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INTRODUZIONE
L’Importanza di aderire ad un partito, movimento, gruppo è sempre stata la base su cui
poggia la libertà di partecipazione alle questioni pubbliche di ogni stato. E’ innegabile che,
in un momento storico in cui si dibatte sul contributo che ognuno di noi fornisce
quotidianamente, la presenza di attori come i movimenti, che incarnano la voglia di
occuparsi della collettività, risultano essenziali per la nostra democrazia.
Nel mondo occidentale i movimenti femministi sono la componente più dinamica della
società, quella che sta cambiando più rapidamente i propri connotati a livello sociale,
culturale ed economico. Grazie alla lunga marcia nel campo dei diritti, dell’istruzione e del
mondo del lavoro sono passate da una situazione di totale svantaggio a una condizione di
quasi parità in molti aspetti del nostro vivere in società.
Nonostante gli obiettivi raggiunti e i risultati ottenuti dai movimenti femministi, grazie a
questa lotta iniziata più di un secolo fa, ancora oggi, purtroppo, le donne vedono i loro diritti
non riconosciuti o calpestati e, in varie occasioni, sono oggetto di discriminazioni, di
pregiudizi e di violenze.
Da qui, la necessità di promuovere un nuovo modello di protesta che esca fuori dalla logica
del megafono e della piazza: una nuova frontiera della libertà di espressione che vede nelle
“Pussy Riot” e nelle “Femen” la sua massima rappresentazione.
Scopo della tesi è riflettere sulla connessione tra passato e presente dei movimenti
femministi. Attraverso un’analisi di essi cercherò di cogliere le varie differenze riguardo il
tipo di reclutamento, il metodo di protesta, gli obiettivi e le strategie.
Il primo capitolo è dedicato al tema dei movimenti sociali; dopo una iniziale definizione di
questi ultimi, si passa alla presentazione degli aspetti principali, delle prospettive teoriche e
della produzione simbolica, con riferimento soprattutto al concetto di frame e di identità.
Successivamente, si passano in rassegna i temi degli individui, della dimensione
organizzativa e dell’importanza delle reti sociali all’interno dei movimenti.
Si cercherà poi di spiegare l’uso e la diffusione della protesta nei movimenti sociali con
un’attenzione particolare alle diverse logiche utilizzate dai movimenti.
Infine, ci si occupa delle influenze dei movimenti sui sistemi politici, accennando quelli che
sono i loro alleati e oppositori, e dei principali tipi di movimenti sociali.
Il secondo capitolo si concentra, invece, sulla ricostruzione storica dei movimenti femministi
spiegati attraverso l’utilizzo dell’ampia letteratura in materia. Si ripercorrerà un percorso
diviso in quattro “ondate”, ognuna delle quali si caratterizza per un nocciolo di
rivendicazioni precise, adatte al periodo storico.
Partendo dalla prima ondata femminista, sviluppatasi tra la fine del Settecento e l’inizio del
Novecento, in cui emergeranno gli importanti contributi della francese de Gouges e delle
inglesi Mary Wallstonecraft, Taylor e Fawcett, si giungerà ai primi movimenti
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emancipazionisti, per passare poi ad analizzare il fenomeno delle Suffragette, citando le
principali attiviste, le modalità di protesta e i loro sforzi per conquistare il diritto di voto.
Si passerà poi alla seconda ondata e ai famosi anni ’70 che portarono la nascita di nuovi
movimenti femministi e relative organizzazioni (l’americano NOW e gli italiani DEMAU e
M.L.D) che spostarono l’attenzione sulle differenze tra donne e uomini e sulla diversità del
pensiero femminile rispetto al maschile. Si discute, per tale motivo, di temi assolutamente
nuovi incentrati sulla libertà sessuale: il corpo, il desiderio e le scelte (o non scelte) di
maternità, ma anche il rifiuto di etichette degradanti.
Si giungerà così alla terza ondata che prende avvio negli anni Novanta del secolo scorso,
durante la quale verranno trattate tematiche molto varie. Si accendono i riflettori sulle
violenze sessuali e domestiche, sul divario salariale e sulla mercificazione del corpo
femminile. Molto attivo in questa fase sarà il “Movimento per la Giustizia Globale”.
Nell’ultimo capitolo del mio progetto, analizzerò la quarta “ondata” di movimenti
femministi, iniziando a porre l’accento al panorama italiano, con i movimenti “Se Non Ora
Quando” (SNOQ) e “Non una di Meno”.
Particolare attenzione, poi, sarà posta a Femen e Pussy Riot, due dei movimenti femministi
più discussi degli ultimi dieci anni.
Il primo, di origine Ucraina, è principalmente noto all’opinione pubblica internazionale per
la decisone di usare, quale strategia di protesta slogan scritti sul seno nudo delle attiviste, in
quanto da loro considerato strumento per rovesciare l’immagine del corpo della donna
(violentato e usato dalla società maschilista ucraina) e strumento di affermazione politico e
sociale.
Le Pussy Riot, invece, sono delle attiviste e musiciste russe che nell’ultimo decennio sono
riuscite attraverso le loro performances art, documentate e fatte rimbalzare nel web, a
protestare contro un sistema che sentono sempre più autoritario.
Entrambi i movimenti pongono come obiettivo primario la ridefinizione dei confini del
discorso sul ruolo femminile nella società contemporanea. Invitano quindi le donne a farsi
valere, a combattere per i propri diritti e a conquistare la propria dignità, assumendo un ruolo
sociale attivo, cessando di essere donne-oggetto.
L’” Antisoggetto”, a cui si oppongono, è la democrazia miope che non rispetta i diritti delle
donne e delle minoranze. Lo scopo delle loro proteste non è solo quello di attirare
l’attenzione, ma di provocare dei cambiamenti profondi che riguardano l’intera società,
cercando di destabilizzare le relazioni intersoggettive del potere e il cambiamento della
strategie comportamentali.
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1. I Movimenti Sociali
1.1 Definizioni e aspetti caratteristici dei movimenti sociali
I Movimenti Sociali sono oggetto di ricerca di molti studiosi, il cui patrimonio di
ricerca è decisamente ricco e stimolante.
-Possiamo definire i movimenti sociali come “sfide collettive” portate avanti da
individui con “scopi comuni” e uniti da vincoli di “solidarietà”, capaci di sostenere l’”
interazione” con le élite, le autorità e gli avversari (Tilly 1978;1993).
I movimenti sociali avanzano rivendicazioni mediante un’azione di “sfida collettiva”,
rivolta contro élite e autorità. Le sfide collettive nella maggior parte dei casi sono
caratterizzate da atteggiamenti che mirano a sospendere o ostacolare le attività altrui.
La sfida collettiva rappresenta la strategia a cui più movimenti sociali ricorrono, in
quanto permette di conquistare nuovi sostenitori, di poter avanzare le proprie
rivendicazioni e di poter ottenere l’attenzione degli avversari nonostante la mancanza
di alcune risorse (denaro, accesso allo stato) che i partiti politici e i gruppi di interesse
invece dispongono.
Gli individui possono creare un movimento sociale solo qualora esistano sentimenti di
solidarietà o di identità profondamente radicati (Es. Il nazionalismo e l’appartenenza
etnica, la religione e la fede comune, ecc.).
Infine, un’altra caratteristica necessaria e che permette di distinguere un movimento
sociale da un semplice episodio di protesta è la capacità di sostenere l’azione collettiva
contro gli avversari.
-Altre ricerche hanno portato ad un’altra definizione di movimenti sociali visti dei
processi di mobilitazione collettiva, includenti forme di protesta, volti a stabilire un
nuovo ordine di vita e/o di sviluppo (Blumer 1946).
-Della Porta e Diani definiscono, invece, i movimenti sociali quelle “reti di relazioni”
prevalentemente informali, basate su “credenze condivise e solidarietà”, che si
mobilitano su “tematiche conflittuali” attraverso un uso frequente di varie forme di
“protesta” (della Porta e Diani 1997).
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In primo luogo, i movimenti sociali sono reti di relazioni informali tra una pluralità di
individui e gruppi più o meno strutturati da un punto di vista organizzativo. A
differenza dei partiti o dei gruppi di pressione, dove esistono confini organizzativi ben
precisi, essendo l’appartenenza regolata da una tessera di iscrizione ad una specifica
organizzazione, i movimenti sociali sono invece composti da reti debolmente collegate
di individui che si sentono parte di uno sforzo collettivo. I movimenti non sono
organizzazioni, ma piuttosto reti di relazione tra attori diversi, che possono anche
includere organizzazioni formali (ibidem).
Altra caratteristica necessaria per i movimenti è la presenza di una pluralità di attori
che, pur mantenendo la loro autonomia e indipendenza, cooperano per il
raggiungimento di obiettivi comuni. Le reti permettono la creazione di un sistema di
credenze, favorendo l’elaborazione di nuove interpretazioni della realtà. I movimenti
contribuiscono alla formazione di un vocabolario e all’emergere di idee e di
opportunità di azione che in passato erano sconosciute o inconcepibili (Gusfield 1981).
L’azione dei movimenti sociali è un’azione collettiva. Essi sono attori collettivi
impegnati in conflitti di natura politica e/o culturale, volti a promuovere o ad ostacolare
il mutamento sociale (Touraine 1987).
Infine, i movimenti sociali si caratterizzano per adottare forme inusuali di
partecipazione politica come la protesta, la quale è una forma non convenzionale di
azione che interrompe la routine quotidiana. I movimenti sociali sono caratterizzati
dall’uso della protesta come mezzo di pressione sulle istituzioni (Rucht 1994). Chi
protesta si rivolge in genere all’opinione pubblica, prima ancora che ai rappresentanti
eletti o alla burocrazia pubblica. I movimenti tendono ad usare i mass media per
espandere i propri messaggi: di qui il bisogno di forme d’azione non convenzionali
che possano attirare l’attenzione (della Porta 2008).
Dunque, questi elementi esaminati ci aiutano a distinguere i movimenti sociali da
diverse forme di azione collettiva più strutturata, che assumono la forma di partiti, di
gruppi di interesse o di sette religiose (della Porta, Diani 1997).
I movimenti sociali rappresentano, quindi un universo sociale più che un singolo
attore. Sono delle forme di azione collettiva “oppositive” rispetto ai tradizionali canali
della politica (partiti) (Capano 2014).
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1.2 Evoluzione storica di movimenti
1.2.1 I movimenti operai
La natura dei movimenti sociali è cambiata nel corso dei decenni.
Il movimento che ha dominato la scena politica per tutto il XIX secolo e parte del XX
è quello operaio, dove lo scopo principale era resistere al potere padronale nell’ambito
del conflitto capitale/lavoro, realizzando una società basata sul principio di
eguaglianza (De Nardis 2013).
Inizialmente, tali movimenti assumono la forma di società di mutuo soccorso, leghe
operaie e leghe contadine fino alla nascita del Sindacato in Inghilterra, come i Trade
Union (1824), le leghe francesi (1864) e quelle tedesche (1869). Obiettivo di queste
associazioni era migliorare i salari, le condizioni di vita, ecc.
Il movimento operaio da, inoltre, la spinta alla costituzione di movimenti politici e
partiti di ispirazione popolare e operaia di diversa matrice. Da questi partiti emersero
le prime grandi formazioni sindacali, come la Confédération générale du travail in
Francia nel 1875 e la Confederazione Generale del Lavoro in Italia (1906) ora
Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL).
Nello stesso periodo si sviluppò il socialismo scientifico elaborato da Karl Marx e
Friedrich Engels che darà vita insieme ad altre correnti alla Prima Internazionale o
Associazione Internazionale dei Lavoratori (A.I.L).
Negli ultimi tre decenni del XX secolo al movimento operaio si sono aggiunti nuovi
tipi di movimenti, che a differenza del movimento operaio, non si limitano a lottare in
nome di rivendicazioni di tipo materiale ma si spingerebbero fino a sfidare le
rappresentazioni culturali dominanti dell’agire politico e sociale (ibidem).
1.2.2 I Movimenti nel pensiero sociale classico
I principali autori classici della sociologia analizzano il tema dell’azione collettiva.
Marx si concentra sul tema del conflitto tra classi creando le condizioni teoriche per la
formazione del movimento dei lavoratori (ibidem).