8
INTRODUZIONE
L’obiettivo del presente lavoro è tentare di dare una risposta a tre quesiti, tra loro
connessi, riferiti al funzionamento del vincolo del pareggio di bilancio, ossia:
1. se per considerare “sane” le finanze pubbliche è necessario che i conti esibiscano
parità tra le entrate e le uscite, presentandosi il pareggio come criterio ordinante
del bilancio pubblico;
2. se il bilancio deve essere in pareggio, se tale vincolo può considerarsi valido solo
se espressamente previsto in una norma oppure a prescindere, alla stregua di
una regola preesistente all’ordinamento;
3. se tale limite è necessario e valido, come si relaziona con le singole voci di costo,
racchiudendo ognuna di esse un interesse meritevole di tutela da parte dello
Stato.
L’opera è strutturata in tre parti, rispettivamente concernenti il pareggio di bilancio
nella dimensione dell’ordinamento interno, in quello europeo e nella giurisprudenza.
Il Capitolo I è dedicato agli sviluppi del rapporto tra il vincolo del pareggio e il bilancio
pubblico dall’Unità d’Italia alla riforma costituzionale del 2012.
Un passaggio preliminare è riservato alla descrizione della congiunzione storica del
bilancio con il principio democratico, basato sull’assioma no taxation without representation.
Il primo pareggio di bilancio è stato dichiarato nel 1876 per dare il segnale all’esterno
di essere un’Italia unita, solida e compatta. Lo Statuto Albertino, mentre poco diceva a proposito
del bilancio, definiva all’art. 31 il debito pubblico come «inviolabile», volendo statuire
fermamente che lo Stato doveva onorare i propri debiti. In quell’epoca, si osservava la regola,
implicita dell’ordinamento, della parità tra entrate e spese nei conti pubblici, alla quale si poteva
derogare, infatti, solo in caso di guerre o gravi recessioni finanziarie.
Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente il dibattito sulla disciplina del bilancio
era animato dalla contrapposizione tra le teorie economiche classiche e quelle contemporanee di
quel tempo che influenzavano le diverse anime politiche, e l’operosità del pareggio di bilancio
sarebbe dipesa da quale orientamento avrebbe, alla fine, prevalso.
9
Sono stati decisivi gli studi preliminari al progetto costituzionale resi dalla
Commissione Economica, i quali hanno portato alla luce l’opportunità dello strumento
dell’equilibrio economico “sostanziale”.
Il nascente art. 81 della Costituzione in vigore dal 1948, sintomo del compromesso tra i
diversi schieramenti politici, recava una disposizione in cui non si prescriveva espressamente il
vincolo del pareggio di bilancio, ma si pretendeva la copertura finanziaria per le leggi di spesa.
Essa, inoltre, riservava al Governo l’iniziativa legislativa di bilancio, avendone responsabilità
politica, e al Parlamento la sua approvazione con legge.
La legge di bilancio era considerata, per la sua struttura, un emblema della teoria della
c.d. legge meramente formale, la quale urtava, tuttavia, con la lettura sistematica della
Costituzione che riconosce il potere di emendabilità in capo alle Camere del disegno di legge di
bilancio.
Nei diversi anni della sua vigenza, l’art. 81 Cost., è stato interpretato in maniera più
restrittiva o più permissiva a seconda delle esigenze politiche circa l’utilizzo del disavanzo da
parte delle classi di governo. Alla luce di tutta una serie di fattori nazionali e internazionali per i
quali si riteneva urgente porre un freno all’indebitamento, a partire dagli anni Ottanta, si sono
susseguite istanze di inasprimento delle regole di bilancio e di inserimento del limite del
pareggio: ne sono prova i progetti di riforma presentati dalle Commissioni bicamerali Bozzi e
D’Alema oggetto di analisi nel prosieguo della trattazione.
Mediante la riforma costituzionale del 2012 sono stati modificati alcuni articoli della
Costituzione, tra i quali l’art. 81, il quale prescrive ora espressamente che «Lo Stato assicura
l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio». Viene, dunque, impiegata la locuzione
“equilibrio” in luogo di quella di “pareggio”.
Un obbligo, quello dell’equilibrio, che viene esteso a tutte le pubbliche amministrazioni
sulla base del nuovo art. 97 Cost. «in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea». Tutta
una serie di rinvii operati dalla legge costituzionale n. 1/2012 e dalla legge di attuazione n.
243/2012 alle norme europee e pattizie offrono l’ingresso a valori economici e finanziari che
caratterizzano la disciplina della c.d. fiscal governance di matrice eurounitaria.
Il Capitolo II sposta, dunque, l’angolazione dell’analisi sul livello europeo.
L’inserimento di vincoli sul bilancio negli ordinamenti statali deriva dall’attuazione di
norme unionali. Sulla sfondo della crisi finanziaria esplosa nel 2007, gli Stati membri hanno
10
assunto una serie di impegni, vertenti su politiche uniformi, per tutelare l’integrità delle finanze.
Nella ricca costellazione di interventi spicca, nel 2012, il Fiscal Compact, che prescrive, in
maniera definitiva, l’obbligo di inserire il pareggio di bilancio in disposizioni di valenza
costituzionale.
I processi attuativi degli obblighi europei messi in campo dagli Stati membri si sono
differenziati tra di loro, dovendosi armonizzare ai singoli sistemi dei valori costituzionali, come
si vedrà nei casi di Francia, Germania e Spagna.
Le norme interne si sono intrecciate con quelle unionali dando vita ad un governo
dell’economia sovrastatale, al cui capo vi sono organi tecnico-politici europei, quali la
Commissione e il Consiglio. L’importante ingerenza delle determinazioni di questi ultimi, in
termini di controllo e di sanzione, sui bilanci statali ha dato vita ad un ordinamento composito,
multilivello, scandito da norme giuridiche riconducibili alla c.d. soft law.
Il Capitolo III affronta il principio di equilibrio di bilancio nella sua applicazione
giurisprudenziale. La violazione dei vincoli di bilancio previsti in Costituzione apre il sindacato
di costituzionalità degli atti legislativi ai sensi dell’art. 81 Cost.
L’integrazione normativa richiede che le istituzioni dialoghino tra di loro e convergano
nella tutela della disciplina di bilancio.
In particolare, la Corte costituzionale segue le strade interpretative segnate dalla Corte
di giustizia. La Corte dei conti esercita il giudizio di legalità e regolarità sulla contabilità
pubblica per garantire la tutela degli equilibri di bilancio. Nell’iter formativo delle leggi, da un
lato, le analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio, essendo istituito in qualità di perito tecnico-
contabile dell’organo legislativo, potrebbero essere vincolanti nella fase della formazione della
legge di bilancio, e, dall’altro, può essere incisivo il potere del rinvio motivato degli atti
legislativi per inosservanza dell’art. 81 Cost. ad opera dal Presidente della Repubblica.
L’interpretazione conforme a Costituzione, il giudizio di bilanciamento dei valori
costituzionali e il ricorso ai controlimiti caratterizzano il sindacato di costituzionalità in cui è
coinvolto l’art. 81 Cost., dove, ai fini della ricostruzione del divieto di indebitamento e
dell’eventuale ricorso alle legittime deroghe, la Corte deve farsi largo tra i parametri previsti a
livello interno e quelli disposti a livello unionale.
11
Dalla versione originaria dell’art. 81 Cost. la giurisprudenza ha tratto importanti
contenuti per la disciplina del bilancio a partire dall’obbligo di copertura finanziaria, fino ad
ancorare ad esso la tutela dell’equilibrio di bilancio.
Le scelte legislative sulle quali incide il sindacato di costituzionalità implicano da parte
del Legislatore e della Corte costituzionale un giudizio di bilanciamento degli interessi in gioco,
come è accaduto nelle due pronunce riportate nel testo, la n. 10 e la n. 70 del 2015.
Infine, viene trattata l’interazione della tutela delle esigenze finanziarie con i diritti
sociali, intesi come diritti finanziariamente condizionati, e l’uso del test di ragionevolezza da
parte della Consulta nei giudizi vertenti su tale contrapposizione, come è dimostrato dalle
decisioni esaminate, quali quella della Procura regionale della Corte dei conti n. 2012/03026 del
24 maggio 2013 sui diritti dell’infanzia, la sentenza n. 83 del 2013 sul caso Ilva e la sentenza n.
275 del 2016 sui diritti dell’istruzione del disabile.
12
CAPITOLO I
DAL PAREGGIO DI BILANCIO COME NORMA IMPLICITA
DELL’ORDINAMENTO ALL’OBBLIGO DELL’EQUILIBRIO DI
BILANCIO COME NORMA POSITIVA DELLA COSTITUZIONE
1.1. Il bilancio come riflesso della democrazia e il pareggio di bilancio come suo
implicito obiettivo in epoca liberale
1.1.1. L’uso prima privato e poi pubblico del bilancio
L’esigenza di conoscere il proprio patrimonio rappresenta il fulcro del bilancio. Fin da
tempi antichissimi popoli come babilonesi, egiziani, ebrei e fenici esercitavano attività contabili
con lo scopo di tenere i conti. Una pratica questa che, con lo sviluppo del commercio, evolveva e
si strutturava con lo scorrere del tempo
1
.
Nel XVI secolo il sovrano assoluto Luigi XIV pretendeva di estendere la propria
superiore autorità al campo del commercio, sottraendolo così per la prima volta al ceto dei
mercanti per inserirlo nel sistema della concessione dei privilegi
2
. In questo contesto veniva
introdotta in Francia, nel 1673, l’innovativa Ordonnance du Commerce ad opera del Ministro
Colbert, mediante la quale la redazione del bilancio assumeva per la prima volta il carattere di
obbligo. Tale atto normativo, nel quale confluivano solo alcuni dei moderno lineamenti dei
principi contabili, fu poi ampiamente recepito nel Code du Commerce del 1807, il quale va
annoverato per aver influenzato in modo incisivo le legislazioni degli altri Stati, tra cui quella
risalente al 1882 del primo Codice del Commercio dell’Italia unita
3
.
L’avvento della Rivoluzione francese e delle sue concezioni illuministiche hanno inciso
notevolmente anche sulla materia economica e finanziaria a partire dalla questione della
1
CORONELLA S., Il bilancio di esercizio. Profili storici ed evolutivi,
http://economia.uniparthenope.it/isa/coronella/BILANCIO%20profili%20storici.pdf, p. 1.
2
ALVAZZI DEL FRATE P., CAVINA M., FERRANTE R., SARTI N., SOLIMANO S., SPECIALE G., TAVILLA E., Tempi
del diritto. Età medievale, moderna, contemporanea, 2016, Torino, G. Giappichelli Editore, pp. 209-211.
3
Ibidem, p. 211.
13
rappresentanza: i soggetti chiamati a decidere sulla spesa pubblica non erano più mera
espressione cetuale, ma finalmente dovevano rappresentare l’intera nazione
4
.
Alla fine del XVIII secolo si è verificata, dunque, l’evoluzione del rapporto tra
rappresentati e rappresentati, passando da quello di tipo consensuale e di natura privatistica,
concretato nella forma di concessione di privilegio del re, a quello di diritto pubblico, consistente
in un dovere verso la nazione, un diritto costituzionale.
1.1.2. Il bilancio e il principio democratico
A livello istituzionale e pubblicistico, il bilancio statale può ancora oggi essere definito
latamente come documento contabile in cui si fotografa, in un certo momento temporale, la
gestione e l’investimento da parte dello Stato dei propri beni.
Va sicuramente rimarcato come, primariamente, il bilancio valga come unità di misura
del livello di democraticità di uno Stato, essendo esso formato essenzialmente da tributi conferiti
dai consociati sulla base della richiesta o pretesa di chi li governa di pagare le tasse. Diventa
cruciale, ai fini appunto della valutazione del rispetto del principio democratico, comprendere
questo tipo di rapporto costruito in chiave obbligatoria tra Rappresentati da un lato e
Rappresentati dall’altro.
Gli estremi di tale rapporto diventano ben comprensibili grazie al principio
costituzionale cardine dell’ordinamento inglese no taxation without representation inserito nella
Magna Charta del 1215, sulla base del quale i tributi versati dai cittadini sono vincolati al loro
stesso consenso, dovendo essi sopportarne il peso
5
.
Il consenso del popolo, come affermava San Tommaso d’Aquino, delinea la condizione
di validità del comando, la condizione di legittimità del potere, nonché il fondamento del
rapporto politico
6
.
4
MARSID L., Decisione di bilancio, principio democratico e revisione della Costituzione repubblicana,
Secondo seminario annuale del “Gruppo di Pisa” con i dottorandi delle discipline giuspubblicistiche del 20
settembre 2013, Università di Roma Tre, 20 settembre 2013.
5
MARSID L., op. cit.
6
PASSERIN D’ENTRÈVES A., La dottrina dello Stato. Elementi di analisi e interpretazione, 2009, Torino, G.
Giappichelli Editore, pp. 275-276.
14
Il bilancio si inserisce in questo discorso, in quanto esso rappresenta lo spazio e il tempo
in cui i tributi versati dai cittadini vengono imputati alle azioni economiche e finanziarie a
supporto delle scelte di gestione operate dallo Stato. L’attività amministrativa per essere
sostenuta dai soldi dei consociati deve avere giustificazione democratica. Il documento di
bilancio, infatti, deve essere approvato dall’organo rappresentativo dei suoi finanziatori, cioè dei
contribuenti, e deve avvalorare le scelte gestionali individuando i mezzi economici e finanziari
provenienti dagli stessi consociati-contributori che devono necessariamente essere anche i
soggetti destinatari.
Il mancato rispetto del principio rappresentativo e di quello dell’utilizzo per finalità
pubbliche e collettive dell’introito derivante dai contributi versati allo Stato dai cittadini,
condurrebbe il documento di bilancio (espresso in legge) a violare il principio democratico.
1.1.3. Il primo pareggio di bilancio del Regno d’Italia
Nel corso della storia della costruzione dell’Unità d’Italia un momento importante è stato
quello dell’istituzione del Gran Libro del Debito Pubblico italiano
7
nel 1861, mediante il quale
sono stati uniti i registri contabili degli Stati preunitari appena annessi al Regno. I debiti, dunque,
si sono stati trasformati in una voce iscritta in un unico bilancio nazionale, così, ogni decisione di
indebitamento doveva necessariamente passare da una legge del Parlamento. La scelta di
indebitarsi in un’ottica nazionale apriva un’attenta discussione, sintomo che le istituzioni
avevano acquisito una certa consapevolezza circa delicatezza del tema del bilancio
8
.
Il primo decennio dell’Italia unita si vede il dilatarsi del debito pubblico per esborsi
bellici, per assumere i debiti delle Regioni annesse e per di darsi una struttura unitaria della
finanza adatta alle emergenti, moderne esigenze. All’epoca, seppur il Ministro delle finanze
Quintino Sella non voleva effettuare un taglio netto a tali spese, ritenute necessarie in quel
contesto, egli perseverava nel voler raggiungere a tutti i costi l’obiettivo di raggiungere il
7
Istituito con legge n. 94 del 10 luglio 1861 recante «Legge colla quale è istituito il Gran Libro del Debito
pubblico del Regno d’Italia».
8
BUZZACCHI C., Ideologie economiche, vincoli giuridici, effettiva giustiziabilità: il tema del debito, Relazione
al seminario interdisciplinare “Ragionando sull’equilibrio di bilancio. La riforma costituzionale del 2012 tra
ideologie economiche, vincoli giuridici ed effettiva giustiziabilità” organizzato dall’Università di Ferrara il 1
febbraio 2016, p. 5.
15
pareggio di bilancio. L’importanza di dichiararlo stava nel significato politico di quel risultato,
che, a suo avviso e secondo il suo partito della Destra storica, sarebbe stato quello di dimostrare
all’Occidente la stabilità economica e finanziaria del neonato Regno d’Italia.
Seguendo il programma di Sella, il suo successore al Ministero delle finanze nonché
Presidente del Consiglio dei Ministri, Marco Minghetti, 16 marzo del 1876 ha annunciato al
Parlamento di aver raggiunto il pareggio di bilancio, senza ridurre le spese statali, incrementando
le entrate al punto di aver guadagnato un malcontento talmente vivo che la Destra storica, dopo
16 anni, doveva lasciare il Governo
9
.
Agli albori dell’Unità d’Italia, come detto, era senza dubbio di primario interesse per la
classe dirigente mostrare al resto d’Europa che l’Italia era finalmente unita, che essa esisteva ed
era forte; coincide non a caso con quel periodo proprio la promulgazione del Codice Civile del
1865, il quale in quel tempo era considerato l’emblema dell’unità politica
10
.
Indebitarsi, come aveva fatto la Destra storica, accendendo prestiti per il Paese, seppur
con il nobile scopo di riequilibrare finanze pubbliche, era un’attività che andava ridimensionata,
onde evitare di rendersi troppo deboli. In tale senso devono leggersi le dichiarazioni affermate in
aula della Camera dei Deputati dall’on. Crispi: «Contrarre degli imprestiti per le spese ordinarie
è uno di quei fatti anomali di cui a noi sembra dato privilegio. Gli imprestiti si fanno per le spese
straordinarie, in caso di guerra, per grandi lavori pubblici, per esigenze eccezionali, e che non è
possibile soddisfare con mezzi normali; ma quando si tratta di avere, bisogna tenersi a quello che
si ha»
11
.
Il prezzo pagato dalla Destra storica, per l’ossessione dei propri esponenti di conquistare
l’obiettivo del pareggio di bilancio, era stato la perdita consistente del consenso di un’ampia fetta
della società, dovuta al malcontento causato dal non essersi presa cura degli interessi
dell’emergente ceto industriale.
9
Relazione del Direttore generale alla Commissione parlamentare di vigilanza, Roma, Istituto poligrafico e
Zecca dello Stato, 1988, p. 13,
http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/debito_pubblico/presentazioni_studi_relazio
ni/20_12_1999_Relazione-del-Direttore-G.pdf.
10
ALVAZZI DEL FRATE P., CAVINA M., FERRANTE R., SARTI N., SOLIMANO S., SPECIALE G., TAVILLA E., op.
cit., p. 352.
11
Atti parlamentari, Discussioni della Camera, Vili leg, sess. 1863-65, v. XII, p. 9646.
16
Così, quei principi liberali, che erano stati alla base del programma del Ministro Sella di
intervento sul regime impositivo, sono stati messi in discussione e sostituiti dalla strategia di un
rigido protezionismo delle economie nazionali con l’ascesa al governo della Sinistra storica
12
.
1.1.4. Rappresentanza e bilancio
Agli inizi del XX secolo si era lontani dal bilancio che conosciamo oggi, perché,
innanzitutto, era carente del fondamentale elemento democratico. Solo una minoranza cetuale
partecipava alle scelte economiche e finanziarie che componevano il bilancio pubblico statale,
essendo il diritto di voto ancora su base censitaria, di conseguenza una buona parte della società
ne restava esclusa.
Si potrà parlare, dunque, di bilancio democratico solo con l’avvento del suffragio
universale, cioè del riconoscimento del diritto-dovere di tutti i governati di partecipare alle scelte
dei propri governanti.
Il profondo legame tra rappresentanza e bilancio e la centralità della decisione di
bilancio negli assetti della forma di governo sono stati sottolineati chiaramente dal filosofo
Georg Jellinek, secondo cui «il significato pratico del sistema costituzionale emerge, nel modo
più chiaro possibile, nel ruolo della rappresentanza del popolo rispetto alla finanza pubblica
13
».
Lo Statuto Albertino, all’art. 31, proclamava il debito pubblico come «inviolabile»,
dichiarando, così, fermamente l’impegno dello Stato di onorare puntualmente i propri debiti per
garantire la stabilità del valore della moneta
14
.
Il debito pubblico era all’epoca concepito come un affare privato, come uno strumento
nelle mani del sovrano da utilizzare a sua discrezione
15
.
1.1.5. Il pareggio di bilancio come regola implicita dell’ordinamento
12
Articolo tratto da: https://storiaefilosofia.wordpress.com/2013/01/02/litalia-alla-fine-dellottocento-dal-
pareggio-di-bilancio-del-1876-a-crispi-a-giolitti/.
13
JELLINEK G., Legge e decreto, Milano, Giuffrè, 1997, p. 225.
14
BOGNETTI G., Costituzione e bilancio dello stato. Il problema delle spese in deficit, in Nomos, rivista n. 3
del 2008, p. 2.
15
BUZZACCHI C., op. cit., in Forumcostituzionale.it.
17
In epoca liberale i maggiori ordinamenti occidentali ospitavano il vincolo del pareggio di
bilancio, il quale pretendeva da un lato la corrispondenza delle entrate con le uscite nella
contabilità pubblica, e, dall’altro, che le spese fossero interamente coperte dai tributi.
Si trattava di una norma implicita, naturale, degli ordinamenti appunto liberali, quella
che stabiliva che la deroga al pareggio di bilancio - prevedibile nei soli periodi eccezionali o
urgenti o in caso di guerre, durante la quale si ricorreva a prestiti sul mercato o all’emissione di
nuova moneta per coprire le spese - esigeva di rientrare a regime di pareggio nel più breve tempo
possibile
16
.
Per dirla in termini “mortatiani”, il pareggio di bilancio apparteneva alla c.d. costituzione
materiale, poiché, essendo contemplato dall’ideologia sostenuta dalle forze politiche dominanti,
esso concorreva ad incidere sull’impianto costituzionale formale
17
.
Agli inizi del Novecento, il pareggio di bilancio e lo stabile ancoraggio della moneta
all’oro delineavano il mondo definito della “sicurezza borghese”, dove tutto appariva saldo,
ordinato e inamovibile tanto che si era certi che i risparmi non sarebbero stati sviliti dallo “Stato
padrone”
18
.
A sconvolgere questo panorama sarà la teoria introdotta da John Maynard Keynes
19
sullo Stato interventista e la costruzione dello Stato sociale
20
. Lo Stato, secondo questa dottrina,
deve essere chiamato a intervenire per incentivare lo sviluppo mirato a garantire i più alti livelli
di occupazione e il debito assume la veste di strumento positivo per effettuare una politica
economica di espansione
21
.
Il confronto tra la concezione liberale e quella keynesiana del rapporto dello Stato con
l’economia evidentemente concepivano discipline della finanza pubblica, e di conseguenza di
bilancio, decisamente anteposte.
16
BOGNETTI G., op. cit., p. 2.
17
http://www.treccani.it/enciclopedia/costituzione-formale-costituzione-materiale_(Dizionario-di-Storia)/.
18
ZWEIG S., Il mondo dei ieri. Ricordi di un europeo, Mondadori, 1994, pp. 23-29.
19
J. M. Keynes, nato nel 1883 e morto nel 1946, è stato un economista britannico, padre della macroeconomia
e considerato il più influente tra gli economisti del XX secolo.
20
TONIOLO G., La struttura dell’economia italiana, Gruppo editoriale L’Espresso Spa, Roma, 2012.
21
BUZZACCHI C., op. cit.
18
La prima, come si affermava poco sopra, pretendeva l’esistenza del pareggio di bilancio
nelle trame della costituzione materiale dell’ordinamento e più in generale la presenza di regole
limitative.
La seconda, al contrario, concependo come essenziale l’intervento dello Stato, si basava
sulla discrezionalità.
Il binario regole-discrezionalità in questa materia attraverserà il dibattito politico, a causa
dell’inevitabile riflesso prodotto sulla forma di Governo: limitare la discrezionalità dell’organo
esecutivo nell’ambito delle politiche economiche significava concepire delle regole come
stratagemma per fare acquisire credibilità e fiducia al Governo stesso
22
.
1.1.6. Le analisi della Commissione Economica preliminari al progetto di
Costituzione
La disciplina sul bilancio, redatta dai Padri costituenti, è stata consacrata all’art. 81 della
Costituzione italiana, la cui formulazione è stata oggetto di ampie riflessioni e dibattiti.
Nel Secondo dopoguerra le analisi e le perplessità in materia di bilancio sono state
raccolte tra i maggiori esperti del settore, chiamati ad esprimersi mediante questionari e
interpellanze, nell’ambito della Commissione Economica. Quest’ultima si è insediata il 29
ottobre 1945 ed è stata istituita nelle trame del Ministero per la Costituente, il quale, potendosi
avvalere di commissioni di studio, aveva il compito di «predisporre gli elementi di studio della
nuova Costituzione che dovrà determinare l’aspetto politico dello Stato e le linee direttive della
sua azione economica e sociale»
23
.
La Commissione Economica ha verbalizzato il lavoro di analisi compiuto dai suoi
componenti e dagli enti specializzati interpellati, fornendo un’importante base per l’edificazione
dell’art. 81 Cost.
Negli atti si può leggere come, anzitutto, il valore giuridico e politico del bilancio e della
relativa legge di approvazione è considerato come dovuto al suo essere strumentale nel rapporto
tra i poteri legislativo ed esecutivo. Ciò perché, da un lato, esso ha funzione di guida nella fase
22
MARÉ M. E SARCINELLI M., La regola del bilancio in pareggio: come assicurarla e a quale livello di
governo?, trattato in Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012, Atti
del seminario tenuto presso Palazzo della Consulta svolto il 22 novembre 2013, Giuffrè Editore, 2014, p. 54.
23
Art. 2 del d.lgs.gt. 31 luglio 1945 n. 435
19
preventiva, cioè quando lo Stato si impegna a spendere e incassare nell’esercizio futuro, e,
dall’altro lato, ha funzione di riscontro nella fase del rendiconto, dove, infatti, si devono
contemplare i risultati ottenuti sulla base dei precedenti impegni presi. Il bilancio nelle sue due
fasi, preventiva e di resoconto, altro non è che un documento in cui lo Stato predispone i mezzi
in relazione alle proprie scelte di gestione e poi misura i risultati ottenuti.
Quando la Commissione ha affrontato la questione circa la titolarità delle scelte statali,
ha considerato che in questa materia bisogna partire dalla dato che il potere legislativo, essendo
investito della rappresentanza della volontà popolare, deve predisporre con legge i mezzi e i fini
relativi alle attività statati, mentre il potere esecutivo può agire in base all’ampiezza dei compiti
che gli vengono attribuiti dal potere legislativo.
Non era pacifico il riconoscimento dell’effettiva partecipazione del Parlamento
all’attività amministrativa e l’opinione discorde si originava da quale natura si attribuisse alla
legge di bilancio. Se si trattava di mera approvazione di un conto patrimoniale, nel quale
periodicamente si sarebbero determinate la situazione economica dello Stato e l’uso delle
contribuzioni dei cittadini, il bilancio si fonderebbe e presupporrebbe tutte le leggi esistenti
24
. La
legge di bilancio, secondo questa impostazione non era altro che una c.d. legge meramente
formale, visto che la sua approvazione non avrebbe potuto comportare la modifica delle leggi di
spesa esistenti.
Di contro, si poteva osservare come le Camere, nell’approvare la legge di bilancio,
svolgevano un’attività propria di creazione mediante le deliberazioni parlamentari, in altre
parole, il Parlamento apporta contenuti sostanziali a quel provvedimento che non può, dunque,
coincidere con la categoria della c.d. legge meramente formale.
Un’altra questione affrontata in Commissione economica verteva sul rapporto tra legge
di bilancio e potere esecutivo, perché in base al grado di incisività del Governo sul bilancio si
sarebbero delineati diversi equilibri tra i poteri dello Stato. Infatti, se il Governo viene investito
di funzioni meramente esecutive, esso è in rapporto di strettissima dipendenza al Parlamento o,
al contrario, se esso gode di una certa discrezionalità, può porre in essere, entro i limiti di spesa,
determinazioni autonome più o meno ampie rispetto a quelle poste dal potere legislativo
25
.
24
Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea Costituente, Vol. V, Roma, Istituto
Poligrafico dello Stato, 1946, pp. 28 e ss.
25
Ibidem, p. 30.