INTRODUZIONE
E non aveva fatto cento passi che gli scivolò accanto
qualcuno e gli sussurrò all’orecchio – ed ecco! Colui che gli
parlava era il pagliaccio della torre. “Va via da questa
città, Zarathustra”, diceva “qui ti odiano in troppi. Ti
odiano i buoni e i giusti e ti chiamano loro nemico e
spregiatore; ti odiano i fedeli della vera fede e ti chiamano
un pericolo per la folla […]
Friedrich W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra
Il 21 dicembre del 1599, nel corso del ventiduesimo costituto del processo
che lo vedeva coinvolto, Bruno dichiarò infine la propria volontà di non
ritrattazione: «Dixit quod non debet nec vult resipiscere, et non habet quid
resipiscat, nec habet materiam resipiscendi, et nescit super quo debet resipisci»
1
.
1
Dalla minuta della visita dei carcerati nel Sant’Uffizio romano (Roma, 21 dicembre 1599),
contenuta in L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, Roma, Salerno
editrice, 1993, Doc. 64, p. 333. Il saggio contenuto in questa edizione del Processo, comparso per
la prima volta in due parti tra il 1948 ed il 1949 sulla «Rivista storica italiana», è qui nuovamente
edito, riveduto dal suo autore ed accompagnato dalla nuova edizione del materiale processuale, a
cura di D. Quaglioni. L’edizione cui in seguito si farà riferimento sarà quella del 1993, salvo
diversa indicazione. Sul processo di Giordano Bruno, è fondamentale, oltre alla già menzionata
ricostruzione di L. Firpo, A. Mercati, Il sommario del processo di Giordano Bruno, con appendice
di documenti sull’eresia e sull’Inquisizione a Modena nel secolo XVI, Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, 1942 (rist. anast., Roma, 1972). Si vedano, inoltre, L. Firpo, In
margine al processo di Giordano Bruno: Francesco Maria Vialardi, in «Rivista storica italiana»,
LXVIII, 1956, fasc. III, pp. 325-64; C. De Frede, L’estradizione di Giordano Bruno da Venezia, in
«Archivio storico per le province meridionali», CXII, 1994, pp. 57-101. I costituti veneti sono
pubblicati anche in Giordano Bruno. Un’autobiografia, a cura e con un’Introduzione di M.
Ciliberto, Napoli, Procaccini, 1995. Tra gli altri contributi pubblicati di recente si vedano E.
Canone, L’editto di proibizione delle opere di Bruno e Campanella, «Bruniana & Campanelliana»,
I, 1, 1995, pp. 43-61; L. Spruit, Due documenti noti e due documenti sconosciuti sul processo di
Bruno nell’Archivio del Sant’Uffizio, «Bruniana & Campanelliana», IV, 2, 1998, pp. 469-73;
M.A. Granada, «Esser spogliato dall’umana perfezione e giustizia». Nueva evidencia de la
presencia de Averroes en la obra y en el proceso de Giordano Bruno, «Bruniana &
Campanelliana», V, 2, 1999, pp. 305-31; F. Beretta, Giordano Bruno e l’Inquisizione romana.
2
In precedenza, invero, il Nolano si era detto disposto ad abiurare le otto
proposizioni eretiche che nella sua dottrina erano state indagate dai consultori, e
per rafforzare più vivamente il suo proposito diede disponibilità ad abiurare anche
altre proposizioni che ne derivassero, tanto che Firpo poteva affermare che il
processo «parve giunto in porto senza drammatico epilogo»
2
.
Senonché l’intenzione era accompagnata e controbilanciata da un
memoriale, attraverso il quale il filosofo riapriva il dibattito con i suoi
interlocutori e più ancora con il pontefice, il quale neppure ne prese visione.
Il contegno processuale del Bruno, che si era difeso ora facendo valere le
proprie posizioni ora appoggiandole alla dottrina dei Padri, riconoscendo
l’erroneità delle sole tesi che non vi si accordavano e chiedendo clemenza per i
propri atteggiamenti più radicali, non aveva sortito esito alcuno in assenza di una
piena sottomissione delle basi del suo pensiero al rigore della censura. Il collegio
dei giudici lo condannò, e con lui le opere, riconoscendovi errori pertinaci et
ostinati: Bruno veniva così affidato al governatore di Roma, Ferrante Taverna, per
l’esecuzione della pena, «pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il
rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o
mutilazione di membro»
3
.
Il processo di Bruno, con la sua drammatica conclusione, è, non già nel
merito della polemica storiografica che ne ha segnato la critica, tesa ora a ribadire
Considerazioni sul Processo, «Bruniana & Campanelliana», VII, 2, pp. 537-45. Sul contegno
processuale e sulla linea difensiva seguita dal Nolano, si vedano gli incisivi rilievi di D. Quaglioni,
L’autodéfense de Giordano Bruno, in Mondes, formes et société selon Giordano Bruno, textes
réunis par Tristan Dagron et Hélèn Vedrin, Paris, Libraire Philosophique J. Vrin, 2003 (sono qui
riuniti i contributi di un convegno internazionale tenutosi a Parigi dal 23 al 25 marzo del 2000); il
testo della relazione è disponibile anche in versione italiana, D. Quaglioni, «Ex his quae deponet
iudicetur». L’autodifesa di Bruno, «Bruniana & Campanelliana», VI, 2, 2000 pp. 299-319, d’ora in
avanti edizione di riferimento per i rilievi che saranno svolti.
2
L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, cit., p. 94.
3
Dalla copia parziale della sentenza, destinata al governatore di Roma (Roma, 8 febbraio
1600), contenuta in L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, cit., Doc. 66,
pp. 339-44. La sentenza è firmata dai nove cardinali inquisitori: Madruzzo, Santori, Deza, Pinelli,
Bernerio, Sasso, Borghese, Arrigoni, Bellarmino. Gli scritti del Nolano, simultaneamente
condannati ad essere bruciati sul sagrato della basilica di San Pietro, furono subito inseriti
nell’Indice dei libri proibiti: la Congregazione dell’Indice registrò, infatti, il provvedimento quello
stesso giorno, come documentato in L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D.
Quaglioni, cit., Doc. 68, p. 346.
3
le ragioni della condanna con il Mercati ora a fare dell’imputato una vittima
precostituita dell’Inquisizione romana, chiave di lettura del suo percorso
speculativo. Lo studio delle carte processuali riveste, infatti, grande utilità «non
certo per riesaminare i soli aspetti procedurali e per verificare la conformità del
giudizio e del suo tragico esito alle regole del diritto penale canonico o allo stylus
dell’Inquisizione romana», ma per ricercare in esse la testimonianza delle dottrine
filosofiche dell’imputato
4
.
Qui interessano maggiormente le opinioni sostenute dalla critica sulle
motivazioni che mossero il Bruno al ritorno in Italia.
Mise à part cette invitation circonstancielle de Mocenigo, les biographes
n’ont pas établi avec certitude pourquoi Bruno est rentré si vite et si imprudemment
en Italie. Au XIX
e
siècle, on attribuait ce retour à un sentiment de nostalgie pour la
terre natale : hypothèse bien vague. Au XX
e
, quelques spécialistes sérieux ont
soutenu que le retour de Bruno aurait constitué la première étape d’une «entreprise
de réforme religieuse» : cette deuxième hypothèse apparaît aujourd’hui sans
fondement, surtout depuis les découvertes récentes.
È Giovanni Aquilecchia, il cui contributo alla critica del pensatore nolano è
peraltro guida insostituibile: nella ricostruzione della vicenda esistenziale e di
pensiero del Bruno, Aquilecchia diverge in questo luogo da quanti sostennero in
passato che il motivo del ritorno in Italia da parte del filosofo fosse un forte
4
D. Quaglioni, «Ex his quae deponet iudicetur». L’autodifesa di Bruno, cit., p. 305. A tale
proposito, si considerino le considerazioni di L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di
D. Quaglioni, cit., pp. 25-26: «Di fronte alle accuse il contegno del Bruno fu infatti improntato ad
una norma rigorosa: quando la questione mossagli toccava un serio tema filosofico o teologico,
egli non esito ad aprire il suo pensiero, spesso non curandosi delle conseguenze giudiziarie di tale
sua sincerità: difese anzi questo pensiero e lo giustificò più o meno efficacemente ricorrendo,
quando poté, alla Scrittura, ai Padri, ai dottori, o almeno al lume naturale del filosofo». Si vedano
gli incisivi rilievi sul punto di D. Quaglioni, «Ex quae deponet iudicetur». L’autodifesa di Bruno,
cit., dal quale è tratto il passo evidenziato nel testo. Importanti considerazioni sono inoltre
contenute in D. Quaglioni, Il Bruno di Luigi Firpo, «Il pensiero politico», XXVII (1994), pp. 3-17;
poi ripubblicato in Giordano Bruno. Note filologiche e storiografiche, Firenze, Olschki, 1996
(Fondazione Luigi Firpo, Centro di studi sul pensiero politico. Quaderni 1), pp. 37-55: «Il Bruno
di Firpo è dunque il Bruno riumanizzato, il cui atteggiamento si illumina di una piena coerenza,
che non è però quella monolitica del diniego costante, ma quella umana e viva della lunga ed
alterna disputa coi giudici e più con se stesso; è il Bruno ritratto nella sua dolente e umana
fisionomia carica di debolezze e di miserie e restituito allo stesso tempo alla sua grandezza di
pensatore e di assertore di libertà, vittima di una intolleranza, la cui giustificazione non va oltre il
piano storico, assertore non già di opinioni filosofiche contingenti, ma del diritto dell’uomo di
credere a ciò che pensa, non di pensare per forza quello cui altri vuol ch’egli creda».
4
sentimento di nostalgia o, opinione più seriamente sostenuta, in particolare da
Antonio Corsano, una volontà di riforma sociale
5
.
Aquilecchia rinviene i motivi contingenti del ritorno nel «ritrovamento,
annunciato nel 1962, di lezioni inedite di Bruno di argomento matematico […]
cronologicamente assegnabili, per la materia trattata, al periodo immediatamente
successivo all’ultimo soggiorno francofortese»
6
.
Lo scopo di Bruno al suo rientro in Italia sarebbe coinciso, secondo quanto
qui tratteggiato, con un desiderio da parte di questi di ricoprire incarichi
accadamici presso lo studio patavino.
De plus, nou savons qu’à Padoue il donna des leçons «à certains étudiants
allemands», parmi lesquels on remarque Hieronymus Besler de Nuremberg, qui
avait déjà été son disciple et lui avait servi secrétaire pendant le séjour à Helmstedt ;
ce Besler transcrivit à Padoue quelques ouvrages du philosophe, notamment (entre le
1er et le 22 septembre 1591, comme on l’a vu) la Lampas triginta statuarum, dont la
composition remontait à 1587, et pendant l’automne de la même année le De
vinculis in genere (ébauché par Bruno l’année précédente, et publié posthume en
1891) ; ce petit traité est étroitement lié à l’analyse des «liens» développée dans le
De magia et les Theses de magia. Besler transcrivit aussi un «livre De sigillis
Hermetis et Ptolomaei et d’autres», inédit et perdu, dont Bruno nia être l’auteur.
C’est en s’appuyant sur ces traités de magie naturelle, au demeurant pleinement
conformes aux conceptions bruniennes de la vie et del l’univers, que dans le passé la
critique prêtait à Bruno l’intention d’entreprende en Italie une réforme religieuse, au
service de laquelle il aurait mis ses connaissances en occultisme.
Aquilecchia avanza la tesi che il ritorno del Bruno vada visto in correlazione
con la corrispondenza da questi tenuta con il Besler, ciò sostenendo pur in assenza
del carteggio stesso, il cui oggetto sarebbe da individuarsi nell’interesse
5
Il brano citato è tratto da G. Aquilecchia, Giordano Bruno, Paris, Les Belles Lettres, 2000,
pp. 68 sgg. Diversamente da quanto indicato nell’edizione, l’opera non costituisce una traduzione
in francese dal Giordano Bruno edito in Roma nel 1971, e pubblicato nella Bibliotheca
Biographica per i tipi dell’Istituto della Enciclopedia italiana. L’edizione francese costituisce, al
contrario, una rimeditazione compiuta dall’autore sulla base del lavoro precedente, opera quindi
ripensata a distanza di anni dalla prima, il cui piano espositivo e analitico è peraltro rimasto fedele
all’edizione originaria. Tra le altre opere di Aquilecchia si vedano le Schede bruniane (1950-
1991), Manziana, Vecchiarelli, 1993; I dialoghi italiani (varietà di varianti), in Giordano Bruno.
Note filologiche e storiografiche, Firenze, Olschki, 1996 (Fondazione Luigi Firpo, Centro di studi
sul pensiero politico. Quaderni 1), pp. 25-35.
6
Si veda la gia citata edizione del Giordano Bruno del 1971, pp. 78 e sgg. Aquilecchia si
riferisce qui alle Praelectiones geometricae, cui si aggiunge l’Ars deformationum.
5
accademico del Nolano
7
.
Tuttavia, quanto qui asserito da Aquilecchia non sembra escludere, ma in
qualche misura confermare, anche se solo sul piano delle intenzioni accademiche,
quanto da altri sostenuto sul legame tra il ritorno in Italia e la volontà riformatrice
manifesta in Bruno. E di ciò si discuterà affrontando la posizione di Corsano.
7
Valga qui invece l’edizione francese del 2000, pp. 70-71. La datazione proposta della
trascrizione del Besler si discosta leggermente da quella avanzata nell’edizione del 1971, a p. 80,
dal primo settembre 1591 al 21 ottobre dello stesso anno.
CAPITOLO I
IL DE VINCULIS IN GENERE:
LA MAGIA CIVILE, L’OPERATORE MAGICO
Quando gli inquisitori lo arrestarono, a Venezia nel 1592, sottraendogli così
la possibilità di macinare libri e carte ed anche la possibilità di esprimersi – se non
nelle forme basse praticate coi poco consapevoli compagni di carcere e nelle forme
costrette e imbrigliate adottate nei colloqui con gli inquisitori – Giordano Bruno era
totalmente immerso in quello che sembra l’atto finale della sua rapinosa impresa
intellettuale: l’esplorazione del mondo sommerso della « antica » magia, la cui
restaurazione assumeva la valenza di una piena restaurazione dei modi della
religione antica, da riproporre per i tempi nuovi.
Nella sua Introduzione ad una edizione del De magia e del De Vinculis in
genere per i tipi delle «Edizioni Biblioteca dell’Immagine», Albano Biondi
delinea i tratti della «forte presenza dell’elemento magico nell’opera di Bruno, e
in particolare nelle opere latine, che aveva sconcertato non poco i curatori
dell’edizione nazionale a fine ’800»
1
. Biondi afferma a tale proposito i meriti
degli studi compiuti da Frances A. Yates:
Si deve a Frances Yates la prima grande ricostruzione simpatetica della
magia bruniana: qui tutto ciò che sembrava marginale nell’opera di Bruno diviene
centrale. Le fatiche lulliane, le sempre ripetute trattazioni dell’arte della memoria, le
lodi dell’antico Egitto, Pitagora, Ermete e Aglaofamo, l’ebbrezza della scoperta
copernicana dell’infinità dei mondi, l’attenzione ossessiva agli experimenta naturae
che attestano la realtà del mondo come mondo pieno di dei o spiriti, la ricerca di una
lingua originaria che permetta di ricucire la frattura d’incomprensione tra uomini e
dei, il panmaterialismo che è contemporaneamente panspiritualismo: questi e altri
sono gli elementi che permettono alla Yates di caratterizzare Bruno come il grande
mago eterodosso (in contrapposizione al neoplatonismo ortodosso) del
Rinascimento, un Bruno «egizio», comunque post-cristiano.
1
A. Biondi, Introduzione, in Giordano Bruno, De magia, De vinculis in genere, a cura di A.
Biondi, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 1986, pp. IX-XIX. Si intenda il termine «rapinosa»
in senso enfatico, per sottolineare il valore della ripresa compiuta dal Bruno di temi propri della
magia antica, che sono rapinati e restaurati per i tempi nuovi.