelle vicende successive all’ invenzione. Nella prima direzione l’ indizio più
importante di non evidenza è l’ effettivo progresso tecnico realizzato dall’ invenzione,
che ricorre tutte le volte in cui si migliori il rendimento, si renda più semplice la
struttura, si riducano i costi o si migliori la sicurezza di oggetti già noti; altri indizi di
originalità dell’ invenzione possono essere ricavati dalla storia del settore, come ad
esempio il superamento di certe difficoltà, precedenti tentativi altrui o dell’ inventore
stesso rimasti infruttuosi, la soddisfazione di un bisogno da tempo avvertito ma rimasto
fino ad allora insoddisfatto. Ancora, costituiscono indizi in tal senso anche talune
vicende successive alla concessione del brevetto come il successo commerciale del
trovato posto sul mercato, l’ opinione degli esperti o i comportamenti dei concorrenti
che dimostrano che il brevetto è ritenuto valido, ovvero la mancanza di contraffazioni e
una grande richiesta di licenze
231
.
Tra gli indizi di evidenza, dotati di minore affidabilità, il più rilevante è
sicuramente l’ equivalenza, che ricorre quando l’ insegnamento fondamentale di un
trovato sia già presente in un’ altra anteriorità e quindi ricompreso nello stato della
tecnica. Altri indizi in tal senso ricorrono in tutte quelle innovazioni che costituiscano il
risultato del normale progresso e che sono, quindi, alla portata di qualunque tecnico
medio, come ad esempio la sostituzione di materiali, le modifiche di parti, il
cambiamento di forma o l’ inversione di fasi. In ultimo luogo, si può avere riguardo
anche in questo caso a fatti successivi all’ invenzione, come l’ esistenza di numerose
contraffazioni e canoni bassi di licenza per lo sfruttamento del brevetto, che mostrano
come l’ invenzione non sia reputata davvero innovativa
232
.
L’ utilizzo di tali criteri di accertamento consente di rendere la valutazione di non
evidenza più oggettiva e razionale, sganciandola da un possibile arbitrio discrezionale
del giudicante.
Certo è che il requisito in esame è frutto di un’ altra epoca, nella quale le
invenzioni nascevano da flash di genialità di singoli inventori solitari dotati di un’
intuito superiore alla media, quindi è necessario che la sua interpretazione lo renda più
moderno ed aderente alla realtà odierna. Al giorno d’oggi, infatti, le invenzioni,
soprattutto quelle biotecnologiche, sono il risultato di un lavoro di gruppo in cui si
mischiano gli apporti non solo intellettuali, ma in gran parte finanziari e strumentali, di
una moltitudine di esperti
233
. In questo quadro è soprattutto l’ entità di tali risorse
strumentali e finanziarie messe a disposizione, superiore rispetto a quelle di cui dispone
industriale, Giuffrè, Milano, 2013, p. 673
230
C. GALLI, Le nuove frontiere del diritto dei brevetti, Giappichelli, Torino, 2003, p. 26, il quale ricorda
che per le invenzioni biotecnologiche era stato proposto di prescindere dalla verifica di tale requisito e di
riconoscere il brevetto come una sorta di “premio” agli investimenti sopportati nelle ricerche.
231
V . DI CATALDO, L’ originalità dell’ invenzione, Giuffrè, Milano, 1983, p. 86 ss.
232
M. CARTELLA, Requisiti dell’ invenzione, in V . FRANCESCHELLI (a cura di), Brevetti, marchio,
ditta, insegna, I, Utet, Torino, 2003, p. 87 ss.
233
G. AGLIALORO, Il diritto delle biotecnologie, Giappichelli, Torino, 2001, p. 105
54
il tecnico medio del settore, che costituisce il vero fattore che permette di arrivare all’
innovazione. Ciò è dimostrato dal fatto che anche quei trovati raggiunti applicando
“tecniche note a materiali conosciuti”, in “modo routinario”, che richiedano però
strumenti sofisticati, tempi lunghi ed elevate risorse finanziarie, sono considerati
originali e quindi brevettabili
234
. L’ importante, in questo settore, è che sia prodotto un
risultato nuovo, non importa se per raggiungerlo sia stato seguito un procedimento già
conosciuto
235
. Nel settore biotecnologico la ricerca è particolarmente costosa,
richiedendo personale altamente qualificato e apparecchiature sofisticate, per cui si è
ritenuto che anche il semplice isolamento di un materiale comporti attività inventiva se
esso sia presente in natura solo in forma non purificata, interpretando l’ isolamento e la
purificazione da parte dell’ uomo come attività inventiva
236
. Infatti, se il requisito di
originalità rimanesse ancorato alla ricerca del “genio solitario”, sarebbe impossibile
ottenere brevetti in questo settore, ragion per cui l’ interpretazione odierna della norma
risponde all’ esigenza di tutelare ed incentivare gli ingenti investimenti sostenuti nella
ricerca
237
.
1.3. L’ industrialità
Questo requisito, considerato dalla dottrina alquanto “nebuloso” è disciplinato a
livello nazionale dall’ art. 49 c.p.i., secondo il quale “un’ invenzione è considerata atta
ad avere un’ applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato
in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola”, in termini analoghi si
esprime l’ art. 57 della Convenzione sul brevetto europeo
238
. La fabbricabilità
industriale implica la possibilità di ripetere il processo di fabbricazione per un numero
indefinito di volte con risultati costanti, mentre l’ utilizzabilità esige che l’ invenzione si
proponga uno scopo, un fine che sia tecnicamente raggiungibile
239
. Il fondamento di
questo requisito è quello di impedire la brevettabilità di quei trovati che, non potendo
essere utilizzati nell’ industria, non apportano nessun beneficio all’ umanità
240
e, allo
stesso tempo, di limitare l’ ambito di estensione del brevetto alla specifica applicazione
che sia stata individuata, per evitare così che l’ innovazione successiva sia “ostacolata
inutilmente”
241
.
La Direttiva 44/98/CE richiede all’ art. 5 comma 3, ai fini della brevettabilità di
234
A. V ANZETTI, V . DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 410
235
G. CAFORIO, I trovati biotecnologici tra principi etico- giuridici e il codice di proprietà industriale,
Giappichelli, Torino, 2006, p. 55 ss.
236
G. CAFORIO, Le invenzioni biotecnologiche nell’ unità del sistema brevettuale, Giappichelli, Torino,
1995, p. 19
237
G. COLANGELO, La tutela delle invenzioni biotecnologiche in Europa e negli Stati Uniti alla luce dei
casi Brüstle e Myriad Genetics, in Giur. comm., I, 2012, p. 36
238
M. CARTELLA, Requisiti dell’ invenzione, in V . FRANCESCHELLI (a cura di), Brevetti, marchio,
ditta, insegna, I, Utet, Torino, 2003, p. 28
239
A. V ANZETTI, V . DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 402 ss.
240
A. STAZI, Innovazioni biotecnologiche e brevettabilità del vivente, Giappichelli, Torino, 2012, p. 23
241
A. STAZI, Invenzioni biotecnologiche e limiti alla brevettabilità tra recenti evoluzioni della
giurisprudenza statunitense e prospettiva europea dei diritti fondamentali: verso un “indirizzo
occidentale” comune?, in Riv. dir. ind., III, 2014, p. 208 ss.
55
un gene o di una sua sequenza parziale, “l’ indicazione concreta dell’ applicazione
industriale nella richiesta di brevetto” che va a delimitare l’ ambito di estensione della
privativa. L’ indicazione di usi meramente potenziali del trovato non soddisfa il
requisito dell’ industrialità, che richiede invece l’ indicazione di un uso industriale
“specifico, sostanziale e credibile”
242
. Considerate le particolari caratteristiche delle
invenzioni biotecnologiche, aventi per lo più ad oggetto materiale vivente capace di
riprodursi, esse sono sicuramente ripetibili, ma la loro riproducibilità in termini costanti
non è assicurata, considerate le mutazioni naturali che si possono verificare
243
. Per
evitare, quindi che esse siano ritenute non brevettabili per mancanza di industrialità, si
ritiene soddisfatto tale requisito nel momento in cui sia indicata nella domanda
brevettuale, un’ applicazione pratica, un’ utilità del materiale biologico anche
meramente potenziale, purchè concretamente indicata
244
. Il rilievo dell’ industrialità ai
fini di una valida brevettazione si desume anche dall’ articolo 81 quater, comma 1, lett.
d) C.p.i. che ammette al brevetto un elemento del corpo umano purchè isolato o
prodotto tramite un procedimento tecnico, anche se identico ad un elemento già presente
in natura, a condizione che sia concretamente indicata e descritta la sua funzione. Da ciò
si desume che anche una scoperta è brevettabile, se la domanda di brevetto indica questi
valori
245
. L’ industrialità designa la reale probabilità che l’ invenzione biotecnologica
possa realizzare in modo “sufficientemente omogeneo e stabile” il risultato promesso,
con ciò permettendo la brevettabilità anche di quei trovati biotecnologici dotati di mera
“credibilità”, che non hanno ottenuto l’ inoppugnabile riscontro dei loro risultati, ma che
presentano “variazioni limitate”
246
. Ai fini di questo requisito si ritiene, quindi,
sufficiente che la ricerca sia giunta ad uno stadio di sperimentazione per cui si possa
presumere che quel prodotto dia certi risultati
247
.
L’ utilità dell’ invenzione non può essere intesa in senso patrimoniale come
convenienza economica della sua attuazione, ma deve essere piuttosto interpretata come
soddisfacimento dei bisogni dell’ umanità. L’ assenza di un valore economico o tecnico
resta irrilevante per la valida brevettazione
248
. La brevettabilità, infatti, non può
dipendere dal fatto che un trovato sia più utile di trovati già conosciuti, in quanto l’
utilità è un valore la cui misurazione è assai complicata e in un sistema concorrenziale
la sua valutazione deve essere lasciata al mercato, il solo in grado di quantificarla
249
.
242
A. BONFANTI, La brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche legate al corpo umano e la tutela
dei diritti fondamentali dell’ uomo, in N. BOSCHIERO (a cura di), Bioetica e biotecnologie nel diritto
internazionale e comunitario. Questioni generali e tutela della proprietà intellettuale, Giappichelli,
Torino, 2006, p. 211
243
G. CAFORIO, Le invenzioni biotecnologiche nell’ unità del sistema brevettuale, Giappichelli, Torino,
1995, p. 12
244
C. GALLI, Le nuove frontiere del diritto dei brevetti, Giappichelli, Torino, 2003, p. 20
245
G. AGLIALORO, Il diritto delle biotecnologie, Giappichelli, Torio, 2001, p. 106
246
G. CAFORIO, I trovati biotecnologici tra principi etico- giuridici e il codice di proprietà industriale,
Giappichelli, Torino, 2006, p. 49
247
A. PIZZOFERRATO, Brevetto per invenzione e biotecnologie, in F. GALGANO (a cura di), Trattato
di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’ economia, Cedam, Padova, 2002, p. 166
248
S. BERGIA, Commento all’ art. 49 C.p.i., in A. VANZETTI (a cura di), Codice della proprietà
industriale, Giuffrè, Milano, 2013, p. 682 ss.
249
M. CARTELLA, Requisiti dell’ invenzione, in V . FRANCESCHELLI (a cura di), Brevetti, marchio,
ditta, insegna, I, Utet, Torino, 2003, p. 31
56
Sono, quindi, brevettabili anche invenzioni che sembrano “regressive” sul piano
tecnologico e “trovati costosissimi”, visto che in questi casi si potrebbe comunque
verificare, dopo la brevettazione, un progresso, un vantaggio tecnico od economico non
prevedibile alla data del deposito della domanda
250
.
1.4. La liceità
Secondo l’ art. 50 del c.p.i., “non possono costituire oggetto di brevetto le
invenzioni la cui attuazione è contraria all’ ordine pubblico o al buon costume”, mentre
il secondo comma precisa che un mero divieto legale di attuazione non è sufficiente a
privare l’ invenzione di tale requisito. L’ ordine pubblico e il buon costume sono
concetti che rispecchiano le tradizioni proprie di ciascun ordinamento nazionale, infatti
a livello comunitario si è preferito rimandare al diritto domestico il compito di
determinarne gli esatti confini e il contenuto. Tuttavia, non si può non evidenziare come
a livello comunitario l’ ordine pubblico sia posto in risalto dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’ Unione europea, minimo comune denominatore delle varie
costituzioni europee, che offre una protezione alla proprietà intellettuale nell’ ambito di
uno sviluppo equilibrato e sostenibile che coniughi avanzamento scientifico e
tecnologico col progresso sociale
251
. La proprietà intellettuale è sì protetta, all’ art. 17,
comma 2, ma deve essere equamente contemperata con gli altri diritti fondamentali ivi
riconosciuti, come la dignità umana, l’ integrità fisica, la sicurezza, l’ eguaglianza, la
tutela della salute e dell’ ambiente, la cui protezione deve essere valutata a monte, cioè
prima di accordare e concedere il brevetto. Con il rispetto dei buoni costumi si vuole,
poi, impedire l’ attribuzione di un brevetto su invenzioni che contrastino non tanto con
la legge, quanto piuttosto con i “canoni fondamentali della pubblica moralità”
252
.
I limiti dell’ ordine pubblico e del buon costume sono stati definiti come delle
“norme in bianco” poste per scongiurare i rischi che potrebbero derivare da invenzioni
“socialmente pericolose”
253
. Si ritiene che il rilascio del brevetto sia da negare solo per
quelle invenzioni che non sono passibili di usi leciti, mentre se si riscontra la possibilità
di garantire “almeno un uso lecito”, allora l’ invenzione è validamente brevettabile
254
.
Anche se nella prassi si è spesso eccessivamente delimitata la portata di tale requisito ad
invenzioni univocamente ed assolutamente destinate a scopi “nocivi” o contrarie alla
“morale comune”, quali lettere-bomba o mine anti-uomo
255
. Secondo le linee guida dell’
Ufficio Europeo Brevetti, la brevettazione non può essere rifiutata laddove sia possibile
porre in essere degli usi “non-offensive”, come nel caso di un metodo per scassinare una
cassaforte, il cui utilizzo sarebbe illecito da parte di un ladro, mentre sarebbe lecito se
250
A. MUSSO, Brevetti per invenzioni industriali e modelli d’ utilità, Zanichelli, Torino, 2013, p. 169 ss.
251
S. GRECO, I diritti fondamentali nella Costituzione europea, in Riv. it. dir. pub. com., 2001, p. 187 ss.
252
G. CAFORIO, Le invenzioni biotecnologiche nell’ unità del sistema brevettuale, Giappichelli, Torino,
1995, p. 42
253
G. CAFORIO, I trovati biotecnologici tra principi etico- giuridici e il codice di proprietà industriale,
Giappichelli, Torino, 2006, p. 60, il quale ricorda che comunque il discrimine tra lecito ed illecito non è
segnato tanto dall’ invenzione in sé, quanto piuttosto dall’ uso che della stessa si intende fare.
254
A. V ANZETTI, V . DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 414
255
A. MUSSO, Brevetti per invenzioni industriali e modelli di utilità, Zanichelli, Torino, 2013, p. 175 ss.
57
posto in essere da un artigiano in casi di emergenza
256
. Circostanza, questa che fa
propendere per una valutazione di tale requisito in chiave comparatistica, cioè pensando
a quale utilizzo si voglia fare dell’ invenzione.
Una volta che il brevetto sia rilasciato, poi, ciò non implica per forza l’ uso del
trovato oggetto dello stesso, che potrà essere modulato e limitato da norme estranee al
sistema brevettuale, così come avviene per farmaci o armi, invenzioni sicuramente
brevettabili ma non utilizzabili liberamente
257
. La concessione del brevetto attiene solo
ed esclusivamente al regime di produzione e commercializzazione e non riguarda l’
autorizzazione o meno all’ uso dell’ oggetto del brevetto. Come disposto al
Considerando 14 della Direttiva 44/98/CE, “un brevetto non autorizza il suo titolare ad
attuare l’ invenzione, ma si limita a conferirgli il diritto di vietare a terzi lo sfruttamento
commerciale di tale trovato”; si precisa, inoltre, che “il diritto dei brevetti non si
sostituisce alle norme che impongano certi limiti all’ utilizzazione e
commercializzazione degli elementi brevettati per garantire esigenze di sanità pubblica,
sicurezza, tutela dell’ ambiente, protezione degli animali, conservazione della diversità
genetica”. Il diritto dei brevetti riconosce semplicemente un sistema di remunerazione
agli inventori che apportino evoluzioni nello stato della tecnica, apparendo così uno
strumento inadatto per valutare le esigenze etiche fonti di “ambiguità e contenzioso”
258
.
Si conferma in tal modo la “neutralità morale” del brevetto: introdurre nuove ipotesi di
esclusione dalla brevettabilità non riduce certo gli aspetti negativi del progresso
tecnico
259
. La verifica finalizzata all’ emanazione del brevetto, infatti, se utilizzata per
reprimere certi comportamenti, potrebbe finire per danneggiare ingiustamente chi voglia
sviluppare e affermare le proprietà utili di un certo trovato e attribuirebbe all’ Ufficio
Europeo Brevetti il “ruolo di interprete della coscienza etica collettiva”
260
.
Per quel che riguarda le invenzioni biotecnologiche, l’ art. 81 quinques c.p.i.
contiene alcuni esempi di invenzioni la cui brevettabilità è esclusa in quanto carenti del
requisito di liceità e, quindi, contrarie ad ordine pubblico e buon costume, esattamente
come è stabilito, a livello europeo, dall’ art. 6 della Direttiva. In base al Considerando
39 “l’ ordine pubblico e il buon costume corrispondono ai principi etici o morali
riconosciuti in uno Stato membro, i quali devono essere tenuti in conto per completare
le verifiche ordinarie del sistema brevettuale”, soprattutto in relazione alle invenzioni
biotecnologiche, che presentano una correlazione con la materia vivente e sono quelle
dotate delle più ampie potenzialità applicative. Il Considerando 38, poi, chiarisce che l’
elenco indicativo e aperto di quelle invenzioni contrarie all’ ordine pubblico e al buon
costume è stato redatto al fine di indirizzare meglio i giudici e gli uffici brevettuali
nazionali nell’ interpretazione di questi concetti limitanti.
Il giudizio di liceità, in ogni caso, non può limitarsi ad una sola verifica circa la
rispondenza del brevetto a certe sensibilità sociali, ma deve farsi carico di una
256
S. BERGIA, Commento all’ art. 50 C.p.i., in A. VANZETTI (a cura di), Codice della proprietà
industriale, Giuffrè, Milano, 2013, p. 686
257
G. FLORIDIA, Il riassetto della proprietà industriale, Giuffrè, Milano, 2006, p. 264 ss.
258
G. AGLIALORO, Il diritto delle biotecnologie, Giappichelli, Torino, 2006, p. 31
259
G. AGLIALORO, Il diritto delle biotecnologie, Giappichelli, Torino, 2001, p. 107
260
S. BERGIA, Commento all’ art. 50 C.p.i., in A. VANZETTI (a cura di), Codice della proprietà
industriale, Giuffrè, Mialno, 2013, p. 687
58
valutazione comparativa circa le utilità e disutilità dell’ invenzione, è importante che
svolga un bilanciamento tra “potenziali pregiudizi a beni primari” e “probabili benefici
per la collettività”, caso per caso. Le nuove tecnologie sono sempre “causa di nuovi
rischi”, si accompagnano sempre ad essi; si dimostra, così, necessario bilanciare tali
rischi con i possibili benefici di queste innovazioni. La brevettabilità sarà, in tal modo,
da inibire non in ipotesi astratte, ma solo quando nel caso concreto si riscontri la carenza
di effetti utili della tecnologia e la rilevanza dei danni che la stessa potrebbe causare ad
altri beni
261
.
2. LA BREVETTABILITÁ DEL VIVENTE E I SUOI LIMITI
2.1. Le invenzioni brevettabili
La disciplina brevettuale si trova in una “costante tensione” tra due tipi di
interessi: da una parte l’ interesse diretto a potenziare l’ evoluzione tecnologica
mediante il riconoscimento di un diritto di monopolio nello sfruttamento di un certo
bene o procedimento, dall’ altra l’ interesse pubblico volto ad evitare possibili abusi che
potrebbero derivare da queste situazioni monopolistiche. Nell’ ambito delle invenzioni
biotecnologiche poi, che coinvolgono la materia nota e vivente, si aggiungono altre
visioni critiche di carattere morale, religioso e sociale. La loro regolamentazione dovrà,
quindi, tenere conto di tutti questi diversi interessi, presentandosi come una “soluzione
compromissoria”
262
.
La Direttiva 98/44/CE, nell’ ammettere la brevettabilità della materia vivente, si
fa carico di garantire, al contempo, il rispetto della vita e il diritto alla salute, alla tutela
dell’ ambiente, della biodiversità e della sicurezza del genere umano, così inserendo la
tutela delle invenzioni biotecnologiche in un quadro di protezione dei più alti valori
263
.
È infatti importante che il progresso sia “incanalato” secondo “valori guida”
riconosciuti a livello comunitario e dai singoli paesi membri, per evitare di creare una
disciplina che calpesti totalmente certe categorie di interessi
264
.
Grazie al dlgs. 131/2010, nel nostro C.p.i. sono stati inseriti taluni articoli
specificatamente dedicati alle invenzioni biotecnologiche, fondati sulla Direttiva, tra i
quali l’ art. 81 quater, che designa un’ ambito di brevettabilità alquanto ampio. In esso si
261
A. PIZZOFERRATO, Brevetto per invenzione e biotecnologie, in F. GALGANO (a cura di), Trattato
di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’ economia, Cedam, Padova, 2002, p. 174 ss.
262
A. PIZZOFERRATO, Brevetto per invenzione e biotecnologie, in F. GALGANO (a cura di), Trattato
di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’ economia, Cedam, Padova, 2002, p. 195, secondo il quale
la disciplina brevettuale, pur facendo salvi i principi di non commercializzazione del corpo umano e di
non appropriabilità della vita, enuncia ufficialmente la possibilità di brevettare il vivente, non solo per
ridurre la fame nel mondo o per migliorare le terapie, ma anche per incentivare le industrie
biotecnologiche europee che non potevano ancora competere appieno con quelle statunitensi.
263
R. BARZANTI, La direttiva europea in materia di biotecnologia, in M. VOLPI (a cura di), Le
biotecnologie: certezze e interrogativi, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 84, il quale osserva come la Direttiva
concilia le esigenze di regolamentazione della ricerca biotecnologica con la domanda di controllo sociale
sulla brevettabilità del vivente.
264
A. PIZZOFERRATO, Brevetto per invenzione e biotecnologie, in F. GALGANO (a cura di), Trattato
di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’ economia, Cedam, Padova, 2002, p. 197
59
afferma la brevettabilità del materiale biologico, anche se preesistene in natura, tramite
un elenco di natura non esaustiva nel quale sono compresi: a) i materiali biologici isolati
o prodotti tramite un procedimento tecnico; b) i procedimenti tecnici di produzione,
lavorazione o impiego di un materiale biologico; c) le nuove applicazioni di materiali
biologici o procedimenti tecnici già brevettati; d) le invenzioni relative ad elementi
isolati dal corpo umano o prodotti tramite un procedimento tecnico, la cui funzione e
applicazione industriale sia stata concretamente indicata e descritta, ed infine e) le
invenzioni riguardanti piante o animali purchè la loro applicazione non sia limitata all’
ottenimento di quella varietà vegetale o specie animale. Possono, quindi, esser brevettati
tutti quei procedimenti che non “consistano esclusivamente” in metodi naturali, ma che
incorporino almeno una fase tecnica
265
.
È ormai pacifico che l’ utilizzo di materiale biologico già presente in natura
possa dar vita ad un’ invenzione validamente brevettabile grazie allo sviluppo delle
tecniche d’ intervento umano. Infatti ciò che contraddistingue le “scoperte-invenzioni”
brevettabili da quelle escluse dalla brevettabilità è da rinvenirsi proprio nel contributo
dell’ uomo, cioè nella sua opera di isolamento o produzione con procedimenti tecnici,
intervento che si pone come pre-condizione per accedere alla brevettabilità
266
. In tal
modo si distingue nettamente l’ invenzione da “realtà meramente conoscitive”,
accordandosi il brevetto anche a trovati che presentino una struttura identica a quella di
un elemento naturale
267
.
Secondo alcuni, la maggior parte delle invenzioni biotecnologiche per le quali si
ottiene il brevetto, al giorno d’oggi, sarebbero costituite da kit diagnostici e vaccini,
realizzati grazie all’ opera di “decodifica” del DNA dei virus, invenzioni che a prima
vista potrebbero sembrare mere scoperte, ma che invece sono rese brevettabili perché
ciò che conta, ciò che deve essere visto come l’ oggetto del brevetto non è la scoperta in
sé, ma l’ applicazione industriale che questa ha reso possibile, come si desume dall’art.
52 della Convenzione sul brevetto europeo
268
. L’ elemento determinante, quindi, ai fini
dell’ “accesso all’ area della brevettabilità” sarebbe dato dalla funzione del trovato
269
.
Il tema della brevettabilità degli elementi del corpo umano è stato a lungo
dibattuto soprattutto a causa dei risvolti etici coinvolti, infatti, durante i lavori
preparatori per l’ adozione della Direttiva 98/44/CE, vi era chi sosteneva la loro non
brevettabilità, come la Commissione per lo sviluppo e la cooperazione, la quale, in un
suo parere affermò che fare del materiale genetico umano oggetto di proprietà
intellettuale potrebbe portare ad una “corsa all’ oro genetica” che offende la dignità
umana. Altri, al contrario, sostenevano la brevettabilità di tali elementi solo in alcuni
casi, visione che fu poi accolta dalla Commissione e trasposta nella Direttiva, la quale
oggi ne riconosce la brevettabilità all’ art. 5 comma 2. Questa norma è giustificata
265
C. GALLI, Le nuove frontiere del diritto dei brevetti, Giappichelli, Torino, 2003, p. 29
266
G. GUGLIELMETTI, La brevettazione delle scoperte- invenzioni, in Riv. dir. ind., I, 1999, p. 97
267
A. BERGHÈ LORETI, L. MARINI, La protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in Dir.
U.E., 1999, p. 787
268
A. V ANZETTI, V . DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 490 ss.
269
R. ROMANO, Brevetti e artefatti biologici, Giappichelli, Torino, 2012, p. 75, la quale afferma che in
assenza di una funzione innovativa che risponda ai requisiti di brevettabilità, poco importa che il trovato
sia più o meno differente dal suo stato naturale.
60
dall’enorme importanza che rivestono le scoperte in campo genetico per la cura di
numerose malattie, che possono essere sconfitte grazie all’ utilizzo di medicinali ricavati
proprio da elementi isolati dal corpo umano
270
. Nella l. 78/2006 di attuazione nel nostro
ordinamento della Direttiva, la dibattuta brevettabilità degli elementi del corpo umano è
stata riconosciuta all’ art. 3, il quale sancisce appunto la possibilità di brevettare un’
elemento isolato dal corpo umano o diversamente prodotto mediante un procedimento
tecnico, a condizione che la sua funzione e applicazione industriale siano
“concretamente indicate, descritte e specificatamente rivendicate”. L’obbligo di
“rivendicare” la funzione è un chiaro segnale che la norma va oltre a quanto disposto
dalla Direttiva, la quale si limita a richiede all’ art. 5 comma 3 che “l’ applicazione
industriale di una sequenza o sequenza parziale di un gene sia descritta nella domanda
di brevetto”
271
. Il legislatore italiano dimostrava, in questo modo, di voler limitare la
protezione delle invenzioni riguardanti gli elementi del corpo umano alla loro precisa
applicazione industriale rivendicata, mentre la Direttiva non limita così tanto l’ ambito
della protezione. Col decreto legislativo 131/2010, che ha inserito la disciplina
comunitaria delle invenzioni biotecnologiche nel C.p.i., è stato previsto l’ obbligo di
indicare la funzione e l’ applicazione industriale solamente nella descrizione, togliendo
così l’ obbligo di rivendicarle, in tal modo operando un “riallineamento” a quanto
previsto nella Direttiva
272
. Questa eliminazione non si estende, però, ai brevetti relativi a
geni umani o parti di essi, per i quali rimane all’ art. 81 quinques comma 1 lett. c) l’
obbligo non solo di descrivere, ma anche di rivendicare la funzione, per evitare che la
protezione si estenda oltre le funzioni descritte e rivendicate, considerata la
“polifunzionalità” del materiale genetico
273
.
L’ intento di queste disposizioni è quello di ribadire che gli elementi del corpo
umano sono qualcosa che già esiste in natura e che, quindi, se non correlati dall’
indicazione di un’ applicazione industriale e, in ogni caso, se non isolati o prodotti con
un procedimento tecnico, non potranno esser posti sotto brevetto perché considerati
delle semplici scoperte
274
. Infatti, la tendenza a “dilatare” l’ area del brevettabile e ad
estendere i diritti di proprietà anche sulle semplici scoperte potrebbe avere l’ effetto di
causare una “situazione di stallo” nel progresso della ricerca
275
.
270
T. M. SPRANGER, Ethical Aspects of patenting human genotypes according to EC Bioteghnology
Directive, in International review of industrial property and copyright law, 2000, p. 373
271
P. RAMBELLI, Invenzioni biotecnologiche, in N. BOTTERO, La riforma del codice della proprietà
industriale, Giuffrè, Milano, 2011, p. 228, secondo cui la richiesta della descrizione e della rivendicazione
dell’ utilità dell’ invenzione è conforme al principio della “protezione limitata alla finalità dell’
invenzione”.
272
A. V ANZETTI, Codice della proprietà industriale, Giuffrè, Milano, 2013, p. 966 ss.
273
R. ROMANO, Brevetti e artefatti biologici, Giappichelli, Torino, 2012, p. 86 ss.
274
A. MARTURANO, Il concetto di informazione genetica: aspetti epistemologici ed etici, in Il corpo
digitale: natura, informazione, merce, Giappichelli, Torino, 2010, p. 21, il quale sostiene che con l’
avvento delle invenzioni biotecnologiche si sia realizzato un “assottigliamento” della tradizionale
distinzione tra invenzioni e scoperte.
275
G. COLANGELO, La tutela delle invenzioni biotecnologiche in Europa e negli Stati Uniti alla luce dei
casi Brüstle e Myriad Genetics, in Giur. comm., I, 2012, p. 35, per il quale a distanza di trent’ anni dalla
decisione Diamond v. Chackrabarty, il confine delle invenzioni biotecnologiche non è ancora del tutto
chiaramente definito a causa della crisi che ha coinvolto il fondamentale legame appropriazione-
innovazione, a base del sistema brevettuale, innescatasi con il riconoscimento della tutelabilità del vivente
e del software, che rischiano di provocare un’ inondazione di privative.