Capitolo I
Il licenziamento individuale. Presupposti e caratteri
1. Estinzione del rapporto di lavoro
Il contratto di lavoro subordinato, ovvero quel rapporto di lavoro nel
quale il lavoratore cede il proprio lavoro ad un datore di lavoro in modo
continuativo, in cambio di una retribuzione monetaria, di garanzie di
continuità e di una parziale copertura previdenziale, può estinguersi per
svariate cause riconosciute dal nostro ordinamento.
In particolare:
a) per scadenza del termine;
b) per morte del lavoratore;
c) per accordo tra le parti (c.d risoluzione consensuale), questo in
sintonia con il principio generale dettato dall’art. 1372 c.c del mutuo
consenso come condizione risolutiva;
d) per impossibilità sopravvenuta della prestazione o per forza
maggiore;
e) per altre cause previste dalla legge.1
A queste cause si aggiunge il recesso, che è l’ipotesi più comune e si ha
quando una delle parti, tramite un atto unilaterale, esprime la volontà di
porre fine al rapporto di lavoro. Si chiamerà licenziamento se a recedere è il
datore di lavoro, al contrario si chiameranno dimissioni quando il recesso
perverrà dal lavoratore.
1 R.DEL PUNTA, Diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2018, p. 57.
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Questo è un atto pacificamente considerato irretroattivo, in base alla
natura del rapporto di lavoro per cui le prestazioni eseguite non possono
essere ripetute, stragiudiziale, perché a differenza della risoluzione non
necessita di una pronuncia costitutiva del giudice, e recettizio, caratteristica
comune degli atti unilaterali sancita dell’art. 1334 c.c.
Dibattuto in dottrina fu il suo valore intrinseco, due correnti di pensiero
si susseguirono, una che lo vedeva come un elemento completamente
estraneo alla volontà contrattuale e che si pone al di fuori del contratto,
l’altra, più accreditata, che lo riconosceva come parte integrante della
volontà delle parti posta a base del contratto e come ausilio all’autonomia
delle stesse2.
Il recesso nei contratti di durata privi di termine finale, come quello di
lavoro, assolve alla funzione di evitare la perpetuità dei vincoli obbligatori3,
realizzando una autoregolamentazione di interessi con liberazione dal
vincolo contrattuale.
Il Codice Civile ha stabilito che all’altra parte sia concesso un preavviso
che determinerà un differimento degli effetti del recesso unilaterale4,
durante il quale continueranno a svolgersi gli effetti del contratto, perché, ed
è opinione maggioritaria in giurisprudenza, il preavviso ha efficacia reale5.
Il preavviso, previsto a carico di entrambe le parti ai sensi dell’art. 2118
c.c , se non concesso, porterà al versamento di un’indennità pari alla
retribuzione che sarebbe spettata nel periodo di preavviso (c.d di mancato
preavviso).
Il recesso può, infine, avvenire senza preavviso e con effetto immediato
al verificarsi di una circostanza che non consenta la prosecuzione anche
provvisoria del rapporto6.
2 M. CORRADO, Studi sul licenziamento, Torino, 1959, p. 16.
3 F. MANCINI, Il recesso unilaterale ed i rapporti di lavoro, vol. II, Milano, 1965, p.
209.
4 G. PELLACANI, I licenziamenti individuali e collettivi, Giappichelli,Torino, 2013,
p.XX, (..) dato il differimento degli effetti, il preavviso è comunemente considerato
termine iniziale dell’atto di recesso.
5 O. MAZZOTTA, I licenziamenti (commentario), Giuffrè Editore, Milano, 1999, p. 31.
6 Art. 2119, co.1, c.c ( c.d Giusta Causa)
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1.2 La disciplina del recesso del datore di lavoro
Il recesso da parte del datore di lavoro ha come principali fonti
normative gli artt. 2118 e ss del Codice Civile sull’estinzione del rapporto di
lavoro, e le norme della legge 604/1966, della legge 300/1970 e della legge
108/1990.
In base a tale disciplina legale, il recesso è subordinato alla presenza di
una giusta causa o un giustificato motivo posto alla sua base.
Il rapporto lavorativo può dunque essere interrotto a mezzo di una
dichiarazione unilaterale, formale (in quanto deve essere, a pena di nullità,
intimato per iscritto) e recettizia da parte del datore di lavoro quando alla
base di tale recesso vi sia un comprovato motivo di ordine tecnico,
organizzativo o produttivo connesso al funzionamento dell’impresa, a
prescindere dunque da un apprezzamento soggettivo avente ad oggetto i
meriti o i demeriti del lavoratore (cosiddetto giustificato motivo oggettivo).
Inoltre, può trovare il suo fondamento in una condotta commissiva od
omissiva imputabile allo stesso, secondo differenti sfumature di intensità,
che, causando una lesione di diversa entità nel vincolo fiduciario inter
partes , è produttiva di conseguenze giuridiche differenziate , non ultime
quelle in merito alla configurabilità del periodo di preavviso ovvero della
necessità di corrispondere al lavoratore espulso dall’organizzazione
aziendale la relativa indennità sostitutiva.
Il recesso per giustificato motivo, quindi, si configura giuridicamente più
come una risoluzione per inadempimento che come un vero e proprio
recesso, per converso il licenziamento per giusta causa è perfettamente
sovrapponibile alla fattispecie della “uscita” unilaterale dal contratto, in
quanto non collegata a un inadempimento in senso tecnico – giuridico.
Tale recesso è impugnabile, entro i limiti posti dalla legge, dal lavoratore
che lo ritenga infondato o ingiusto e in sede di controversia sarà il giudice a
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dover valutare la legittimità della motivazione e accertarne i presupposti, nel
momento della valutazione dovrà basarsi sulle tipizzazioni di giusta causa e
giustificato motivo che scaturiscono dai contratti collettivi di lavoro e dai
contratti individuali certificati7.
La sentenza del giudice attribuirà la tutela in base alla Riforma Fornero o
al Jobs Act in base alla data di assunzione, laddove ritenga illegittimo il
recesso.
La Riforma Fornero prevede la tutela reale in caso di licenziamento
qualificato come nullo o inefficace, mentre il c. d. Jobs Act, in vigore per i
contratti stipulati dopo il 4 Marzo 2015, all’art. 3 co. 2 mantiene la reintegra
del lavoratore in un’unica ipotesi, cioè quella “in cui sia direttamente
dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al
lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la
sproporzione del licenziamento”, fuori da questi casi prevede un indennizzo
predeterminato dal legislatore (c.d a tutele crescenti8) basato sull’anzianità
di servizio del lavoratore9.
Il lavoratore in questo caso può essere reintegrato sul posto di lavoro o in
alternativa chiedere il risarcimento che sarà pari a quindici mensilità.
Controverso in dottrina è stato il modo di interpretare sul caso concreto il
c. d. “fatto materiale contestato”, perché così come da testo il datore di
lavoro potrebbe contestare fatti sussistenti ma senza alcuna attinenza al
lavoro.
Proprio per questo motivo buona parte della dottrina si distacca dalla
valutazione del fatto nella sua mera connotazione materiale appoggiando
piuttosto la tesi del “fatto giuridico”, perciò il fatto deve essere riferito al
lavoratore ed essere a lui imputabile.10
Inoltre, deve trattarsi di un inadempimento contrattuale del lavoratore:
l’aggettivo “contestato” presente nel testo dell’art. 3 del decreto in esame,
7 F. BUFFA, La nuova disciplina del lavoro tra flessibilità e tutele, Key editore,
2017,“Questo limite valutativo del giudice è stato introdotto dalla Riforma Fornero nel
2012 come causa di impugnazione della sentenza”.
8 D. lgs. 4 marzo 2015 n. 23, c.d Jobs Act
9 R. PESSI, Jobs Act e licenziamento, Giappichelli, 2015, p. 58
10 A. PERULLI, L’idea di diritto del lavoro, CEDAM, 2016, p.98
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infatti, richiama la contestazione disciplinare del datore di lavoro che
necessariamente deve avere ad oggetto la violazione da parte del lavoratore
di uno degli obblighi posti a suo carico.
Tale tesi è stata avvalorata anche dalla Corte di Cassazione nella
sentenza n. 20540 del 2015, in cui si afferma che l’irrilevanza giuridica del
fatto connota la sua insussistenza.11
1.3 Le dimissioni del lavoratore
Il nostro codice disciplina il recesso del lavoratore subordinato negli
articoli 2118 e 2119 c.c basandolo sulla libera recedibilità, la quale consente
di sciogliersi dal vincolo contrattuale senza obblighi di forma o sostanza,
fatto salvo il solo obbligo di preavviso, regola che si pone a garanzia del
fondamentale diritto al lavoro consacrato dall’art. 4 della nostra
Costituzione12.
Questo è un atto unilaterale con il quale il prestatore di lavoro comunica
la volontà di interrompere il rapporto e data la sua insindacabilità non può
avvenire con decorrenza immediata, fatta salva la sussistenza di particolari
ragioni.
Il termine di preavviso viene stabilito all'interno dei contratti collettivi di
lavoro e varia, in genere, a seconda dell'inquadramento e dell'anzianità di
servizio del lavoratore, in caso di mancato preavviso il lavoratore può
risarcire il datore di lavoro per il danno subito o in alternativa lavorare per il
periodo rimanente.
11 Sent. Cass. n. 20540\2015 , (..) la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla
sua insussistenza materiale e da perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell'art. 18,
comma 4.
12 R. SCOGNAMIGLIO, Il lavoro nella Costituzione italiana, F.Angeli, Milano, 1978. p.
134(..) dalla libertà di scelta del futuro professionale, vale a dire del riconoscimento
del diritto di scegliere la controparte contrattuale alla quale legarsi.
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La prima profonda differenza la troviamo sotto un profilo sostanziale
perché, dove il datore di lavoro è tenuto ad una motivazione, il lavoratore
può dimettersi liberamente senza presentare alcuna giustificazione.
Inoltre, in presenza di una causa che non renda proseguibile, anche
provvisoriamente, il rapporto di lavoro, il lavoratore può dimettersi “in
tronco”13 e senza preavviso.
La giusta causa che sorregge le dimissioni non è assimilabile a quella del
licenziamento che riguarda solamente inadempimenti gravi e colpevoli del
lavoratore, questa è ben più ampia e oltre a cause attinenti il lavoro o il
rapporto con il datore di lavoro, ingloba anche problemi personali che
rendono impossibile il proseguimento della prestazione lavorativa o che
mortificano il lavoratore come persona14.
Si pensi ai casi in cui il datore di lavoro ha minacciato di morte il
dipendente oppure lo sottoponga a trattamenti umilianti che possono dare
origine a sanzioni per mobbing15, si tratta di ipotesi in cui non sarebbe
neppure ipotizzabile che il rapporto si protragga ulteriormente.
Tra le cause che giustificano le dimissioni “in tronco” troviamo, ad
esempio, il trasferimento di azienda, il grave ritardo nel pagamento della
retribuzione, il demansionamento illegittimo, la mancata osservanza delle
norme sulla sicurezza nel lavoro, ma anche molestie sessuali.
Il legislatore del 2012 è intervenuto nella disciplina delle dimissioni con
la legge n. 92, c.d Riforma Fornero, atta a contrastare le “dimissioni in
bianco”, cioè un atto di recesso senza data fatto sottoscrivere dal datore di
lavoro al lavoratore, al fine di servirsene in seguito in modo illecito16, non
13 G.PELLACANI, I licenziamenti individuali e collettivi, Giappichelli Editore, Torino,
2013, p. 6 (..) prima della scadenza del termine per i contratti a tempo determinato,
oppure senza preavviso, nei contratti a tempo indeterminato.
14 M.V. BALLESTRERO, Il concetto di giusta causa nella evoluzione della dottrina e
della giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 1967, p.234.
15 A.A. CASILLI, Stop Mobbing: resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro,
Derive Approdi, 2000, pp.38-39 , (..) il mobbing viene definito “ il terrore psicologico
sul luogo di lavoro che consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi
etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone contro un singolo individuo
così spinto nell’impotenza e impossibilità di difesa”, questo causa disagi psicologici,
psicosomatici e sociali.
16 G.PELLACANI, I licenziamenti individuali e collettivi, Giappichelli Editore, Torino,
2013, p. 69 e ss.
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perché fosse dubbia la loro illiceità, piuttosto perché era difficile fornirne
prova.
Da qua la scelta del legislatore di porre una condizione sospensiva alle
dimissioni, le quali, secondo l’articolo 4 di suddetta legge, una volta
esternate dal datore di lavoro, per essere efficaci, devono essere convalidate
presso la Direzione territoriale del lavoro o presso il centro per l’impiego
territorialmente competente, dove, senza troppi formalismi, si deve
raccogliere una manifestazione di volontà da parte del lavoratore stesso.
In alternativa, il lavoratore può sottoscrivere una dichiarazione che verrà
apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di
cessazione del rapporto di lavoro17.
Le dimissioni saranno, inoltre, annullabili ogni qual volta si verifichi
un’incongruenza tra voluto e realizzato, a seguito di incapacità naturale o
vizi del consenso del lavoratore18.
Novità inserita nella procedura di dimissioni dal c.d Jobs Act, e cioè la
riforma del lavoro del governo Renzi del 4 marzo 2015, è l’obbligatorietà
della comunicazione online tramite modulo predisposto, considerata una
ulteriore tutela contro le “dimissioni in bianco”, molto diffuse negli ultimi
anni19.
Il lavoratore che intende dimettersi, con questa nuova procedura, potrà
scegliere se inviare il modulo predisposto in modo autonomo attraverso il
sito del Ministero del lavoro, oppure rivolgersi ad un soggetto abilitato
come ad esempio un sindacato o un patronato che avrà il compito di
compilare e inviare il suddetto modulo al Ministero del lavoro.
17 Www. Wikilabour. It , Guida alla Riforma Fornero, (..) possono essere introdotte
ulteriori modalità semplificate per accertare la veridicità della data e della volontà del
lavoratore (..) in funzione allo sviluppo dei sistemi informatici e della evoluzione della
disciplina in materia di comunicazioni obbligatorie.
18 R. ALTAVILLA, Le dimissioni del lavoratore, Giuffrè, Milano, 1987, p. 102 (..)
l’incapacità naturale impedisce al lavoratore di avere piena coscienza del significato e
delle conseguenze delle dimissioni, mentre i vizi di volontà ne inibiscono la
spontaneità.
19 Www.PMI.it, Le novità delle dimissioni dopo il Jobs Act.
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