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PARTE PRIMA
In un articolo pubblicato sul Corriere della sera (2019) si legge: “I musei sono vivi.
Persino i Musei Capitolini che esistono dal 1734 o il British Museum di Londra, fondato
nel 1759, non sono mai rimasti uguali al primo giorno”
1
. Certamente i musei da sempre
si sono trovati a dover soddisfare esigenze differenti ma, oggi più che mai, il loro ruolo
all’interno della società sta cambiando. “Forse più di ogni altro luogo pubblico i musei
rendono visibili i meccanismi simbolici, i dispositivi sociali e comunicativi”
2
, afferma
Stefano Chiodi nel saggio Le funzioni del museo (2009). Questo processo comunicativo
rappresenta, nel nostro millennio, un’attività d’importanza cruciale tra gli altri obbiettivi
proposti dai musei contemporanei. I visitatori, infatti, non permettono più al museo di
essere un luogo dove avere un approccio passivo con le opere, ma pretendono di essere
parte attiva della propria esperienza estetica. Siamo continuamente circondati da stimoli
e il semplice osservare non basta più: lo spettatore necessita di un ambiente che non sia
solo un deposito del sapere ma che lo trasporti all’interno di un’esperienza unica,
piacevole e indimenticabile. Per far sì che le opere vengano apprezzate oggi il museo
deve escogitare tutta una serie di strategie che riescano a rendere lo spettatore partecipe,
interessato e coinvolto emotivamente.
Ma da cosa è scaturito questo cambiamento? Perché in passato il museo era visto come
luogo di conservazione e di tradizione mentre oggi è divenuto “dimora del tempo
presente”
3
? E come sta reagendo il museo?
Per rispondere a queste domande è necessario fare un passo indietro poiché è
importante, in primo luogo, capire cosa significhi realmente il termine “comunicazione”
e, soprattutto, comprendere come le ricerche e gli studi in ambito psicologico, estetico e
neurologico abbiano influenzato l’idea di fruizione estetica. In questa prima parte della
1
Nomix Studio, Il museo che cambia: quando la cultura diventa esperienza, in “Corriere della sera”,
Milano 2019, https://www.corriere.it/native-adv/intesasanpaolo-longform01-il-museo-che-cambia.shtml.
2
S. Chiodi, Le funzioni del museo, LeLettere, Firenze 2009, p. 10.
3
M. Petrelli, Lo sguardo disperso. Vedere l’opera nell’epoca dei musei smemorati, in “Psicoart”, 2017,
https://psicoart.unibo.it/.
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tesi andremo quindi a ricostruire un percorso storico con lo scopo di comprende come,
da teorie nate agli inizi del Novecento, si è arrivati a scoperte rivoluzionare e di grande
importanza per tutto ciò che riguarda il concetto di “visione” e quindi di esperienza
estetica.
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1. LE IMMAGINI
1.1 Comunicazione visiva
Come scrisse Aristotele nella sua Politica “l’uomo è per natura un animale sociale”
4
.
Essendo quindi l’individuo parte di una società sente la necessità di comunicare e di
instaurare relazioni con gli altri. Per comunicazione si intende principalmente “ogni
processo consistente nello scambio di messaggi, attraverso un canale e secondo un
codice, tra un sistema e un altro della stessa natura o di natura diversa”
5
. Sono stati
diversi gli studi incentrati sulla comunicazione e sono numerosi i modelli elaborati con
lo scopo di comprendere maggiormente le regole e gli elementi di cui essa si compone.
L’origine dei modelli di comunicazione si deve a Harnold Lasswell, studioso che nel
1948 pubblicò un articolo contenente le seguenti domande: “Who says what to whom in
what channel with what effect?”
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(Chi dice cosa a chi attraverso quale canale con quale
effetto?). Secondo l’autore le risposte a ognuna delle seguenti domande, cioè emittente,
messaggio, mezzo ed effetto, sarebbero gli elementi portanti e funzionali di ogni atto
comunicativo.
Successivamente fu Roman Jakobson, uno dei maggiori linguisti e semiologi del XX
secolo, ad elaborare il modello generale per la comunicazione linguistica. Partendo
dalla teoria di Ferdinand de Saussure, secondo cui la lingua è un sistema di segni,
Jakobson iniziò uno studio basato sugli elementi funzionali della comunicazione
verbale, analizzando le modalità di combinazione e le relazioni reciproche. Secondo
l’autore tutti i processi linguistici sono il frutto della composizione di più fattori. Per
questa ragione troviamo alla base della sua teoria, pubblicata nel saggio Linguistica e
Poetica (1960), uno schema a cui ogni atto di comunicazione verbale dovrebbe riferirsi.
Jakobson parla innanzitutto di sei elementi: l’emittente, cioè colui che invia un
messaggio a un destinatario; il contesto e il codice che devono essere comuni al
4
Aristotele, Politica, Bompiani, Milano 2016.
5
Voce Comunicazione, in “Vocabolario Treccani online”,
http://www.treccani.it/vocabolario/comunicazione/.
6
H. D. Lasswell, The Structure and Functions of Communication in Society, in “Mass communication”,
ed. W. Schramm, Urbana (USA) 1948.
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destinatario cosicché il messaggio venga compreso; e infine il contatto che permette di
mantenere la comunicazione tra mittente e destinatario. L’autore continua poi la sua
teoria affermando che questi sei elementi danno origine ad altrettante funzioni
linguistiche, le quali cambiano in base all’ordine gerarchico secondo cui questi fattori
vengono utilizzati. Le funzioni principali del linguaggio sono tre: la funzione
referenziale, la funzione emotiva e la funzione conativa. La funzione referenziale è
orientata verso il contesto, cioè oltre la realtà linguistica. I messaggi prodotti secondo
questa funzione tendono principalmente a trasmetterci un’informazione. La funzione
emotiva è invece indirizzata verso l’emittente. Questa funzione ha principalmente lo
scopo di suscitare l’impressione di un’emozione determinata, ovvero l’atteggiamento
rispetto a ciò di cui si parla. Infine la funzione conativa si concentra sul destinatario.
Questa funzione trova espressione in frasi imperative, esortative o vocative. Queste tre
funzioni sono però sostanzialmente ampliamenti che l’autore fece nei confronti del
modello tradizionale del linguaggio elaborato dal filosofo Karl Bühler. Nello schema
creato da Jakobson la novità risiede nel fatto che l’autore focalizzò l’attenzione su
ulteriori funzioni: fatica, metalinguistica e poetica. La funzione fatica si utilizza
essenzialmente con lo scopo di prolungare, mantenere o riattivare il contatto, cioè la
comunicazione con l’altro soggetto. La funzione metalinguistica si ha ogni volta che il
discorso è focalizzato sul codice. Questa funzione fa sì che il codice stesso diventi
l’oggetto della comunicazione. Infine Jakobson parla della funzione poetica. Questa
funzione si individua in quei discorsi dove l’accento è posto sul messaggio, mettendo in
risalto la specificità del segno linguistico rispetto al suo riferimento all’oggetto reale
comunicato. Secondo l’autore la funzione poetica non si trova solamente in poesia ma in
ogni atto comunicativo dove si desidera produrre un messaggio stilisticamente valido ed
esteticamente efficace. L’autore ci porta l’esempio degli slogan pubblicitari, i quali si
servono di schemi linguistici tipicamente poetici al di fuori del loro consueto contesto di
appartenenza.
Ci siamo fin qui soffermati sul modello di comunicazione verbale con lo scopo di
illustrare come queste funzioni siano valide anche quando si parla di comunicazione
visiva, cioè quella forma di comunicazione che avviene per mezzo delle immagini. La
nostra intera vita sociale si fonda sulla possibilità di vedere: ogni giorno siamo
bombardati da migliaia d’immagini che si offrono ai nostri occhi con lo scopo di
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trasmettere informazioni o messaggi, che, a differenza della parola, possono essere
compresi universalmente. Che siano naturali o artificiali, che rispondano a una
determinata funzione o siano utilizzate come oggetto di svago, ogni immagine è
realizzata secondo criteri e leggi che non sempre l’osservatore riesce a percepire.
Come avviene per un messaggio espresso attraverso la parola, anche un’immagine
necessita di un emittente, di un destinatario e di un codice comune. Di conseguenza è
possibile prendere in esame lo schema teorizzato da Jakobson anche nei riguardi della
comunicazione visiva e, per comprendere meglio quest’associazione, andremo ora a fare
degli esempi per ogni rispettiva funzione.
Quando osserviamo un’immagine che ha lo scopo di documentare o informare si può
parlare di funzione referenziale. Qualora ci trovassimo davanti ad un’immagine che
mette in luce la sensibilità dell’autore possiamo parlare, ad esempio, di funzione
emotiva. Quando ci troviamo di fronte a delle immagini che ci spronano a fare
determinate azioni si può parlare di funzione conativa. Quando invece la nostra
attenzione è attirata da una determinata immagine si può parlare di funzione fatica. Nel
caso di immagini che utilizzano un determinato codice possiamo parlare di funzione
metalinguistica. Infine quando un’immagine porta lo spettatore ad osservare
principalmente l’aspetto formale, cioè la composizione, la luce e i colori, possiamo
parlare di funzione poetica. Come abbiamo detto la funzione poetica si attua nel
momento in cui si ritiene più importante trasmettere, più che il contenuto, la forma
linguistica del messaggio. Facendo riferimento ai musei contemporanei potremmo
affermare che questa funzione è alquanto significativa poiché, come abbiamo detto, il
museo oggi, più che concentrarsi sul contenuto informativo, deve attuare una serie di
strategie e composizioni sempre nuove, in modo da rendere l’esperienza unica ed
efficace. Questi esempi ci dimostrano come le immagini non siano un semplice insieme
di forme e colori casuali, ma un insieme di determinati elementi, il cui valore funzionale
è dato dal rapporto fra ognuno di essi. Dal momento in cui si vuole comunicare
attraverso strumenti di tipo non verbale è quindi necessario tenere a mente tutta una
serie di elementi che sono essenziali per una buona riuscita comunicativa.