2
apporterà; dall’altro, la consapevolezza degli obblighi imposti dal
nostro ruolo nell’unificazione del continente”
2
.
Le autorità polacche, peraltro, hanno dichiarato la loro ferma
intenzione di utilizzare il periodo precedente all’accesso per
creare le condizioni che permetteranno al Paese di partecipare in
termini paritari all’interno dell’U.E.; a tal riguardo, il
“Comitato per l’integrazione Europea”
3
, nella parte introduttiva
del documento denominato “Strategia Nazionale per
l’Integrazione”, ha affermato: ”La nostra comune esperienza
storica europea mostra che le società che rimangono fuori della
via maestra della cooperazione economica, vengono lasciate
dietro... La qualità di membro dell’Unione Europea richiede
sostanziali aggiustamenti dell’economia e delle leggi. E’ perciò
necessario intensificare le preparazioni affinchè la Polonia possa
non solo adempiere alle condizioni formali per l’ammissione
nell’UE, ma anche guadagnare il maggior vantaggio possibile nel
periodo prima e dopo l’accesso”.
Anche l’economista Jersey Hausner
4
, coordinatore dei consiglieri
del Primo Ministro Grzegorz Kolodko tra il 1994 e il 1997,
sostiene che il soddisfacimento da parte della Polonia dei criteri
ai quali l’UE ha subordinato l’accesso, costituisce una
condizione necessaria ma non sufficiente per una reale
integrazione con l’Europa. Condividendo l’impostazione del
Comitato per l’Integrazione Europea, egli ritiene che un
2
Tratto da AGENDA 2000 [7/1997]; p.10.
3
Il Comitato per l’integrazione europea (KIE) ha sostituito nel 1996 l’Ufficio Plenipotenziario
per l’Integrazione Europea e l’Assistenza estera (che era Stato creato dopo la stipulazione
dell’Accordo Europeo con l’Unione Europea nel 1991) ed ha il compito di avviare ed
organizzare tutte le attività che riguardano il processo d’integrazione nell’UE, specie nelle aree
dell’economia e del sistema normativo.
4
Tratto da Friedrich Ebert Foundation [1998]; pp.9-12.
3
aggiustamento formale, seppur meticoloso, agli standard dettati
dall’Unione, non garantirebbe il futuro sviluppo del Paese.
D’altre parte, fa notare Hausner, sebbene, ufficialmente, le
condizioni d’accesso siano solamente quelle stabilite dall’UE nel
1993 a Copenaghen, è molto probabile che l’autonoma decisione
della Polonia di convergere anche verso i parametri economici di
Maastricht
5
, avrà un positivo impatto sul corso delle negoziazioni
e sull’eventuale data d’ammissione
6
. Sembra, infatti, che il grado
di aggiustamento dell’economica polacca agli standard europei
stia diventando essenziale per rafforzare la posizione negoziale
del Paese. In effetti, Saryusz-Wolski
7
, Vice-Rettore del Collegio
d’Europa di Varsavia, spiega che, all’inizio del processo di
transizione, l’entusiasmo dei Paesi dell’U.E. verso
l’allargamento ad Est (provocato dalla fine della Guerra Fredda
e dalla caduta del Muro di Berlino) era stato imperniato su
motivazioni politiche e di sicurezza militare; in quel periodo,
cioè, si riteneva che conservare le barriere e le ineguaglianze
esistenti tra gli Stati occidentali e quelli centrorientali avrebbe
inevitabilmente messo in pericolo la stabilità sia politica che
militare del continente europeo. Con la dissoluzione del Patto di
Varsavia e, ultimamente, con l’adesione alla NATO di alcuni
Paesi dell’Est (tra cui la Polonia), tale pericolo è andato via via
sfumando, riportando l’attenzione dei politici e dell’opinione
pubblica dell’Unione Europea su considerazioni meramente
economiche. In particolare, attualmente si teme per gli enormi
5
I parametri di Maastricht sono quei requisiti di natura economica che gli Stati membri devono
soddisfare per essere ammessi alla fase dell’Unione Economica e Monetaria.
6
Il governo polacco, attraverso il documento di programmazione economica “Euro 2006”, ha
già definito la strategia che dovrà condurre la Polonia a far parte dell’Unione Economica e
Monetaria.
7
Tratto da Maresceau [1997]; p.276.
4
costi finanziari che dovranno essere sostenuti per estendere le
politiche U.E. (agricola, dei fondi strutturali, dei fondi di
coesione, ecc.) ai Paesi candidati; questi ultimi, oltre ad essere
economicamente arretrati, contano, nel complesso, circa 100
milioni di abitanti (quasi 40 milioni la sola Polonia). Il nuovo
atteggiamento delle autorità europee ben si evince da una frase
pronunciata da Hans Van den Broek durante una riunione della
Commissione Parlamentare congiunta UE-Slovacchia nel giugno
1996
8
: “Nessun Paese candidato all’Unione Europea può assumere
che l’allargamento andrà comunque avanti per ragioni
genericamente politiche”.
Le perplessità presenti in seno all’U.E. hanno avuto un peso
decisivo sull’esito dei lavori della Conferenza Intergovernativa
del 1996. Nelle iniziali intenzioni, questa avrebbe dovuto fissare
le tappe del processo di allargamento ad Est e, allo stesso tempo,
affrontare la riforma delle principali istituzioni dell’Unione
Europea, assolutamente necessaria per poter operare in modo
efficiente nella prospettiva di un’Unione allargata; nel concreto,
la Conferenza, conclusasi nell’ottobre 1997 con la sigla del
Trattato di Amsterdam, ha evitato di definire chiaramente quando
i candidati diventeranno Paesi membri, e ha rimandato a tempo
indeterminato le riforme istituzionali. In altre parole, l’Unione
Europea starebbe attuando quella che l’economista polacca
Miriam Paszynski
9
definisce “option value to waiting”; gli Stati
dell’UE, cioè, avendo già goduto dei benefici derivanti
dall’apertura dei mercati dell'Est alle merci occidentali,
8
Tratto da Maresceau [1997]; p.277.
9
Paszynski [1998]; p. 6.
5
troverebbero convenienza nel rimandare l’accesso di nuovi Paesi
fino a quando non si prospetteranno ulteriori e sicuri vantaggi.
Dall’altra parte, le forze politiche dei Paesi candidati premono
affinchè siano accelerati i tempi d’accesso; sperano, infatti, di
riuscire a sfruttare l’iniziale entusiasmo delle popolazioni verso
l’integrazione europea prima che queste prendano coscienza
degli enormi sforzi economici e sociali che dovranno essere
affrontati anche dopo l’ammissione nell’Unione Europea
10
.
Il governo polacco, in particolare, pur consapevole che il
processo di globalizzazione dell’economia rende inevitabili la
modernizzazione e la ristrutturazione del proprio sistema
produttivo, teme che ulteriori ritardi nell’entrata nell’UE
faranno perdere ai cittadini la misura dell’importanza
dell’integrazione del Paese nei traffici economici mondiali. Per
di più, si afferma esplicitamente nel documento “Strategia
Nazionale per l’Integrazione”, la Polonia, seppur disposta a
sopportare i costi per l’adeguamento a regole imposte
dall’esterno (e, in quanto standardizzate, non negoziabili), si
aspetta che anche l’Unione mantenga il suo impegno ad
accollarsi le conseguenze finanziarie che l’adesione di nuovi
Paesi immancabilmente comporta
11
.
In conclusione, quindi, si può affermare che, oramai, non si
tratta più di definire “se”, bensì “quando” la Polonia e gli altri
Stati candidati diventeranno membri europei. La decisione finale
dell’UE in merito alla data d’accesso, pur se sottoposta
formalmente ad una sistematica procedura di sorveglianza delle
riforme politiche ed economiche in atto nei Paesi candidati,
10
Cfr. ad esempio Jersey Hausner [1998].
11
The Committee for European Integration [1997].
6
scaturirà, nella pratica, dalla valutazione dei costi economici
legati all’integrazione; la Polonia, di conseguenza, essendo un
Paese relativamente popoloso ed economicamente arretrato,
dovrà concentrarsi sugli aggiustamenti della propria economia:
solo riducendo al minimo l’impatto sulle politiche finanziarie
dell’Unione Europea, potrà sperare di ridurre al minimo i tempi
per la sua integrazione.
Lo scopo principale che questo lavoro si prefigge è quello
di esaminare il processo d’integrazione della Polonia
nell’Unione Europea, dedicando particolare attenzione alle
politiche ed agli strumenti macroeconomici utilizzati dalle
autorità centrali per soddisfare sia i criteri d’accesso fissati dal
Consiglio Europeo di Copenaghen, sia i parametri economici di
Maastricht in vista dell’annunciata volontà del governo polacco
di partecipare entro il 2006 all’Unione Economica e Monetaria.
Il 1° capitolo, avrà ad oggetto il processo di avvicinamento
della Polonia alle istituzioni dell’Unione Europea avvenuto dopo
il crollo del regime comunista, nonché l’attuale stato di
avanzamento del processo integrativo. Verranno anche
sottolineati alcuni degli atteggiamenti culturali e sociali dei
polacchi in merito alla prospettiva dell’entrata nell’UE.
Nel 2° capitolo, dopo aver ripercorso i passaggi
fondamentali dell’economia polacca dal dopoguerra fino ai primi
7
anni ‘90, verrà fornito un quadro complessivo dell’evoluzione dei
principali indicatori macroeconomici nel periodo 1994-1998.
Nel 3° capitolo si esamineranno i progressi verso
l’adeguamento ai criteri di Copenaghen e, soprattutto, ai
parametri di Maastricht, con particolare attenzione alle politiche
economiche impiegate dalle autorità centrali. Verranno in questo
modo messe in evidenza le grandezze economiche su cui si dovrà
ulteriormente intervenire e quelle che già soddisfano i parametri
di Maastricht.
Il 4° capitolo, infine, terrà conto della fondamentale
influenza dei partiti politici, dei cittadini e dei gruppi d’interesse
sul proseguimento del processo d’integrazione.
8
Capitolo 1
1.1 LA POLONIA E L’ORIENTAMENTO VERSO
L’EUROPA OCCIDENTALE
L’istituzione della CEE nel 1957 coincise con l’acuirsi della
Guerra Fredda. La Polonia, inquadrata all’interno del
COMECON, si allineò alla politica indicata dall’Unione
Sovietica, opponendosi alla formazione di un’Europa occidentale
integrata e rifiutando di riconoscerne la competenza
sovranazionale nel commercio internazionale. La situazione
iniziò a cambiare negli anni ’80, grazie alla maggiore flessibilità
mostrata dall’Unione Sovietica nei confronti della CEE e per
effetto della più ampia libertà concessa ai Paesi del blocco
sovietico nel perseguimento dei propri interessi. La prima
conseguenza tangibile di questi cambiamenti ci fu nel giugno
1988 con la dichiarazione congiunta COMECON - CEE istituente
relazioni diplomatiche. L’anno successivo i Paesi dell’Europa
Centrale ed Orientale (PECO) e la Comunità Economica Europea
stipularono un accordo decennale per il commercio e la
cooperazione (TCA), che previde il conferimento reciproco dello
status di nazione più favorita e la graduale abolizione entro il
1994 delle restrizioni quantitative applicate dalla Comunità alle
importazioni provenienti dalla Polonia; tuttavia, difficoltà e
resistenze interne ne impedirono la completa attuazione
(Wyrzykowska [1994]; p.4).
9
Questa prima generazione di accordi passò in secondo piano per
via delle profonde trasformazioni che stavano avendo luogo in
quella regione d’Europa.
Nel luglio del 1989, al summit dei G7 di Parigi fu deciso di
lanciare un programma d’assistenza a favore di Polonia e
Ungheria per supportare le radicali riforme politiche ed
economiche in atto al loro interno; la Comunità, infatti, ritenne
che l’introduzione in questi Paesi di una stabile democrazia e di
un sistema economico di mercato, avrebbe avuto successo solo
attraverso il suo appoggio esterno.
I G24 (il gruppo dei 24 Paesi occidentali maggiormente
industrializzati), dal canto loro, chiesero alla Commissione
Europea di farsi carico del coordinamento degli aiuti e
dell’assistenza occidentali, fornendo così una prima significativa
legittimazione al ruolo della Comunità Economica Europea nelle
relazioni Est-Ovest.
Poco tempo dopo, così, il Consiglio dei Ministri della CEE
approvò il lancio del programma proposto denominato PHARE
(Pologne et Hongrie: Actions pour la Réconversion Economique),
destinato, fra le altre cose, a fornire a Polonia e Ungheria
l’assistenza finanziaria e tecnica per lo sviluppo delle imprese
private e di sistemi economici fondati sul libero mercato. Dopo la
caduta del Muro di Berlino nel novembre del 1989 e le
rivoluzioni negli altri PECO, il programma fu esteso a più riprese
fino a comprendere la Bulgaria, l’allora Cecoslovacchia, la
Yugoslavia, la Romania e i tre Stati del Baltico. La Comunità, a
questo punto, si ritrovò totalmente coinvolta nel processo di
10
stabilizzazione dell’area centrorientale dell’Europa
12
(Ministry of
Foreign Affairs [1998]; pp.36-37).
Per favorire tale processo, nel febbraio 1991 la Polonia stipulò
con l’Ungheria e l’allora Cecoslovacchia un trattato di
cooperazione, denominato “Trattato di Vysehrad”, tramite il
quale, oltre ad instaurare relazioni preferenziali, s’impegnò ad
armonizzare con questi Paesi tutte quelle politiche nazionali
coinvolte nel perseguimento dell’obiettivo dell’integrazione
nell’UE. Nonostante il valore simbolico che gli fu attribuito, il
Trattato rimase una semplice e unilaterale dichiarazione di
intenti
13
(World Economy Research Institute [1998]; p.182). Ben
più importante, sostiene Wyrzykowska ([1998]; pp.4-5), fu
l’accordo di associazione con la Comunità Economica Europea,
denominato “Accordo Europeo”, che la Polonia (come gli altri
Paesi del Trattato di Vysehrad) firmò a Bruxelles il 16 dicembre
1991
14
. Questo conteneva il proposito di istituire entro 10 anni
delle aree di libero commercio per i prodotti industriali attraverso
l’abolizione graduale ed asimmetrica
15
delle tariffe doganali e di
quasi tutte le barriere commerciali. Il suo significato, tuttavia,
andò oltre l’aspetto puramente economico: volle offrire un quadro
di riferimento al dialogo politico tra CEE e Polonia, e fornì
12
Un ulteriore passo verso tale direzione fu compiuto nell’aprile 1991 con la fondazione della
Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), con lo scopo di fornire prestiti e
assistenza tecnica all’intera regione.
13
In effetti, sostiene il World Economy Research Institute, gli Stati del Trattato di Vysehrad
temettero che la Comunità Europea potesse considerare il Trattato come un autonomo tentativo
d’integrazione economica del blocco dei Paesi dell’Est.
14
La parte commerciale dell’accordo, denominata “Accordo temporaneo”, entrò in vigore il 1°
marzo 1992, mentre l’intero accordo, dopo esser Stato ratificato dalla Polonia e dall’Unione
Europea, venne applicato il 1° febbraio 1994.
15
La CEE eliminò sin dall’inizio la gran parte delle restrizioni alle importazioni polacche; la
Polonia, invece, si impegnò a rimuovere le proprie in un momento successivo, secondo i
termini fissati nell’accordo.
11
l’assistenza tecnica e finanziaria per favorire un graduale
avvicinamento di quest’ultima all’area della Comunità (Stawarska
[1998]; p.3).
Nel corso delle negoziazioni dell’accordo, la Polonia manifestò
apertamente l’intenzione di aderire alla Comunità e insistette
affinchè la CEE indicasse l’ipotetica data di un eventuale
accesso. Le istituzioni comunitarie non tennero conto delle
pressioni polacche e, come unica concessione, riconobbero, nel
preambolo dell’accordo, che “l’obiettivo ultimo” della Polonia
era quello di diventare membro della Comunità. Tale
affermazione non impegnò la CEE ad accettare la proposta di
adesione della Polonia, ma costituì la base per i successivi
sviluppi
16
.
Si accese a tal riguardo un dibattito in seno alla Comunità. Da un
lato, vi era il gruppo di Paesi membri secondo i quali
l’allargamento ad un largo numero di Paesi relativamente
arretrati, con differenti culture e tradizioni politiche, avrebbe
determinato un rallentamento dello sviluppo della Comunità verso
il rafforzamento istituzionale e la moneta unica. Dall’altro, vi
erano coloro che consideravano imperative altre questioni, quali
la stabilizzazione delle giovani democrazie dei Paesi
centrorientali e l’ampliamento dei mercati ad Est in vista della
sfida della globalizzazione (Ministry of Foreign Affairs [1998];
pp.37-38).
Il dibattito fu parzialmente risolto al Consiglio europeo di
Copenaghen nel giugno 1993, in occasione del quale i membri
dell’Unione dichiararono in modo esplicito l’obiettivo
16
Cfr. ad esempio Stawarska [1997]; p.6.
12
dell’ampliamento ai PECO e ai Paesi del Baltico. L’Unione
Europea
17
, asserisce Kahl ([1997]; p.169)
18
, pur dimostrandosi
riluttante a fissare chiari criteri e un calendario relativi alle fasi
del processo d’integrazione, stabilì che:
“Tutti i Paesi associati dell’Europa centrale e orientale che lo
desiderano, diventeranno membri dell’Unione. L’adesione avverrà non
appena il Paese sarà in grado di assumere gli obblighi che essa
comporta soddisfacendo le seguenti condizioni economiche e
politiche:
1. il raggiungimento di una stabilità istituzionale tale da garantire il
rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti
dell’uomo, nonché il rispetto e la tutela delle minoranze;
2. l’introduzione di un’economia di mercato funzionante e in grado di
far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato
all’interno dell’Unione;
3. la possibilità di adempiere agli obblighi inerenti all’adesione,
compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e
monetaria”.
Si aggiunse che, nell’interesse generale dell’Unione e dei Paesi
candidati, sarebbe stato importante tener conto altresì delle
capacità dell’Unione di assorbire nuovi membri senza frenare il
processo d’integrazione europea (AGENDA 2000 [7/1997]; p.9).
Nell’aprile 1994, il governo polacco presentò formalmente
all’Unione Europea la richiesta di adesione della Polonia.
A questo punto, però, nonostante il ritmo che precedentemente il
Consiglio di Copenaghen era riuscito ad imprimere al processo
d’integrazione, i ritardi nell’attuazione degli accordi europei, le
17
Nel 1992 la Comunità Economica Europea fu trasformata in Unione Europea attraverso la
conclusione tra gli Stati membri del Trattato di Maastricht.
18
Tratto da Journal of European Integration [Winter/Spring 1997].
13
inaspettate difficoltà nella ratifica del Trattato sull’Unione
Europea (TUE) e i negoziati per l’accesso di Austria, Finlandia e
Svezia, frenarono tra il 1993 e il 1994 la corsa dell’UE verso
l’allargamento.
Nel periodo successivo, gli ulteriori impulsi dell’Unione al
processo di allargamento verso Est coincisero con i vari summit
europei. Nel giugno del 1994, così, il Consiglio Europeo di Corfù
invitò formalmente la Commissione a fare specifiche proposte per
l’ulteriore avanzamento degli accordi europei e delle decisioni
prese al Consiglio di Copenaghen.
Sulla base di questa richiesta, l’organo comunitario produsse
diversi documenti che divennero la base per la “Strategia di
preadesione”, adottata dal Consiglio di Essen del dicembre 1994.
La strategia fu centrata sull’approssimazione del sistema
legislativo polacco alle norme del mercato unico europeo.
L’elemento di grande novità
19
fu la decisione di darle attuazione
attraverso un “Dialogo Strutturato” tra i Paesi associati (cioè i
PECO e i Paesi del Baltico) e l’UE, così da fornire un quadro di
riferimento per la discussione delle questioni di comune
interesse
20
, e incoraggiare la fiducia reciproca tra gli Stati (Kahl
[1997]; p.169).
Nel corso dei colloqui di Essen, peraltro, si discusse delle
minacce pendenti sull’intero iter integrativo, derivanti, da un
lato, dalle difficoltà legate al processo di allineamento dei
sistemi legislativi e amministrativi dei PECO a quelli
dell’Unione, e, dall’altro, dall’estensione ai Paesi candidati della
19
Cfr. ad esempio Ministry of Foreign Affairs ([1998]; p.38).
20
Il Dialogo Strutturato doveva riguardare tutti i Paesi candidati e i Paesi membri dell’UE, e
consisteva in una serie di meeting per discutere su questioni d’interesse comune; tra queste
14
politica agricola comune (PAC). Per via di tali difficoltà, il
Consiglio Europeo chiese alla Commissione di preparare, per la
prima metà del 1995, un “Libro bianco” sul mercato interno
21
,
contenente le linee guida per l’adeguamento al mercato unico
europeo, e finalizzato ad agevolare i Governi e i Parlamenti dei
Paesi candidati nel lavoro di adeguamento dei propri sistemi
normativi (Stawarska [1997]; p.7); il Consiglio chiese pure che
fosse redatto, per la fine del ’95, un documento relativo al
potenziale impatto dell’allargamento dell’UE sulla politica
agricola comune (Ministry of Foreign Affairs [1998]; p.38).
Nel dicembre 1995, il Consiglio europeo di Madrid, dopo aver
ricevuto la candidatura della Polonia (oltre a quelle di Bulgaria,
Rep. Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria), affermò
che le decisioni necessarie per l’avvio dei negoziati sarebbero
state prese nei sei mesi successivi alla conclusione della
Conferenza Intergovernativa (CIG), prevista per l’inizio del
1998, e tenendo conto dei risultati di quest’ultima. Invitò, quindi,
la Commissione Europea a presentare i propri pareri (“avis”)
sulle varie candidature il più rapidamente possibile dopo la CIG;
chiese pure che fosse iniziata un’analisi approfondita del sistema
di finanziamento dell’Unione Europea per poter presentare,
subito dopo la conclusione della CIG, una comunicazione sul
futuro quadro finanziario dell’Unione a partire dal 31 dicembre
1999, tenendo conto della prospettiva dell’ampliamento
(Maresceau [1997]; p.244).
rientravano l’ambiente, i trasporti, la giustizia e gli affari esteri (Ministry of Foreign Affairs
[1998]; p.38).
21
Libro Bianco. Preparazione dei PECO per l’integrazione nel mercato interno dell’Unione.
Commissione delle Comunità europee, Bruxelles, maggio 1995.
15
Per espletare questi compiti, la Commissione preparò un
“questionnaire”, che fu inviato nell’aprile 1996 a tutti i Paesi
candidati. Le risposte date avrebbero permesso alla Commissione
di valutare, in primo luogo, in che misura il sistema normativo
degli Stati aspiranti fosse stato adeguato all’acquis
communautaire
22
, e, in secondo luogo, di avere un quadro sul
livello di sviluppo economico e politico da questi raggiunto
(Stawarska [1997]; p.9).
Intanto, nella prima metà del 1996, durante la presidenza italiana,
la Conferenza intergovernativa avviò i suoi lavori . Il suo
obiettivo era quello di introdurre modificazioni ed emendamenti
al Trattato di Maastricht al fine di rafforzare l’Unione politica e
preparare l’allargamento ad Est. Relativamente a quest’ultima
questione, si evidenziò la necessità di una profonda riforma delle
istituzioni dell’Unione e del loro funzionamento. In effetti, alla
conclusione dei lavori della CIG, avvenuta nell’ottobre 1997 con
la sigla del Trattato di Amsterdam (soprannominato “Maastricht
2”), il Consiglio Europeo stabilì che: “Almeno un anno prima che
l’Unione conti oltre 20 membri, sarà convocata una nuova
Conferenza intergovernativa nell’intento di risolvere i problemi
istituzionali legati all’ampliamento, in particolare la
ponderazione dei voti e la composizione della Commissione”
(tratto da Stawarska [1997]; p.8).
22
Kosterna ([1998]; p.9) spiega che l’acquis communautaire include:
• i principi e gli obiettivi politici dei Trattati di fondazione e i successivi emendamenti,
• le leggi adottate per perseguire i fini dei Trattati e le sentenze della Corte di Giustizia,
• le dichiarazioni e le risoluzioni adottate nell’ambito della Comunità,
• gli accordi internazionali e gli accordi conclusi dagli Stati membri fra di loro, relativi alle
attività della Comunità.
Secondo alcune stime, conclude Kosterna, l’acquis consisterebbe in circa 15.000 pagine.