2
INTRODUZIONE
La tesi vorrebbe offrire una prima ricostruzione del profilo del critico torinese Arrigo
Cajumi, la cui figura è stata finora oggetto di articoli commemorativi o contributi introduttivi,
ma mai di uno studio più esteso ed accurato. La scelta del soggetto è motivata dalla sua nutrita
produzione critico-letteraria, espressasi in numerosi interventi su riviste e quotidiani, e dalla
stesura dei Pensieri di un libertino, ricca raccolta di note e di chiose a letture redatta nel
decennio 1935-1945.
Si intende innanzitutto illustrare gli apporti arrecati al successivo sviluppo della parabola
cajumiana dall’incontro giovanile con il filologo Ferdinando Neri, che le impresse il duraturo
indirizzo francesistico e seppe instillarvi sollecitazioni in senso comparatistico e biografico-
psicologico, quest’ultimo recepito attraverso la lezione ottocentesca di Sainte-Beuve, la cui
opera sarebbe poi stata assurta dallo stesso Cajumi a sommo esempio di lettura e
interpretazione dei testi. Accanto alla predominante vena critico-letteraria, è evidenziato anche
il fil rouge degli interessi politici, storiografici ed economici che animarono molte pagine
redatte dal critico (ad esempio quelle degli articoli scritti per «La Rivoluzione liberale») e si
concentrarono soprattutto sui protagonisti dell’epoca risorgimentale e dei decenni postunitari,
specie Cavour e Giolitti, nell’intento di rappresentare due emblematiche fasi di buon governo,
in contrasto con l’affermazione del regime fascista, e di indagare le ragioni storiche di
quest’ultimo. Alcune parti dedicate all’Offensiva scritta col lapis, brevissimo resoconto
incompiuto della partecipazione al primo conflitto mondiale, e alle collaborazioni
giornalistiche del secondo dopoguerra («Lo Stato moderno», «Il Mondo», «La Nuova
Europa»), permettono di cogliere nel critico dei tratti prettamente engagés, che nei casi
3
indicati si rivelano nel disincanto con cui il giovanissimo soldato osserva le manovre militari e
nella partecipazione al dibattito postbellico sul pensiero politico liberale.
Al centro del nostro discorso è, però, posta l’analisi della monografia libertina, che
cerchiamo in primo luogo di definire in termini di reazione intellettuale alla contingenza
storica e del conseguente consolidamento delle posizioni filosofiche e letterarie del critico, che
si inscrivono definitivamente lungo il solco dei philosophes settecenteschi, spingendosi fino a
costruire un’implicita linea plurisecolare di pensatori libertini ed epicurei. Ci addentriamo poi
nella struttura del testo per fissare i residui di partizione titolare-cronologica che ne ordinano il
fluido dettato e per considerare i molteplici influssi generici, e i relativi esemplari testuali, che
risultano costitutivi per l’identità della raccolta. Possiamo in tal modo evidenziare la
singolarità dei Pensieri nel quadro della produzione letteraria italiana della prima metà del
Novecento, condizione raggiunta echeggiando i testi postrinascimentali della tradizione
francese.
La densità dei Pensieri consente di accedere per via privilegiata al resto della produzione
critica di Cajumi, che è oggetto dell’ultima parte del lavoro di tesi e di cui sono stati presi in
esame soprattutto gli interventi confluiti in raccolte monografiche e quelli apparsi sulla
rassegna bibliografica «I libri del giorno» e nei fascicoli della «Cultura». Fra le numerose
collaborazioni editoriali del critico si è scelto di prestare maggiore attenzione a quella
ultradecennale alla rivista «La Cultura», ritenuta per longevità e per tenore intellettuale del
gruppo redazionale cui Cajumi apparteneva, e che per qualche tempo diresse, la più incisiva
per il definirsi degli orientamenti cajumiani. Attraverso una breve trattazione degli aspetti
caratterizzanti la rivista si vuol porre in rilievo la partecipazione del critico al movimento di
nascita e progressiva legittimazione della critica extrauniversitaria che la fioritura
pubblicistica primonovecentesca permise e soprattutto il contrasto fra il carattere polemico ed
epigrammatico di alcune sue affermazioni, specie provenienti dai Pensieri, e l’essenziale
moderatezza degli indirizzi espressi, consonanti con quelli delollisiani (ad eccezione delle
4
differenti vedute dell’estetica crociana applicata alla critica letteraria), anche in merito al
richiamo alla funzione civile della letteratura. Considerando gli sviluppi incontrati dalla rivista
dopo la morte del direttore Cesare De Lollis è poi possibile osservare il contributo cajumiano,
sorretto dalle precedenti esperienze editoriali del critico, ai mutamenti attraversati dalla
«Cultura» nell’ultimo quinquennio di vita, in direzione dell’avvicinamento all’esperienza
gobettiana, di cui lo stesso Cajumi era stato uno degli animatori.
A causa del solido indirizzo antiidealistico e antisistematico del critico, ci è parso opportuno
definire i capisaldi della sua riflessione a partire dalla polemica condotta in più punti contro
Croce e i crociani, che ne costituì un vero Leitmotiv, per giungere infine alla costante opposta
del saintebeuvismo. Si è quindi effettuato un raffronto con l’antimodello prima, il modello
poi, impiegando affermazioni in parte programmatiche in parte tratte dai rispettivi interventi
su testi ed autori, per verificare l’effettiva corrispondenza fra le une e le altre e constatare il
reale orientamento cajumiano rispetto al filosofo e al letterato francese; l’influsso di
quest’ultimo su alcuni critici italiani, peraltro congeniali allo stesso Cajumi, permette infine di
approfondire gli aspetti da lui mutuati accostando le prove saggistiche dell’uno e degli altri e
discuterne la qualità letteraria, con particolare riguardo agli interventi di Cajumi pubblicati
dapprima su riviste e quotidiani, e in seguito raccolti in volume.
Dedichiamo infine un’ultima tranche all’analisi del romanzo (o racconto lungo) Il passaggio
di Venere e delle sue appendici, Un uomo di quarant’anni e Un egoista, concentrandoci sul
raffronto fra il cimento narrativo cajumiano e i suoi modelli ottocenteschi, Volupté, Adolphe,
Obermann, dei quali sono colte le trasformazioni favorite dalla mutata stagione storica e
letteraria.
5
1. DA TORINO A MILANO: LA FORMAZIONE
1.1 Il profilo biografico
Di famiglia modenese trasferitasi a Torino, Arrigo Cajumi nacque il 22 ottobre 1899
1
da
Catullo e Imelda Zironi
2
, che ricorderà come membri di una «piccola borghesia studiosa e
risparmiatrice»
3
, in perfetta sintonia con il solido e laborioso spirito piemontese da lui sempre
decantato. Il padre era, infatti, sarto ed il nonno barbiere
4
. In verità i libri non abbondavano
nella casa paterna, ma la famiglia seppe trasmettere al giovane Arrigo il valore della lettura,
alla quale egli iniziò a dedicarsi presto, tramite l’abbonamento alle biblioteche circolanti e
l’acquisto delle prime opere con l’aiuto economico della sorella maggiore
5
.
Frequentò l’Istituto di ragioneria, dove ebbe la fortuna di trovare maestri come Arturo
Farinelli e soprattutto il francesista Ferdinando Neri, sotto la cui guida iniziò a maturare una
forte e costante passione per la letteratura d’oltralpe. Paradossalmente, fu negli anni di
formazione tecnica che si delinearono le sue inclinazioni intellettuali.
Già nel 1914, quindicenne, scriveva al «Fanfulla della domenica» per sollecitare la
partecipazione del paese al conflitto mondiale, denotando una precoce attenzione alle vicende
storiche. Il suo interventismo era, però, mosso non da un’analisi razionale della situazione
europea, ma dal desiderio di difendere l’amata latinità dall’influsso nefasto della cultura
1
Cfr. A. Cajumi, Prefazione a Ricordi e letture, Milano, Editrice L’industria 1952, p. 1; P.P. Trompeo, Ricordo
di Arrigo Cajumi, in A. Cajumi, Colori e veleni. Saggi di varia letteratura, Napoli, Esi 1956, p. IX; F. Del
Beccaro, s.v. Cajumi, Arrigo, in Dizionario biografico degli italiani, 74 voll., Roma, Istituto dell’Enciclopedia
italiana 1960-2010, XVI, 1973, p. 385 e L. Beghin, Appunti sulla vita e sull’opera critica di Arrigo Cajumi, in
«Otto/Novecento: rivista quadrimestrale di critica letteraria», XXX, n. 1, 2006, p. 75.
2
Cfr. F. Del Beccaro, s. v. Cajumi, Arrigo, in DBI, op. cit., p. 385.
3
Cfr. A. Cajumi, Prefazione a Id., Ricordi e letture, op. cit., p. 1.
4
Cfr. A. Cajumi, Pensieri di un libertino, Torino, Einaudi 1950, p. 466; d’ora in avanti indicati come Pensieri.
5
Ivi, p. 216.
6
germanica. Così, almeno, Cajumi, ormai adulto, rileggeva e interpretava le posizioni giovanili
nel riepologo autobiografico preposto alla raccolta di scritti Ricordi e letture
6
nel 1952.
A distanza di due anni, nella primavera del 1917, si arruolò volontario e nel giugno 1918
riuscì a partecipare come sottotenente di fanteria all’offensiva del Piave
7
. L’ esperienza bellica
gli diede occasione di redigerne il racconto nella sua prima breve monografia, l’Offensiva
scritta col lapis.
Smobilitato nel 1919, ritornò a Torino per completare gli studi superiori. Con Ferdinando
Neri e Arturo Farinelli sostenne l’esame universitario per l’insegnamento della lingua
francese, ma non utilizzò l’abilitazione
8
né si iscrisse all’Università, benché Neri insegnasse
all’Istituto Superiore di Magistero
9
.
Preferì proseguire da autodidatta le proprie numerosissime letture ed entrare subito nel vivo
del dibattito storico, politico e letterario dell’epoca, che nel fermento del capoluogo torinese
trovava in quel torno d’anni una delle sue punte più avanzate. Negli anni ’20, infatti, iniziò a
collaborare stabilmente a quotidiani e riviste con articoli di critica letteraria e teatrale, ma
anche con interventi di carattere storico-politico. Ne derivarono le prime raccolte in volume, I
cancelli d’oro (profili e parabole), uscito nel 1926 nella collana «Cultura contemporanea» di
Corbaccio e Galleria. Saggi di varia letteratura, che i Fratelli Buratti pubblicarono nel 1930
fra gli «Scrittori contemporanei».
Nel 1921 entrò a far parte della redazione della «Stampa», alla quale rimase fino al 1928,
quando il suo antifascismo non fu più tollerato. Per la testata si recò all’estero più volte: nel
maggio 1922 a Parigi, dove incontrò il regista Jacques Copeau e il critico Benjamin
Crémieux
10
; nel 1925 per un lungo soggiorno a Londra, che doveva essere già iniziato in
agosto e si concluse all’inizio di febbraio del 1926 dopo un breve passaggio nella capitale
6
Cfr. A. Cajumi, Prefazione a Id., Ricordi e letture, op. cit., p. 1.
7
Cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 76.
8
Cfr. P.P. Trompeo, Ricordo, in A. Cajumi, Colori, op. cit., p. X.
9
Cfr. M. Guglielminetti, La scrittura di Ferdinando Neri, in «Giornale storico della letteratura italiana», vol.
CLXIV, a. CIV, n. 526, 1987, p. 183.
10
Cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 77.
7
francese
11
; a Ginevra fra l’agosto e il settembre 1926 e nel giugno 1927 per seguire i lavori
della Società delle Nazioni
12
.
Dal 1921 all’aprile 1935 scrisse sul periodico romano e poi torinese «La Cultura» di Cesare
De Lollis, instaurando la sua più duratura e proficua collaborazione, che gli permise di
stringere estesi legami con intellettuali di pregio, dallo stesso De Lollis, a, fra gli altri, Pietro
Paolo Trompeo, Umberto Cosmo, Bruno Migliorini, Mario Praz, Cesare Pavese, Leone
Ginzburg, Massimo Mila e Sergio Solmi.
Il nome di Cajumi compare anche fra le pagine delle riviste di Piero Gobetti, che furono uno
dei nuclei nevralgici della vita intellettuale torinese nei primi anni ’20: sulla «Rivoluzione
liberale» prima, dal giugno 1922 all’aprile 1924, e poi dall’aprile 1925 al febbraio 1928 sul
«Baretti»
13
.
Il sodalizio con «La Stampa» si interruppe per qualche mese fra il dicembre 1924 e il giugno
1925
14
, durante i quali scrisse sul quotidiano milanese «L’Ambrosiano» firmando le critiche
letterarie con lo pseudonimo di “Bibliofilo”, le cronache teatrali con la sigla Acj e solo gli
ultimi due elzeviri con il nome completo
15
.
Sempre nel 1924 il momentaneo allontanamento dalle colonne della «Stampa» fece
approdare Cajumi al «Contemporaneo», rivista di letteratura e arte uscita in quell’unico anno e
intenzionata a miscere utile dulci, ovvero a trattare argomenti accademici con un registro di
scrittura lieve e scorrevole secondo il modello della pubblicistica francese. La rivista fu
11
Cfr. A. Cajumi, Colori, op. cit., p. 285, dove l’autore rammenta un proprio articolo sul romanzo di Marco
Ramperti La Corona di cristallo scritto nel 1925 «alla vigilia della partenza per Londra»
12
Cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., pp. 80-81.
13
Cfr. F. Del Beccaro, s. v. Cajumi, Arrigo, art. cit., p. 386 e L. Beghin, Appunti, art. cit., pp. 78-79.
14
Cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 80n, il quale ricava la prima data dal Fondo Cajumi (FC) custodito dalla
Biblioteca Sormani di Milano, la seconda dal fascicolo personale su Cajumi composto dalla Polizia Politica e
conservato all’Archivio centrale di Stato (Archivio centrale dello Stato, ministero dell’Interno, Polizia Politica,
Personali, fascicolo “Cajumi, Arrigo”).
15
Cfr. E. Savino, Ferdinando Neri e Arrigo Cajumi. Frammenti di vita letteraria, in «Quaderni di storia
dell’Università di Torino», n. 9, 2008, p. 278.
8
fondata da Lorenzo Gigli, Marziano Bernardi e Giuseppe Gorgerino, provenienti dalla
direzione di «Arte e vita» e pubblicata da Alberto Giani
16
.
Nel 1928, dopo essere stato cacciato dalla «Stampa»
17
, fu il quotidiano genovese socialista
«Il Lavoro» ad accogliere la sua penna, insieme a quella di altri estromessi come Ambrosini,
Salvatorelli, Cosmo e Cabiati
18
.
Nello stesso decennio, accanto all’attività giornalistica e critica, egli ricevette incarichi di
responsabilità nelle realtà editoriali milanese e fiorentina. A partire dal 1920
19
recensì le
nuove pubblicazioni Treves sulla rassegna bibliografica mensile della casa editrice, «I libri del
Giorno», mentre, per Bompiani, fu una delle firme dell’«Almanacco letterario»
20
.
«Riconosciuto indegno, nel 1928, di entrare nell’albo dei giornalisti fascisti»
21
, nel 1929
trovò un impiego presso Bemporad
22
e si trasferì, quindi, a Firenze
23
, dove trascorse i
successivi due anni, probabilmente occupandosi della direzione della collana «Romanzi della
vita moderna»
24
. La sua corrispondenza testimonia anche la frequentazione del Gabinetto
Vieusseux e gli scambi intrattenuti con Eugenio Montale, che in quegli anni ne era il
16
Cfr. A. D’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino, Einaudi 2000, p. 92. Da segnalare che vi
collaborarono anche Gobetti, Neri, Pastonchi, Cian, Cosmo, Cecchi, Deledda, Govoni e Lo Gatto.
17
In una lettera a Giovanni Ansaldo del 6 ottobre 1928 Cajumi dichiarava la sua ormai totale estraneità al
quotidiano cfr. A. Cajumi, Lettere a Giovanni Ansaldo (1927-1931), a cura di Giuliano Torlontano, in «Nuova
Antologia», CXII, 2162, aprile-giugno 1987, p. 224.
18
Cfr. L. Frassati, Un uomo, un giornale. Alfredo Frassati, 6 voll., Roma, Esi 1978-1982, I, 1978, p. 300n dove
si menziona anche il direttore Giuseppe Canepa.
19
Grazie ad uno spoglio diretto degli indici, posso correggere l’anno, il 1921, riportato da Beghin come data di
inizio della collaborazione di Cajumi alla rassegna: cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 78.
20
Cfr. I. Piazzoni, Valentino Bompiani. Un editore italiano tra fascismo e dopoguerra, Milano, LED 2007, p. 64.
21
Cfr. A. Cajumi, Colori, op. cit., p. 285.
22
Nell’epistolario con Ansaldo, Cajumi faceva riferimento ad un possibile impiego «in una Casa Editrice fuori di
Torino» da intraprendere a breve già nel dicembre 1928: cfr. A. Cajumi, Lettere a Giovanni Ansaldo, art. cit., p.
226.
23
Scrivendo ad Ansaldo, Cajumi dichiarava che dall’inizio del settembre il suo recapito era presso la casa
editrice Bemporad in via Cavour 20: cfr. A. Cajumi, Lettere a Giovanni Ansaldo, art. cit., p. 228. Torlontano
ascrive la missiva al 1930, ma Beghin, credo a ragione, fa uso di due testimonianze provenienti dal FC per
retrodatarla al 1929: una cartolina spedita da Praz a Cajumi il 23 ottobre 1929 indirizzata a «Prof. Arrigo Cajumi.
Casa Ed. Bemporad» e una carta intestata «R. Bemporad & F.», sulla quale Cajumi scrisse ad Ansaldo il 10
dicembre 1929: cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 82n.
24
Cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 82. La supposizione è tratta dalle carte di Cesare Pavese, con il quale
Cajumi era in corrispondenza e a cui il 17 settembre 1930 scriveva affermando di prediligere per la propria
collana libri magari «artisticamente inferiori, ma con un richiamo sociale politico, d’intreccio» (cfr. C. Pavese,
Lettere 1924-1944, a cura di Lorenzo Mondo, Torino, Einaudi 1966, p. 242n). A giudicare poi da alcuni dei titoli
pubblicati nella collana fra il 1930 e il 1933 l’ipotesi sembra confermata: ad esempio, E. Glaeser, Classe 1902
(1930) e Pace (1931); M. Isvolsky, A. Kascina, Giovinezza rossa (1930), R. Lehmann, Polvere (1930), J. Sahel,
Un dramma nella grande industria, A. Brener Schultz, Storia di Mary Linden. Scene della vita americana (1931)
(cfr. L. Cappelli, Le edizioni Bemporad. Catalogo 1889-1938, Milano, Franco Angeli 2008, pp. 287 sgg.).
9
responsabile
25
. La parentesi fiorentina si concludeva nell’agosto 1932, quando lasciava
Bemporad e un mese dopo si stabiliva definitivamente a Milano
26
, con l’incarico ufficiale di
“Capo Ufficio Produzione e Pubblicità” alla Treves
27
. Dalle indagini dell’OVRA egli
risultava, in realtà, direttore effettivo dell’«Illustrazione italiana»
28
. Il capoluogo lombardo,
che si andava consolidando come centro dell’elaborazione e della distribuzione culturale,
calamitava, infatti, in quegli anni l’emigrazione intellettuale dalla provincia, movimento a cui
si aggregava, quindi, lo stesso Cajumi
29
.
L’éscamotage burocratico non si dimostrò, però, sufficiente ad evitare che nel 1934 il
prefetto di Milano gli vietasse la prosecuzione dell’attività editoriale
30
. Rimaneva «La
Cultura», della quale Cajumi fu sempre condirettore
31
e, a partire dal 1930, responsabile della
relativa collana monografica
32
. Tuttavia un potere politico sempre più liberticida impose
nell’aprile 1935 la soppressione della rivista, alla quale seguì, il 15 maggio, l’arresto della
maggior parte dei suoi componenti
33
. Cajumi venne allora condotto a San Vittore, dove, a
differenza di altri compagni, fu trattenuto per una sola notte e poi rilasciato
34
.
Chiusa «La Cultura», il critico perse anche la sua ultima fonte di sostentamento economico.
25
Cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 82.
26
Ibidem, dove si fa riferimento alle carte del Fondo Cajumi, in particolare gli scambi con Pavese, per stabilire
che egli dovette lasciare la Bemporad il 31 agosto 1932 e stabilirsi a Milano intorno al 20 settembre. Inoltre fra le
lettere di Pavese ve n’è una indirizzata «Ad Arrigo Cajumi, Milano» risalente al 21 novembre 1932, data in cui,
quindi, il critico risultava già residente nella città meneghina (cfr. C. Pavese, Lettere, op. cit., p. 353).
27
Cfr. A. Cajumi, Colori, op. cit., p. 285: «andai a capo, nel 1932, della Treves»; L. Beghin, Appunti, art. cit., p.
82n, dove lo studioso si rifà ad una lettera del prefetto di Milano al Ministero dell’Interno per precisare il ruolo di
Cajumi all’interno della casa editrice; L. Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli
anni sessanta, Torino, Bollati Boringhieri 1999, p. 86, per la corrispondenza fra Einaudi e Mattioli in cui
l’editore allude ad «una grande Casa milanese, dove già Cajumi fu direttore» (la citazione è tratta dall’Archivio
Einaudi, incartamento Mattioli).
28
Cfr. A. Cajumi, Colori, op. cit., p. 285 in cui rammenta di aver scritturato Marco Ramperti come critico
drammatico dell’«Illustrazione italiana», a conferma di un suo ruolo di responsabilità e L. Beghin, Appunti, art.
cit., p. 83n per i dati relativi alla Polizia Politica.
29
Cfr. V. Spinazzola, Scrittori, lettori e editori nella Milano fra le due guerre, in Editoria e cultura a Milano tra
le due guerre (1920-1940). Atti del convegno di Milano (19-20-21 febbraio 1981), Milano, Fondazione
Mondadori 1983, p. 22.
30
Cfr. A. Cajumi, Colori, op. cit., p. 285.
31
Cfr. P. Trompeo, Ricordo, op. cit., p. XI; F. Del Beccaro, s. v. Cajumi, Arrigo, art. cit., p. 387; S. Solmi,
Poesie, meditazioni e ricordi, in Opere, 9 voll., Milano, Adelphi 1983-2011, vol. I, tomo II, Meditazioni e
ricordi, 1984, p. 297; M. Evangelisti, Appendice. Qualche dato di fatto, in G. Sasso, Variazioni sulla storia di
una rivista italiana: «La Cultura» (1882-1935), Bologna, il Mulino 1992, p. 193; A. D’Orsi, Un suscitatore di
cultura, in L’itinerario di Leone Ginzburg, a cura di Nicola Tranfaglia, Torino, Bollati Boringhieri 1996, p. 81.
32
Cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 83.
33
Cfr. N. Bobbio, Prefazione, in L’itinerario, op. cit., p. X.
34
Cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 84.
10
L’anno seguente, fortunatamente, l’ex direttore della «Stampa» Alfredo Frassati si mosse in
suo favore e gli procurò un posto di dirigente amministrativo in una società da lui presieduta,
la Cokitalia
35
. Nonostante il silenzio forzato e il nuovo impiego di responsabilità, Cajumi non
smise di dedicarsi alle Lettere, anzi spese tutto il successivo decennio in intense letture e nella
stesura e raccolta di pensieri sparsi, che, salvati dall’occhiuto controllo fascista
36
, furono
pubblicati nel 1947 da Leo Longanesi con il titolo di Pensieri di un libertino.
La fine della guerra coincise anche con il termine della condizione di isolamento in cui il
fascismo lo aveva relegato. Per prima riprese l’attività pubblicistica: dal 20 luglio 1945 su «Lo
Stato moderno», la rivista azionista e liberale di Mario Paggi di cui Cajumi fu cofondatore
37
,
dal 2 agosto su «La Nuova Stampa»
38
e ancora su «La Nuova Europa» di Luigi Salvatorelli,
«Il Mondo» di Mario Pannunzio
39
e «L’industria»
40
. Ad essa si unirono nuovi sforzi editoriali:
traduzioni dal francese, prefazioni, curatele, insieme alla pubblicazione di propri testi. Nel
1948 era già uscito per i tipi del torinese De Silva Il passaggio di Venere, primo ed unico
romanzo di Cajumi, composto fra l’agosto e il dicembre 1934; ad esso seguivano nell’ editio
princeps i racconti Un uomo, risalente al periodo 1938-1941 e L’egoista degli anni 1945-
1947
41
. Dall’impegno profuso nell’accorpamento dei suoi saggi apparsi in precedenza
derivarono i volumi Ricordi e letture
42
e Colori e veleni. Saggi di varia letteratura, dati alle
stampe il primo nel 1952 e il secondo postumo nel 1956 all’interno della «Collana di saggi»
diretta da Giovanni Macchia per le Edizioni Scientifiche di Napoli. Cajumi morì
35
Ibidem.
36
Cfr. Pensieri, p. 14, dove l’autore racconta i sotterfugi a cui ricorse per proteggere le sue carte: «E così, anno
per anno, foglietto per foglietto, è nato questo libro: quando il fascicoletto delle carte si ingrossava, lo toglievo
dal cassetto e lo portavo al sicuro, giacché controlli e perquisizioni, che non mancarono, facevano ritenere
sospetti i quaderni di un solitario».
37
Cfr. F. Del Beccaro, s. v. Cajumi, Arrigo, art. cit., p. 389 e L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 85.
38
Cfr. L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 85.
39
Cfr. F. Del Beccaro, s. v. Cajumi, Arrigo, art. cit., p. 389 e L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 85.
40
Cfr. E. Savino, Lo Stato moderno: Mario Boneschi e gli azionisti milanesi, Milano, Franco Angeli 2005, p. 10.
41
Cfr. A. Cajumi, Il passaggio di Venere, Torino, De Silva 1948, recentemente ristampato: A. Cajumi, Il
passaggio di Venere, introduzione di Lorenzo Ventavoli, Torino, Lindau 2002.
42
Cfr. A. Cajumi, Ricordi e letture, Milano, Editrice L’Industria 1952.
11
improvvisamente di infarto il 7 ottobre 1955
43
, anno in cui era ormai diventato amministratore
delegato di Cokitalia e vicepresidente del Comitato produttori coke di Torino
44
.
43
Cfr. F. Bernardelli, La morte di Arrigo Cajumi, in «La Stampa», 8 ottobre 1955; Del Beccaro, s. v. Cajumi, art.
cit., p. 389 e L. Beghin, Appunti, art. cit., p. 86.
44
Cfr. F. Del Beccaro, s. v. Cajumi, art. cit., p. 389.