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I Sezione
CONSIDERAZIONI GENERALI: I MONTI PELORITANI
E LA FORMAZIONE GESSOSO-SOLFIFERA
I.1 QUADRO GEOLOGICO ESSENZIALE DEI MONTI PELORITANI
L’area oggetto del presente studio è compresa nel margine
nord-orientale dei Monti Peloritani, quest’ultimi a loro volta
estremità nord-orientale della Sicilia.
Il settore peloritano è notoriamente un elemento
strutturalmente esotico nell’ambito della Catena Mediterranea: è,
infatti, l’unico a presentare il basamento cristallino ercinico, una
copertura sedimentaria marina che comincia dall’Infralias ed è
anche sovrascorso, come componente dell’Arco Calabro, sul settore
Appenninico-Magrebide, costituito da successioni di avanfossa
(MONTANARI, 1987).
Tradizionalmente l’accavallamento della Catena Kabilo-
Calabride sulle unità della Catena Appenninico-Magrebide è stato
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considerato come interessante esclusivamente le unità cristalline
kabilo-calabridi, svincolate dai domini appenninico-magrebidi.
Tale svincolo è stato comunemente identificato nella
cosiddetta “Linea di Taormina”, ovvero l’allineamento esteso da S.
Fratello, sulla costa tirrenica siciliana, a Taormina, sulla costa
ionica, lungo la quale avviene il contatto transpessivo fra unità
kabilo-calabridi ed unità appenninico-magrebidi, con svasamenti
sia a Sud per la Sicilia, sia a Nord per la Calabria settentrionale.
Le unità affioranti nei Monti Peloritani costituiscono un
edificio a falde di basamento ercinico dato dall’impilamento di unità
composte da terreni cristallini di vario grado metamorfico, su cui
sono preservati lembi delle originarie coperture sedimentarie
mesozoico-terziarie.
Sono riconoscibili diverse unità il cui ordine di
sovrapposizione è tale che le falde via via più elevate sono
caratterizzate da basamento cristallino di grado metamorfico sempre
più alto.
L’insieme di tali strutture è distinguibile in una successione
di unità in relazione sia alla loro posizione tettonica, sia alla
differente copertura sedimentaria.
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Il basamento cristallino tettonicamente più in basso, dato da
semiscisti sericitico-cloritici (LENTINI & VEZZANI, 1975), è
caratterizzato da due diversi tipi di copertura carbonatica
mesozoica: quella di dominio esterno dell’Unità di Longi a
sedimentazione inizialmente fortemente silicoclastica e poi calcarea
con caratteri euxinici e quella interna dell’Unità di Taormina quasi
sempre calcarea.
Unità a sedimentazione olopelagica condensata si trovano in
parte a metà dell’impilamento (Unità di S. Marco), in parte come
esotici inglobati nella scaglia (Unità di S. Andrea).
Unità ancora più interne e tettonicamente soprastanti sono
rappresentati dai termini metamorfici di grado più elevato; si tratta
di due unità, una filladica (Unità di Mandanici) ed una a paragneiss,
micascisti, gneiss occhiadini ed anfiboliti con leucogranodioriti
(Unità dell’Aspromonte), che dovrebbe costituire la falda più
elevata di tutto il Complesso Calabride.
Sulle falde descritte poggiano differenti cicli terrigeni
discordanti sviluppatisi nelle diverse fasi della strutturazione
dell’edificio peloritano.
I depositi di un primo ciclo sedimentario sono riferibili
all’Eocene superiore-Oligocene inferiore (Flysch di Frazzanò –
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OGNIBEN, 1960; Formazione di Piedimonte - CARMISCIANO et alii,
1981): risultano implicati all’interno dei raddoppi tra le unità
kabilo-calabridi più profonde e permettono la datazione delle prime
fasi tettoniche responsabili dell’accavallamento della Catena
Kabilo-Calabride sulla Catena Appenninico-Magrebide.
A questo stesso ciclo, per la loro posizione stratigrafica, è
riferibile un tipo di sedimentazione neritica (Unità di Rocca
Novara) del Titonico-Neocomiano a sedimentazione pelagica
abbastanza condensata fino all’Eocene che si trova come
megabrecce nei depositi paralici oligo-miocenici (BONARDI et alii,
1982; MONTANARI, 1987).
Si tratta di megabrecce incluse in un deposito rosso di
ambiente paralico (“Conglomerato Rosso”) il quale
rappresenterebbe l’inizio della successione miocenica del Flysch di
Capo d’Orlando (BONARDI et alii, 1982).
Questo cosiddetto “Flysch” è una formazione terrigena datata
Chattiano-Burdigaliano inferiore (LENTINI et alii, 1995) estesamente
affiorante nei Peloritani nord-occidentali.
Si è depositata sulla paleosutura tra i due domini strutturali
durante fasi tardive del ricoprimento della Catena Kabilo-Calabride
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sulla catena Appenninico-Magrebide ed anche come sutura fra falde
totalmente calabridi.
Attualmente la formazione affiora al letto della coltre
retrovergente delle Argille Varicolori dell’Unità Antisicilide
proveniente da domini Magrebidi interni.
La definiva messa in posto delle Unità Kabilo-Calabridi sui
domini magrebidi segna la chiusura, nel Miocene inferiore, della
deposizione del Flysch di Capo d’Orlando.
A questo stesso contesto tettono-sedimentario è ascrivibile la
deposizione di un ultimo ciclo tardo-orogeno di età Burdigaliano
superiore-Langhiano inferiore rappresentato dalle Calcareniti di
Floresta (OGNIBEN, 1960; CARMISCIANO et alii, 1981; CARBONE et
alii, 1993).
Le Calcareniti di Floresta sigillano i contatti tra la coltre
caotica retrovergente dell’Unità Antisicilide ed il substrato
peloritano.
Una radicale trasformazione del regime tettono-sedimentario
all’interno della Catena Kabilo-Calabride è registrata a partire dal
Serravalliano ed è imputabile all’inizio dell’apertura del bacino
tirrenico.
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Le successioni medio-supramioceniche riempiono depocentri
originatesi durante energiche fasi di “stiramento” connesse ad un
generale regime transtensivo coincidente con l’attivazione delle
strutture trascorrenti peritirreniche.
I termini compresi tra il Serravalliano ed il Tortoniano
superiore sono caratterizzate da diverse facies terrigene che a grandi
linee sono costituite da un intervallo argilloso e marnoso-siltoso in
alternanza con arenarie arcosiche e sabbie seguito da un intervallo
sabbioso-conglomeratico a prevalenti elementi di rocce cristalline.
Nel dettaglio si possono distinguere sequenze caratteristiche
di ciascuna area essendo la sedimentazione avvenuta in più
sottobacini fortemente controllati dalla tettonica (DEL BEN et alii,
1996).
Sono questi sedimenti del Serravalliano-Tortoniano a
rappresentare le coperture sedimentarie più antiche affioranti
all’interno dell’area studiata, in appoggio diretto sul basamento
metamorfico dell’Unità dell’Aspromonte; ad essi segue
l’impostazione della serie evaporitica che costituisce l’argomento
principale di questo lavoro e che quindi, insieme ai diversi cicli
sedimentari plio-pleistocenici sarà dettagliata nei successivi capitoli.
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I.2 L’ESSICCAMENTO DEL MAR MEDITERRANEO E LA
FORMAZIONE GESSOSO-SOLFIFERA
Le evaporiti si trovano in terreni che vanno dal Cambriano al
Quaternario ed in quasi tutti i più importanti bacini sedimentari del
mondo.
In Europa vi sono tre principali orizzonti o bacini evaporitici,
rispettivamente di età permiana, triassica e miocenica. L’ultimo e
più recente bacino evaporitico è quello messiniano s.l..
Le evaporiti messiniane sono conosciutissime in Italia col
nome di Formazione Gessoso-Solfifera adottato per primo da
BALDACCI (1886), ed ancora largamente usato oggi, almeno nella
sua accezione più generale.
In Sicilia affiorano le più complete successioni evaporitiche
depostesi durante il Miocene superiore; non a caso le evaporiti e i
loro rapporti con le formazioni adiacenti sono state in Sicilia
oggetto di studio a partire dallo scorso secolo. Queste hanno infatti
destato un grande interesse economico legato alla presenza di
giacimenti di zolfo e di salgemma noti fin dall’antichità.
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Ma questi pochi cenni introduttivi sulla Formazione Gessoso-
Solfifera sono inadeguati rispetto alla molteplicità dei problemi
annessi alle evaporiti.
Infatti, la concomitanza di fattori genetici peculiari (stress
climatico, idrologico e tettonico, ipersalinità dei bacini di
deposizione e loro topografia) che hanno dato luogo alle evaporiti
mioceniche, ha contribuito in passato, all’incremento di letteratura
geologica quantomeno singolare.
Basti soltanto pensare che la sedimentazione del Tripoli era sì
messa in relazione con l’instaurarsi di bacini chiusi a diminuita
circolazione, ma col contemporaneo e fondamentale apporto di
silice vulcanica (MOTTURA, 1871; SPEZIA, 1892; ANELLI, 1913;
OGNIBEN, 1957)
Vero è, comunque, che sul tema si è sempre tenuto vivo
l’interesse, anzi a maggior ragione nell’ultimo trentennio con il
moltiplicarsi dei programmi di trivellazione nel Mar Mediterraneo.
Sostanzialmente fu dopo la crociera della Glomar Challenger
(Leg. XIII, 1970) che si fece strada l’ipotesi che molti grandi bacini
evaporitici del passato fossero stati dei grandi mari essiccati.
Più in particolare i leaders di quella spedizione (HSU et alii,
1973) ipotizzarono sulla base di dati stratigrafici, geofisici e
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sedimentologici, che nel Miocene superiore il Mediterraneo si fosse
essiccato quasi completamente a causa della chiusura dello Stretto
di Gibilterra (in realtà non lo stretto attuale, ma un’apertura o più
aperture situate più o meno in quell’area).
Questa idea era già stata avanzata da RUGGERI (1967) in base
a documentazione soprattutto paleontologica, ipotizzata in base ai
notevoli cambiamenti avvenuti nelle faune mediterranee nel
Miocene superiore.
Ma - a parte questioni strettamente legate alla posizione
geografica della barriera che a partire dal Miocene superiore impedì
il passaggio delle acque atlantiche nel Mediterraneo, isolandolo -
successive indagini nell’area del Mediterraneo, in mare e sulla
terraferma, indussero HSU e colleghi a suddividere la Formazione
Gessoso-Solfifera in due cicli deposizionali principali (MONTADERT
et alii, 1978): le evaporiti Inferiori e quelle Superiori, separate da
una superficie di discordanza di valore regionale.
Già DECIMA & WEZEL (1971) però avevano riconosciuto,
all’interno della Serie Gessoso-Solfifera della Sicilia centro-
meridionale delle sequenze appartenenti a più zone
paleogeograficamente distinte e soprattutto avevano messo in
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evidenza differenze dovute a due distinti episodi evaporitici (causa
una deformazione tettonica intramessiniana).
Gli imprescindibili dati e le logiche conclusioni derivanti sia
dalle osservazioni di campagna che dalla interpretazione di
numerosi sondaggi produssero l’involontario effetto di estendere la
dinamica tettono-sedimentaria dei grandi bacini messiniani
investigati nel Mediterraneo a qualsiasi bacino soggetto ad
evaporazione durante il Miocene superiore.
Più recentemente, da un’ipotesi di Mediterraneo essiccato
durante tutto il Messiniano o quasi, si è passati ad una visione più
articolata, con numerosi essiccamenti locali e disseminati ed una
generalizzata essiccazione alla fine del primo ciclo. A quest’ultima
avrebbero contribuito i sollevamenti orogenetici della Sicilia e di
altre catene mediterranee.
Le evaporiti che si generano in un simile contesto
geodinamico possono essere inquadrate secondo MUTTI & RICCI
LUCCHI (1994), in uno scenario da “laguna cannibalistica”, cioè
autoalimentantesi, con margini periodicamente essiccati e con
erosione e accumulo intrabacinale di evaporiti.
L’indubbio merito del metodo di analisi che ha portato alla
definizione di tale modello deposizionale delle evaporiti mioceniche
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sta nell’avere concepito l’evento evaporitico in condizioni
dinamiche e non più statiche come invece postulava la modellistica
precedente.