21
1.3. Il principio lavorista e le sue declinazioni all’interno della Costituzione
La Costituzione italiana richiama il valore del lavoro a fondamento della Repubblica già
all’interno dell’art. 1, tramite il quale si attribuisce al cittadino un’identità. Il lavoro,
impone di assicurare standard di vita (e di lavoro) inferiori a quelli propri dei cittadini più poveri della società
libera.
73
G. MOSCONI, Il lavoro dentro il carcere tra afflittività e trattamento: la prospettiva dei diritti, cit., p. 30,
M. VITALI, Il lavoro penitenziario, cit., p. 12, V. FURFARO, Il lavoro penitenziario, aspetti giuridici e
sociologici, cit., p. 39, E. KALIKA, Lavorare per lavorare: quando il lavoro in carcere non reinserisce,
Antigone, anno IX, n. 2 /2014 p. 206-233
74
G. MOSCONI, Il lavoro dentro il carcere tra afflittività e trattamento: la prospettiva dei diritti, cit., p. 30
75
V. LAMONACA, Dal lavoro penitenziario al contratto di risocializzazione e lavoro: un’ipotesi de iure
condendo, cit., p. 213, G. MINEVRINI in M. Cappelletto, A. Lombroso, Carcere e società, Milano, 1976
p.237, per la quale il lavoro per essere risocializzante deve possedere le medesime caratteristiche di quello
nella società libera, in particolare, il sinallagma lavoro contro retribuzione. Nella sostanziale carenza di
offerte lavorative “idonee”, l’autrice propone di promuovere lo sviluppo del lavoro autonomo in luogo di
quello dipendente.
76
V. LAMONACA, Criticità e prospettive delle attività gratuite e volontarie svolte da detenuti e internati,
Working paper n.9, ADAPT University Press, 2018, sia consentito rimandare per un’analisi degli elementi
positivi e negativi dell’introduzione del lavoro di pubblica utilità trattamentale, cui è dedicato un articolo
autonomo, il 20 ter O.P., al capitolo 4 dedicato.
77
Parimenti critico sul ricorso alla forma di <<non lavoro>> D. CHINNI, Il diritto al lavoro nell’esecuzione
penale, in M. Ruotolo (a cura di) Dopo la riforma, i diritti dei detenuti nel sistema costituzionale, Napoli,
2019, p. 19
22
quindi, in questo senso è visto in ottica partecipativa.
78
Per Mengoni il lavoro indica una
pars pro toto, esso individua per prima cosa il “lavoratore” nella sua persona umana
titolare di diritti ed in definitiva come essere dotato di dignità.
79
Inoltre, la Costituzione
pone a carico dello Stato il compito di rimuovere tutti gli ostacoli sociali ed economici al
fine di realizzare il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione sociale, politica ed economica del paese attraverso l’art. 3
comma 2. In questo senso, dunque, il lavoro è <<elemento eccitatore di mobilità
sociale>>
80
, lo stesso non è però un mero mezzo per assicurarsi i mezzi di sussistenza, esso
è strumento per l’affermazione della personalità.
81
Particolare attenzione meritano l’art. 4
che pone il lavoro come dovere ma anche come diritto di ciascun cittadino nello svolgere
un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società, in questo senso la
Repubblica promuove le condizioni per rendere effettivo tale diritto, non potendosi
comunque arrivare ad affermare un diritto “giuridicamente qualificato” ed azionabile al
conseguimento di un posto di lavoro
82
, e l’art. 35 che esplicitamente <<tutela il lavoro in
tutte le sue forme ed applicazioni>>. Queste norme disciplinano il lavoro in senso lato,
senza distinzioni in ordine alla tipologia di rapporto di lavoro eventualmente instaurato
83
,
proteggono il lavoro in tutte le sue forme, dunque, sembrano potersi applicare anche al
lavoro penitenziario. Per quanto riguarda quest’ultimo, né il principio di cui all’art. 3 né
quello di cui all’art. 4, sono però rispettati.
84
La tesi è avvalorata anche dagli ultimi
approdi giurisprudenziali della Corte Costituzionale
85
che, attribuendo al lavoro
penitenziario alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria natura di lavoro
subordinato, permettono l’applicazione non solo delle norme in senso lato sopra richiamate
78
In questi termini lo Stato non è solo democratico ma anche “sociale”. C. MORTATI, Sub art. 1, cit., p.
326, il lavoro è inoltre <<supremo criterio interpretativo>>.
79
L. MENGONI, Fondata sul lavoro. in M. NAPOLI, Lavoro, diritto, valori, Torino, 2010, p. 5
80
C. MORTATI, Sub art. 1, cit., p. 326
81
G. ZAGREBELSKY, Fondata sul lavoro, Torino, 2003, p. 14
82
G. ZAGREBELSKY, Fondata sul lavoro, cit., p. 39, secondo il quale si tratta non di un diritto in senso
stretto ma di una virtù civica, per altri in modo conforme, sarebbe un dovere <<meramente morale>> C.
MORTATI, Sub art. 1, cit., p. 326
83
M. NAPOLI, Lavoro, diritto, valori, Torino, 2010, p. 5, le disposizioni sono valevoli per tutte le forme di
lavoro, compresi i contratti atipici e il lavoro autonomo, stante la finalità “socializzante” postulata con la
lettura dell’art. 1 Cost.
84
G. MOSCONI, Il lavoro dentro il carcere tra afflittività e trattamento: la prospettiva dei diritti, cit., p. 30,
V. FURFARO, Il lavoro penitenziario, aspetti giuridici e sociologici, cit., p.20
85
In occasione del riconoscimento del diritto alle ferie anche per il lavoratore detenuto, la Corte afferma che i
lavoratori in vinculis sono lavoratori subordinati anche se conservano peculiarità dovute alle esigenze di
ordine e sicurezza relative all’esecuzione della pena. Corte Costituzionale sentenza 10/05/2001 n. 158, in
Diritto penale e processo, n.10, 2001, p. 1244 con commento di F. DELLA CASA “Il riconoscimento del
diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che lavora”
23
ma anche di quelle speciali predisposte negli artt. 36 e successivi della Costituzione
86
.
Peraltro, come è stato affermato da autorevole dottrina, a prescindere dalla tipologia
contrattuale in cui esso si esplica, la Costituzione tutela il lavoro inteso come <<qualunque
prestazione che concorra al progresso materiale o spirituale della società>>
87
, quindi anche
con riferimento a prestazioni che potrebbero non essere connaturate da alcuna utilità
economica. Il lavoro penitenziario deve per forza esservi incluso, a meno di non voler
affermare che <<la detenzione faccia venire meno lo status di cittadino della persona
ristretta nella propria libertà personale>>
88
, e dunque <<la esenti dai doveri "inderogabili"
di solidarietà economica, politica e sociale di cui all'art. 2 della Costituzione e dal diritto-
dovere di lavorare per contribuire al progresso della società di cui all'art. 4>>.
89
Inoltre, da
altra prospettiva, il carcere è comunque <<luogo costituzionale>> ed in esso non ricorre
solo l’applicazione dell’art. 27 comma 3 della Costituzione ma <<l’intera trama della
nostra Carta fondamentale>>.
90
Non solo con la riforma del 1975 e con gli approdi
sovranazionali si è pervenuti ad un mutamento di prospettiva tale da abbandonare la
funzione del lavoro in chiave afflittiva ma, affermandone la portata risocializzante, una
lettura costituzionalmente orientata impone di riqualificare i soggetti da detenuti lavoranti
a lavoratori privati della loro libertà personale.
91
In questo senso, se consideriamo la pena
nella sua funzione rieducativa, ovvero come strumento capace di “colmare” le carenze che
hanno portato il soggetto a delinquere, analizzando anche il contesto di vita da cui la
maggior parte dei detenuti provengono, prevalentemente caratterizzato da uno <<status
lavorativo fragile e dequalificato>>
92
, un lavoro viceversa stabile, professionalizzante e
retribuito in modo proporzionato qualitativamente e quantitativamente, si prospetta come
86
L’art. 36 prevede il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato,
nonché sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa; esso inoltre
richiama la legge ordinaria per quanto riguarda la durata della prestazione nonché il diritto al riposo
settimanale ed annuale retribuito; l’art. 37, tutela il lavoro della donna e del minore; l’art. 38 in materia di
tutela assistenziale; l’art. 40 che tutela il diritto allo sciopero. Per la trattazione dei singoli diritti discendenti
dal rapporto di lavoro subordinato in capo al lavoratore detenuto si veda il capitolo 2, dove si specifica come
la giurisprudenza costituzionale sia ormai pervenuta alle medesime conclusioni della dottrina in punto di
parificazione progressiva del lavoratore detenuto a quello libero, permangono tutt’ora delle differenziazioni
in materia di diritti sindacali e in tema di retribuzione, specialmente per il rapporto di lavoro instaurato
direttamente tra detenuto e amministrazione penitenziaria.
87
M. MAZZIOTTI, (voce) Lavoro (dir. cost.), Enciclopedia del diritto, XXIII, Milano, 1973, p. 380
88
V. FURFARO, Il lavoro penitenziario, aspetti giuridici e sociologici, cit., p.20
89
M. RUOTOLO, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002, p. 173
90
M. RUOTOLO, La detenzione e i diritti dei detenuti come tema costituzionalistico, in costituzionalismo.it,
p. 2015
91
L’espressione, mutuata da G. CAPUTO, è ripresa anche da D. CHINNI, Il diritto al lavoro nell’esecuzione
penale, in M. Ruotolo (a cura di) Dopo la riforma, i diritti dei detenuti nel sistema costituzionale, Napoli,
2019, p. 19
92
G. MOSCONI, Il lavoro dentro il carcere tra afflittività e trattamento: la prospettiva dei diritti, cit., p. 30
24
condizione per un pieno reinserimento sociale. Non sembra ammissibile una ulteriore
defezione dello Stato in questo senso, soprattutto in qualità di soggetto promotore del senso
della legalità.
93
1.3.1. I principi costituzionali in tema di lavoro penitenziario
Le caratteristiche del lavoro penitenziario sono inserite all’interno dell’art. 20 O.P., la
prospettiva è quella di rendere il lavoro penitenziario “equiparabile” al mondo libero, con
le sole differenziazioni inevitabili dovute allo stato di carcerazione, secondo una normativa
tra le più avanzate, quantomeno sulla carta, tra i paesi occidentali.
94
Se abbiamo postulato
la funzione rieducativa del lavoro penitenziario allora ne discende che esso non può che
ispirarsi a quello della società libera
95
, in questo modo il detenuto potrà sentirsi davvero
parte della società e non percepirà l’attività lavorativa come mero sostituto all’ozio.
96
Nel
solco tracciato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e delle nuove
Mandela Rules, la commissione Giostra ha prodotto uno schema di decreto attuativo della
riforma Orlando, l. n. 103 del 2017, ispirato in gran parte alle proposte degli Stati Generali
dell’esecuzione penale, che è stato alla base delle innovazioni che hanno interessato gli
articoli da 20 a 25 ter dell’ordinamento penitenziario. Nel tentativo di attuare le lett. g,<<
incremento delle opportunita' di lavoro retribuito, sia intramurario sia esterno, nonche' di
attivita' di volontariato individuale e di reinserimento sociale dei condannati, anche
attraverso il potenziamento del ricorso al lavoro domestico e a quello con committenza
esterna, aggiornando quanto il detenuto deve a titolo di mantenimento>> e lett. h,
<<previsione di una maggiore valorizzazione del volontariato sia all'interno del carcere, sia
in collaborazione con gli uffici dell'esecuzione penale esterna>>, del comma 85 unico
articolo della legge 23 giugno 2017 n. 103, si sono apportate rilevanti modifiche all’art.20
O.P. Attraverso l’art. 2 comma 1 lett. a del d.lgs. attuativo n.124 del 2018 viene
completamente riscritto il comma 1 dell’art. 20.
97
Il lavoro penitenziario deve riflettere i
93
G. MOSCONI, Il lavoro dentro il carcere tra afflittività e trattamento: la prospettiva dei diritti, cit., p. 30
94
M. PAVARINI, La nuova disciplina del lavoro carcerario nella riforma dell’ordinamento penitenziario, in
Il carcere riformato, a cura di F. Bricola, Bologna, 1977, p. 131
95
La dottrina più risalente parla di ripresa della natura proletaria del detenuto, con conseguente acquisizione
di coscienza di classe. E.FASSONE, Sfondi ideologici e scelte normative nella disciplina del lavoro
penitenziario, cit., p.158
96
D. CHINNI, Il diritto al lavoro nell’esecuzione penale, in M. Ruotolo (a cura di) Dopo la riforma, i diritti
dei detenuti nel sistema costituzionale, cit., p. 19
97
Art. 20 comma 1 O.P.<<Negli istituti penitenziari e nelle strutture ove siano eseguite misure privative della
liberta' devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro
partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal fine, possono essere organizzati e gestiti, all'interno
25
caratteri di quello esistente nella società libera, questo principio non vale solo per gli
istituti penitenziari ma anche per le strutture <<dove si eseguono misure di sicurezza>>, tra
cui le REMS.
98
La prima caratteristica, introdotta per la prima volta con la riforma del
1975, è la “non afflittività” del lavoro penitenziario, formula misconosciuta dal permanere,
almeno sulla carta, e fino alla riforma del 2018, dell’obbligo di lavoro penitenziario,
perlomeno riferibile ai soggetti condannati.
99
La non afflittività era mutuata dalla analoga
disposizione prevista nella prima versione delle Regole penitenziarie europee, R. (73) n. 5,
regola 73. L’obiettivo era quello di sgombrare il campo dalla caratteristica del lavoro in
chiave ulteriormente afflittiva, alla stregua dei lavori forzati.
100
Al fine di garantire la non
afflittività esso deve svolgersi in condizioni “umane” ma, recuperando l’equiparazione al
lavoro libero, improntato alle condizioni minime di tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori, applicabili al soggetto in libertà.
101
In questo senso, per eliminare il pericolo di
un ritorno al lavoro meramente fisico, la norma pone anche regole organizzative,
direttamente ispirate ai principi costituzionali, tra cui il fatto che il lavoro debba fornire le
competenze professionali spendibili in società, dunque un lavoro non fine a se stesso ma
produttivo, al fine di recuperare una sensazione di “utilità sociale”.
102
Direttamente
connessa al recupero dell’utilità sociale vi è la “remunerazione”, essa si ispira al principio
espresso dall’art. 36 della Costituzione, secondo il quale il lavoro ha come caratteristica la
sinallagmaticità, ovvero lo scambio di prestazione lavorativa contro remunerazione. In
questo senso, la normativa odierna prevede si l’obbligo di remunerazione ma esso si
discosta dalle caratteristiche di quantificazione proporzionale di cui all’art. 36 della
Costituzione: l’art. 22 O.P. , riferito al lavoro alle dipendenze dell’amministrazione
penitenziaria, richiama il criterio della quantificazione qualitativa e quantitativa ma esso
non appare attuabile, in quanto successivamente stabilisce il criterio “fisso” della
remunerazione in funzione dei due terzi del contratto collettivo nazionale di lavoro
e all'esterno dell'istituto, lavorazioni e servizi attraverso l'impiego di prestazioni lavorative dei detenuti e
degli internati. Possono, altresi', essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da enti pubblici
o privati e corsi di formazione professionale organizzati e svolti da enti pubblici o privati.>>
98
P. BRONZO, sub art. 20, cit., p.323 e F. FIORENTIN, La riforma penitenziaria (dd.lgs. 121, 123,
124/2018), cit., p.34
99
E.FASSONE, Sfondi ideologici e scelte normative nella disciplina del lavoro penitenziario, cit., p.158,
mentre per i soggetti assegnati alla casa di cura e di custodia e agli ex OPG, l’obbligo di lavoro sussisteva
solo se compatibile con le finalità terapeutiche.
100
V. FURFARO, Il lavoro penitenziario, aspetti giuridici e sociologici, cit., p.20
101
V. FURFARO, Il lavoro penitenziario, aspetti giuridici e sociologici, cit., p.20
102
ERRA, (Voce) Lavoro penitenziario, in Enciclopedia del diritto, XXIII, 1973, p. 568
26
applicabile.
103
L’introduzione della possibilità di produrre anche in auto consumo nonché,
del lavoro di pubblica utilità, come tale, gratuito, non sembrano permettere il rispetto di
questo principio
104
. Con evidente discriminazione rispetto ai soggetti dipendenti di imprese
terze, cui l’art. 22 O.P. non sembra potersi applicare, in quanto specifico per il lavoro alle
dipendenze dell’amministrazione penitenziaria.
105
Ulteriore caratteristica, già anticipata, è
la finalizzazione rieducativa, ovvero, attraverso un lavoro il più possibile simile a quello
della società, quella di <<costituire un ponte di passaggio>>
106
, dalla detenzione alla
libertà, in contrasto al fenomeno di emarginazione sociale che la detenzione comporta.
Ultimo requisito è un’assegnazione effettiva, oltre che trasparente, come da ultimo
modificato attraverso il decreto n. 124 del 2018. Il criterio dell’avviamento al lavoro
tramite il ricorso alle “liste lavoranti”, sulla cui base distribuire i posti di lavoro disponibili
all’interno e all’esterno dell’istituto, sia esso lavoro autonomo, alle dipendenze
dell’amministrazione penitenziaria o di terzi, non è stato eliminato. Sono individuati i
criteri, in modo oggettivo, per l’assegnazione. Le Commissioni per il lavoro penitenziario
devono tenere “unicamente” conto << dell'anzianita' di disoccupazione maturata durante lo
stato di detenzione e di internamento, dei carichi familiari e delle abilita' lavorative
possedute, e privilegiando, a parita' di condizioni, i condannati, con esclusione dei detenuti
e degli internati sottoposti al regime di sorveglianza particolare di cui all'articolo 14-
bis>>.
107
Viene invece introdotta la necessità di procedere assicurando pubblicità alla
procedura mediante la pubblicazione delle proposte di convenzione e di quelle sottoscritte
sul sito del Ministero della Giustizia, inoltre, viene riformata la composizione delle
103
La modifica dell’art. 22 O.P. si deve al decreto n. 124 del 2018, si rinvia al capitolo 2 per quanto concerne
la disquisizione sull’utilità o meno di un lavoro penitenziario scarsamente retribuito, caratteristica già
condannata dalla C. Cost., sent. n. 1087 del 1988, cit.
104
D. CHINNI, Il diritto al lavoro nell’esecuzione penale, in M. Ruotolo (a cura di) Dopo la riforma, i diritti
dei detenuti nel sistema costituzionale, cit., p. 19
105
L’opinione è condivisa da P. BRONZO, Sub art. 20, cit., p.323 e MARCHETTI sub art. 20, cit., p. 280, di
diversa opinione A. ALCARO, La retribuzione del lavoro penitenziario alle dipendenze degli enti terzi: la
controversa disposizione dell’art. 2, l. 22 giugno 2000, n. 193, c.d. legge Smuraglia, ADAPT, 3, 2019,
secondo il quale anche al lavoro alle dipendenze di terzi, ma svolto all’interno del carcere, potrebbe
applicarsi la riduzione della remunerazione prevista dall’art. 22 O.P.. Si veda capitolo 2, nota 147. In materia
si auspica un intervento della Corte Costituzionale, atto ad aggiornare la pregressa posizione, espressa nella
sent. n. 1087 del 1988, cit., laddove una differenziazione in punto di tutela retributiva veniva ammessa in
quanto nel lavoro alle dipendenze dell’amministrazione il carattere “rieducativo” è prevalente rispetto a
quello di impresa. D’altronde, la Corte si muove già nel solco di un progressivo riconoscimento dei medesimi
diritti in capo al lavoratore libero, come è stato esplicitato nella sentenza n. 158 del 2001, cit., con nota di
FIORENTIN, sia consentito rinviare al capitolo 2 per la trattazione di dettaglio.
106
V. FURFARO, Il lavoro penitenziario, aspetti giuridici e sociologici, cit., p.20
107
I criteri sono oggettivi ma non tengono conto della volontà o delle attitudini lavorative del soggetto, non
conoscendo le precedenti esperienze del detenuto, il criterio utilizzato nella prassi è unicamente quello
dell’anzianità e in ottica “assistenziale” ma non “professionale” , quello dei carichi famigliari pendenti. F.
FIORENTIN, La riforma penitenziaria (DD. Lgs. 121, 123, 124/ 2018),cit., p. 90
27
Commissioni per il lavoro penitenziario, al fine di attribuire ad esse maggiore potere
decisionale. I posti di lavoro saranno stabiliti da queste ultime in base alle direttive del
Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
108
La riforma non ha innovato ne
dissipato i dubbi intercorrenti in dottrina sul riconoscimento di alcuni specifici diritti propri
di qualunque lavoratore anche in capo al lavoratore detenuto, in aperto contrasto con una
piena applicazione del principio di equiparazione delle condizioni di lavoro a quello del
mondo libero con finalità risocializzante. Il problema non si pone o meglio, risulta essere
meno problematico per i lavoratori all’esterno
109
, con riferimento al riconoscimento: del
diritto alle ferie, di una retribuzione parametrata a quella per il lavoro libero, del diritto di
sciopero e dello svolgimento di attività sindacale, del diritto al rispetto della qualifica
professionale e all’indennità di anzianità. Ad essi, grazie alla disposizione dell’art. 48 Reg.
Es., devono essere riconosciuti tutti i diritti in capo ai lavoratori liberi, inclusa la normativa
sul contratto a tempo indeterminato e sui licenziamenti
110
. La problematica sorge invece
per i lavoratori all’interno del carcere alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria,
per i quali non è prevista una disposizione analoga all’art. 48 Reg. Es. e di conseguenza si
potrebbe affermare che ad essi non spettino analoghi diritti. In realtà, l’art. 20 prevede il
riconoscimento dei limiti in materia di orario di lavoro, il riposo festivo e la tutela
assicurativa e previdenziale. Inoltre, la sentenza che ha dichiarato l’incostituzionalità
dell’art. 20, nella parte in cui non si prevede il riconoscimento del diritto al riposo annuale
retribuito, anche per il lavoratore all’interno, in specie quello alle dipendenze
dell’amministrazione, ha fatto si che la riforma del 2018 semplicemente adeguasse
l’articolo alla sentenza della Consulta,
111
che oggi prevede al comma 13 il riconoscimento
del << riposo festivo, del riposo annuale retribuito e della tutela assicurativa e
previdenziale>>. La stessa ha affermato questo diritto in modo esplicito per il lavoratore
alle dipendenze dell’amministrazione ma ben può questa essere applicata ad altri lavoratori
detenuti subordinati in funzione di un’interpretazione analogica del passaggio della
sentenza nel quale la Corte afferma che lo status detentivo non può negare il
108
P. BRONZO, sub art. 20, cit., p. 380. Sia consentito rinviare al capitolo 2 per quanto concerne
l’organizzazione del lavoro penitenziario.
109
L’art. 48 Reg. Es. consente infatti di applicare ai soggetti lavoranti all’esterno le medesime condizioni
applicabili ai soggetti lavoratori in libertà, analoga formula non sussiste per i lavoratori all’interno del
carcere. Per una disamina dei singoli diritti riconosciuti al detenuto lavoratore alle dipendenze
dell’amministrazione penitenziaria sia consentito rinviare al capitolo 2; per i diritti riconosciuti al lavoratore
impiegato presso terzi, in specie all’esterno, si veda il capitolo 3.
110
M. VITALI, Lavoro penitenziario, cit., p. 12, MARCHETTI sub art. 20, cit., p. 280
111
Sentenza della Corte Costituzionale n. 158 del 2001, Cass. Pen., 2001, p. 2957
28
riconoscimento di “posizioni soggettive”, quale il diritto alle ferie retribuite. Forse, si
sarebbe potuto fare di più, sottolineando il fatto che il riconoscimento del diritto alle ferie
fosse orientato ad un logica rieducativa, così facendo il detenuto, escluso dal resto della
società per il tramite di disposizioni diversificate, avrebbe omesso atteggiamenti
antagonisti e antisociali.
112
Ai fini dell’incentivo alla formazione professionale, viene
riconosciuta la tutela assicurativa ed <<ogni altra prevista dalle disposizioni vigenti>>
anche ai detenuti che frequentino corsi di formazione professionale e tirocini, questo però
solo entro i limiti degli stanziamenti regionali. Ancora, nulla si esplicita in merito al
riconoscimento del diritto al TFR e al diritto di sciopero, permanendo dubbi in dottrina
nello specifico per il riconoscimento di quest’ultimo
113
. La maggior parte degli autori sono
favorevoli al riconoscimento del diritto di sciopero, in quanto diritto costituzionalmente
garantito, altri, stante la cogenza dell’obbligo di lavoro, non lo ritengono realizzabile, in
specie per i lavoratori alle dipendenze dell’amministrazione. La motivazione risiedeva
principalmente nella sussistenza dell’obbligo di lavoro, oggi, stante il superamento
dell’obbligo di lavoro di cui all’art. 20 O.P., potremmo affermarne il diritto anche per i
lavoratori intra moenia.
1.3.2. Segue: il superamento dell’obbligo di lavoro penitenziario
Il punto focale della riforma è il tentativo del superamento del vetusto carattere di
obbligatorietà del lavoro penitenziario,
114
mediante la soppressione dei commi 3 e 4, che
qualificavano come obbligatorio il lavoro penitenziario per i condannati e per i sottoposti
alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro. L’obbligatorietà si
poneva in <<un difficile equilibrio>> tra la funzione non afflittiva del lavoro penitenziario
112
DELLA CASA, Sub art. 1, in P. Bronzo F. Fiorentin, F. Siracusano (a cura di ), L’esecuzione penale:
ordinamento penitenziario e leggi complementari, Milano, 2019 p.334
113
Si veda il capitolo 2, in merito alla trattazione dei diritti sindacali.
114
La modifica sarebbe del tutto inutile secondo M. BORTOLATO, Luci e ombre di una riforma a metà: i
decreti legislativi 123 e 124 del 2 ottobre 2018, cit., p.128, in quanto permane l’obbligatorietà all’interno del
codice penale agli artt 22, 23,25, laddove il lavoro è inserito come strumento ulteriormente afflittivo
dell’esecuzione delle pene dell’ergastolo, reclusione e arresto. Per la dottrina previgente invece il legislatore
aveva fatto un uso “inappropriato” della parola obbligo, in quanto già ante riforma esso non era affatto
seguito dall’applicazione delle sanzioni disciplinari ancorchè previste all’interno dell’ordinamento
penitenziario. Esso poteva al massimo rilevare nel giudizio di prognosi positiva finalizzato alla concessione
delle misure alternative. E.FASSONE, La pena detentiva in Italia dall’800 alla riforma penitenziaria, cit., p.
134. Anche per Scognamiglio con il termine obbligo si intendeva il dovere del detenuto di prendere in
considerazione le offerte a proposte nell’ambito trattamentale ma non era configurabile un obbligo cogente in
senso stretto. R. SCOGNAMIGLIO, Il lavoro carcerario, Argomenti di diritto del lavoro, 2007, p. 1309
29
e le esigenze rieducative della pena.
115
Sulla natura obbligatoria del lavoro penitenziario, in
passato, la dottrina era divisa: secondo alcuni, esso manteneva la portata afflittiva
nonostante la previsione dell’art. 20 O.P. fosse atta ad escluderla;
116
altri sostenevano come
l’obbligatorietà discendesse direttamente dalla necessità rieducativa del trattamento
penitenziario, in quanto il lavoro è veicolo principale di reinserimento sociale.
117
L’unica
opzione interpretativa prospettabile sembrava però quella che riconduceva l’obbligo di
lavoro penitenziario al diritto- dovere di lavoro imposto dall’art. 4 della Costituzione. Si
strutturava un dovere bi direzionale
118
, in capo all’amministrazione, come offerta di
occasioni di lavoro aventi le caratteristiche sopra viste, e in capo al detenuto, il quale in
quanto cittadino ha il dovere di promuovere lo sviluppo materiale o spirituale della società
in linea con le proprie capacità ed inclinazioni. Solo strutturandosi l’obbligo di lavoro in
quanto “dovere”
119
poteva recuperarsi la compatibilità costituzionale, così che in capo al
detenuto veniva a configurarsi, prima ancora che un obbligo lavorativo, un vero e proprio
diritto, compatibile con la volontarietà della partecipazione al trattamento penitenziario.
120
Oggi, al posto dei commi 3 e 4 dell’art. 20 O.P. si ricorda che il lavoro penitenziario non
ha carattere afflittivo ed è remunerato, in linea l’art. 96 delle Mandela Rules che
identificano il lavoro come elemento del programma trattamentale,
121
non imposto, ma
soggetto a libera adesione, con finalità di reinserimento sociale. In questo senso, la
normativa italiana fornisce una garanzia ulteriore rispetto a quella europea, la quale, all’art.
4 CEDU, ammette tutt’oggi la configurabilità dell’obbligo di lavoro penitenziario.
122
La
soluzione adottata del legislatore è però ambigua: da un lato, viene eliminata dalla legge
penitenziaria la previsione dell’obbligatorietà, in contrasto con il carattere volontario della
115
I. PICCININI, Il lavoro dei detenuti: riflessioni introduttive , relazione al convegno “il reinserimento dei
detenuti” svoltosi presso l’Università di Roma LUMSA il 17/11/2017, in giurisprudenzapenale.com
116
G. TRANCHINA, Vecchio e nuovo, cit., p.150, G. PERA, Aspetti giuridici del lavoro carcerario in Foro
it. 1971, p. 64
117
E. FASSONE, Sfondi ideologici e scelte normative nella disciplina del lavoro penitenziario, cit., p. 164,
così anche ERRA, (voce), Lavoro penitenziario, cit, p.566, secondo il quale l’obbligo di lavoro non poteva
essere escluso, altrimenti la pena sarebbe stata parzialmente eseguita.
118
D. CHINNI, Il diritto al lavoro nell’esecuzione penale, in M. Ruotolo (a cura di) Dopo la riforma, i diritti
dei detenuti nel sistema costituzionale, cit., p. 19
119
D. CHINNI, Il diritto al lavoro nell’esecuzione penale, in M. Ruotolo (a cura di) Dopo la riforma, i diritti
dei detenuti nel sistema costituzionale, cit., p. 19
120
M. R. MARCHETTI, Sub art. 20, cit., p. 295, V. FURFARO, Il lavoro penitenziario, cit., p. 2,
LAMONACA, Il lavoro penitenziario, obbligo o diritto, in Rass. Penit. e Crim., 2009, p. 70
121
Di contro, nelle regole penitenziarie europee, il lavoro può essere ancora imposto come obbligatorio Reg
105.
122
G. CAPUTO, Detenuti- lavoratori, cit., p. 7
30
partecipazione trattamentale, superabile solo attraverso lo sforzo ermeneutico
123
, dall’altro,
esso viene mantenuto come componente afflittiva della pena nel codice penale, agli artt.
22, 23 e 25, e nell’art. 50 Reg. Es.<< I condannati e i sottoposti alle misure di sicurezza
della colonia agricola e della casa di lavoro, che non siano stati ammessi al regime di
semiliberta' o al lavoro all'esterno o non siano stati autorizzati a svolgere attivita'
artigianali, intellettuali o artistiche o lavoro a domicilio, per i quali non sia disponibile un
lavoro rispondente ai criteri indicati nel sesto comma dell'articolo 20 della legge, sono
tenuti a svolgere un'altra attivita' lavorativa tra quelle organizzate nell'istituto>>.In realtà,
in linea con la dottrina più accreditata
124
, lo scopo dell’art. 50 Reg. Es. non è ulteriormente
afflittivo, ma è di stimolo all’adesione trattamentale del soggetto. Ciò vuol dire che esso
non confligge con la riforma, inoltre, la previsione dell’obbligo del lavoro in chiave
sanzionatoria all’interno del codice penale risulterebbe abrogato dall’entrata in vigore di
una norma successiva con esso contrastante. All’interno del regolamento penitenziario
permangono, inoltre, in vita all’art. 77 comma 1 numero 3, le sanzioni disciplinari
applicabili in caso di “volontario inadempimento degli obblighi lavorativi”. Questo
contrasto è in realtà, secondo la dottrina maggioritaria, sanabile in via interpretativa, in
quanto trattasi del caso di successione di leggi nel tempo, dunque, non solo devono
ritenersi abrogate le disposizioni codicistiche ma anche le norme della fonte regolamentare
subordinate alla legge penitenziaria.
125
Giova comunque rammentarsi che la dottrina ante
riforma del 2018, sulla base del dato letterale dell’art. 15 comma 2 O.P. si avvede della
clausola “salvo casi di impossibilità”, derogatoria alla sussistenza di un dovere in capo
all’amministrazione nell’ assicurare un posto di lavoro a tutti i detenuti, ammettendo un
requisito meno stringente per giustificare il mancato rispetto di questa funzione nel caso
degli imputati, per i quali il lavoro, ante riforma, era già previsto come facoltativo
126
. La
disposizione dunque si poneva a protezione dal pericolo di una infinità di ricorsi atti ad
ottenere il ristoro delle retribuzioni non percepite (remunerazioni, oggi) nonché per la
capacità professionale non conseguita, in quanto corollari discendenti dalla qualificazione
123
D. DI CECCA, Il lavoro, in Riforma dell’ordinamento penitenziario, a cura di P. Gonnella, cit., p.60, A.
ALCARO, Aspetti giuslavoristici della riforma dell’ordinamento penitenziario, in bollettinoadapt.it, 19
novembre 2018
124
F. FIORENTIN, La riforma penitenziaria (dd.lgs. 121, 123, 124/2018, cit, p.88, contra, P. BRONZO, Sub
art. 20, cit., p.323 secondo il quale l’obbligatorietà sarebbe superabile in via interpretativa, in quanto il
codice penale e il regolamento sarebbero abrogati dalla norma di legge sopravvenuta. Conformemente D.
CHINNI, Il diritto al lavoro nell’esecuzione penale, in M. Ruotolo (a cura di) Dopo la riforma, i diritti dei
detenuti nel sistema costituzionale, cit,, p. 19
125
P. BRONZO, Sub art. 20, cit., p.323
126
V. FURFARO, Il lavoro penitenziario, cit., p. 45
31
di un diritto pieno in capo al detenuto. La dottrina era già, quindi, giunta a svuotare il
contenuto cogente delle sanzioni disciplinari comminabili nei confronti del detenuto che
volontariamente non adempia all’obbligo di lavoro, ex art. 39 O.P. per il caso previsto
dall’art. 77 Reg. Es. e 53 Reg. Es., ricorrendo alla via ermeneutica, ritenendo che esse
potessero essere intese come fattispecie di inadempimento dei doveri lavorativi gravanti
sul detenuto che consapevolmente avesse accettato di prendere parte all’attività lavorativa,
ricevendo applicazione quindi solo sul detenuto già lavorante e non invece nel momento
prodromico del rifiuto di partecipazione all’attività, sanzionabile unicamente in via di
“coazione indiretta”, attraverso la valutazione negativa dei progressi compiuti nell’attività
trattamentale e quindi rendendo maggiormente difficoltoso l’accesso ai benefici
penitenziari e alle misure alternative.
127
Anche la Cassazione
128
sposa questa concezione e
afferma la necessità di interpretare il trattamento penitenziario come <<insieme di attività
offerte e mai imposte al detenuto, sanzionato solo tramite la coazione indiretta>>. Pare
condivisibile anche la scelta del legislatore del 2018 di non inserire al posto della
fattispecie abrogata, il fatto che il lavoro possa essere considerato facoltativo, come
“opportunità”.
129
Questo avrebbe causato il richiamo interpretativo al solo art. 27 comma 3
della Costituzione e avrebbe disancorato la fattispecie dall’art. 4 della Costituzione, il
quale prevede il diritto-dovere per tutti i cittadini di concorrere, mediante l’esercizio di
un’attività, di loro scelta, al progresso materiale e spirituale della società. Sarebbe stato per
contro auspicabile l’inserimento di una più chiara previsione di un dovere in capo
all’amministrazione relativamente all’assicurare le condizioni affinchè ciò avvenga,
sicuramente il legislatore aveva ben inteso questo ruolo, mantenendo in vita l’art. 15
comma secondo O.P. ma, ad opinione di chi scrive, il richiamo poteva essere
maggiormente incisivo, potendosi configurare questa disposizione, allo stato attuale, come
una mera indicazione di principio.
130
127
Da questo discende la sola applicazione delle disposizioni codicistiche in tema di inadempimento da parte
del lavoratore detenuto, ex art. 2106 c.c. e art. 7 Statuto dei lavoratori. V. LAMONACA, Il lavoro
penitenziario, cit. p. 82
128
Cass. Pen. 30/09/2011 n. 39557, in dejure.it
129
La proposta è rinvenibile nel Relazione finale al Tavolo VIII degli Stati Generali dell’esecuzione penale,
in giustizia.it
130
Basti pensare che la clausola “salvo casi di impossibilità” ivi indicata, da condizione eccezionale di
esclusione della responsabilità amministrativa, diventa la “normalità” nell’80% dei casi di detenuti non
avviati al lavoro per mancanza di opportunità lavorative.
32
1.3.3. Le cause della riforma penitenziaria attuata con il D. Lgs. 2 ottobre 2018 n. 124,
una riforma “spezzata”
Alla base della riforma si è avvertita l’esigenza di un mutamento di prospettiva organico,
nell’ottica di utilizzo del lavoro carcerario come strumento trattamentale capace di ridurre
il sovraffollamento carcerario grazie alla natura di strumento anti recidiva.
131
Ciò spinge il
Ministro della Giustizia Orlando a presentare la proposta DDL A.C. n. 2798 in data 23
dicembre 2014, una legge delega dall’iter travagliato che sarà approvata in prima lettura il
23 settembre 2015. Essa sembrava finalmente orientare il momento dell’esecuzione della
pena verso l’individualizzazione trattamentale e del recupero sociale del condannato. Una
prova in questo senso è data dall’intitolazione del disegno di legge-delega “Modifiche al
codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario per
l’effettività rieducativa della pena”. Il termine “effettività” è indicativo del fatto che la
scelta politica e soprattutto culturale, è tesa a mettere in pratica finalmente quel principio
rieducativo che è stato per troppo tempo solo enunciato.
132
Il titolo della legge delega 23
giugno 2017 n. 103 viene però paradossalmente epurato del termine “per l’effettività della
pena”, resta comunque l’anima rieducativa, specialmente per la volontà espressa di
rimuovere le preclusioni automatiche in ordine all’accesso delle misure alternative e della
normativizzazione della sorveglianza dinamica, insieme al potenziamento del lavoro
penitenziario. Nel luglio 2017, il ministro Orlando convoca 3 commissioni di studio per
elaborare i decreti attuativi, sulla riforma dell’ordinamento penitenziario nel suo complesso
(Commissione Giostra), sulla sanità penitenziaria, misure di sicurezza e pene accessorie
(Commissione Pelissero) e sull’ordinamento penitenziario per i soggetti minorenni e
giustizia riparativa (Commissione Cascini), la cui composizione riflette in preminenza
quella degli Stati Generali. L’intervento delle elezioni politiche
133
ha contribuito a bloccare
la riforma penitenziaria, cosa che comunque si poteva evitare tentando di ridurre i tempi di
azione, infatti la sentenza Torreggiani e gli Stati Generali dell’esecuzione penale risalgono
a tre anni prima. I temi dell’esecuzione penale non sono temi da campagna elettorale, lo
sono invece le politiche securitarie del “buttare via la chiave”, le nuove penalizzazioni e
131
Ciò spinge il Ministro della Giustizia Orlando a presentare la proposta DDL A.C. n. 2798 in data
23/12/2014, una legge delega dall’iter travagliato che sarà approvata in prima lettura il 23 settembre 2015.
132
R. POLIDORO, (a cura di), La riforma dell’ordinamento penitenziario, i decreti legislativi 2 ottobre
2018 n. 121, 123 e 124, Milano, 2019, p. 36
133
R. POLIDORO, (a cura di), La riforma dell’ordinamento penitenziario, cit., p. 36, BORTOLATO, Luci e
ombre di una riforma a metà: i decreti legislativi 123 e 124 del 2 ottobre 2018, Questione Giustizia 3/2018 p.
10, P. GONNELLA (a cura di), La riforma dell’ordinamento penitenziario, Torino, 2019, postfazione