La reclusione femminile
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Introduzione
La scelta di intraprendere un percorso di tesi incentrato sul
tema del carcere nasce da un interesse personale sviluppato
durante gli anni accademici. Durante il corso di Filosofia del
diritto II ho avuto il piacere di assistere ad una lezione tenuta
da Dale Recinella, cappellano delle carceri in Florida.
L’ex agente di borsa a Wall Street, dopo un’esperienza
personale che l’ha portato a lasciare il mondo della finanza per
dedicarsi al volontariato e al prossimo, ha deciso di
concentrarsi sui detenuti nel braccio della morte degli istituti
penitenziari in Florida. Ha svolto assistenza spirituale ai
condannati a morte, visitandoli di cella in cella e ha più volte
seguito spiritualmente i detenuti nei giorni precedenti (e
durante) la loro esecuzione. Nei racconti di Dale Recinella ho
potuto ampliare la mia visione del carcere, arricchendola della
prospettiva di chi conosce questa istituzione dall’interno. Il
cappellano ci ha mostrato i condannati a morte non nella loro
dimensione di rei, ma nella loro versione di persone, esseri
umani, comunque meritevoli di appoggio e sostegno personale
e psicologico in attesa dell’esecuzione. “Goodbye, good man”:
queste sono state le parole pronunciate da Dale Recinella
pochi istanti prima di salutare un detenuto a cui ormai era
legato da un profondo sentimento di affetto, pochi istanti
prima dell’esecuzione.
Una testimonianza toccante ma al contempo oggetto di
profonda riflessione circa la condizione dei detenuti e la
funzione del carcere nel XXI secolo. Infatti, dopo questa
esperienza accademica ho deciso di informarmi ed ampliare la
mia conoscenza sul carcere.
In particolare, il mio interesse si rivolge alla detenzione
femminile e, ancor più nello specifico, alla condizione di
reclusione delle detenute madri. Una condizione che spesso
viene sottovalutata per via degli scarsi numeri di detenute
rispetto alla popolazione maschile e del poco interesse
mediatico e letterale che accomuna questo tema.
Ho dunque deciso di approfondire questo argomento nella mia
tesi analizzando i dati storici e quelli più recenti per scoprire se
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nel corso dei decenni vi siano state significative evoluzioni e
adeguamenti al tema della carcerazione femminile materna.
Nel primo capitolo viene analizzata la situazione storica del
carcere, approfondendone le origini e l’evoluzione negli anni
fino ad assumere la forma che gli viene oggi attribuita.
Successivamente è stato trattato il tema della pena, anch’esso
con una chiave di lettura storica e basata sull’evoluzione negli
anni. L’analisi continua poi con ciò che avviene all’interno delle
mura del penitenziario, con approfondimenti circa le
subculture carcerarie, alcuni dati recenti raccolti da
Associazione Antigone ed infine le conseguenze, tra cui il
suicidio, a cui può portare il carcere.
Nel secondo capitolo si procede all’analisi della situazione
inerente alla donna detenuta. Vengono individuate alcune
peculiarità del carcere femminile, i dati e i numeri che
accomunano le donne in carcere ed infine viene ad essere
introdotto il tema della maternità all’interno del penitenziario.
La maternità come diritto e dovere, la possibilità dunque per le
madri di crescere i loro figli all’interno del carcere e il diritto dei
figli di stare a contatto con la propria madre nei primi tre anni
di età. L’analisi si conclude poi con l’introduzione e la
spiegazione degli Istituti a Custodia Attenuata per detenute
Madri (ICAM), luogo di ritrovo e crescita per detenute e figli nei
primi anni di vita del bambino.
Infine, nel terzo ed ultimo capitolo vengono presentati i
risultati emersi da un’intervista somministrata a tre educatrici
dell’ICAM di Torino per comprendere al meglio le dinamiche e
la funzionalità della struttura. Nell’intervista vengono
approfonditi argomenti quali il rapporto madre-figlio/a, le
dinamiche interne all’ICAM tra detenute-agenti-educatrici e lo
svolgimento della vita quotidiana nella struttura (suddivisione
di compiti e ruoli e gli effetti che la vita all’interno dell’ICAM
produce sui minori). Dall’intervista alle educatrici dell’ICAM di
Torino emerge come tale modalità di reclusione sia differente
sotto molti aspetti dal carcere femminile e come la ratio
dell’ICAM sia finalizzata alla crescita dei bambini a contatto con
le rispettive madri. Tuttavia, emergono inoltre dinamiche e
situazioni interne tipiche della struttura di Torino che
sottolineano come tale carcere sia ancora in fase di sviluppo e
necessiti di alcuni elementi di rinnovamento e aggiornamento
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per garantire, alle detenute e ai loro figli, una pacifica e
ordinata convivenza secondo le regole del carcere.
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Capitolo primo
LA GENESI DEL CARCERE: NASCITA, PSICOLOGIA
CARCERARIA E SOVRAFFOLLAMENTO
SOMMARIO: - 1.1 Il carcere: origine, funzione e modelli. -
1.1.2 La pena: strumento di repressione e prevenzione. -
1.2 L’ingresso e la spersonalizzazione. - 1.3 Subculture e
fazioni: la sopravvivenza attraverso la coalizzazione. - 1.3.1
La pre-carcerazione: l’origine della subcultura carceraria. -
1.4 L’eccessivo utilizzo del carcere. - 1.4.1 I numeri: donne,
stranieri e soluzioni alternative. - 1.4.2 Condizioni strutturali
e figure di sostegno: la solitudine del detenuto fino al
suicidio.
1.1 Il carcere: origine, funzione e modelli
Il carcere ha origini molto antiche ma non sempre ha avuto la
forma e la funzione che gli vengono oggi attribuite. Si può
inquadrare in un arco temporale situato tra il XVIII e il XIX
secolo. Un momento storico di cambiamenti politici, sociali ed
economici, in America ed in Europa, in cui la forte
industrializzazione e la necessità di manodopera spinse alla
necessità di sfruttare coloro che venivano condannati alla
reclusione, in modo tale, tra gli altri scopi di ragione sociale, da
rendere il loro imprigionamento meno traumatico e più
flessibile.
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Ad accompagnare questa importante evoluzione
sociale furono anche quattro grandi cambiamenti nella
modalità di gestione della criminalità: un maggior controllo del
crimine da parte dello Stato, la differenziazione dei criminali a
seconda del reato commesso, lo sviluppo di meccanismi
istituzionali di esclusione e segregazione volti alla modifica dei
comportamenti dei reclusi, ed infine un mutamento
nell’oggetto della pena che si indirizza alla mente del
condannato e non più alla condanna fisica. Il distacco con la
carcerazione dei primi anni del ‘700 è evidente: la nuova
ideologia del penitenziario che si sta materializzando si basa
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Vianello, Francesca. Il carcere: sociologia del penitenziario. Roma: Carocci,
2012.
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sulla rinunzia alle pene corporali con l’eliminazione in alcuni
casi della pena di morte (come avvenne in Italia con Cesare
Beccaria)
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, mentre in altri Paesi vengono ad essere modificate
tali metodologie. É il caso della Francia che introduce la
ghigliottina come strumento scientifico di morte al fine di
eliminare la sofferenza imposta al condannato, ad esempio,
con l’impiccagione.
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Ma le violenze fisiche non sono l’unico
elemento di differenziazione: aspetto fondamentale della
nuova visione penitenziaria è il carcere come extrema ratio per
pene più gravi, così da evitare l’incarcerazione come mera
custodia in attesa di giudizio o tortura per il soggetto in
questione. Possiamo dunque tracciare una tripartizione dei
modelli carcerari susseguitisi nel corso degli anni: il modello dei
riformatori che presenta la prigione come il risultato di un
processo di civilizzazione da cui sono nate successive riforme; il
modello funzionalista, indirizzato ad una mera rieducazione e
risocializzazione volta a contrastare il disordine sociale che può
nascere da tendenze devianti; e infine quello strutturalista che
interseca la sua fisionomia tra le congiunture economiche e gli
interessi delle classi dominanti.
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Il primo modello, i riformatori penali, secondo Foucault
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,
ebbero un ruolo marginale nella determinazione della pena
carceraria per l’esercizio del potere punitivo rispetto a quanto
invece ripromettevano di portare a livello sociale per quanto
concerne lo sconto della pena. La prigione infatti ripropone
solo in parte l’ideologia e il modello proposto dai riformatori in
termini di capovolgimento temporale della punizione in primis,
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Beccaria, Cesare, and Philippe Audegean. Dei delitti e delle pene. ENS
Editions, 2009. Cesare Beccaria, illuminista italiano, tratta nel suo saggio
“Dei delitti e delle pene” il tema della pena e di come questa possa essere
più efficace se duratura anziché intensa.
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Vianello, Francesca. Il carcere: sociologia del penitenziario. Roma: Carocci,
2012. Inaugurata nell’agosto del 1792, la ghigliottina divenne strumento di
esecuzione penale in Francia, a Parigi, in sostituzione dell’impiccagione.
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Cohen, Stanley. Visions of social control: Crime, punishment and
classification. Cambridge: Polity Press, 1985 in Vianello, Francesca. Il
carcere: sociologia del penitenziario. Roma: Carocci, 2012.
In quest’opera del 1985, Stanley Cohen, sociologo e criminologo, introduce
la tripartizione del modello carcerario dal Novecento fino ai giorni nostri.
5
Foucault, Michel, and Alcesti Tarchetti. Sorvegliare e punire: nascita della
prigione. Torino: Einaudi, 1976. Michel Foucault, filosofo e sociologo
francese, nel suo saggio enuncia la tripartizione del carcere alla fine del XVIII
secolo: modello classico finalizzato alla celebrazione della sovranità; i
riformatori; modello coercitivo e correttivo.