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INTRODUZIONE
Nel presente lavoro ci occupiamo di una strategia aziendale che da qualche decennio
assume un ruolo di primo piano nella disciplina economico-gestionale: la diversificazione
correlata. Il primo capitolo è prevalentemente teorico e mira ad esaminare gli aspetti
principali di tale strategia. Le pagine iniziali sono finalizzate ad inquadrare il concetto di
diversificazione, grazie anche ad un excursus storico che mostra brevemente come questa
si sia sviluppata nel corso dei decenni passati. In seguito ci concentriamo soltanto sulla
diversificazione correlata nelle sue caratteristiche principali; al paragrafo 1.2 vengono
infatti studiate le peculiarità che la contraddistinguono dall'altra tipologia di
diversificazione, quella conglomerata. In particolare ci occupiamo dei "vantaggi e
svantaggi della diversificazione correlata": ovviamente la dottrina economica non è
totalmente concorde su quale delle due sia in grado di conferire maggiori benefici, pertanto
riporteremo alcune teorie contrastanti tratte da libri di testo, articoli di giornale e riviste. Il
paragrafo 1.3 è dedicato a quello che riteniamo essere l'elemento essenziale della strategia
in questione: la creazione di sinergie fra i vari business nei quali l'impresa è sviluppata.
Infine, nella parte conclusiva del primo capitolo, introduciamo alcuni aspetti derivanti da
una disciplina strettamente connessa a quella gestionale: il marketing. Ovviamente
affrontiamo questo tema dal punto di vista di un'impresa diversificata in settori correlati; in
tal modo mettiamo in evidenza la complementarità presente fra le due dottrine. Anche in
questo caso facciamo uso di alcuni articoli recenti tratti da fonti sia cartacee sia
informatiche. L'attuale contesto competitivo si caratterizza per un forte dinamismo e per
un'elevata turbolenza: riprenderemo a tal proposito alcune famose teorie, in particolare
quella dell'ipercompetizione di D'Aveni.
Nel secondo capitolo analizziamo le applicazioni pratiche di quanto abbiamo già visto dal
punto di vista teorico nel primo. Per raggiungere tale obiettivo abbiamo scelto come caso
di studio la Walt Disney che, da molti decenni, risulta essere un leader mondiale nella
vasta industria del divertimento. Si tratta di un'impresa conosciuta in tutto il mondo, alla
quale sono affezionate piø generazioni di persone: grazie al suo straordinario successo, ad
oggi è considerata un modello per tutte le imprese che operano nei business
dell'intrattenimento e del tempo libero. La decisione di analizzare la Disney scaturisce dal
fatto che lo sviluppo nei vari settori in cui opera attualmente è frutto della diversificazione
correlata. Secondo il criterio utilizzato dalle fonti ufficiali dell'azienda, tali settori sono
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suddivisibili in cinque divisioni: "The Walt Disney Studios", "Parks and Resorts", "Media
Networks", "Disney Consumer Products" e "Disney Interactive".
Dopo i primi due paragrafi, dedicati rispettivamente alla storia dell'impresa e al core
business, la sezione centrale di questo secondo capitolo (paragrafo 2.3) mette in evidenza
proprio la correlazione presente fra tutti i business nei quali l'impresa ha diversificato e
quello centrale. Abbiamo quindi la possibilità di confrontare quanto affermato in chiave
prevalentemente teorica nella prima metà con le implicazioni pratiche emergenti dal caso
Disney: a puro titolo esemplificativo, rileviamo che uno dei suoi principali punti di forza è
dato dai benefici derivanti dalla pubblicità integrata, un argomento già introdotto nel
paragrafo dedicato al marketing integrato. Successivamente ci soffermiamo sui grandi
investimenti strutturali dell'azienda, in particolare i parchi tematici (paragrafo 2.4); in
questa sede emergono alcuni degli aspetti specifici riguardanti tale settore, fra i quali le
attuali difficoltà che attanagliano l'impresa.
L'ultimo paragrafo del secondo capitolo è strettamente connesso all'ultimo paragrafo del
primo: in entrambi affrontiamo gli effetti derivanti dalla Net Economy, un tema molto
attuale nei Paesi industrializzati. Sebbene l'avvento di Internet abbia sconvolto interi
settori, alcune imprese hanno saputo adeguarsi a tale cambiamento e trarne rilevanti
benefici. Ci concentriamo in particolare su come la Disney, pur non essendo stata
inizialmente avvantaggiata da questa innovazione, possa sfruttarla a proprio favore in
modo tale da costruirci un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. Anche in
questo caso l'obiettivo è quello di traslare quanto detto nel capitolo dedicato alla
diversificazione correlata nel contesto reale in cui opera la Walt Disney.
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Capitolo 1
LA DIVERSIFICAZIONE CORRELATA
1.1. LA DIVERSIFICAZIONE
1.1.1. Cenni storici
Essendo uno degli aspetti piø studiati nella dottrina economico-gestionale dalla metà del
secolo scorso, la diversificazione presenta un'ampia varietà di definizioni. Secondo un
criterio puramente cronologico, riteniamo opportuno citare in primis quella di Edith
Penrose (1959), la quale viene spesso adottata anche nei manuali moderni:
“Un’impresa diversifica le sue attività produttive ogniqualvolta, senza abbandonare le
vecchie linee di prodotto, inizia la produzione di nuovi prodotti, incluse produzioni
intermedie, che sono sufficientemente differenti dalle produzioni precedenti e che
implicano, quindi, qualche differenza rilevante nei programmi di produzione o di
distribuzione”.
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Nello stesso periodo si sono affermati in dottrina gli studi di Ansoff, autore della matrice
prodotto/mercato, e quelli di Hamel e Prahalad, con il contributo della Resource-Based
Theory. Oltre a quelli già menzionati sono molti i nomi illustri che si sono dedicati a tale
strategia (Porter,Rumlet, Chandler), ognuno dei quali ha apportato il proprio contributo; è
inevitabile quindi che nel corso dei decenni le varie teorie si siano sovrapposte e, per alcuni
aspetti, contraddette. Tralasciando momentaneamente le differenze fra le varie correnti di
pensiero, riteniamo essenziale evidenziare il filo conduttore che le guida: il concetto alla
base della differenziazione è lo sviluppo dell'impresa, il quale viene realizzato mediante
l'entrata in nuovi settori.
Sebbene la decisione sia particolarmente complessa, ad oggi la maggior parte delle grandi
imprese di successo diversifica la propria produzione. Ciò è dovuto ad una graduale
evoluzione della strategia in questione; un'evoluzione non omogenea ed incrementale,
bensì diversa a seconda delle epoche storiche e delle aree geografiche. Per quanto riguarda
i paesi attualmente industrializzati, il boom della diversificazione è iniziato negli anni '50-
1
Penrose E., The theory of the growth of the firm, 1959.
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'60, in particolare presso le grandi aziende statunitensi, nonostante molte di queste avessero
già cominciato ad ampliare la loro produzione già durante le due Guerre Mondiali. La
rapidità con cui le imprese americane ed europee hanno intrapreso la diversificazione è
impressionante: negli anni '70 era diventata quasi una conseguenza logica per qualsiasi
impresa ambiziosa. All'epoca infatti il vantaggio competitivo era identificato
prevalentemente nelle dimensioni dell'impresa, a differenza di periodi successivi in cui i
principali fattori di successo erano ritenuti altri. Le crisi petrolifere degli anni '80 e la
conseguente inflazione a livello mondiale spostarono l'attenzione degli imprenditori sulle
competenze distintive piø che sull'espansione dimensionale, con una conseguente
riduzione delle strategie di diversificazione e di integrazione. Le imprese avevano
tendenzialmente invertito rotta: si passa da una diversificazione incondizionata ad una
rifocalizzazione sul proprio core business, un modo di agire diametralmente opposto. Negli
anni '90 è la globalizzazione ad influenzare maggiormente le strategie corporate, secondo
due principali linee guida: se da un lato si tende ad aprire i propri orizzonti geografici e
culturali grazie alla caduta delle barriere doganali, all'avvento di Internet ed alla migliore
tecnologia nei trasporti, dall'altro la strategia di focalizzazione sul proprio core business
diventa sempre piø importante. Per difendere i propri vantaggi competitivi è necessario
avere competenze distintive inimitabili (o almeno difficilmente imitabili) in modo che essi
non vengano erosi da una concorrenza sempre piø accesa e vasta. Quest'ultima tesi è
fortemente sostenuta da Chris Zook e James Allen, autori del best seller "Profit From The
Core. A return to growth in turbulent times"
2
. I due autori sostengono che all'inizio del
Ventunesimo secolo la diversificazione non può essere considerata una strategia vincente a
causa della crescente turbolenza ambientale: l'unico modo per sopravvivere è quello di
concentrarsi sui propri punti di forza.
Da questo breve excursus storico emerge come l'evoluzione economico-sociale abbia
influenzato la scelta delle strategie corporate negli ultimi decenni. Ad oggi però è evidente
che non ne è stata trovata una superiore a prescindere dal contesto: è vero che la maggior
parte delle imprese sviluppate tende a diversificare ma sono evidenti piø casi di leader di
mercato che non adottano tale comportamento (basti pensare a Mc Donald's o Ferrero).
Inoltre l'evidenza empirica dimostra come la diversificazione possa portare anche imprese
di successo sull'orlo del baratro: è emblematico il caso Daimler-Benz
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, vittima della sua
stessa espansione in altri settori.
2
Zook C., Allen J., Profit from the core: a return to growth in turbulent times, 2001.
3
Butterfield L., Enduring Passion:the story of the Mercedes-Benz Brand.
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Quella di diversificare è dunque una decisione particolarmente complessa, pertanto è
necessaria un'accurata analisi interna ed esterna al fine di definire i costi ed i benefici che
ne deriveranno. In seguito, qualora si opti a favore della suddetta strategia, sarà necessario
definirne le modalità.
1.1.2. Vantaggi e svantaggi
Con il termine "generici" intendiamo sottolineare che in questa sezione ci limitiamo ad
occuparci dei pro e contro comuni alle diverse tipologie di diversificazione. Partendo dal
presupposto che si tratta di una strategia di sviluppo, è evidente che è proprio quest'ultimo
lo scopo primario di un'impresa che diversifica: in primo luogo l'impresa ha la possibilità
di entrare in settori con un elevato potenziale di redditività, soprattutto nel caso in cui
quello attuale sia diventato meno redditizio. In secondo luogo si cerca di conseguire
economie di scopo, utilizzando i medesimi input per produrre diversi output, e di scala,
dovute alla diminuzione dei costi unitari grazie all'aumento della produzione. Sono
concettualmente affini a queste ultime anche le economie di esperienza: i costi unitari si
riducono di una percentuale ogni volta che raddoppia la produzione grazie alle routine
organizzative. Lo sviluppo presenta però anche un rovescio della medaglia: la crescita
dimensionale comporta inevitabilmente maggiori costi di coordinamento, dovuti in
particolare ad un aumento dei tempi di circolazione delle informazioni. Tali costi sono
proporzionali al numero di strategic business unit e all'inesperienza del management nei
nuovi settori. Inoltre è necessario evitare, o almeno ridurre al minimo, il conflitto
d'interessi fra azionisti e top management: quest'ultimo infatti è solitamente remunerato a
seconda in base alle dimensioni aziendali. Per questo motivo potrebbe essere tentato ad
enfatizzare i vantaggi derivanti dall'espansione e nascondere i costi ed i rischi. Spesso non
bastano gli interventi del C.d.A. e l'Assemblea degli Azionisti per ridurre simili
inconvenienti, pertanto si può cercare di allineare gli interessi per mezzo dell'offerta di
stock option ai manager
4
.
Un altro aspetto che spinge le imprese a diversificare è il beneficio che ne deriva in termini
di potere di mercato: entrando in nuovi settori infatti non solo tendono ad aumentare le
quote di mercato ma è possibile acquisire una migliore reputazione presso tutti gli
4
L'obiettivo è quello di ridurre al minimo gli effetti della "Agency Theory", secondo la quale il conflitto
d'interessi fra management e azionisti può portare i manager ad agire nel loro interesse individuale,
trascurando l'obiettivo della massimizzazione dello shareholder value.
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stakeholders. Sebbene l'aspetto di primaria importanza sia la customer satisfaction
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, non è
da sottovalutare l'impatto sulla concorrenza: sviluppandosi ed investendo si manda un
segnale di potenza che potrebbe indurre altre imprese a farsi da parte per paura di
un'eventuale rappresaglia. Qualora le autorità antitrust non lo impediscano, un'impresa
forte potrebbe perfino adottare una politica di dumping predatorio, innescando guerre di
prezzo allo scopo di eliminare i rivali. D'altra parte due o piø aziende che si trovano a
confrontarsi in settori diversi potrebbero optare per una politica di mutuo supporto, anche
formando una sorta di oligopolio.
Ovviamente i vantaggi derivanti dalla diversificazione non sono solamente questi, così
come gli svantaggi. Abbiamo preferito però distinguere prima le modalità di attuazione,
per poi soffermarci sugli aspetti specifici di ognuna di queste e rilevare le differenze.
Soltanto dopo tratteremo approfonditamente la diversificazione correlata, tema centrale
della tesi.
1.1.3. I "confini" della diversificazione e le modalità di attuazione
Prima di procedere all'analisi delle due principali tipologie di diversificazione, ovvero
correlata e conglomerata, riteniamo necessaria una breve premessa. In dottrina si
distinguono talvolta quattro tipologie: oltre alle due appena citate si tende a considerare
anche la "diversificazione verticale" e la "diversificazione orizzontale". Tale schema,
derivante dalla corrente di pensiero di Igor Ansoff, viene riadattato ai fini di una maggiore
chiarezza: in particolare le ultime due non sono da considerare come categorie di
diversificazione, bensì di integrazione. Con l'integrazione verticale l'impresa si sviluppa a
monte o a valle della filiera produttiva in cui opera, mentre con l'integrazione orizzontale
acquista altre imprese appartenenti allo stesso settore. PoichØ l'elemento cardine della
diversificazione è l'ingresso in nuovi settori, le differenze sono particolarmente chiare. Il
modello "Attrattività del settore/posizione competitiva", che abbiamo ripreso dal libro
"strategie d'impresa" di Giorgio Pellicelli, mette efficacemente in risalto questa differenza,
oltre a distinguere le due categorie che ci apprestiamo ad analizzare: conglomerata e
concentrica (o correlata).
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Tratteremo piø approfonditamente il tema della customer satisfaction nei paragrafi 1.3 ed 1.4, dedicati
rispettivamente allo strategic fit ed al marketing integrato.