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CAPITOLO 2
MADRI
2.1 Quando una donna diventa madre?
Prima di iniziare a parlare del lato più triste di questo argomento, è importante dare una
panoramica di come una donna diventa madre e di cosa significa esserlo. Parlando quindi di
quali sono le caratteristiche, i sentimenti, le emozioni, le paure, le ansie, le aspettative di
ogni donna che si approccia a questa nuova vita. Quando una donna scopre di essere incinta
una serie di emozioni diverse si fanno largo dentro di lei. Tra queste abbiamo la sorpresa, la
gioia, la paura, l’incertezza, e un profondo amore. Ogni donna prova emozioni diverse, è il
bello degli esseri umani, ogni persona è unica e non proverà mai le stesse sensazioni di
un’altra di fronte ad una tale notizia.
A differenza di quello che può essere il pensiero comune non basta partorire un figlio per
diventare madre. Sono necessari tutta una serie di processi che si innescano nella vita di una
donna. Cercando di schematizzare qualcosa che nella realtà è soggettivo, si può definire la
maternità come composta da due dimensioni esistenziali: l’identità e il desiderio.
Quando si parla di identità materna ci si riferisce ad “un lungo processo che ha sede nel
mondo interiore delle donne e che gradualmente si specifica nei mesi precedenti e successivi
alla nascita del bambino.”
39
. “C’è una differenza profonda tra l’atto di fare un figlio e sentirsi
madre.”
40
. Quando si parla di nascita della cosiddetta identità materna “ciascuna donna sa
indicare solo a posteriori il momento esatto in cui per la prima volta si è sentita madre.
Momento che può coincidere con la comparsa della pancia, con i primi movimenti del feto
o con il primo vagito del bambino, ma che può arrivare anche molto più tardi.”
41
.
Quando invece si parla di desiderio, si deve far riferimento alla storia soggettiva della
persona. Il desiderio infatti può nascere anche in età precoce, addirittura quando una donna
39
Aurora MASTROLEO - Laura ARCARO, Il pianto della mamma. Comprendere e superare i momenti di
crisi della maternità, Cornaredo (Milano), Il Castello Editore, 2013, p. 10.
40
Ivi, p. 11.
41
Ibidem.
37
è ancora una bambina. Oppure può nascere al conseguimento di un titolo di studio o quando
si è andati a vivere da soli. Sono molti, diversi e casuali i momenti nei quali può nascere
questo desiderio in una donna.
In primis è basilare distinguere il desiderio di maternità dal desiderio di gravidanza.
Quest’ultimo soddisfa il bisogno nella donna di trovare conferma della sua identità
femminile, sapere quindi che il proprio corpo è fecondo e può generare la vita. Nel desiderio
di maternità invece la luce è puntata sul bambino e l’obiettivo è prendersene cura. Una donna
desidera tanto diventare madre per poter avere un figlio del quale prendersi cura, lui diventa
tutto il suo mondo. Possono esserci donne che desiderano un figlio per entrambi i motivi,
quindi sia per soddisfare un proprio bisogno di ricerca di identità, sia per poter prendersi
cura di un proprio bambino. Quando si parla di desiderio quindi si vuole indicare qualcosa
che nasce dalla storia soggettiva di ogni persona e non può perciò essere generalizzato.
Molte donne quando si domanda loro quando sono diventate madri rispondono di esserlo
divenute quando hanno partorito. In realtà “si diventa madri più e più volte nel corso dei
mesi che vanno dalla nascita del bambino alla messa in atto delle cure necessarie nel periodo
successivo. Perché nasca una madre è necessario che questa divenga tale ai suoi stessi occhi.
[…] Può avvenire mentre sono impegnate a dare la pappa al loro bambino o mentre il piccolo
le tiene sveglie la notte.”
42
.
Quando una donna diventa madre si ha a che fare con un avvenimento importante quasi
come una grande conquista, ma allo stesso tempo evoca in lei sentimenti di perdita perché
non sarà più la stessa donna di prima. L’insieme dei processi che si mettono in atto alla
nascita di una neomamma vanno a spiegare il ventaglio di sentimenti ed emozioni che
caratterizzano una donna subito dopo il parto. Tutti questi sentimenti sono in contrasto tra
loro, dalla gioia alla tristezza, dal coraggio alla paura e dalle aspettative alla realtà. “Ci sono
donne che vivono la propria maternità come occasione speciale per smettere di essere le
<figlie di> e donne non ancora del tutto pronte ad abbandonare la propria posizione nella
famiglia di origine per assumere un ruolo da protagonista”
43
.
42
Ibidem.
43
Ivi, p. 14.
38
Parlando di neomamme Daniel Stern
44
, un famoso e riconosciuto psicanalista dell’età
evolutiva, ha individuato tre fasi che attraversa una donna che sta per diventare madre,
considerate delle tappe fondamentali del processo di nascita come madre.
La prima viene definita prepararsi a diventare madre. “Si tratta di un percorso
importantissimo, che consente di dare le fondamenta a una possibile identità materna”
45
. Dal
momento in cui una donna scopre di essere incinta inizia già a pensare a suo figlio/a, a come
sarà, se prenderà più caratteristiche da lei o dal padre, a chi assomiglierà di più fisicamente,
ecc. Si crea così nella mente della futura madre il bambino immaginario, colui che la donna
aspetta, che desidera. “Fioriscono sogni, desideri, fantasie che esprimono sia le speranze sia
le paure sul bambino e sul futuro che la aspetta. […] Questo piccolo mondo rappresenta uno
spazio mentale intimo che spesso si affianca alla costruzione dello spazio fisico: la culla, il
fasciatoio, i vestitini.”
46
. Tutto questo processo è fondamentale e contribuisce alla creazione
della propria identità di madre.
La gravidanza in sé e il momento del parto come conclusione di essa, offrono un ampio
spazio dove la futura madre ha una prima scansione sia temporale sia psicologica di quello
che sta avvenendo. Si iniziano a notare i cambiamenti fisici come la crescita della pancia,
l’aumento del seno, i cambiamenti a livello alimentare e nelle abitudini. Ma non si tratta solo
di cambiamenti a livello fisico, questi sono solo i più visibili ad occhio nudo, ma vi sono
anche cambiamenti a livello mentale. Il modo di pensare infatti si modifica a seguito della
gravidanza, nella donna scatta quello che viene definito istinto materno ciò significa che non
penserà più solo a lei come unico individuo perché ora sono in due. Ogni decisione che la
futura neomamma prenderà durante tutta la durata della gravidanza e oltre influirà su di lei
e sul bambino che porta in grembo.
Tutti questi cambiamenti, fisici e mentali, servono a permettere alla futura mamma di
avere una embrionale rappresentazione di sé stessa come madre.
La seconda fase secondo Stern si può individuare nei mesi successivi alla nascita del figlio
e viene da lui chiamata: è nata una madre. In questa fase la donna si preoccupa di far crescere
44
D. N STERN – N. BRUSCHWEILER – STERN, Nascita di una madre, Milano, Arnoldo Mondadori, 1999.
45
Aurora MASTROLEO - Laura ARCARO, op. cit., p. 14.
46
Ivi, p. 17.
39
il suo bambino, nutrendolo e accudendolo. Dopo il parto la madre inizia a costruire una
relazione intima con il proprio figlio e inizia a chiedersi se amerà questo bambino, se lui
ricambierà il suo amore e se sarà in grado di proteggerlo dai pericoli del mondo. In questa
fase iniziano i dubbi, le ansie, le paure, le difficoltà, la stanchezza, le fatiche, tutto ciò che
l’aver generato una nuova vita comporta. “I compiti fondamentali della maternità emergono
e la donna si trova a dover fare i conti con le proprie capacità e la propria definizione di ciò
che significa essere una buona mamma”
47
. Dopo la nascita la madre inizia anche a scandire
il tempo in modo diverso. Alcuni autori affermano che si va a creare una sorta di calendario
speciale per le mamme, dove tutti i vari avvenimenti vengono collocati su una linea
temporale creata su misura dal momento della nascita nel figlio o da un altro evento
importante legato al bambino. “Si tratta di una nuova linea del tempo che segna l’inizio di
una nuova era. Il tempo inizierà così a essere misurato in due modalità: la prima temporalità
condivisa con il resto del mondo si arricchirà di una seconda temporalità intima e
condivisibile solo con poche altre persone della famiglia che si organizza attorno alle tappe
fondamentali della storia del proprio bambino”
48
. Per esempio, quando dice la sua prima
parola, il primo giorno di scuola, o quando per la prima volta prende l’autobus da solo.
La terza fase è indispensabile per la formazione di un’identità materna e viene definita
dall’autore fase degli adattamenti necessari.
La neomamma, durante le fasi precedenti ha riadattato la sua vita in funzione del figlio.
Il nuovo nato è diventato il centro dell’universo per la donna, che ha escluso tutto il resto,
come se lei e il suo piccolo fossero all’interno di una bolla e il resto del mondo fuori. Questa
terza e ultima fase serve alla madre per tornare a fare parte del mondo esterno. Questo non
significa che il bambino da questo momento in poi verrà lasciato solo a sé stesso, ma che la
madre deve tornare alla sua vita di prima insieme al proprio figlio, recuperando quello che
aveva lasciato fuori dalla bolla. Avere un figlio non significa cambiare radicalmente la
propria vita, significa riorganizzarla in funzione di un altro essere vivente che è piccolo e
indifeso, bisognoso di cure e di affetto per crescere e potere affrontare il mondo.
47
Ibidem.
48
Ivi, p. 16.
40
“L’avvento della dimensione genitoriale pone alla coppia la necessità di una serie di
profondi cambiamenti che investono e trasformano la dimensione coniugale”
49
. Quando una
coppia mette al mondo un figlio mette in atto un processo di riorganizzazione disteso su vari
livelli quali: intrapsichico, interpersonale e intergenerazionale. “L’impegno progettuale
consente alla coppia di costruirsi e definirsi come tale proprio perché la mette in relazione
ad un terzo, che rappresenta il segno visibile che la relazione non è una sterile vicinanza di
individui, ma generativa condivisione di identità”
50
. I vari livelli comprendono quindi uno
spazio molto ampio. Dalla riorganizzazione che avviene internamente nella donna, cioè si
modifica lievemente il modo di pensare, di vedere le cose, alle relazioni interpersonali, quali
il rapporto con il partner, gli amici, i vicini di casa, fino ad arrivare alla sfera
intergenerazionale, quindi il legame con i propri genitori e i genitori del proprio partner, cioè
i nuovi nonni del bambino appena nato.
Le donne in questa terza fase iniziano a riprendere pian piano la loro vita. Iniziano a
chiedersi se possono ricominciare a lavorare o se è meglio per loro rimanere a casa ancora
un po’ di tempo con il loro piccolo. La vita di coppia dopo l’arrivo del nascituro è cambiata,
vi è stato dedicato un tempo minore rispetto a prima perché tutte le attenzioni erano
incentrate sul nuovo arrivato. In questa fase la donna inizia a chiedersi che tipo di moglie o
di compagna è diventata, e cerca di ritrovare la dimensione di coppia precedentemente messa
in pausa.
2.2 Madri cattive
Quando si parla delle madri che uccidono i propri figli sono molte le categorie alle quali
si fa riferimento. Esistono “madri maltrattanti che uccidono con un atto impulsivo, madri
che uccidono attraverso un agire omissivo o negligente, madri che uccidono i figli non voluti,
madri che uccidono per una mancata identificazione o per motivi ideologici o religiosi”
51
.
49
Katia GIACOMETTI – Dino MAZZEI, Il terapeuta sistemico – relazionale. Itinerari, mappe e nessi tra
interazioni e rappresentazioni, Milano, Franco Angeli, 2011, p. 84.
50
Eugenio SCAPINI – Vittorio CIGOLI, Il famigliare, Milano, Cortina, 2000, p.84.
51
Vassilios FANOS – Thamianos FANOS (a cura di), La depressione post partum. Cause, sintomi e diagnosi,
Cagliari, Hygeia Press, 2013, p. 128 – 129.
41
Alcune madri uccidono il loro figlio coscientemente, in piena lucidità mentale, e il motivo
più comune è perché non lo desiderano. Si tratta di madri che non vogliono la gravidanza e
nei casi in cui la portano a termine, il figlio non voluto ricorda momenti tristi e dolorosi della
loro vita. Si sentono come se i figli avessero rovinato completamente e inesorabilmente la
loro esistenza.
Altra tipologia mostra donne che non desiderano la gravidanza al punto di arrivare a
negarla e questo porta al mancato riconoscimento dei sintomi legati ad essa. “In genere, si
tratta di madri molto giovani di età, che non hanno una situazione sociale chiara e definita
con il compagno, che è in genere una persona più adulta che dopo averle messe incinte le
abbandona”
52
. Negano in modo isterico la gravidanza, non dicono a nessuno di aspettare un
figlio, né alla famiglia né agli amici e si comportano come se non fosse mai successo. Di
conseguenza saltano tutti i controlli medici obbligatori e non prendono le vitamine apposite
per il sostentamento in gravidanza. Possono arrivare a partorire nei bagni, in preda a forti
dolori addominali che non sanno spiegarsi. In questi casi, rari per fortuna, al bambino
mancheranno aspetti di tipo alimentare, come le vitamine che normalmente vengono assunte
durante la gravidanza tra cui il ferro e il calcio per il sostentamento e per le ossa, e aspetti di
tipo relazionale, che riguardano il legame che generalmente si crea lungo tutto questo
periodo di formazione.
Alcune di loro successivamente al parto gettono il bimbo nelle discariche come se fosse
un prodotto fecale, privo di vita. Altre invece lo abbandonano in luoghi pubblici con la
speranza che venga trovato da qualcuno che possa prendersene cura.
Esiste una tipologia di madri chiamata battering mothers che abusano dei loro figli in
modo regolare e prolungato nel tempo. Ad esempio, mettono in atto abusi di tipo fisico,
picchiandoli o trascurandoli, non prendendosi minimamente cura di loro. Il comportamento
che queste madri mettono in atto scaturisce da una stimolazione del figlio, per esempio inizia
a piangere perché ha fame, urla o semplicemente cerca di richiamare l’attenzione del
genitore. Nella donna si innesca un improvviso, impulsivo e rapido agito aggressivo che la
porta a percuotere il piccolo, scuotendolo forte, soffocandolo, usando un oggetto
52
Gian Carlo NIVOLI, Medea tra noi. Le madri che uccidono il proprio figlio, Roma, Carocci Editore, 2002,
p. 46.
42
contundente o anche bruciando il suo piccolo corpicino con le sigarette. La caratteristica di
queste battering mothers è che non premeditano l’omicidio. Loro non vogliono uccidere il
loro bambino, il loro intento è quello di praticare violenza su di lui come hanno sempre fatto.
In alcuni casi però, involontariamente sfocia nell’omicidio.
Le madri passive invece, “non sono in grado di affrontare la loro funzione materna nel
provvedere alle necessità fondamentali e vitali del bimbo”
53
. Sono donne che dopo aver
partorito sentono di essere inadeguate al ruolo materno, non sanno come comportarsi,
“cominciano a vivere le esigenze del figlio come qualcosa di strano, di minacciante, di
estraneo che complica e rovina in modo drammatico la loro vita”
54
. La morte del piccolo in
questi casi è spesso provocata dalla scorretta o assente alimentazione apportata, dalle
malattie non curate o da incidenti apparentemente dovuti a fatalità.
Certe neomamme identificano il figlio come un capro espiatorio e in lui proiettano tutte
le loro frustrazioni. Hanno la percezione che il bimbo hanno deformato il loro corpo durante
la gravidanza e lo incolpano per questo. “Queste donne somatizzano tutte le loro frustrazioni
di vita sul bimbo che ritengono la causa unica e drammatica del loro percepito fallimento
esistenziale. […] Percepiscono il loro bimbo come un vero e proprio persecutore”
55
.
Infine, esistono anche madri che purtroppo nella loro vita sono state a loro volta vittime
di madri cattive e che hanno introiettato questo modo di essere madri. “Sono madri che pur
desiderando, a livello conscio, di non essere come la loro madre cattiva in realtà coi loro
figli non riusciranno ad essere una madre buona e ripeteranno […] in un identificazione non
conscia all’aggressore, gli stessi errori con i propri figli, usando la violenza sino a compiere
gesti omicidari”
56
.
Sempre in tema di madri cattive ci sono donne che commettono figlicidio perché
proiettano nel loro bambino sentimenti di odio e di rabbia che provano nei confronti della
loro madre cattiva. Il piccolo diventa a sua volta cattivo agli occhi della madre che mette in
53
Ivi, p. 38.
54
Ivi, p. 39.
55
Ivi, p. 44 – 45.
56
Ivi, p. 49.
43
atto verso di lui comportamenti distruttivi. Quindi, in primo luogo si parla di “desiderio della
madre figlicida di uccidere la propria madre cattiva, e poi solo secondariamente, di spostare
la propria aggressività omicidaria verso il figlio”
57
vissuto come i meccanismi psicologici e
le risposte emotive della madre lo fanno apparire.
Il quinto capitolo tratterà di un argomento molto importante: la depressione. Nello
specifico questo lavoro si concentra sulla depressione post – partum, condizione che affligge
le donne nel periodo poco dopo il parto caratterizzata da sentimenti di tristezza, ansia, paura,
sconforto, senso di solitudine e di incapacità. Spesso si incontrano donne che soffrono di
depressione ancora prima di rimanere incinte. Queste donne si sentono a terra, credono che
niente e nessuno le possa aiutare, non vogliono più vivere in questo mondo e decidono di
uccidersi. Questa loro condizione mentale le porta a convincersi che “il loro figlio non potrà
vivere in un mondo così ostile, cattivo, crudele, senza di loro.”
58
Così uccidono il loro bimbo
e poi si tolgono la vita. Queste madri possono arrivare a compiere dei suicidi allargati
uccidendo tutti i propri figli e poi suicidandosi. Lo fanno perché sono convinte che in questo
modo queste piccole creature soffriranno di meno.
Oppure, in casi specifici di figlicidio di tipo altruistico la motivazione dell’omicidio è
legata al fatto che pensano di poterli salvare dal mondo o da una qualche entità malvagia che
si vuole impossessare di loro. Solitamente questa tipologia specifica di madri assassine
mostra i tratti depressivi in associazione a pensieri paranoidei e persecutori, che possono
sfociare anche in allucinazioni, solitamente uditive, fino ad arrivare anche a casi di psicosi
come nel caso di Andrea Yates del quale si tratterà sempre nel quinto capitolo.
2.2.1 Dopo l’omicidio del figlio
Nel momento subito dopo il delitto si possono verificare diverse situazioni. Non esiste
uno schema di comportamento univoco per tutte le madri. Ci sono donne che chiamano i
Carabinieri dicendo che hanno ucciso il loro figlio e che devono accorrere subito nella scena
57
M. RODENBURD, Child Murder by Depressed Parents, in <<Canadian Psychiatric Association Journal>>
16 (1971), p. 41 – 49.
58
Aurora MASTROLEO - Laura ARCARO, op. cit., p. 52.
44
del delitto. Altre invece riferiscono che il figlio è morto per un incidente o dicono solo alle
forze dell’ordine di andare a casa loro senza dire cosa è successo.
La confessione del crimine dipende da moltissime variabili che a volte si intersecano tra
loro. Per esempio, chi commette un suicidio allargato riuscendo ad uccidere i figli ma
fallendo il suicidio, confessa con facilità il delitto commesso affermando inoltre che ripeterà
il tentativo di uccidersi per poter stare con il figlio ed essere felici insieme in un mondo
migliore. “Alcune madri verbalizzano chiaramente che avevano fatto un chiaro patto di
suicidio con il loro bimbo e quindi si dovranno uccidere al più presto appena sarà possibile
essendo, al momento, sotto stretta sorveglianza. Altre madri parlano di una promessa vaga
di uccidersi senza precisare la dimensione temporale.”
59
.
Mentre, chi uccide il figlio in un contesto abusante tende a non confessare subito il delitto,
ma riferisce che si è trattato di un incidente. Chi uccide il figlio non desiderato nega
fermamente di essere coinvolto nel crimine, anzi tende ad attribuire la colpa ad altri,
solitamente inscenano una rapina.
Molte madri tendono a cercare delle giustificazioni per l’omicidio, attribuendo la colpa al
figlio perché era cattivo e si comportava male oppure a loro stesse giudicandosi cattive
madri, non adatte a badare ai loro piccoli invece così buoni.
Ci sono persone che dopo l’arresto cercano informazioni utili alla loro difesa dal mondo
esterno. L’opinione pubblica attribuisce aggettivi come pazzia alle persone che commettono
figlicidio, quindi per difendersi si attaccano all’“idea che una persona sana di mente
improvvisamente impazzisca, compia il delitto e poi ritorni ad essere sana di mente.”
60
.
Questo è più facilmente tollerabile dalla comunità e in perciò pensano di farla franca.
Affermano per esempio di non ricordare l’evento accaduto, perché colte da un momento di
pazzia, una sorta di sdoppiamento di personalità alla Dottor Jekyll e Mr Hyde, oppure ai casi
di folie à deux dove è pregnante l’idea del contagio di malattie mentali.
Inoltre, nella pratica clinica “una persona può cominciare a dire falsità sapendo di dire
una falsità, ma poco per volta convincersi di dire la verità, e così al termine di un lungo
59
Ivi, p. 82.
60
Ivi, p. 74.
45
processo di autoconvincimento la persona diventa persuasa in modo acritico di affermare la
verità”
61
. Ci sono donne che dal carcere mandano lettere al loro figlio morto convinte che
sia vivo, si tratta di una reazione da lutto delirante. Si estraniano completamente da quello
che è accaduto nella realtà, che per loro è inaccettabile e non tollerabile, meccanismo
innescato dalla negazione per ciò che loro hanno fatto.
Nella fase immediatamente seguente l’arresto il rischio di suicidio è particolarmente alto,
soprattutto nei casi di suicidio allargato. L’aspetto sociale, i familiari della madre omicida
come il marito, la famiglia d’origini o gli amici, tendono a stare vicino alla madre in questa
prima parte, dal momento dell’arresto fino all’avvio del processo. Probabilmente per un
processo di negazione attribuiscono la colpa di quanto è successo ad altri o a stati temporanei
di malattia, in questo modo possono proteggere la madre e mantenere un rapporto con lei.
2.2.2 Prima della conclusione del processo
A questo punto la madre inizia a mostrarsi particolarmente ansiosa e a disagio. Inizia a
metabolizzare che il figlio è morto, che è stata lei ad ucciderlo e inizia a sentirne la mancanza.
“Ogni ricordo del bimbo come le fotografie della vittima o di altri bimbi che lo possono
ricordare può sollevare profondi problemi emotivi.”
62
. Ricorrenze e festività come la data di
nascita, il Natale o la Festa della Mamma possono far scaturire ricordi nella mamma.
Inizia poi a sentire la perdita della libertà, il fatto di ritrovarsi in uno spazio ristretto come
il carcere e ricevere un etichettamento negativo dai mass media. A turbarla invece sono tutte
le procedure giuridiche, gli incontri con i legali, le dichiarazioni e i commenti dei vari mezzi
di stampa che portano la madre a dover fare i conti con il delitto commesso e tutti gli stati
emotivi ad esso legati.
61
Ivi, p. 75.
62
Ivi, p. 84.