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INTRODUZIONE
Il presente lavoro di tesi si propone di esporre alcuni importanti passaggi storici che,
partendo dal concetto di sicurezza sociale, hanno contribuito alla nascita del sistema
previdenziale italiano a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Fino ad allora la
popolazione anziana era stata a totale carico della famiglia, e d e i p i ù p o v e r i s i
occupavano all’occorrenza le congregazioni religiose o alcuni enti di beneficenza.
Nel corso degli anni, la previdenza sociale italiana ha seguito un iter legislativo costante
per adeguarsi all’evoluzione e ai mutamenti imprescindibili imposti sia dallo sviluppo
industriale che dai cambiamenti della società sul piano politico, culturale e religioso.
Durante il periodo fascista assistiamo alla nascita dell’INFPS (Istituto Nazionale
Fascista di Previdenza Sociale), ente dotato di personalità giur i d i c a e a g e s t i o n e
autonoma, finanziato principalmente con i contributi dei lavoratori e da una quota
versata dagli imprenditori a carattere facoltativo, a differenza della vecchia Cassa
nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai del 1898, definita
come “Ente Morale”.
Nel 1943, caduto il regime, l’ente assume la denominazione di INPS, tuttora in vigore,
con adesione diventata nel frattempo obbligatoria per tutti i lavoratori pubblici e privati,
per l’erogazione del reddito di sostentamento a chi ha terminato, per sopraggiunti limiti
anagrafici, la propria attività lavorativa.
Alla fine del XX secolo, si manifestano le prime difficoltà finanziarie per la previdenza
di base a causa dell’invecchiamento della popolazione. Ciò ha comportato un inevitabile
aumento della pressione fiscale per fronteggiare l’elevato numero di erogazioni a fronte
di minori entrate.
Diventa necessario studiare ed esaminare statisticamente l’andamento del rapporto tra la
popolazione “non più attiva” e quella ancora in età lavorativa, in modo da prevenire
situazioni di squilibrio economico-finanziario.
Secondo quanto previsto dall’Istat ed Eurostat la popolazione italiana nel 2050 sarà
inferiore all’attuale e in più si dovrà tenere conto del vertiginoso aumento degli anziani
rispetto alla diminuzione della componente giovane e adulta.
2
Si prevede che il sistema pensionistico caratterizzato da un forte squilibrio (aumento
delle prestazioni contro una decrescita della contribuzione versata), potrebbe non
reggere negli anni a venire con la conseguenza di non poter assicurare alle nuove
generazioni, che da lungo tempo sono costrette a vivere senza alcuna certezza del
proprio futuro, lo stesso trattamento riservato ai precedenti beneficiari.
I vari governi succedutisi negli ultimi decenni hanno legiferato in materia previdenziale
ed assistenziale. Con il D.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252
1
, attuativo della legge n. 243 del
2004, alla previdenza pubblica di base, viene integrata la previdenza complementare
collettiva e la previdenza integrativa individuale.
Secondo il dettato dell’art.1, la stessa legge ha posto quale obbiettivo primario quello di
“assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale”. Negli ultimi anni, i nuovi
cambiamenti delle normative che regolano il sistema previdenziale hanno determinato
una crescente partecipazione dei lavoratori alla previdenza complementare, sia essa
collettiva che individuale, che garantisse un giusto reddito al term ine della attività
lavorativa.
Il lavoratore diventa sempre più un attento e oculato gestore “del proprio futuro” per
poter, sia pure con l’aiuto degli intermediari finanziari, crearsi un adeguato “portafoglio
previdenziale”
2
.
Nella parte conclusiva del presente lavoro, vengono approfondite le diverse forme di
previdenza complementare; inoltre, è preso in esame un case study sulla percentuale di
partecipazione dei dipendenti di una importante azienda alimentare della Puglia, al
fondo di appartenenza “Alifond” e sui rendimenti realizzati dai comparti ad essa
associati.
Vengono così evidenziate le differenze rispetto alla precedente l e g i s l a z i o n e e l e
difficoltà nel gestire il proprio patrimonio accumulato in caso di pre-pensionamento o
pensionamento rispetto al Fondo Tesoreria gestito dall’Inps.
1
Disciplina delle forme pensionistiche complementari (G.U. n. 289 del 13-12-2005- Suppl. Ordinario n.
200).
2
PORZIO C., PREVIATI D., COCOZZA R., MIANI S., PISANI R., Economia delle imprese
assicurative, pp. 325-326, McGraw-Hill, Milano, 2011.
3
CAPITOLO I
LA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA
1.1 La nascita e la prima evoluzione del sistema previdenziale italiano
In Europa, fino ai primi anni del 1880, la politica sociale era basata solo sull’assistenza
e sulla mutualità volontaria.
Durante gli anni ottanta del XIX secolo, in Europa ci fu una intensa stagione di riforme
e di leggi che interessarono la tutela contro le malattie e gli infortuni dei lavoratori.
Tuttavia, una prima forma di assistenza può già considerarsi l’emanazione delle leggi
per i poveri del 1601 in Inghilterra, che prevedevano un intervento nel caso in cui le
famiglie non fossero in grado di sostentarsi.
I modelli da prendere in esame sono essenzialmente due e sono conosciuti come il
modello bismarchiano e modello beveridgeano.
Il primo nasce in Germania tra il 1880 e 1914, mentre il modello beveridgeano si
sviluppò durante la seconda guerra mondiale e prende il nome da Lord William
Beveridge.
In Inghilterra, in quegli anni, l’Employers Liability Act impose per legge ai datori di
lavoro il risarcimento al lavoratore, in caso di infortunio e a versare un sussidio per
l’invalidità parziale o totale, a condizione che il lavoratore dimostrasse la responsabilità
diretta del datore di lavoro.
Per fronteggiare i gravi rischi sociali prodotti dall’industrializzazione e in particolare gli
infortuni sul lavoro, conseguenza dei ritmi intensi e prolungati, nel 1883, durante il
regno dell’imperatore tedesco Guglielmo I, il cancelliere Otto von Bismarck introdusse
un primo pionieristico sistema di assicurazione sociale per i lavoratori dell’industria.
Si trattava dell’assicurazione obbligatoria di malattia, per i lavoratori con basso salario,
l a c u i c o n t r i b u z i o n e e r a a c a r i c o sia dei lavoratori che dei datori di lavoro.
Successivamente, nel 1884, la legge fu ampliata agli infortuni, a carico solo dei datori di
lavoro.
Qualche anno dopo, nel corso del 1889, la legge incluse anche una copertura
assistenziale per la vecchiaia, per l’invalidità e in caso di morte del capofamiglia. Lo
4
scopo di queste leggi era quello di assicurare un livello di reddito dignitoso per tutta la
vita del lavoratore
3
.
Queste innovazioni in campo sociale scaturirono da diversi fattori, tra i quali: la crisi
delle casse di mutuo soccorso, i problemi mai risolti riguardanti la prevenzione degli
infortuni e l’intenzione del governo tedesco di integrare la classe operaia nello stato
autoritario con lo scopo di indebolire la socialdemocrazia.
Tra le motivazioni della bozza di legge sulle assicurazioni antinfortunistiche varate vi
era quella di rendere la classe operaia più strettamente legata allo Stato attraverso
riconoscibili vantaggi diretti
4
.
Con questa legge lo Stato sociale bismarckiano definiva l’obbligatorietà delle
assicurazioni, distingueva la previdenza dall’assistenza e comprendeva un elevato
numero di beneficiari
5
.
Fu questo il primo passaggio alla previdenza estesa e garantita da un’assicurazione
sociale basata su un diritto individuale e a prestazioni che coprivano i rischi
dell’individuo durante la sua vita lavorativa.
L’assicurazione malattie prevedeva la copertura dei costi delle cure, l’erogazione delle
indennità giornaliere in caso di malattia, il sostegno alle puerpere e anche l’indennità in
caso di morte.
Per gli infortuni sul lavoro, invece, la legge copriva le spese di cura ed erano previste
alcune misure per la prevenzione degli infortuni. In ultimo, l’assicurazione per
l’invalidità e la vecchiaia era stata istituita per garantire una discreta rendita nel caso di
impossibilità al lavoro
6
.
Questo tipo di previdenza innovativa diventò, da subito, un modello per diversi Paesi
europei.
In Italia il sistema previdenziale comincia a delinearsi dopo l’unità d’Italia, in
concomitanza con la rivoluzione industriale. Le trasformazioni economiche e sociali in
atto in quel periodo posero in evidenza la necessità di un sostegno a quanti, purtroppo
numerosi, si trovavano in condizioni di disagio.
3
MANELLI A., I fondi pensione: aspetti operativi ed effetti sulla struttura finanziaria d’azienda, pag.6,
Isedi, Torino, 2000,
4
BARTOCCI E., Le politiche sociali nell’Italia liberale, p.66, Donzelli Editore, Roma, 1999.
5
CONTI F., SILEI G., Breve storia dello Stato Sociale, Carocci editore Studi superiori, Roma, 2013.
6
STOLLEIS M., Geschichte des Sozialrechts in Deutschland, Lucius & Lucius, Stuttgart, 2003.
5
La situazione si rese ancor più delicata con l’abolizione delle corporazioni che avevano
eliminato qualsiasi forma di solidarietà professionale a chi svolgeva i mestieri
tradizionali.
In questo contesto economico e sociale, con un clima di tensioni che bisognava
controllare, si posero le basi per delineare un possibile intervento che tutelasse i
lavoratori subordinati; soprattutto coloro i quali, durante la propria vita lavorativa,
venivano a trovarsi in condizioni di disagio economico a seguito di un infortunio o una
malattia che per la loro gravità ne avesse diminuita la capacità lavorativa.
7
Nel corso dell’Ottocento, il liberismo, fedele al principio dell’uguaglianza giuridica
formale, considerò con rigore i problemi sociali che riguardavano il lavoro. Si pensava,
infatti, che tutti i problemi sociali dei lavoratori dovessero essere risolti con i risparmi
degli stessi, al fine di fronteggiare i bisogni futuri.
L’intervento pubblico veniva considerato quale ultima soluzione, ma in pratica serviva
più per garantire l’ordine pubblico che la effettiva tutela dei lavoratori. Fu l’iniziativa
dei lavoratori interessati alla solidarietà a dare origine alla previdenza sociale.
Con i propri risparmi, i lavoratori avviarono le associazioni di volontari e le società di
mutuo soccorso, per erogare dei servizi a favore di coloro che si fossero trovati in
condizione di bisogno per causa di infortunio o malattia occorsa durante l’attività
lavorativa, oppure ad erogare una somma a favore dei familiari degli associati defunti.
Inoltre, le associazioni avevano previsto l’assegnazione di pensione a quei lavoratori
che, per l’età avanzata, erano impossibilitati a svolgere il proprio lavoro.
Ogni associato era tenuto a versare un contributo per poter far beneficiare, in caso di
bisogno, di un sussidio economico e di servizi di assistenza ai soci in condizione di
gravissimo disagio a seguito dell’improvvisa perdita di fonti reddituali personali e
famigliari e in assenza di provvidenze pubbliche
8
. Ben presto, le associazioni dei
lavoratori e le Società di Mutuo Soccorso si rivelarono poco adatte ad affrontare le
imprevedibili situazioni sul futuro degli associati.
Gli iscritti erano solo i lavoratori meglio retribuiti, i quali potevano pagare la quota
mensile. L’invecchiamento degli stessi associati, le difficoltà economiche e per ultimo i
giovani che crearono altre mutualità, determinarono il declino delle Società di Mutuo
Soccorso.
7
ASHTON T.S., La rivoluzione industriale 1760-1860 , 2^ ed., Editori Laterza, Bari, 1969.
8
Legge n. 3818/1886 art. 1 lettera d) G.U. n. 100 del 29-4-1886.
6
Tuttavia, va evidenziato che la loro esperienza fu indispensabile per comprendere
l’importanza di un fenomeno insito nella società industriale.
Lo Stato, cominciò a considerare il problema della copertura previdenziale, a causa del
ripetersi di infortuni sul lavoro che fecero sollevare l’opinione pubblica e la classe
politica. Nonostante la Germania avesse già adottato nuovi modelli di previdenza, in
Italia, lo Stato, ancora per alcuni anni, continuò ad utilizzare lo strumento della
mutualità volontaria, per gestire il bisogno di previdenza.
1.2 Gli interventi normativi introdotti fino alla seconda guerra mondiale
La prima svolta avvenne quando le Camere approvarono la Legge n.1473/1883
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“che
fonda una cassa nazionale di assicurazione per gli infortuni degli operai sul lavoro”, e
all’art.1 conteneva l’annessa convenzione stipulata fra il Ministro dell’Agricoltura,
Industria e Commercio con alcune Casse di Risparmio
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, dando in questo modo natura
giuridica e normativa alla cassa di previdenza.
Questo intervento legislativo prevedeva, da un lato ancora una forma di previdenza del
tutto facoltativa e con un lieve incentivo sul piano fiscale, dall’altro, nel rispetto del
principio fondamentale della società liberale, la responsabilità civile per colpa.
Nel corso degli anni successivi furono diverse le norme approvate, tra queste la legge n.
148/1893 che prevedeva norme a tutela del lavoro e la legge n. 243/1893 che sanciva
l’assicurazione obbligatoria limitatamente alla gente di mare. Le suddette leggi, sia pur
importanti e facoltative nel loro utilizzo e limitate ad alcune categorie di lavoratori,
segnano l’inizio dei provvedimenti che sfoceranno nell’approvazione della legge n. 80
del marzo 1898 “Infortuni sul lavoro”.
In questo modo avviene il cambiamento dall’assicurazione facoltativa a quella
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro; non solo: l’art. 1 c. 1, 2 e 3 specificava in
maniera inequivocabile a quali tipologie di attività industriali e di servizi veniva
applicata.
9
Legge pubblicata su G.U. n.166 del 17-7-1883.
10
La cassa di Risparmio di Milano, Torino, Bologna, Roma, Venezia, Cagliari, Genova e il Banco di
Sicilia e il Banco di Napoli, oltre al Monte de’ Paschi di Siena e Il Monte di Pietà.