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Abstract
Blaise Pascal, uomo di scienza, filosofo, teologo, mistico, fu una personalità tra le più influenti
e suggestive nella Francia del suo tempo. Nato nel secolo della rivoluzione scientifica, grazie
al suo genio inventò la prima calcolatrice meccanica, venne a capo di insolubili problemi di
geometria, gettò le basi teoriche del calcolo delle probabilità, dimostrò l’esistenza del vuoto
fisico e della pressione atmosferica; eppur tutte queste opere del suo ingegno non furono mai
in lui motivo di vanto. Egli non teneva in grande considerazione la gloria, non amava essere
lodato, poiché ambiva a un’altra e più elevata glorificazione, quella celeste. Quando approfondì
la propria conoscenza della religione cristiana ne divenne entusiasta e, sebbene trascorse dei
periodi della sua vita frequentando la corte e i circoli mondani, tali esperienze non lo
allontanarono mai del tutto da Dio, ma anzi ne uscì nauseato e disposto ad amare ancora di più
il Vangelo e i suoi insegnamenti. Questo studio vuole costituire un parallelo tra la vita di Pascal
e i suoi scritti, al fine di esporre sì il suo pensiero filosofico e teologico sulla gloria, ma anche
di cogliere il suo sentire più intimo, per cui non rifiutò di abbassarsi davanti a Cristo sino a
divenire come un bambino, per raggiungere quella serenità di un animo accarezzato dalla grazia
che è figura e antifona della gloria eterna.
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CAPITOLO PRIMO
1. L’infanzia e i primi anni, segnati da un ponderato attaccamento alla propria
reputazione
Blaise Pascal
1
fu una persona molto particolare, un genio precoce ma anche un fervido credente,
e questa mistura è forse la più rara dal momento che solitamente i grandi intelletti faticano a
rientrare entro le maglie della religione
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. Gesù stesso nel Vangelo mette in guardia i sapienti
dalla presunzione della loro conoscenza, tuttavia la vera conoscenza porta a Dio, e Pascal era
rimasto abbastanza piccolo per avere il cuore sensibile al Vangelo. Quando nel 1646 i due
chirurghi Deslandes e De la Bouteillerie curarono il padre dalla ferita all’anca rimediata a causa
di una caduta, essi si impegnarono anche a educare la famiglia al cristianesimo attraverso
l’esposizione del pensiero di Agostino. Erano infatti entrambi appartenenti a quella corrente del
cristianesimo chiamata giansenismo dal nome del fondatore Cornelius Jansen, il quale ebbe
l’ambizione di riportare la cristianità all’ardore e alla dottrina originaria, come era espressa
negli scritti del padre della chiesa Agostino, da cui il titolo dell’opera Augustinus
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. Blaise fu
talmente impressionato dall’esposizione dei due uomini e dalla loro pratica spirituale che si
convinse profondamente della verità della religione cristiana e nei mesi successivi si prodigò
ad acquistare a Dio anche il padre e la sorella Jacqueline. La madre infatti era morta quando lui
aveva appena tre anni, mentre la sorella Gilberte era andata in sposa al cugino Florin Périer nel
1641.
Blaise diede mostra delle sue straordinarie doti fin dall’infanzia. Il padre decise di occuparsi
personalmente della sua educazione dopo la morte della madre, avviandolo agli studi delle
lettere ma impedendogli in un primo tempo il contatto con la matematica, col timore che il figlio
si distraesse dallo studio del greco e del latino. La leggenda vuole che Pascal, allora dodicenne,
1 Per tracciare una cronologia della vita di Blaise Pascal (Clermont-Ferrand, 19 giugno 1623 - Parigi, 19
agosto 1662) ho fatto riferimento in larga parte alla biografia redatta dalla sorella Gilberte Périer (Clermont-
Ferrand 1620 - Parigi 1687). Questa biografia, scritta dopo la morte di Blaise, apparve per la prima volta
ad Amsterdam nel 1684. L’edizione a cui faccio riferimento è la seguente: G. PÉRIER, La Vie de Monsieur
Pascal, tr. it. a cura di Gennaro Auletta, La vita di Pascal, in B. Pascal, I pensieri, Edizioni Paoline,
Cinisello Balsamo, 1966, p. 32.
2 C. A. SAINTE-BEUVE, Port Royal, Tome deuxième, Librerie Hacette, Paris, 1878, p. 458: “Queste
grandi e ardenti facoltà speciali sono in coloro che le possiedono come selvaggi, divoratori di destrieri, che
si nutrono del resto dell'uomo, e che prendono il loro carro e il loro Ippolita dopo di loro. Pascal, no. Il
destriero, per quanto potente e irresistibile possa apparire, è stato domato e guidato da qualcosa di più forte
di lui, e ha trovato il suo padrone nella volontà, - nella volontà ancorata alla Grazia”.
3 Cornelius Jansen, in italiano Giansenio (Acquoy, 28 ottobre 1585 - Ypres, 6 maggio 1638) è stato un
vescovo e teologo olandese autore dell’Augustinus, opera postuma pubblicata nel 1640 che venne dichiarata
eretica da un decreto dell’Inquisizione del 1641, quindi da Urbano VIII nel 1642 e infine dalla bolla Cum
occasione di Innocenzo X nel 1653. Il motivo di tale ostilità da parte di Roma fu principalmente la dottrina
giansenista della grazia, condannata perché giungeva a posizioni affini alla dottrina calvinista della
predestinazione.
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si fosse messo da solo a ragionare sulle figure geometriche arrivando a ricavare autonomamente
fino al 32
o
postulato degli Elementi di Euclide. Il padre, sconcertato dalle capacità del figlio, lo
introdusse in un circolo di intellettuali e matematici di cui faceva parte, di modo che da loro
potesse accedere alle più avanzate conoscenze nel campo della scienza. Pascal non tardò a
mettere in pratica la sua bravura. Pubblicò un Trattato sulla generazione delle sezioni coniche,
riprodusse gli esperimenti sul vuoto di Torricelli confermando la tesi dello scienziato italiano
che dimostrava l’esistenza del vuoto. Più tardi scoprì il calcolo delle probabilità assieme a
Fermat: tutto era partito dalle frequentazioni di alcuni amici che erano soliti dilettarsi nel gioco.
Pascal allora si era prefissato di aiutarli in qualche modo e si era chiesto se effettivamente si
potesse prevedere la riuscita di una puntata. Poco tempo prima di morire si distinse nuovamente
risolvendo il problema della cicloide, in un periodo in cui era per di più costretto a letto
dall’aggravarsi della malattia. Ma il suo più importante contributo alla scienza fu probabilmente
l’invenzione della calcolatrice
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. Egli si era proposto di sgravare il padre Étienne dall’enorme
carico di lavoro che la sua mansione prevedeva; era infatti preposto all’esazione delle imposte
nell’Alta Normandia. Per lunghe settimane era costretto fino a tarda notte sulla scrivania e
perdeva il sonno sui calcoli. Blaise si ingegnò e costruì questo strumento anche grazie al
sostegno di Pierre Séguier (1588 - 1672), all’epoca Ministro della Giustizia. La completa messa
a punto della macchina calcolatrice dovrà attendere qualche anno, ma i primi modelli erano già
soddisfacenti e capaci di sostituirsi al ragionamento umano. Blaise nel 1652 regalò il modello
più avanzato della sua calcolatrice alla regina di Svezia, verso cui nutriva una profonda
ammirazione poiché era una donna di cultura e versata negli studi. In una lettera alla regina,
Pascal difende la preminenza dell’intelligenza rispetto all’autorità, ma questo non è un motivo
di accusa, anzi, di elogio, perché la considera degna di ricoprire il suo ruolo: ella infatti incarna
la figura del regnante che detiene lo scettro del potere ma anche quello della sapienza.
In questa missiva e in quella rivolta al Cancelliere Séguier emerge il profilo di un giovane molto
ossequioso verso l’autorità, presumibilmente perché era la consuetudine del tempo che esigeva
un tono oltremodo riverente nei riguardi di persone altolocate. Tuttavia l’ostentata modestia con
cui parla dei suoi “piccoli sforzi” (quando in realtà aveva lavorato due anni a questo
marchingegno) e l’immensa gratitudine di cui riveste il Cancelliere, meritevole di averlo
sorretto nel momento in cui aveva pensato di abbandonare ogni cosa, oppure la riguardosa
4 P. GRAZIANI, M. SANGOI, La macchina aritmetica di Blaise Pascal, “Isonomia” (2005), nota 7, p. 13.
Il primo a costruire una calcolatrice meccanica fu il professore di Tubinga Wilhelm Schickard nel 1623,
come si evince da un carteggio avuto con Keplero nel quale descrive il suo progetto. Tuttavia queste lettere
furono scoperte solamente nel 1957, e sono le uniche testimoni di questa invenzione dal momento che
Schickard non divulgò la sua opera. Tutti gli esemplari successivi di calcolatrici meccaniche, a partire da
quella di Leibniz, che poteva svolgere tutte le operazioni compresa la moltiplicazione e la divisione, presero
spunto dal lavoro di Pascal.
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devozione che dimostra alla Regina di Svezia, condita da molti elogi, parrebbero nascere da un
animo incline al servilismo; quest’umiltà e questa reverenza, testimoni di un atteggiamento non
già remissivo né adulatorio ma sinceramente rispettoso, scaturiscono invece dalla sentita
ammirazione che Pascal nutre verso persone ritenute degne delle loro cariche per via delle loro
virtù.
Si rivolge alla regina di Svezia perché la stima per le sue doti intellettuali che fanno di lei una
sovrana fuori dal comune e per questo vuole donarle ciò che ha di meglio: non per la brama di
ricevere l’approvazione di un regnante, il che era più un’alea che un’agevolazione, poiché i suoi
detrattori avrebbero potuto obbiettargli che ricercasse tale riconoscimento per sopperire ai limiti
della sua invenzione, quand’essa invece, per il suo intrinseco valore, non aveva bisogno di
simili intercessioni; diversamente è mosso dal desiderio di rendere omaggio a una compagna di
scienza, per di più donna
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, che condivide le sue passioni, con un oggetto che aveva l’ambizione
di ritener degno della sua grandezza.
Mi rendo conto, Signora, che potrei esser sospettato di ricercare la gloria nel presentarla a V ostra Maestà,
poiché essa non può non essere considerata straordinaria, quando si vedrà che viene a voi indirizzata, e
che, mentre dovrebbe essere offerta in considerazione della sua eccellenza, si riterrà che è eccellente per
il fatto che viene a voi offerta. Tuttavia non è stata questa speranza ad ispirarmi questa idea. È troppo
grande, Signora, per avere un oggetto diverso da V ostra Maestà. Ciò che mi ha spinto in realtà è l’unione
nella V ostra sacra persona di due cose che mi riempiono insieme di ammirazione e di rispetto: l’autorità
sovrana e la salda scienza; [...] ma, Vostra Maestà, mi permetta di dirlo, visto che la cosa non la riguarda:
l’una senza l’altra mi appare manchevole. Per quanto potente sia un monarca, qualcosa manca alla sua
gloria se non ha la preminenza dello spirito; [...] questo capolavoro però era riservato al nostro secolo.
E affinché questa meraviglia apparisse accompagnata dai tutti i possibili elementi di sbalordimento, il
grado che gli uomini non avevano potuto raggiungere è raggiunto da una giovane regina [...] Per quanto
mi riguarda, non essendo nato sotto il primo dei vostri poteri, voglio che tutti sappiano che mi glorio di
vivere sotto il secondo; ed è per testimoniarlo che oso alzare gli occhi fino alla mia Regina, dandole
prova di questa mia sudditanza. Ecco, Signora ciò che mi spinge a fare a Vostra Maestà questo dono,
per quanto indegno di voi. La mia debolezza non ha scosso la mia ambizione
6
.
5 Pascal nel passo che segue non cela la sua ammirazione nei confronti di Cristina di Svezia (1626-1689)
tanto più perché donna, in un’epoca in cui l’accesso agli studi era quasi del tutto unilaterale per via di una
forte cultura maschilista. Cristina fu donna di cultura e mecenate a Stoccolma, tuttavia nel 1654 abdicò in
preda a una profonda crisi religiosa che ebbe come esito la sua conversione al cattolicesimo. Si trasferì a
Roma per paura delle ritorsioni dei protestanti e qui si fece promotrice di un circolo letterario e artistico nel
palazzo dove risiedeva.
6 B. PASCAL, Lettera alla Serenissima Regina di Svezia, (giugno 1652), in Gennaro Auletta, Opuscoli e
lettere, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1961, pp. 181-184.
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Così dicendo Pascal dimostra di considerare la grandezza intellettuale maggiore di quella
temporale e si gloria di entrare nei ranghi dei sapienti per i meriti della sua invenzione: allo
stesso tempo egli chiede di essere riconosciuto degno suddito di colei che considera regina degli
intelletti. Questo elogio ha l’effetto di indurre la regina a sentirsi lusingata perché un
promettente talento matematico la tiene in tale reputazione. Che Pascal abbia lodato
intenzionalmente Cristina di Svezia per ingraziarsela, affinché il suo dono fosse accettato più
volentieri? È possibile, tuttavia da una parte questa lode doveva corrispondere a una reale
attitudine della regina per non apparire ridicola; dall’altra Pascal non aveva niente da
rimproverarsi dal momento che il suo scopo non era di ricevere in cambio gloria o altro tipo di
riconoscimenti che non fosse qualche parola di compiacimento da parte di una persona tanto
importante nel mondo. Bisogna ammettere che la corrispondenza di una regina abbia colpito
l’immaginario di Pascal e per questo motivo egli provò un grande diletto nel donarle la sua
calcolatrice: “Signora, se tale onore non è stato il vero motivo del mio lavoro, ne sarà almeno
la ricompensa, e mi riterrei troppo felice se, dopo tante veglie, essa potesse dare a V ostra Maestà
la soddisfazione di qualche istante”
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Perché se era già cosciente della straordinarietà della sua invenzione non si era saziato di questo
appagamento? Sicuramente ne era soddisfatto, ma aveva anche bisogno che delle intelligenze
non comuni gioissero insieme a lui del suo lavoro: aveva bisogno di questa solidarietà e
ammirazione data dalla comunanza dello spirito, fosse anche di sole poche persone sulla Terra,
ma capaci di renderlo felice con le loro gratificazioni. Cos’è infatti la gloria resa da una
moltitudine che non si conosce? Il proprio nome che riecheggia per la Francia e ne valica i
confini dà certo soddisfazione, ma è un tributo impersonale tanto vasto quanto impalpabile.
Blaise voleva parlare con poche persone, ma degne, che comprendessero appieno l’entità del
suo lavoro e ne condividessero l’entusiasmo. Bramava la spontaneità, la leggerezza, la gioia di
un’amicizia intellettuale.
Se noi fossimo creatori di qualche cosa di utile e importante al pari di Pascal, non vorremmo
che ciò fosse conosciuto dalle persone che riteniamo degne perché pensiamo che possa essere
loro giovevole? O forse terremmo nascosta la nostra opera per timore dell’invidia di qualche
detrattore che ci accusa di volerci ammantare di gloria?
D’altronde, Monsignore, mi attendo che fra tanti dotti che sono penetrati fin nei segreti ultimi delle
matematiche, se ne possano trovare certi che anzitutto stimino la mia azione temeraria, visto che,
nonostante la mia giovane età e con così pochi mezzi, ho osato tentare una strada nuova in un campo
tutto irto di spine, e senza una guida che mi aprisse il cammino. Ma mi accusino pure e perfino mi
7 Ivi, p. 181.