25
KHOBZ, HURIYYA, KARAMA INSANIYYA – OVVERO: COME LE
DISUGUAGLIANZE RESTINO UNA COSTANTE
2.1 le Rivoluzioni del 2011
2.1.1 Un Vicinato in mutamento
Il 2011 è un anno fondamentale per il mondo arabo e, di conseguenza, per le sue
relazioni con il sistema internazionale. Analizzare le rivoluzioni occorse in Algeria e Tunisia
nel 2011, con le dovute differenze, risulta necessario per comprendere a pieno un fenomeno
molto più ampio nel tempo e nello spazio. Le proteste iniziate nel dicembre del 2010 a Tunisi
rappresentano, difatti, l’espressione massima del discontento della popolazione tunisina contro
una situazione discriminatoria e oppressiva, politicamente ed economicamente, che esisteva da
vari anni e che non si è interrotta con quell’ondata di ribellioni. Ed è proprio questo il fulcro
dell’analisi, non solo di questo capitolo ma dell’elaborato generale, ossia comprendere come
una gravosa situazione socioeconomica esista e persista, anche a causa di attori esterni. Ritengo
che sia necessario considerare come complementari i concetti di giustizia sociale e libertà,
poiché l’uno senza l’altro non può esprimersi compiutamente. Seppur tautologico, un individuo
che si trovasse in una condizione di perfetta o quasi uguaglianza, ma limitato o addirittura
privato della propria libertà personale, ovviamente non potrebbe dirsi libero; analogamente, il
medesimo individuo che si trovasse in una condizione di libertà personale assoluta, se privo
delle condizioni necessarie per portare avanti la propria esistenza in modo dignitoso, ossia se si
trovasse in una condizione di forte disuguaglianza o indigenza, non potrebbe comunque dirsi
libero.
Ciò investe un’ampia gamma di dimensioni e aspetti della vita umana, ma per il
momento possiamo limitarci a intendere la giustizia sociale come la creazione di una giusta ed
equa società, assicurando che tutti i suoi membri siano trattati in egual modo, i diritti umani
siano rispettati e non vi siano discriminazioni basate sull’appartenenza a un determinato gruppo
o a qualsiasi altra forma di identità.
43
43
Michael Robbins & Amaney Jamal (2016), The State of Social Justice in the Arab World: The Arab Uprisings
of 2011 and Beyond, Contemporary Readings in Law and Social Justice, 8:2, p. 127.
26
Tutto ciò ci impone di partire dal motto che, oltre a essere il titolo di questo capitolo,
rappresenta anche le parole d’ordine delle manifestazioni del 2011: “khobz, huriyya, karama
insaniyya”
44
. Sovente gli analisti hanno teso a studiare e interpretare i moti di ribellione
dell’inizio del decennio scorso come un rifiuto del sistema politico vigente al tempo e come
specifiche richieste politiche, in primis quella di democrazia. Sebbene tale richiesta non sia stata
assente dalle manifestazioni di piazza né a Tunisi né ad Algeri, la richiesta principale sorta da
coloro che hanno mosso la protesta è da ricondurre principalmente a un altro concetto: la
giustizia sociale. Piuttosto che inneggiare a un particolare sistema politico o a un insieme di
riforme, coloro che protestavano nelle strade esprimevano una volontà affinché vi fosse una
maggiore e più forte giustizia sociale, nel suo senso più ampio – giustizia economica, giustizia
politica e diritti umani per tutti.
45
Tale affermazione può essere corroborata da due fatti precisi.
Anzitutto, il Barometro Arabo (Arab Barometer) ha condotto, tra il 2006 e il 2019, cinque
“ondate” (waves) di indagini, con decine di migliaia di interviste in 14 paesi arabi. Nella
seconda di queste (2010-2011), nel rispondere alla domanda circa quale fosse la caratteristica
principale per identificare una democrazia, seppure «l’opportunità di cambiare il governo
attraverso elezioni» fosse quella più gettonata nel 2011 (29,7%), quest’ultima vedeva una
riduzione importante dei consensi nel 2013, laddove aumentavano nel medesimo arco
temporale le categorie legate alla questione socioeconomica, quali la «riduzione della distanza
tra ricchi e poveri» e «la fornitura di servizi di base a ogni individuo, che insieme
rappresentavano quasi la metà della popolazione nel 2013 (42,6%) (vedi Tabella 2).
Similmente, la percezione delle disuguaglianze di trattamento da parte dei cittadini di Algeria
e Tunisia, nella media tra i due Paesi, vedeva una maggioranza assoluta per un’insoddisfazione
della propria condizione (vedi Tabella 3).
Tabella 2. Most important feature of democracy
Category Year
2011 2013
The opportunity to change the
government through elections
29,7% 20,4%
Freedom to criticize the government
16,2% 14,5%
Narrowing the gap between rich
and poor
15,9% 20,8%
44
Traducibile come “pane, libertà e dignità umana”.
45
Michael Robbins & Amaney Jamal (2016), op. cit., p. 128.
27
Providing basic items (such as food,
housing, and clothing) to every
individual
19,5% 21,8%
Equality of political rights between
citizens
9,4% 10,8%
Eliminating financial and
administrative corruption
9,1% 11,2%
Other (specify)
0,2% 0,5%
Totale 100% 100%
Fonte: tabella costruita sulla base dei dati aggregati ricavati da Barometro Arabo II e III.
Tabella 3. Percezione uguaglianza di trattamento in Algeria e Tunisia
To what extent do you feel that you are being treated equally to other citizens in your country?
Country
Category Total Algeria Tunisia
To a great extent 7,9 5,6% 10,3%
To a medium extent 36,4 33,6% 39,3%
To a limited extent 28,6 38,6% 20,3%
Not at all 24,6 22,9% 26,3%
I don’t know 2,5 1,1% 3,8%
Total 2.399 (100%) 1.205 (100%) 1.195 (100%)
Fonte: tabella costruita sulla base dei dati aggregati ricavati da Barometro Arabo (2010-2011).
Per quanto concerne la Tunisia, poi, delle manifestazioni v’erano già state anche prima
del 2011, nel 2008 con le lunghe e importanti proteste avvenute a Gafsa da parte dei cittadini
contro la condizione di povertà e disoccupazione che aveva paralizzato la regione. In un certo
senso, tale insurrezione rappresenta i prodromi della Rivoluzione di tre anni dopo.
Ambo gli esempi ci dimostrano limpidamente come sia necessario non concentrarsi
unicamente e totalmente sulla dimensione dei diritti civili e politici delle rivoluzioni del 2011,
ma anche e soprattutto su quella socioeconomica. Indicano, inoltre, come la frustrazione per
una mancanza di prospettiva fosse presente nella popolazione e come questa abbia alimentato i
moti insurrezionali. Quindi come alla base del malcontento ci fosse il desiderio di maggiori
libertà civili e politiche, ma anche come essa senza la giustizia sociale rimanesse vuota di
contenuto e incompleta. Riprendendo il motto la huriyya aveva bisogno anche di khobz e
karama insaniyya.
28
Guardando da vicino le rivoluzioni avvenute nel 2011 nel mondo arabo, ci rendiamo
conto come la dimensione socioeconomica emerga prepotentemente. I regimi autoritari in
carica nei vari Paesi della regione mediorientale, Algeria e Tunisia in testa, basavano la propria
esistenza sul contratto sociale tacitamente siglato con le rispettive popolazioni, secondo il quale
i primi elargivano alle seconde benefici come educazione e sanità pubbliche, sussidi energetici
e al cibo, protezione sociale e garantivano a esse occupazione pubblica, in cambio della loro
acquiescenza politica data la mancanza di partecipazione politica e responsabilità.
46
In questa
cornice, nonostante gli anni post-indipendenza durante i quali quasi tutti i Paesi avevano
conosciuto una crescita economica, a partire dagli anni Ottanta la stagnazione economica era
divenuta la norma. Nella fase dei Piani di Aggiustamento Strutturale – riconducibili al
cosiddetto “Washington Consensus” – tutti o quasi i Paesi avevano avviato una serie di riforme
economiche rivelatesi poi fallimentari, le quali avevano avuto come unica conseguenza quella
di accrescere una forma di capitalismo clientelare e nepotistico grazie al quale il regime al
potere continuava a dominare la maggior parte degli interessi economici. In Algeria il Pouvoir
controllava praticamente ogni dimensione della vita pubblica degli individui, mentre in Tunisia
Ben Ali aveva ormai costruito una rete di potere economico e politico legata al proprio clan
familiare. Il risultato principale di tale gestione era il peggioramento delle condizioni
economiche e sociali della popolazione. Contemporaneamente, a livello demografico, la
porzione di popolazione giovane diventava sempre di più la maggioranza, creando in
prospettiva un’impennata nella domanda di nuovi posti di lavoro – la Banca Mondiale nel 2004
aveva previsto la necessità di creare 100 milioni di posti di lavoro di lì a 15 anni semplicemente
per stare al passo con le richieste emergenti.
47
Tale peggioramento delle condizioni dei singoli
individui è da interpretare come una violazione della dignità della persona che avveniva non
soltanto in modo indiretto e sofisticato, come appena descritto, ma anche in modo più diretto
attraverso un attacco diretto alla persona e ai suoi diritti. Basti pensare al fatto che l’Algeria
decideva di togliere lo stato d’emergenza, introdotto alla fine della guerra civile degli anni
Novanta, soltanto nel febbraio 2011 o alla sorte toccata al venditore ambulante Mohamed
Bouazizi in Tunisia. In tal senso, può essere utile guardare alle rivoluzioni scoppiate in tutto il
mondo arabo, a partire dalla Tunisia alla fine del 2010, come a una giuntura critica nella
relazione che legava lo Stato alla società, nella consapevolezza che il modello di governo basato
46
Markus Loewe & Rana Jawad (2018), Introducing social protection in the Middle East and North Africa:
Prospects for a new social contract?, International Social Security Review, 71:2, p. 6.
47
World Bank, 2004, Unlocking the Employment Potential in the Middle East and North Africa, Washington,
DC.
29
su un insieme tra il suddetto vecchio contratto sociale e l’uso della violenza non potesse più
protrarsi.
48
Date queste premesse risulta più che legittimo domandarsi se e quanto la giustizia
sociale (o la disuguaglianza se vista dalla prospettiva negativa) abbia rappresentato il volano
delle rivoluzioni divampate nel mondo arabo. Per indagare ciò, possiamo riferirci al paradosso
dello “sviluppo infelice” proposto da Arampatzi et al.
49
Essi valutano, attraverso un modello
che incorpora le percezioni individuali riguardanti condizioni sociali, caratteristiche personali
e altro, la relativa importanza del grado di soddisfazione – da parte dei cittadini – delle proprie
condizioni di vita nello sviluppo dei Paesi della regione MENA nel periodo precedente alle
rivoluzioni arabe del 2011. Gli autori individuano tre domini principali: l’insoddisfazione
rispetto alla qualità della vita, la disoccupazione e l’incapacità di avere successo senza
connessioni (“wasta”).
50
Le medesime cause che, secondo gli individui intervistati
dall’indagine del Barometro Arabo, sono ritenute precipue per lo scoppio delle rivolte, risultano
aver inficiato negativamente e significativamente sulla soddisfazione verso le proprie
condizioni di vita nella regione nel periodo immediatamente precedente all’esplosione delle
rivolte stesse (Figura 2).
Figura 2. (“Which of the following were the three main reasons that led to the Arab Spring?”)
48
Michael Robbins & Amaney Jamal (2016), op. cit., p. 129.
49
Efstratia Arampatzi, Martjin Burger, Elena Ianchovichina, Tina Rohricht & Ruut Veenhoven (2015), Unhappy
Development: Dissatisfaction with Life in the Wake of the Arab Spring, IARIW-CAPMAS Special Conference
“Experiences and Challenges in Measuring Income, Wealth, Poverty and Inequality in the Middle East and
North Africa”, p.4.
50
Arampatzi et al., op. cit., pp. 6-10.
0 2 4 6 8
Betterment of the economic situation
Civil and political freedoms, and emancipation from
oppression
Dignity
Fighting corruption
Rule of law
Social and economic justice
Weakening the political and economic relations with the
West
Weakening the political and economic relations with
Israel
Main reasons for the Arab uprisings
14,56%
7,53%
57,21%
15,74%
64,26%
28,77%
42,40%
63,55%
30
Fonte: grafico costruito sulla base dei dati aggregati ricavati da Barometro Arabo (2013)
In quest’ultimo grafico, il problema della disuguaglianza emerge anche in relazione a
un altro fenomeno particolarmente presente nel mondo arabo in generale, ritenuto dai cittadini
tra i problemi principali che affliggono il funzionamento della macchina statale e che in parte
si ricollega alla questione sopracitata delle reti di potere economico e politico controllate dai
regimi in carica, ossia quello della corruzione. Non soltanto la lotta alla corruzione è individuata
nel grafico come principale movente dello scoppio delle rivolte, ma essa è anche un aspetto
centrale del grado di insoddisfazione degli individui rispetto alle proprie condizioni di vita. Tale
fenomeno è strettamente legato alla disuguaglianza dal momento che, in un contesto corrotto e
particolarmente fragile, chi ha superiori disponibilità economiche riuscirà maggiormente a far
valere la propria volontà e ottenere ciò che desidera, laddove coloro che non saranno in grado
di sfruttare la propria ricchezza per far leva e ottenere vantaggi, si troveranno in una posizione
svantaggiata. Tale meccanismo innesca un circolo vizioso che non fa altro che perpetuare una
condizione disomogenea e discriminante già esistente. Combinando questo risultato con le
insurrezioni del 2011, notiamo come la percentuale di coloro che riconoscono esserci
corruzione nel proprio Paese è maggiore tra coloro che hanno partecipato alle proteste rispetto
a quella tra coloro che non hanno partecipato come intuitivamente prevedibile (vedi Tabella 4).
Tabella 4. Manifestanti affermano più probabilmente che lo Stato sia corrotto
% chi afferma che ci sia corruzione all’interno delle istituzioni e agenzie dello Stato
Paese Manifestanti Non Manifestanti Diff.
Tunisia 80 65 +15
Algeria 90 77 +13
Egitto 96 88 +8
Yemen 89 81 +8
Marocco 89 82 +7
Giordania 89 83 +6
Palestina 71 73 -2
Fonte: Michael Robbins & Amaney Jamal (2016), op. cit., p. 140.
31
Analogamente, nel 2011 la sfida percepita come principale e più difficile, da parte dei
cittadini di vari Paesi del Medio Oriente era ancora rappresentata dalla situazione economica –
le altre erano risoluzione della questione palestinese, limitazione dell’interferenza esterna,
l’occupazione, l’unità palestinese, la corruzione finanziaria e amministrativa, rafforzamento
della democrazia, raggiungimento di stabilità e sicurezza interna, rifugiati – (vedi Figura 3),
oltre al fatto che tale interesse non soltanto rimane forte, ma addirittura aumenta (vedi Tabella
5).
Figura 3. Situazione economica tra le due sfide più importanti
Fonte: grafico costruito sulla base dei dati aggregati ricavati da Barometro Arabo.
Tabella 5. Preoccupazione crescente per l’economia
% who say one of the two most important challenges
facing their country is the economic situation
Country 2
nd
Wave (2010-
2011)
3
rd
Wave (2012-
2014)
Difference
Tunisia 70 89 +19
Libano 46 63 +17
Algeria 70 80 +10
Palestina 60 68 +8
Egitto 83 88 +5
Giordania 80 82 +2
Yemen 73 72 -1
89
88
86
82
80
72
66
63
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
TUNISIA
EGITTO
MAROCCO
GIORDANIA
ALGERIA
YEMEN
PALESTINA
LIBANO
% who say the economic situation is among the
two most important challenges
32
Fonte: tabella costruita sulla base dei dati aggregati ricavati da Barometro Arabo (2011-2013)
Infine, ultima variabile importante che assume un ruolo rilevante nella valutazione da
parte dei cittadini circa l’azione del proprio governo e la buona riuscita di certe riforme è da
ricercare nella percezione dell’interferenza esterna. Questa influenza esiste perché,
inevitabilmente, il Paese in questione si trova costretto a considerare come la propria azione si
rifletta sugli altri Stati del sistema e quali conseguenze potrebbero derivare dall’eventuale
reazione di quest’ultimi, avviando un vero e proprio sistema interattivo in cui un atto perpetrato
da uno Stato plasma non solo la politica estera di un altro, ma anche il suo carattere interno.
Inoltre, più da vicino, questo tema è estremamente interessante per il nostro ambito di ricerca
per un duplice motivo: da un lato, per l’annosa questione dei rapporti tra il mondo arabo e quello
esterno (soprattutto l’Occidente), dall’altro per la nostra analisi, in ragione dei rapporti Centro-
Periferia che vengono a instaurarsi in talune circostanze. Per quanto concerne la pluridecennale
difficoltosa relazione tra il mondo arabo e l’esterno, su tutti l’Occidente, è necessario sviluppare
due ragionamenti inevitabilmente complementari: da un lato, esiste una sorta di sentimento
paranoico in Medio Oriente, sia a livello popolare che governativo, tale per cui spesse volte
vengono percepiti intrusioni esterne e dietrologie da parte dell’Occidente ai danni del mondo
arabo.
51
In quanto cospirativo, tale ragionamento non va preso particolarmente in
considerazione. Cionondimeno, tale sentimento poggia su avvenimenti storici realmente
accaduti, in cui intrusioni occidentali hanno tentato, spesso con successo, di rimodellare il
sistema di relazioni regionali, sostenendo attori a esso più congeniali e danneggiando altri
maggiormente riottosi.
52
Con riferimento alla percezione popolare dell’interferenza esterna quale ostacolo alla
riforma, questa viene identificata come tale da una percentuale preponderante della popolazione
(Figura 4)
53
. Ancor più eloquente è la variazione tra i dati presenti nel grafico del 2013 e quelli
del 2011, in cui vediamo un aumento importante di tale preoccupazione, sia in Algeria (+25%)
che in Tunisia (+18%).
54
51
Fred Halliday, 2007, Il Medio Oriente. Potenza, politica e ideologia, Milano, V&P, p. 111.
52
Fred Halliday, op. cit., pp. 111-112.
53
In base al grafico, le risposte favorevoli (“Ampiamente d’accordo” e “Mediamente d’accordo”) sono state
sommate e confrontate con la somma di quelle sfavorevoli (“Disaccordo” e “Totalmente disaccordo”).
54
Michael Robbins & Amaney Jamal (2016), op. cit., p. 152.
33
Figura 4. Ruolo interferenza straniera nella riforma
Fonte: grafico costruito sulla base dei dati aggregati ricavati da Barometro Arabo (2013).
In conclusione, contro cosa protestavano le masse arabe nel 2011? Sicuramente contro
un modello politico liberticida e sempre più insostenibile per la popolazione, continuamente
vessata e oggetto di violenze fisiche e psicologiche. Eppure, come ampiamente dimostrato nelle
pagine precedenti, non era quello il fulcro delle proteste, delle attenzioni e dei bisogni della
gente. La contestazione andava contro un modello di sviluppo socioeconomico altamente
diseguale nella sua distribuzione, il quale arricchiva i pochi ai danni dei molti e perpetuava
questa distanza, ampliandola. Infatti, in prospettiva storica, il contratto sociale delle élite al
potere aveva funzionato fintantoché esso aveva permesso un sostentamento per i propri
cittadini, garantendo a essi sussidi e accesso ai servizi di base. Anche se questo significava
sopportare un potere autoritario e parassita al potere. Da ciò non consegue che non vi fossero
stati momenti di ribellione né che le popolazioni arabe fossero disinteressate alle libertà purché
il contrappeso fosse il benessere economico. Piuttosto, il 2011 rappresenta un passaggio critico
all’interno della relazione tra governanti e governati nel mondo arabo: il mix di autoritarismo
politico e paternalismo economico, perdendo una delle due gambe sulle quali camminava, si
ritrovava impossibilitato a continuare a durare e attaccato da una delle due parti di quel tacito
accordo. Nel momento in cui, i regimi al potere avevano avviato delle riforme volte a
liberalizzare e privatizzare indiscriminatamente e repentinamente le proprie economie, ciò
aveva causato delle ripercussioni deleterie nel tessuto sociale del Paese, che rifiutava il modello
neoliberista quale via allo sviluppo. Difatti, se con giustizia sociale intendiamo, da un lato, la
25
34
42
60
35
71
38
42
32
41
28
41
13
31
19
15
14
4
9
7
8
8
10
1
3
3
2
5
7
9
1
5
12
1
18
0
0
0
0
0
0
0
ALGERIA
TUNISIA
PALESTINA
IRAQ
GIORDANIA
LIBANO
EGITTO
Foreign interference is an obstacle to reform in
your country
I agree to a great extent I a gree to some extent I disagree
I absolutely disagree Don't know Refuse
34
riduzione della povertà e, dall’altro, la riduzione delle disuguaglianze attraverso la fornitura
gratuita di una serie di beni e servizi, ciò può avvenire unicamente da parte dello Stato. Ma
questo si scontra inevitabilmente con la visione neoliberista, mantra dei donatori e delle
Istituzioni Finanziarie Internazionali (Banca Mondiale e FMI su tutti) che hanno sostenuto tali
ricette nella regione mediorientale e non solo, poiché secondo questa impostazione il libero
mercato e la libertà di iniziativa, con un ruolo minimo dello Stato, rappresentano le basi ideali
e necessarie per tutte le società. Tale dogma parte dalla concezione che le libertà economiche
individuali e il disimpegno statale siano corollari necessari per lo sviluppo delle libertà
politiche, alle quali gli individui aspirano, in una logica di netta separazione e contrapposizione
tra l’individuo e lo Stato. Tuttavia, la verità è che il liberalismo economico e quello politico
sono differenti.
55
Non è un caso che negli Stati Uniti, patria del liberalismo politico ed
economico, il termine «liberal» identifichi gli appartenenti alla sinistra progressista contrari al
neoliberismo estremo. Secondo gli appartenenti a tale filone ideologico, una totale assenza del
ruolo statale lascerebbe il mercato completamente fuori controllo, rischiando che quest’ultimo
generi delle dinamiche creatrici di forti disuguaglianze. In tal senso, la regolamentazione
economica, lungi dall’essere un ostacolo alla libertà personale, ne rappresenta una condizione
fondamentale. Anche in questo caso, libertà e uguaglianza sono strettamente interconnesse.
La principale debolezza dei principi neoliberisti nel contesto della regione mediorientale
sta nel cieco affidamento alla dimensione dogmatica di essi, tralasciando il contesto reale in cui
va ad agire e affidandosi alla miope speranza del principio del «one-fits-all». Tale principio ha
portato nella regione araba una conseguenza immediata, ossia quella di renderla l’area con il
più alto tasso di disuguaglianze regionale (Tabella 6).
Tabella 6. RNL pro capite di alcuni Paesi arabi della regione MENA nel 2015
Paese Reddito Nazionale
Lordo (pro capite)
Paese Reddito Nazionale
Lordo (pro capite)
Qatar $ 83.990 Algeria $ 4.870
Emirati Arabi Uniti $ 43.090 Tunisia $ 3.980
Kuwait $ 42.150 Giordania $ 4.680
Arabia Saudita $ 23.550 Iraq $ 5.820
Bahrain $ 19.840 Marocco $ 3.030
55
Gilbert Achar (2017), La justice sociale et le néolibéralisme in Salam Said (Édité par) Vers un Développement
Socialement Juste dans la Région MENA, p. 20.