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Capitolo II
Violazioni ed incompatibilità col diritto interno.
Le incompatibilità rispetto agli articoli 10, 1° comma e 11, 2 periodo
Per trattare le incompatibilità dei trattati europei con la nostra Costituzione, occorre
svolgere alcune preliminari considerazioni in ordine al concetto di “Europa”, sul piano etico
sociale prima ancora che giuridico del diritto internazionale.
Il problema delle compatibilità non è esclusivo dell'Italia. Tutti i paesi dell'Europa
continentale hanno infatti costituzioni più o meno strutturate in modo sostanzialmente
ostativo all'affermazione di un’entità ultranazionale.
In Portogallo, ad esempio, un ricorso alla Corte Costituzionale ha decretato l’illegittimità
costituzionale di ben quattro misure finanziarie in materia di austerity imposte dalla Troika.
La stessa Germania, che per le proprie vicissitudini storiche è forse la più vicina
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ad un
modello economico di impronta liberalista, presenta tuttavia molte barriere al recepimento
del diritto europeo. Storica, e rilevante sul piano del principio giuridico affermato, è stata,
ad esempio, la sentenza del 30 giugno 2009 nella quale la Corte tedesca, pronunciandosi
su alcuni ricorsi in ordine alla ratifica del Trattato di Lisbona e sia pur affermando la
sostanziale compatibilità del sistema di cui si ratificava l'applicazione ha tuttavia eccepito
una forte incompatibilità della “legge di estensione” nella parte in cui disciplinava il ruolo del
Governo e del Parlamento nazionali, rilevando una carenza di poteri di controllo di questi
organi interni sulle istituzioni europee.
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Come si è avuto modo di argomentare, la Germania è patria dell’ordoliberalismo economico. La
forte componente mercantilistica e le vicissitudini storiche naziste del XX secolo hanno favorito un
maggior sviluppo del pensiero economico liberale.
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In altri termini, la Corte tedesca ha svolto un apprezzabilissimo ragionamento logico
giuridico, del resto analogo a quello svolto dalla nostra Consulta, affermando il principio per
il quale può sí ammettersi l'ingerenza normativa Europea, ma mai senza un rigoroso
apprezzamento delle istituzioni nazionali. La Corte nelle sue argomentazioni ha fatto leva
sull'articolo 4.2 del Trattato dell'Unione Europea nella parte in cui fa salvi “il rispetto
dell'eguaglianza” e della “identità nazionale [degli Stati], insita nella loro struttura
fondamentale, politica e costituzionale”. Tale concetto consente un'ampia serie di riserve
all’irrompere dei vincoli europei nel diritto interno, che proprio in ragione della loro natura
fiscale e monetaria sono i più idonei a colpire lo Stato nella sua struttura identitaria
fondamentale, proprio quella che ogni Costituzione si pone l'obiettivo di preservare.
Ma se anche la Germania ha rilevato tali inconciliabilità dei due “diritti”, europeo e delle
Nazioni, perché tutti gli altri Stati si trovano espropriati dei naturali poteri d'imperio sulla
propria nazione? Perché la Germania, tanto solerte nella sua qualità di nazione sovrana
nell’opporre all’Europa le proprie prescrizioni costituzionali, nell’altra veste di potenza
dominante ed influente della stessa Europa è molto meno democratica e decisamente più
ostile ad analoghe interpretazioni restrittive svolte dai partners europei.
Se poi, come nel caso dell'Italia, eccezioni non ve ne sono proprio….
Ma c'è un aspetto, importantissimo, che rileva nella considerazione delle incompatibilità
e che precede le considerazioni di ordine giuridico che andremo a svolgere nelle prossime
pagine.
Affinché si possa giungere a trattare di “compatibilità” occorre prima comprendere la
natura dei sistemi che si pongono a confronto. Da un lato, le nazioni, frutto di un processo
lunghissimo di affinamento della propria identità sociale, iniziato con la condivisione di
caratteristiche etnico culturali e poi confluite nel concetto di “popolo”. Tale processo richiede
secoli di passaggi cruciali per arrivare alle comunità Stato moderne: razza, leggi, costume
sociale, religione, ecc. sono tutti pezzi di un mosaico attraverso i quali il singolo si identifica
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con la collettività, sino ad accettarne spontaneamente le regole. Solo con esso può nascere
e svilupparsi il processo democratico che completa il processo di identificazione del binomio
cittadino/nazione. In nessun caso il concetto di “Stato” può essere calato dall'alto per volontà
esterna o, peggio, imposizione formale; sarebbe inutile, perché i popoli che si assumono
aggregati in questa nuova entità statuale non si “identificano” in essa, non ne sono
espressione e non contribuiscono ad essa.
Negli Stati nazionali la sovranità è autoreferente, appartiene cioè a titolo originario allo
Stato, per il quale il potere è già esso stesso diritto in quanto riferito alla costituzione del
corpo sociale nel quale si esprime. L'atto costitutivo degli organismi sovranazionali europei,
al contrario, non è originario ma mera derivazione di quello nazionale degli Stati che vi hanno
aderito e, pertanto, ha natura pattizia e non sociale come quello nazionale.
Lascia quindi perplessi, come sostiene al riguardo Vincenzo Caianiello
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, come possa
affermarsi l'idea di una Costituzione Europea che promani da fonte pattizia intercorsa tra
Stati, quindi frutto di un potere giuridico costituito e non, come nel caso delle Costituzioni
nazionali, da un potere originario dello Stato come momento originatore del Corpo sociale
che, come anzi detto, prescinde, trascendendolo, dal potere politico.
Con l’Europa si è sostanzialmente (e grossolanamente) commesso questo grave errore;
l'aver pensato che con un Trattato, una moneta ed un Parlamento, peraltro pattiziamente
ed autoritariamente imposti, si potessero riunire i popoli di un continente tra i più diversificati
al mondo. Non credo sia il caso di approfondire le differenze tra Germania, Francia, Italia e
Spagna, solo per citare i più eterogenei.
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Vincenzo Caianiello, uno dei più grandi giuristi del secolo scorso, già Presidente di Sezione del
Consiglio di Stato, poi Giudice e Presidente della Consulta ed infine Ministro di Giustizia, è stato
grande critico della costruzione Europea della quale evidenza limiti e criticità difficilmente
confutabili.
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Ecco quindi che quando si contrappone o, meglio, si cerca di imporre una norma giuridica
come un Trattato - “astratta” in quanto non risalente ad una comunità definita (e definibile)
- la società alla quale questa viene imposta la percepisce come un corpo estraneo e vi si
oppone istintivamente.
Affinché le Nazioni europee possano accettare un potere primario europeo e
conformarvisi spontaneamente, occorrerebbe inevitabilmente che l'Europa fosse
considerata essa stessa come un “popolo” unito da un'identità comune e condivisa. Ma
affinché ciò avvenga, sono i singoli popoli che devono sentirsi per primi parte di un “popolo
europeo”. Ma questo, alla luce delle storie delle singole Nazioni europee è, a mio modesto
giudizio, semplicemente utopistico.
Ma vi è di più, perché proprio i trattati di diritto internazionale che vorrebbero
concretizzare la soggettività giuridica dell'Europa in realtà non contengono nemmeno un
minimo riferimento all'identità sovrana del popolo cui tali prescrizioni sarebbero rivolte.
Come spiega Barra Caracciolo in “Euro e (o?) democrazia costituzionale”, è evidente
che i Trattati europei difettino dell'enunciazione sostanziale di quei valori che sono invece
patrimonio comune delle varie costituzioni dei popoli europei. l’Europa, che peraltro non
esiste come democrazia costituzionale – essendo stato pesantemente bocciato il maldestro
tentativo di imporne una qualche anno fa… - persegue ingenuamente la distruzione
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delle
sovranità nazionali (consolidatesi in secoli di lotte) ignorando stupidamente come tale
modello sovranazionale (quello europeo) sia già stato convintamente respinto nella Storia,
come appare evidente dalla lettura degli enunciati delle costituzioni europee, in particolare
quella italiana, ex articoli 1, 5, 10 ed 11 della Carta Costituzionale.
Alla luce di quanto espresso appare forse meno difficile comprendere come l’Europa stia
comunque ostinatamente perseguendo questo processo [dis]integrativo attraverso due
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L’esproprio della sovranità nazionale dei popoli aderenti all'Unione Europea da parte delle
disposizioni comunitarie.
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fronti: da un lato, forti pressioni normative mediante trattati, regolamenti e direttive che
portano le Nazioni a spogliarsi di sovranità stravolgendo spesso il proprio impianto
costituzionale; dall'altro favorendo quella “sostituzione sociale”, cui abbiamo solo accennato
ma che decisivo ruolo gioca della vicenda, attraverso una scientifica “non” gestione dei flussi
migratori che hanno il precipuo scopo di “diluire” le culture nazionali, in particolare quelle del
bacino del mediterraneo
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, portando ad una perdita di identità culturale nazionale cui si
faceva riferimento poco sopra parlando di “popolo europeo”, neutro e mediocre, come
finemente tratteggiato da Noam Chomsky nel suo avvincente “Media e potere”.
Non è escluso, anzi è piuttosto probabile, che il perdurare di questa situazione migratoria
porti proprio a quella destrutturazione sociale delle nazioni sovrane, peraltro già
evidentemente in atto da anni, sino al punto in cui non sarà più possibile percepire le
differenze sostanziali fra i popoli. Certo è che se è questa l’idea di “popolo europeo”, Oriana
Fallaci ci aveva “visto lungo”….
Si era già percepito questo orientamento con la globalizzazione sfrenata, a seguito della
quale sono state spazzate via molte abitudini caratteristiche, lo stesso “costume sociale”,
affermando un modello di “cosmopolitìsmo europeo” che porta a valorizzare la neutralità
rispetto ai nazionalismi.
Naomi Klein nel suo “Shock economy” descrive minuziosamente ciò che è accaduto in
occasione dell’uragano Katrina in Louisiana e nello Sry Lanca dopo lo tsunami del dicembre
2006 in applicazione della teroria della “shock therapy”: terrorizzare i popoli per indurli ad
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Credo sia incontrovertibile il fine vero del fenomeno migratorio in essere negli ultimi anni.
Dapprima lo sfruttamento coloniale di nazioni e popoli e poi il loro abbandono, sino a favorirne la
migrazione orientandola deliberatamente a danno di quei paesi di cui si vuole acquisire l'ultimo
controllo, Italia in testa. Il fenomeno assume poi valenza umana e pone interrogativi gravi su metodi
di gestione e soluzione del problema. Da un lato, il problema divide le comunità su valutazioni
razzistiche, dall'altro produce quella distruzione identitaria funzionale alla ricostruzione di una
società neutra, mediocre, più facilmente conformabile al mercato ed alle sue logiche.
Naomi Klein affronta con una lucidità incredibile questi argomenti nel suo attuale ancorché datato
“Shok economy”.
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accettare passivamente i programmi governativi, distruggere l’identità per impedire
qualsivoglia dissenso, ricostruire il tessuto economico sociale più utile al commercio
globalizzato.
Interi territori spazzati via, popolazioni deportate, frammentazione del corpo sociale,
cancellazione dell’identità culturale e ricostruzione secondo il modello economico USA,
sono gli atti che integrano il protocollo della “tabula rasa”
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, ovvero di un hard reset sociale
per creare paura e disagio su cui è più facile far presa.
Nello Sry Lanca, ad esempio, le comunità storiche di pescatori che risiedevano sulla
costa sono state spostate nell’entroterra. Risultato: le comunità da sempre dedite alla pesca
e già duramente provate dal cataclisma si sono dovute reimpiegare nei servizi e
nell’industria perdendo così la propria identità sociale costruita in secoli di tradizioni e
distruggendo l’economia tipica di quelle zone, mentre al posto delle loro caratteristiche
capanne sono sorti numerosi villaggi vacanza per ricchi occidentali.
Possiamo ora cercare di spiegare “come” il diritto comunitario entri o, per meglio dire, sia
già entrato di prepotenza nel diritto cd interno. Due sono le norme cardine: l'articolo 10 primo
comma e l'articolo 11 secondo e terzo periodo.
Quanto alla prima norma, “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del
diritto internazionale generalmente riconosciute”, occorre preliminarmente superare e
respingere con forza la spregiudicata tesi per la quale il diritto comunitario appartenga alle
norme del diritto internazionale “generalmente riconosciute”.
Queste ultime, infatti, sono solo quelle consuetudini
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che si sono affermate in ambito
internazionale attraverso una pratica costante e non contestata, la “diuturnitas”, integrata
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Consiste nella cancellazione dell’identità di una comunità alla quale applicare poi il modello
consumistico globalizzato. In altri termini una colonia commerciale degli USA, un luogo senza più
memoria né identità dove le coscienze sono state “resettate”.
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Giova ricordare che nel Diritto internazionale le consuetudini rappresentano fonte giuridica
primaria, prima ancora dei trattati, che infatti ad esse devono conformarsi.
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della percezione della loro obbligatorietà, “l’opinio iuris sive necessitatis”. Appare quindi da
escludere in radice la tesi per cui le norme europee possano integrare tali requisiti.
Inoltre, la Corte Costituzionale con la nota sentenza 238/2014, incidentalmente chiamata
ad esprimersi sull'argomento, così scrisse: “non v’e dubbio…omissis…che i principi
fondamentali dell'ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano
un limite all'ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali
l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l'articolo 10, primo comma della
Costituzione …[ed operino quali] contro limiti all'ingresso delle norme dell’Unione
Europea”.
La Consulta in questa sentenza afferma un importantissimo principio, quello dei contro
limiti, una sorta di “antidoto” contro gli eccessi di europeismo. In sostanza, così come in
base all'articolo 10 il diritto interno si conforma al diritto internazionale, parimenti il diritto
internazionale si deve arrestare innanzi ai principi fondamentali del nostro ordinamento ed
ai diritti inviolabili dell'uomo, ossatura della nostra Nazione e sua stessa essenza.
La loro violazione costituirebbe infatti la negazione della Nazione in sé.
Quanto alla seconda: “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia
fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo”, il ragionamento è un po’ più complesso.
Cominciamo dalla fine, col dire che il soggetto internazionale cui si riferivano i Costituenti
era esclusivamente l’ONU, come desumibile anche dai lavori preparatori.
Così si espresse l’On. Ruini, deputato dell'assemblea costituente: “La Costituzione , dopo
aver affermato il concetto di della sovranità nazionale, intende inquadrare nel campo
internazionale la posizione dell'Italia, che dispone il proprio ordinamento in modo da
adattarsi automaticamente alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
....omissis... Stato indipendente e libero, l’Italia non consente, in linea di principio, altre
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limitazioni alla sua sovranità, ma si dichiara pronta, in condizioni di reciprocità e di
uguaglianza, a quelle necessarie per organizzare la solidarietà e la giusta pace fra i popoli”
Lo stesso Ruini proseguendo oltre: “…qualcuno ha chiesto: di quali organizzazioni
internazionali si tratta? Non si può prescindere dalla indicazione dello scopo. Vi possono
essere organizzazioni internazionali contrarie alla giustizia ed alla pace.”
Le condizioni di parità con gli altri Stati, inutile negarlo, sono poi quanto di più lontano
dall’attuale realtà Europea.
La Germania allo scoppio della crisi economica Europea varó due pacchetti di
provvedimenti a favore delle imprese per un importo complessivo di alcune decine di miliardi
di euro, associate a manovre di ricapitalizzazione e finanziamento del sistema bancario
(proprio quello che a noi è costato il bail-in) del valore di oltre 600 miliardi di euro, incluse le
necessarie garanzie. Tali manovre espansiva della spesa (ma come, in Europa non sono
vietate?) realizzate dal 2008 al 2012 hanno fruttato un avanzo del 6% (anch'esso vietato)
garantendo un vantaggio che si sarebbe rivelato determinante negli anni successivi senza
che alla Germania siano state applicate sanzioni. Anzi, chiamata a votare, l’Italia si è
espressa contrariamente alla loro applicazione.
Si potrebbe anche discutere di sanzioni non applicate sull’avanzo nella bilancia dei
pagamenti, del deficit realizzato per completare il processo di unificazione e anch'esso non
sanzionato dall’UE, ecc, ma andremmo troppo fuori tema.
L'importante è che sia chiaro come la Germania, ma non solo, abbia goduto di un regime
di estremo favor, alterando proprio le “condizioni di parità con gli altri stati”.
Proseguendo oltre, non si rinviene nell'ordinamento dell’UE alcun elemento utile a
riconoscere finalità di pace e giustizia fra le nazioni. Anzi, per capire quanto lontana sia “la
pace” dai propositi europei... basta partire dall'articolo 3 della versione consolidata del TUE,
che così recita: “…[L’Unione ] Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su
una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei pezzi, su un'economia sociale
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di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso
sociale…” per proseguire all'articolo 6 del medesimo Trattato : L'Unione aderisce alla
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati.”
Ça va sans dire, l'Unione rispetta un principio ma non estende le sue competenze per la
sua tutela e protezione. Alla faccia della coerenza! Un rapido raffronto con l'articolo 3 della
nostra Costituzione è sufficiente a misurare la distanza che separa le due norme.
Come rileva Valdimiro Giacché in “Costituzione italiana contro trattati europei. Il conflitto
inevitabile”, la previsione di diritti fondamentali, al cui rafforzamento le istituzioni europee
sembrano non interessarsi, può apparire curiosa, ma non casuale; i valori fondanti l'Unione
Europea, peraltro antitetici a quelli costituzionali, non sono infatti quelli contenuti nella Carta
dei diritti fondamentali dell’Uomo, bensì quelli contenuti nel corpus dei trattati europei, in
particolare nell'articolo 3 del TUE, nel quale si supera ogni limite accostando addirittura
concetti economici antitetici, come nella proposizione “un'economia sociale di mercato
fortemente competitiva”.
Un'economia “sociale” non può, per sua stessa natura, essere “di mercato” e anche
laddove accettassimo tale possibilità dovremmo comunque cedere di fronte alla ulteriore
precisazione circa il “grado” della competitività dell'economia di mercato: forte!
Accogliendo tale precetto, come purtroppo in parte abbiamo già fatto, violeremmo i
principi fondamentali della Costituzione, proprio quelli che la Consulta ha qualificato come
limiti invalicabili. Delle due l'una: o si accoglie la disposizione Europea, decretando la fine
della nostra Nazione, ovvero le si opponga fortemente la norma costituzionale.
Fortunatamente, tale scelta i costituenti l'hanno gia fatta per noi con l'articolo 139!
Ma veniamo al vero problema interpretativo della Carta Costituzionale: le limitazioni di
sovranità.
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Quand'anche volessimo, ma di certo non vogliamo, accogliere ogni altra tesi al riguardo,
rimarrebbe l'insormontabile problema della confusione tra il concetto di limitazione e quello
di cessione, che per i nostri governanti hanno evidentemente il medesimo significato. Per
fortuna così non è, perché le “cessioni”, in quanto tese a menomare l’indipendenza dello
Stato, costituiscono in re ipsa un atto penalmente illecito ex articolo 241 e ss del c.p. La
differenza tra i due concetti è abissale, nel senso che “limitare” significa attenuare il potere
della nazione concedendo limitati spazi di intervento ultra nazionale; “cedere” sovranità
importa invece l'abdicazione alla sovranità, con ciò che essa determina. Nel caso di una
nazione, la sua stessa esistenza, posto che i suoi elementi costituitivi sono proprio il Popolo,
il territorio ed, appunto, la sovranità. Il venir meno di uno solo dei tre elementi pregiudica
l'esistenza dello Stato in quanto tale.
Ed infatti, l’Assemblea costituente si guardò bene dall’utilizzare il termine “cessioni”, ben
sapendo quale reale significato ed effetto avrebbero comportato. Ma è purtroppo innegabile
un diverso livello morale e culturale della classe dirigente nei due momenti storici…
La chiave di lettura più corretta dell'articolo ci viene infine dal momento storico, subito
dopo la fine di una sanguinosa guerra. In quell'occasione, come peraltro sostenuto dall’Avv.
Mori nel suo libro “Il tramonto della democrazia. Analisi giuridica della genesi di una dittatura
Europea”, nello scrivere l'articolo 11 l’Assemblea costituente intendeva soltanto “collocare il
nostro Paese in quello spazio internazionale di non belligeranza”, inserendolo in quei
meccanismi sovranazionali di risoluzione delle controversie che l’ONU aveva predisposto.
Purtroppo, come dicevamo, le cessioni di sovranità ci sono già state (e sono l’evidente
causa della nostra condizione economico sociale) e sono tutte ben visibili nell'articolo 3 del
TFUE
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che testualmente dispone:
“l'Unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori:
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TFUE è il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea.
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a) Unione doganale;
b) Definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del
mercato interno;
c) Politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta e l'euro;
d) Conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica
comune della pesca;
e) Politica commerciale comune.”
Una volta tanto la chiarezza del testo europeo ci soccorre: l'Unione Europea ha
competenza esclusiva, senza parafrasi o inutili giri di parole. Ergo, se l’UE ha competenza
esclusiva se ne può pacificamente dedurre che l'Italia non abbia più alcuna voce in capitolo
in tali materie… E non parliamo di materie residuali, ma di dogane, concorrenza, moneta
(!?!) e politica commerciale ad ampio spettro!
Tutto ciò è riferito all’Unione monetaria, quindi ai paesi aderenti all'euro, quelli “senza
deroga”. Sì, perché ci sono anche quelli (più avveduti) che si sono riservati la partecipazione
al mercato, peraltro con molti protocolli di riserva, mantenendo però la propria valuta
nazionale e relativa sovranità: in primis La Gran Bretagna ma anche Bulgaria, Croazia,
Danimarca, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Svezia, ed Ungheria.
Sarà solo un caso che siano paesi in crescita? Ma c'è di più.
Il tanto sbandierato principio pacifista pare non aver ostacolato nemmeno la moltitudine
di interventi militari che a vario titolo sono stati effettuati dal nostro Paese sotto l'egida UE
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,
che pure aveva fatto della Pace un principio fondamentale.
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L'articolo 42 del TUE prevede infatti che la politica di sicurezza e difesa comune assicuri all'Unione
la disponibilità di una capacità operativa, civile e militare, per il mantenimento della pace al suo
esterno. È un modo surrettizio di definire la guerra d’aggressione, non solo bandita da ogni accordo
o Trattato internazionale ma vero e proprio principio dello ius cogens internazionale!