3.2 1945-1970: L'avvento del turismo sociale e il mito
americano
C’è chi lo ha definito l’anno dello “spartiacque” del Ventesimo secolo, tra l’età della
catastrofe e la successiva età dell’oro. Il millenovecentoquarantacinque fu l’anno della
fine della Seconda Guerra Mondiale ma divenne anche l’anno che disegnò un’Europa
nuova.
La seconda guerra mondiale costò più di cinquanta milioni di morti, fu teatro dello
sterminio degli ebrei e segnò la sconfitta del nazismo e del fascismo. Anche per altri
motivi, però, quel conflitto può essere visto come un divisore fra due periodi storici
molto diversi. Quell'anno fu un momento di svolta nella storia, che mutò totalmente il
mondo attuale: iniziò il processo di globalizzazione. Uomini e idee, merci e capitali
iniziarono a muoversi attraverso le frontiere nazionali con una crescente accelerazione,
tanto da permettere tra le diverse parti del mondo una sempre maggior interconnessione.
3.2.1 Cosa succede in America? Un modo diverso di vedere e vivere
la pubblicità
Tra l’Ottocento e i primi due decenni del Novecento la pubblicità in America avette il
compito essenziale di fare da tramite tra la produzione di un bene e la sua presenza sul
mercato utilizzando i mezzi tipici di promozione quali la vetrina, il catalogo, il
manifesto e il volantino. La loro funzione era semplice e serviva a proporre e a far
conoscere un determinato prodotto. La prima impresa che si occupò di pubblicità venne
fondata nel milleottocentoquarantatré a Philadelphia da Volney Palmer; egli comprava
spazi pubblicitari dai giornali rivendendoli successivamente agli utenti ad un prezzo
maggiorato. Poco dopo, all’originario ruolo di intermediazione si affiancò anche quello
di consulenza per la realizzazione di bozzetti grafici.
Negli anni Cinquanta però la situazione mutò. Con la fine del conflitto mondiale le
industrie americane impegnate a produrre beni di consumo raggiunsero limiti favolosi e
paurosi allo stesso tempo. L'entrata nelle fabbriche di nuovi sistemi di automazione
spinsero la produzione al punto che ben presto i magazzini divennero sempre più pieni
di prodotti da smerciare. Questa ondata di produttività causò un immediato aumento di
prosperità. Rispetto al decennio appena passato l'americano medio negli anni Cinquanta
si trovava nelle tasche una somma cinque volte maggiore di «dollari discrezionali», cioè
di denaro non assorbito da bisogni immediati della vita.
Gli statisti economici, nonostante questa prima onda montante di prosperità, lanciarono
l'allarme: o si persuadevano gli americani a consumare sempre di più, impegnando i
loro «dollari discrezionali» in spese superflue, o l'economia nazionale (a cui erano
legate poi tutte le economie occidentali) correva seri pericoli;.
«Come nazione abbiamo ormai raggiunto un livello di benessere così elevato che una
percentuale altissima di beni di consumo prodotti in America (forse il 40%) non è più
soggetta alla domanda immediata e urgente del pubblico; e tale saturazione andrà
progressivamente aggravandosi negli anni avvenire. Ora, se i consumatori rinunciano
ad assorbire una parte così cospicua della produzione, ne conseguirà una grave
depressione».
14
,
C'è da sottolineare che il dilemma “aumento indefinito delle vendite o depressione” era
tuttavia infondato. Esisteva una terza via, inventare cioè una società diversa, basata per
esempio su minor lavoro, maggior tempo libero, consumi contenuti. Ma questo era un
campo che riguardava i filosofi, gli economisti non furono nemmeno sfiorati dal
problema.
14) Articolo apparso su " Advertising Age del 24 ottobre 1955 a cura del dirigente della Mc Graw Hill
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Si optò così per far passare la produzione in secondo piano, concentrandosi sulle
vendite, passando da un epoca capitalista ad una prettamente consumistica. La
pubblicità classica venne a sua volta surclassata da una più scientifica, mentre
disegnatori e tecnici, che fino a qualche anno prima abbellivano le strade con i loro
manifesti, divennero da quel momento inadeguati a risolvere i nuovi problemi del
consumismo.
Il comportamento del pubblico si rilevò capriccioso e imprevedibile. Molti industriali,
dopo aver finanziato grandi campagne pubblicitarie che, secondo un criterio logico,
avrebbero dovuto lanciare un prodotto, si ritrovavano con i magazzini strapieni e grosse
perdite: i prodotti non andavano, o andavano a sbalzi. Si scoprì che la gente non sapeva
quello che voleva e che il segreto per vendere era appunto l'abilità nel creare nuovi
bisogni, basandosi su una semplice deduzione: “L'individuo quando spende, non
compra solo oggetti, ma anche l'immagine ideale di se stesso”
15
In altre parole: ogni persona vorrebbe possedere qualità che non possiede: sicurezza,
importanza, cultura, virilità, fascino, successo. Solitamente il modo per ottenere tali
qualità è dato dalla fatica, la costanza e l'impegno. I pubblicitari scoprirono che
l'individuo cerca una scorciatoia per ottenerle come l'acquistare oggetti che sembrano
contenere queste qualità. Di qui nasce la nuova tecnica pubblicitaria: introdurre nei
prodotti le qualità che il cliente ama e vorrebbe riconoscere in se stesso.
15) Tratto da: M. De Beni, R. Bommassar, L. Grossele Psicologia e sociologia. Corso base p.303
3.2.2 Italiano vs Americano: due stili pubblicitari a confronto
Marketing ‹màakitiṅ› s. ingl. [der. di (to) market «vendere», a sua volta der. Di market
(v.)], usato in ital. al masch. – Con riferimento alle imprese produttrici di beni di largo
consumo, il complesso dei metodi atti a collocare col massimo profitto i prodotti in un
dato mercato attraverso la scelta e la programmazione delle politiche più opportune di
prezzo, di distribuzione, di vendita, di pubblicità, di promozione, dopo aver individuato,
attraverso analisi di mercato, il potenziale consumatore. )
16
La parola “marketing” nel linguaggio comune italiano non ha una traduzione specifica,
questo non può che esprimere con chiarezza quanto tale concetto fu lontano dal pensiero
italiano negli anni Venti. Anni in cui l'Italia era rimasta molto indietro rispetto alle
nazioni europee e soprattutto a quella americana, più industrializzate nello sviluppo di
forme moderne di vendita al dettaglio e nella sua promozione. Tale deficit era da
imputare alla struttura dell'economia italiana controllata dal governo, dove i produttori
di beni di consumo erano tipicamente di piccole dimensioni, a conduzione familiare e di
tipo artigianale. Le operazioni erano perciò orientate alla produzione e, in misura
minore, alla finanza. L'introduzione dei principi del marketing provocò dal
millenovecentoventi una lenta ma radicale trasformazione delle strategie comunicative
europee.
Tale cambiamento nacque dall'adozione in Europa delle modalità di propaganda
americane, caratterizzate da un approccio business concentrato sul consumatore e non
sul prodotto, da una ricerca di nuove metodi e tecniche per un lavoro più professionale
ed infine dalla pianificazione delle procedure fino alla definizione di uno stile di
comunicazione. Questa nuova visione, meno artistica e più manageriale venne accusata
da molti di essere responsabile di creare bisogni inappropriati per le condizioni
economiche nei contesti sociali meno sviluppati e di essere uno strumento volto a
16) Definizione di Marketing Fonte: Dizionario Treccani
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miticizzare la cultura americana (e della nuova figura del consumatore) a scapito dei
valori nazionali e locali.
Nonostante le filosofie di pensiero contrastanti, nel dopoguerra, accanto alla ormai
superata figura del cartellonista, in Italia arrivarono le prime succursali delle
multinazionali pubblicitarie statunitensi; che guardavano le agenzie pubblicitarie
italiane giudicandole inadeguate e sottosviluppate, sentendo così l'esigenza di
omologarle al loro stile. La debolezza delle agenzie italiane a loro giudizio, nasceva
oltre che dalla mancanza di ferree regole su cui basarsi, anche dall'organizzazione delle
aziende italiane, che avevano al suo interno reparti improvvisati dedicati alla pubblicità
ed alla propaganda. Tali uffici aziendali erano una forte resistenza all'americanizzazione
pubblicitaria poiché concorrevano direttamente con le agenzie pubblicitarie vere e
proprie.
La prima agenzia pubblicitaria italiana, la ACME Dal Monte; fu inaugurata nel
millenovecentoventidue anno in cui cominciò a diffondersi la radio, e con questa i
messaggi pubblicitari radiofonici, veicolati dalla SIPRA (soc. italiana pubblicità per
azioni), prima concessionaria italiana.
Se l'americanizzazione della pubblicità italiana inizia nel millenovecentoventi, si dovrà
comunque attendere fino al millenovecentoquarantacinque per veder nascere a Milano il
primo incontro trai professionisti della pubblicità italiana. Un evento importante ma
dove parteciparono solo cinque agenzie di cui tutte con passate esperienze lavorative o
comunque influenze americane. Ciò a dimostrazione di quanta opposizione la mentalità
più artistica italiana fece alle rigide impostazioni del marketing americano.
Ci furono così due generazioni di pubblicitari a confronto: la “vecchia scuola
all'italiana” (o artisti pubblicitari) creativa, originale, eccentrica, composta da artisti
autodidatti ed illustratori e la “nuova generazione” addestrata in aziende americane
avente a capo il “tecnico pubblicitario” (o graphic designer), figura professionale atta a
perseguire un obbiettivo di vendita. C'è da dire che però tale figura mancava della
formazione artistica e di design di cui gli artisti pubblicitari della vecchia scuola italiana
eccellevano. Il tecnico pubblicitario non nasceva da una scuola vera e propria che lo
formasse ma attingeva al know how delle aziende multinazionali che svolsero così un
ruolo basilare nella diffusione teorica e pratica di tale nuova metodologia di
propaganda. (Immagine 22, manifesto promozionale dello stabilimento di
Castellammare di Stabia stagione termale anno 1960. Fonte: poster image. Artista
Mario Puppo su commissione di ENIT. Puppo è l'esempio dei tanti artisti pubblicitari
che usarono le proprie capacità artistiche per promuovere il turismo. I loro poster
dovevano farsi scorgere, spiccare agli occhi del passante, e soltanto poi veicolare un
messaggio; conclusosi questo rapporto diretto, però, il poster cessa di esistere. Rimane
un qualcosa di esteticamente piacevole, che è un po’ come lo vediamo noi oggi. Ecco
che, allora, con la distanza della riflessione, potremmo dire, si scruta il suddetto poster
come fosse, a tutti gli effetti, un’opera d’arte.)
Altro grande contributo al cambiamento dei metodi pubblicitari italiani, fu dato dalle
riviste del settore che pubblicarono articoli in merito, come il noto “Ufficio Moderno”
un periodico milanese che svolse un ruolo chiave nella fusione tra i metodi americani e
la tradizione italiana. Tale periodico, insieme ad altre pubblicazioni, crearono l'esigenza
di un restyling alla pubblicità per renderla più americana ed efficace, ma mantenendo
quello stile irresistibile tutto italiano. L'immaginazione, la creatività di cui la pubblicità
italiana si poteva vantare, non poteva venir compressa dalle ricerche di mercato. La
strada vincente sembrò quindi essere quella di trovare il giusto connubio tra know-how
americano e design italiano. Furono tuttavia anni di conflitti trai sostenitori dei due stili.
Le prime sperimentazioni di un nuovo metodo di fare pubblicità, sono da datarsi nel
millenovecentocinquanta dove le società progressiste come Olivetti, Rinascente e Pirelli
condivisero con i graphic designer l'ambizione di dare al pubblico una raffinatezza
estetica, trovando un equilibrio tra grafica moderna e segmentazione del mercato.
Equilibrio rivelatosi vincente e che valse a tali aziende l'assegnazione dell'ambito
premio “Palma d'oro della pubblicità” da parte di una giuria di professionisti
pubblicitari conquistati dall'inventiva dei loro grafici ed al gusto raffinato. Nel
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millenovecentocinquantacinque tale premio però fu sospeso a causa dei forti malumori
sul metodo decisionale applicato dalla giuria (si credeva fosse data troppa importanza
alla grafica a discapito degli obbiettivi della campagna pubblicitaria e dei gusti del
pubblico a cui il messaggio era rivolto.) Cambiarono così le regole che diedero spazio
all'efficacia effettiva dello spot in termini di notorietà e vendite ottenute.
Con il boom economico, l'Italia si avviò alla trasformazione: da produttore a economia
di consumo; furono quelli gli anni dove le imprese per promuoversi abbandonarono il
fai da te degli artisti per affidarsi alle agenzie ed il know how americano aveva
finalmente preso piede.
Un'altra data fondamentale è il tre gennaio del millenovecentocinquantaquattro alle ore
undici: è questo il momento esatto della prima messa in onda del servizio televisivo sul
Programma Nazionale. Con l'avvento della televisione infatti si osservò la nascita di
quel che poi si considerò una delle espressioni più originali della pubblicità italiana; il
Carosello, un programma composto da una serie di spot pubblicitari, trasmessi dopo il
TG della sera. La pubblicità divenne una sorta di spettacolo, in un ferreo meccanismo
che obbligava i pubblicitari ad anteporre allo spot vero e proprio, il cosiddetto “codino”
di trentacinque secondi, uno spettacolo di 1 minuto in cui era vietato qualunque cenno o
allusione al prodotto. Erano spot completamente diversi da quelli proposti dalle altri
emittenti televisive estere (primis in America) dovevano rispettare elaborati standard
stabiliti dai dirigenti RAI, inoltre lo spot non era replicabile per cui ogni pubblicità
doveva essere sempre nuova, originale, diversa. L'obbiettivo del Carosello era quello di
creare un compromesso con le richieste continue degli inserzionisti ed i pubblicitari che
spingevano per avere uno spazio maggiore in TV, venendo incontro anche al bisogno di
intrattenimento del pubblico italiano che con tale formula veniva “educato” in forma
leggera e divertente.
Una formula che tanto fu restrittiva per i pubblicitari e considerata assurda dalla scuola
americana ma che al contempo fu amatissima dagli italiani; sedotti dalle battute ed i
personaggi degli spot che entrarono nel linguaggio e nell’immaginario comune.