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INTRODUZIONE
“Quasi tutti gli uomini vivono fisicamente,
intellettualmente o moralmente entro il cerchio
d’una parte assai ristretta del loro essere potenziale.
Fanno uso d’una piccolissima porzione della loro coscienza possibile
e in generale delle loro risorse spirituali,
più o meno come un uomo che contraesse l’abitudine di usare e muovere,
del suo intero organismo, soltanto il dito mignolo.
Situazioni d’emergenza e crisi ci dimostrano che
possediamo risorse vitali
assai superiori a quanto supponessimo.”
William James, Lettere, 1920 (postumo)
Il presente lavoro di tesi è volto ad approfondire, in un’ottica psicosociale, i processi
di regolazione emotiva e le strategie di coping maggiormente utilizzate fra
soccorritori, dipendenti e volontari, delle situazioni di emergenza.
La prima parte teorica è relativa alla psicologia dell’emergenza, dando una
definizione specifica di emergenza e trattandone le varie sottocategorie di
appartenenza. Si procederà a descrivere le emozioni vissute durante situazioni
critiche, in particolarità si descriveranno le emozioni che i soccorritori vivono dalla
fase di attivazione, ossia di chiamata, alla conclusione e il rientro nelle loro sedi, si
approfondiranno le strategie di coping che possono essere utilizzate descrivendole
in maniera dettagliata. Si darà ampio spazio a coloro che molto spesso non vengono
osservati, poiché gli stessi soccorritori sono considerati delle vittime.
La seconda parte pratica mostrerà i risultati di uno studio empirico volto allo studio
dell’associazione fra autogestione delle emozioni negative e positive, stress lavoro-
correlato, soddisfazione lavorativa e strategie di coping utilizzate da soccorritori e
volontari nell’ambito delle emergenze. verranno inoltre argomentate le possibili
differenze emerse fra queste due tipologie di soccorritori.
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CAPITOLO 1
LA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA
1.1 CENNI STORICI
Durante la storia dell’umanità si possono trovare numerosi testi con riflessioni e
racconti riguardo il tema delle emergenze e dei disastri.
I poeti ed i filosofi sono sempre stati affascinati dalla forza della natura ed hanno
spesso cercato di dare un senso a quanto accadeva: perché avvenisse quel
particolare fatto o perché la natura si scagliasse sulle popolazioni causando morti e
disastri; ma allo stesso tempo hanno sempre cercato di fornire un conforto, di trovare
una motivazione razionale da usare come leva per superare quel fatidico episodio.
La natura non è l’unica che ha causato eventi drammatici; la stessa umanità con le
sue azioni distruttive come le guerre o l’inaffidabilità delle armi moderne, ha dato vita
ad eventi forti, traumatizzanti che venivano vissuti in maniera diversa dalle vittime
ma con un unico obiettivo comune: trovare un modo per superare l’accaduto.
Ogni disastro, ogni emergenza ha contribuito a far spazio ad una nuova psicologia,
quella appunto dell’emergenza.
Nata dalla psicologia militare e dalla psichiatria d’urgenza, si è sviluppata come una
raccolta di tecniche d’intervento ed in particolare modo nella creazione di modelli
concettuali degli eventi cognitivi, relazionali, psicosociali ed emotivi tipici
dell’emergenza.
In Italia il rapido affermarsi di questa disciplina ha fatto in modo che molti psicologi
si dedicassero all’argomento e iniziassero a pubblicare manuali e relazioni nel
tentativo di colmare il ritardo nei confronti del mondo anglosassone che già negli
anni ’80 iniziava a studiare e a creare protocolli indirizzati verso questa nuova
disciplina mentre nel nostro paese per arrivare a questo punto si sono dovuti
aspettare decenni.
Solo verso la fine degli anni ’90 l’intera comunità di psicologi italiani è costretta ad
affrontare tale problematica a seguito di una terribile catastrofe, il terremoto
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dell’Umbria, a causa del quale è stata inevitabile la presa di coscienza di quanto sia
importante lo studio e lo sviluppo della psicologia dell’emergenza.
Il mondo anglosassone su questo argomento è stato sempre più avanti di noi e di
qualsiasi altro paese: Mitchell pubblicò vari articoli riguardanti l’importanza del
Debriefing (ossia un intervento psicologico-clinico strutturato e di gruppo, condotto
da uno psicologo esperto di situazioni di emergenza, che si tiene a seguito di un
avvenimento potenzialmente traumatico, allo scopo di eliminare o alleviare le
conseguenze emotive spesso generate da questo tipo di esperienze).
Da questi studi di Michell
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si creò il CISM (critical incident stress management), un
protocollo clinico di prevenzione e trattamento delle reazioni psicologiche
potenzialmente traumatiche a fronte di eventi critici (disastri, violenze, decessi
inattesi, calamità). Lo scopo di questo protocollo fu di fornire un’adeguata
preparazione a scopo preventivo rispetto ai vissuti emotivi, da qui si diede sempre
più importanza alla preparazione preventiva.
A seguito delle continue vicissitudini legate a catastrofi naturali ed incidenti che si
susseguirono nei decenni successivi, questa branca della psicologia assunse
sempre più considerazione e fu oggetto di studi più approfonditi che ne permisero
l’applicazione nei contesti delle emergenze.
Nacque così una nuova branca della psicologia in continua evoluzione, oggetto di
studi e sperimentazioni, grazie alla quale vennero creati nuovi protocolli
comportamentali che a tutt’oggi subiscono continue modifiche e cambiamenti.
1.2 DEFINIZIONE DI EMERGENZA
Prima di addentrarci nella psicologia dell’emergenza dobbiamo capire che cosa sia
un’emergenza.
In primis emergenza significa ex mergere (uscire dall’acqua), ciò che viene a galla,
ciò che si manifesta con chiarezza ed evidenza, ciò che irrompe nella normalità.
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Mitchell psicologo inglese che pubblicò vari articoli sulla psicologia dell’emergenza
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Dal punto di vista scientifico invece e una circostanza improvvisa ed inattesa in cui
vi è un pericolo o rischio di morte o altre minacce all’integrità fisica degli esseri
umani.
Il tema dell’emergenza coinvolge saperi ed esperienze riconducibili a vari ambiti,
diversi tra di loro, per questo necessita di un approccio multidisciplinare ed
interdisciplinare.
Quando pensiamo ad un evento vediamo varie figure intervenire, ognuno con dei
propri compiti ben assegnati ma che ad un unisono lavorano per ricostruire uno stato
di quiete, un equilibrio: vigili del fuoco, croce rossa, forze dell’ordine ma non solo,
anche psicologici, architetti, geologi.
Per comprendere bene questo argomento e cosa si intende quando si parla di
emergenza, bisogna fare delle distinzioni che la stessa legislatura italiana ci spiega
(LEGGE 225/1992):
INCIDENTI SEMPLICI sono eventi dannosi naturali o connessi con l’attività
dell’uomo, che possono essere fronteggiati medianti interventi attuabili dai
singoli enti o amministratori competenti per via ordinaria. Non si tratta di
scenari complessi, ma di situazioni che possono per un individuo, la sua
famiglia, i soccorritori una inattesa esperienza esistenziale.
INCIDENTI COMPLESSI sono quelle situazioni critiche in cui sono coinvolte
contemporaneamente molte persone e che possono essere fronteggiate con
l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti. In tali
situazioni non viene intaccata la struttura portante del sistema sociale, ma è
richiesta una particolare capacità di coordinamento e di lavoro nella
complessità, a causa dell’estensione e della varietà dei bisogni che si
sviluppano contemporaneamente.
CATASTROFE O DISASTRO anche a fronte di un eventuale numero di
vittime limitato vengono coinvolte le infrastrutture, i sistemi di comunicazione,
le organizzazioni, l’intero tessuto sociale. Si trattano di situazioni che per loro
natura richiedono l’intervento di mezzi e poteri straordinari, che vanno al di là
del semplice coordinamento delle risorse ordinarie.
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I disastri possono essere ulteriormente divisi in naturali o indotti dall’azione umana.
I disastri naturali sono: terremoti, eruzioni vulcaniche, uragani, tutti gli eventi che
derivano da alterazioni atmosferiche oppure geologiche; i disastri indotti dall’azione
umana invece possono essere divisi in accidentali, ossia riconducibili all’errore
umano o a malfunzionamenti come incidenti stradali, tecnologici, e in disastri
intenzionali come omicidi, violenza di massa, terrorismo.
I disastri sono eventi estremi che spesso si interfacciano tra il sistema umano e
quello naturale.
La < Gazzetta ufficiale > n.126 del 12 maggio 2001 ha fornito un’ulteriore
classificazione dei disastri in base all’entità dell’evento stesso, distinguendo tra:
EVENTI CATASTROFICI A EFFETTO LIMITATO: quegli eventi straordinari
dove vengono distrutte aree territoriali, ma dove vengono mantenute integre
le strutture sanitarie, e con un ridotto di vittime gestibile in tempi limitati ossia
nelle 12 ore.
EVENTI CATASTROFICI CHE TRAVALICANO LE POTENZIALITA’ DI
RISPOSTA DELLE STRUTTURE LOCALI: in questo caso vengono inclusi
quegli eventi dove sono coinvolte anche le strutture centrali, i sistemi di
soccorso, ed il numero di vittime è elevato.
Questo è quello che viene definito nella legislatura italiana ma in psicologia cosa è
considerato emergenza?
“un contesto di emergenza è una situazione interattiva caratterizzata dalla presenza
di una minaccia; da una richiesta di attivazione rapida e di rapide decisioni; dalla
percezione di una sproporzione improvvisa tra bisogno (cresciuto per intensità,
ampiezza, numerosità, ritmo) e potenziale di risposta attivabile dalle risorse
immediate disponibili; da un clima emotivo congruente” (manuale di psicologia
dell’emergenza, di Fabio Sbattella, casa editrice franco angeli, marzo 2016).
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Dunque l’emergenza è una situazione che si evolve in maniera veloce e
imprevedibile al cui cospetto la persona è sopraffatta da sentimenti di sconforto, di
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Fabio Sbattella, manuale di psicologia dell’emergenza, edizione Franco Angeli del marzo 2016