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Capitolo I
Legami tra terrorismo e criminalita’ organizzata transnazionale
(TRADUZIONE DEL RAPPORTO “CODEXTER” 2017 DEL CONSIGLIO D’EUROPA)
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Gli studi sui legami tra gruppi terroristici e gruppi criminali hanno risentito a lungo del
retaggio ideologico secondo cui le due organizzazioni perseguissero obiettivi differenti e
sostanzialmente inconciliabili. I criminali ricercavano il profitto; i terroristi si basavano su
motivazioni ideologiche. Questa dicotomia ha indotto a lungo a pensare che i gruppi
terroristici non si dedicassero ad attività criminali, poiché ciò sarebbe stato contrario ai
propri obiettivi ideologici. Ma in realtà, già da diverse decadi si riscontrano delle
interconnessioni e degli interessi comuni tra le organizzazioni criminali e terroristiche. A
partire dagli anni Ottanta, nel periodo più fiorente per Pablo Escobar e i cartelli colombiani
della droga, gli esperti hanno coniato la definizione di “narcoterrorismo”, interrogandosi
sul fatto che potesse o meno trattarsi di un esempio concreto di permeabilità fra il mondo
criminale e il mondo terrorista. Più recentemente, il termine “insurrezione criminale” è
stato impiegato per definire il modo in cui le organizzazioni criminali hanno posto in
essere una minaccia strategica alla sicurezza nazionale. E’ inoltre risaputo che i Talebani
abbiano puntualmente fatto leva sulla produzione di eroina in Afghanistan, che gli
Hezbollah, a partire dagli anni ’80, abbiano investito nell’industria illegale della droga in
Sud America e che gruppi come l’IRA fossero implicati nel contrabbando di benzina e
sigarette e nella contraffazione di beni. Allo stesso modo, è ampiamente noto che gli
obiettivi di AQMI ( Al Qaeda nel Maghreb Islamico), gruppo che sin dalla sua nascita si
dedica al contrabbando di sigarette e alla contraffazione, sono tanto criminali quanto
ideologici. La manifestazione più recente del fenomeno incarna questo nuovo legame tra
criminalità e terrorismo definito dagli esperti, il cui accento non si pone sulla fusione di
intere organizzazioni, bensì sulle loro reti sociali e sul loro ambiente, o contesto. Più
precisamente, anziché indirizzarsi verso un’impostazione di stampo criminale oppure
terroristico, i rispettivi gruppi reclutano ormai nei medesimi bacini di utenza, creando
delle sinergie e delle sovrapposizioni (spesso involontarie) che determinano il percorso
attraverso il quale i soggetti si radicalizzano e passano all’azione. Tale tendenza sembra
particolarmente applicabile al modus operandi dei gruppi terroristici come l’ISIS - o ISIL o
Daesh o Stato Islamico- nell’ambito delle loro recenti azioni in Europa. Sono numerosi gli
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Report on the links between terrorism and transnational organised crime- Prof. Peter Neumann and Prof. Ana Salinas
De Frias, Committee of Experts on Terrorism, Council of Europe, Secretariat of the Counter-Terrorism Division
Information Society and Action against Crime Directorate, DG, Strasburg, 10 May 2017.
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strumenti giuridici adottati già da tempo nella lotta contro la criminalità organizzata
transnazionale e il terrorismo, sia a livello regionale che globale. Tuttavia, nessuno di
questi strumenti ha mai contemplato delle regole comuni per entrambi i fenomeni,
probabilmente in ragione della loro natura mutevole, ma anche perché le connessioni fra le
due forme di criminalità non erano state opportunamente inquadrate.
Se da un lato gli strumenti giuridici internazionali definiscono in modo preciso il crimine
organizzato, dall’altro non esiste una definizione comune di terrorismo. La globalizzazione
e il rapido sviluppo delle tecnologie di informazione e comunicazione non fanno che
aggravare il problema. Malgrado l’esistenza di un quadro giuridico robusto, che consente
di fronteggiare distintamente queste due piaghe della società internazionale moderna, una
cooperazione rinforzata tra le autorità giudiziarie, le forze di polizia e i servizi di
intelligence, nel rispetto della democrazia, dei diritti umani e dello Stato di Diritto, si rende
sempre più necessaria. Non appare indispensabile adottare nuovi dispositivi giuridici,
quanto piuttosto effettuare un’approfondita comparazione delle misure attualmente in
vigore per rilevare sovrapposizioni e lacune potenziali. Il fatto che, quando si verificarono
gli attentati di Bruxelles, il Belgio non avesse ancora ratificato la Convenzione del
Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo, è eloquente. E’ per tale ragione che
gli strumenti giuridici adottati in questo campo non sono antagonisti ma complementari e
possono, in buona sostanza, fornire un contributo ottimale nella lotta al terrorismo; sebbene
non vada dimenticato che si tratta di un fenomeno difficile da reprimere, tenendo conto
delle influenze politiche che continua ad esercitare e del fatto che l’assenza di una
definizione legislativa possa in certi casi condurre all’impunità. Come sottolineato da certi
autori, ma anche dalle organizzazioni internazionali, questi legami si fondano in gran parte
sull’instabilità politica, economica e sociale. Detto ciò, anche l’Europa è minacciata, dal
momento che il terrorismo ha ormai una portata mondiale. Essa ha subito un’ondata
terribile di attacchi terroristici che ha evidentemente portato alla luce i fruttuosi rapporti di
scambio tra le due forme di criminalità. Riguardo alla sicurezza europea, l’instabilità è
strettamente legata non solo ai conflitti armati e alle guerre che si svolgono al di là delle
frontiere, ma altresì alle organizzazioni criminali che operano nel perimetro esterno
all’Unione Europea, cioè sul territorio del Consiglio d’Europa e oltre. Occorre con urgenza
un approccio globale verso tali collegamenti e le problematiche che ne conseguono,
nonché una riflessione sulle migliori strategie possibili di attuazione congiunta del quadro
giuridico in vigore per il contrasto del fenomeno.
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CRIMINALITA’ E TERRORISMO: LEGAMI E SINERGIE – Parte I
A cura di Peter R. Neumann, Professore di Studi sulla Sicurezza presso il King’s College di
Londra, Direttore del Centro Internazionale di Studi sulla Radicalizzazione (ICSR)
1.Situazione attuale
1.1 La fusione delle realtà criminali e terroristiche in Europa, oggetto di questo studio, non
è un fenomeno molto recente. Nel corso degli anni ’90, la stampa francese descriveva i
membri del Gruppo Islamico Armato (GIA) come “gansters terroristi”, poiché
numerosi di essi provenivano da bande locali. Allo stesso modo, molti autori degli
attentati compiuti nella rete metropolitana di Madrid, nel 2004, erano delinquenti di
lunga esperienza che avevano finanziato l’operazione tramite lo spaccio di
stupefacenti. Parallelamente, i dati disponibili attestano chiaramente che, a seguito
dell’ascesa dello Stato Islamico, i criminali detengono un ruolo più importante, più
visibile e sistematico nelle azioni terroristiche.
1.2 La Polizia federale tedesca ha accertato che, dei 669 foreign fighters di nazionalità
tedesca giunti in Siria, in merito ai quali si erano raccolte informazioni sufficienti, due
terzi risultavano schedati già prima di recarsi in Siria e un terzo di loro aveva già subito
una condanna. Secondo la Procura Federale Belga, la metà dei Jihadisti del Paese
aveva dei precedenti penali prima di partire per la Siria. Un rapporto dell’Onu traccia
un profilo simile dei combattenti francesi. Pubblici Ufficiali Norvegesi e Olandesi
hanno confermato che almeno il 60% dei jihadisti dei loro Paesi aveva un passato
criminale. Da qui il termine “Supergang”, usato dal Commissario della Polizia federale
di Bruxelles, Alain Grignard, per definire l’IS o Daesh.
1.3 Per comprendere meglio tale dinamica, un’équipe multilingue di ricercatori del Kings
College di Londra ha creato un database contenente i profili e i percorsi di 79 jihadisti
europei con precedenti giudiziari. Tutti uomini, la maggior parte giovani ( il più grande
d’età aveva 38 anni al momento della partenza, il più giovane circa 16). L’età media ( e
mediana) era di 25 anni. La forte presenza di convertiti (19-22%) concorda con le stime
sul numero di convertiti fra i combattenti stranieri provenienti dall’Unione Europea.
Inoltre, di questi settantanove individui, due terzi (67%) erano partiti o avevano tentato
di raggiungere la Siria per combattere. Molti di essi rientravano nel 38% dei soggetti
coinvolti in complotti terroristici orditi nel proprio Paese.
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1.4 Il livello di delinquenza dei gruppi era variabile, spaziava dalla delinquenza
occasionale alla criminalità professionale, passando per i recidivi. Inoltre, nella grande
maggioranza dei casi , si trattava di piccoli delinquenti locali, di cui solo un numero
piuttosto ridotto agiva a livello nazionale e transnazionale. Se la maggioranza aveva,
prima o dopo, commesso dei reati minori (68%), circa i due terzi aveva dei trascorsi
violenti (65%).
1.5 L’incarcerazione rappresenta un ruolo chiave, il 57% dei soggetti registrati aveva
scontato almeno una pena detentiva. In dodici casi ( il 15% del totale o il 27% dei
detenuti), i delinquenti avevano sposato la causa jihadista in prigione. Sette di queste
persone avevano partecipato alla realizzazione di un attacco terroristico nel proprio
Paese; ciò denota una preponderanza di pregiudicati tra i terroristi che pianificano
simili attentati. Tra l’altro, circa il 30% era in grado di utilizzare le armi da fuoco. Di
contro, i reati di natura economica apparivano marginali, con appena il 6% di criminali
implicati in frodi finanziarie o furti d’identità.
2.Radicalizzazione
2.1 Una delle questioni più importanti che ruota intorno al nesso tra criminalità e
terrorismo, è quella di riuscire a comprendere in che modo il passato criminale
favorisca il processo di radicalizzazione, ovvero come la situazione personale, le
esperienze e la storia individuale del soggetto, così come le sue reti ed altri fattori, lo
inducano all’estremismo e al ricorso alla violenza. I profili e i percorsi inseriti nel
database suggeriscono che la propaganda dello Stato Islamico sia perfettamente in linea
con i bisogni e le aspirazioni individuali dei delinquenti e che possa fungere da
elemento persuasivo o dissuasivo, rispetto alla scelta di continuare a dedicarsi ad
attività criminali.
2.2 Sulla base degli elementi presenti nel database, si sono evidenziati dieci casi
caratterizzati da percorsi di “redenzione”. Si tratta di criminali che avevano manifestato
una “apertura cognitiva”, ovvero un evento traumatico o una crisi personale che li
aveva portati ad analizzare la propria vita e ad aprirsi a un cambiamento radicale di
valori e comportamenti. Si erano resi conto della lesività della propria condotta e della
grande necessità di rompere con il passato per espiare i propri “peccati”. Forti di questo
ragionamento, erano così pronti ad abbracciare la religione e aderire ad organizzazioni
come l’Isis. Così come avveniva nei gruppi criminali dei quali facevano
precedentemente parte, questi nuovi gruppi offrivano loro potere, violenza, avventura e
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adrenalina, nonché un’identità forte e un sentimento di ribellione. Il confine tra
criminalità e terrorismo in tal senso era più facilmente superabile, al contrario di quanto
si sarebbe potuto pensare, soprattutto considerando che, al contrario di Al Qaeda, l’Isis
non esige praticamente alcuna conoscenza o formazione religiosa e si preoccupa poco
della complessità del linguaggio teologico.
2.3 Il linguaggio terrorista può ugualmente servire a legittimare la criminalità.
Anwar al Awlaki, l’Imam radicale che ha ideato Inspire, la rivista on line di Al Qaeda,
e che durante gli anni 2000 ha incitato giovani occidentali di fede musulmana a
diventare lupi solitari, non ha cessato di ripetere ai suoi discepoli che “appropriarsi dei
beni dei nemici” era non soltanto legittimo, ma a volte perfino obbligatorio. Lo Stato
Islamico segue il medesimo ragionamento; l’esempio più celebre è quello di Khalid
Zerkani, membro belga dell’IS incaricato di reclutare e mobilitare fino a 72
combattenti stranieri. In seguito alla sua radicalizzazione, Zarkani ha sfruttato le sue
competenze criminali e il suo immenso carisma per reclutare giovani uomini come
foreign fighters, incoraggiandoli a commettere furti e attacchi, giustificati, secondo il
suo punto di vista, da motivazioni di carattere religioso. Il ricavo fu poi redistribuito
all’interno del gruppo per finanziare il viaggio in Siria dei vari membri. Da ciò deriva il
soprannome “Papà Natale” attribuito a Zarkani.
2.4 Vi sono numerosi elementi che dimostrano che i precedenti penali accelerano il
processo di radicalizzazione. La raccolta dati evidenzia che il periodo di mobilitazione,
sarebbe a dire l’intervallo di tempo fra l’affiliazione a un gruppo estremista e la
partecipazione ad atti di violenza, nel caso dei 30 soggetti coinvolti nella pianificazione
di attentati all’interno del proprio paese, risultava spesso estremamente breve
(frequentemente inferiore ai quattro mesi, se non addirittura qualche settimana). E,
sebbene il ricorso alla violenza non sia paragonabile, gli atti violenti dei terroristi erano
sempre più forti di quelli criminali.
2.5 Queste conclusioni confermano l’idea che la familiarità con la violenza (di tipo
criminale) generi dei terroristi non solo più versatili, ma anche più violenti.
3.Detenzione
3.1 Come evidenziato da diversi rapporti del Consiglio d’Europa, le prigioni rappresentano
dei focolai di “vulnerabilità” in cui i terroristi trovano una massa di “giovani uomini in
preda alla collera”, individui con un passato criminale che possono sperimentare una
fase di apertura cognitiva ed essere così pronti per la radicalizzazione e l’affiliazione in
organizzazioni estremiste. Le carceri sono un ambiente comune tanto ai delinquenti
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quanto ai terroristi e creano dunque opportunità di collaborazione, di networking e
“scambio di competenze”. E, soprattutto, i detenuti che finiscono di scontare la propria
pena, si ritrovano spesso a ritornare in libertà senza una reale prospettiva di
reinserimento sociale, né la possibilità di rendersi dei cittadini produttivi.
3.2 Per numerosi detenuti, la stessa incarcerazione scatena una crisi personale che solleva
interrogativi profondi sul senso della vita, considerata, peraltro, l’ampia disponibilità di
tempo che essi hanno per riflettere. E’ esattamente questo il motivo per cui i reclutatori
di Al Qaeda, dell’Isis o altri gruppi terroristici considerano la prigione un terreno
fertile, poiché i carcerati non soltanto sono vulnerabili e soggetti ad aperture cognitive
che li rendono recettivi nei confronti di ideologie estremiste, ma rientrano anche nella
categoria demografica che i gruppi jihadisti cercano di attirare, ovvero i giovani che
spesso disconoscono la propria religione, ma sono impulsivi, sicuri di sé, pronti a
correre dei rischi e in conflitto con lo Stato e le Autorità. Lungi dall’essere un ostacolo,
il loro passato li ha resi indifferenti all’illegalità e alla violenza, dotandoli di
“competenze” utili ai fini terroristici.
3.3 A meno che non si separino totalmente gli estremisti dal resto della popolazione
carceraria, scelta non sempre possibile né consigliabile, il contesto carcerario
istituzionalizza virtualmente il legame tra terroristi e criminali e ciò rappresenta un
vantaggio per gli estremisti: oltre ad aver accesso a delle opportunità potenzialmente
proficue e a dei soggetti potenzialmente radicalizzabili, essi possono sfruttare
competenze e conoscenze clandestine dei criminali, per ottenere agevolmente
documenti falsi, armi, denaro, beni, ma anche l’accesso a rifugi segreti. Gli esempi più
eloquenti, in Francia, sono quelli di Chérif Kouachi, Amedy Coulibaly e Djamel
Beghal. Kouachi e Coulibaly si sono conosciuti nel carcere di Fleury-Mérogis, vicino
Parigi, nel 2007 e hanno legato dopo aver trascorso sette mesi nella stessa divisione. La
coppia, un estremista e un delinquente “comune”, viene successivamente irretita e
radicalizzata all’interno della prigione, da Djamel Beghal: un reclutatore di Al Qaeda.
In altri termini, è proprio il contesto carcerario a dar vita alla rete coordinata da
Kouachi e Coulibaly e poi sfociata negli attentati di Parigi del Gennaio 2015, in cui
hanno perso la vita diciassette persone.
3.4 Quattro soggetti presenti nel database erano stati segnalati dall’Autorità Penitenziaria
come radicalizzati; tuttavia, né le forze di Polizia né i Servizi di intelligence avevano
dato seguito alla segnalazione. L’esempio più grave è quello di Mehdi Nammouoche,
un cittadino francese che nel Maggio del 2014 uccise quattro persone al Museo
giudaico di Bruxelles. Mentre si trovava in carcere, egli fu indicato come soggetto
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radicalizzato dall’Autorità Penitenziaria, eppure riuscì a recarsi in Siria tre settimane
dopo la scarcerazione. Altrettanto significativo è il caso di Omar El Hussein, che nel
Febbraio 2015 assassinò due persone a colpi di arma da fuoco, in un centro culturale e
in una Sinagoga di Copenaghen. Nel periodo in cui si trovava a scontare una pena di
due anni di reclusione, El Hussein aveva manifestato apertamente e a più riprese il
desiderio di andare a combattere in Siria, venendo pertanto segnalato dalle Autorità
come “potenzialmente radicalizzabile”. Il suo caso fu segnalato tre volte, ma nessuna
di queste allerte portò mai all’apertura di un’indagine.
4. Operazioni
4.1 Già nel 2013, l’Intelligence danese aveva ravvisato il pericolo che un’adesione
massiccia di criminali ai gruppi jihadisti potesse portare alla proliferazione di armi da
fuoco tra i potenziali terroristi. Due anni dopo, l’allarme si rivelò fondato. Nel lasso di
tempo fra le due sparatorie commesse, Omar El Hussein si recò a Mjolnerparken, il suo
quartiere, dove custodiva un fucile M95 di cui era entrato in possesso durante un furto
di abitazione e che aveva utilizzato nel primo attentato. Subito dopo, incontrò alcuni ex
membri della sua banda in un Internet Café e gli stessi gli avrebbero verosimilmente
fornito le munizioni per compiere la seconda sparatoria. Lo stesso avvenne con Amedy
Coulibaly. Stando alle ricostruzioni dei media in seguito agli attentati del Gennaio
2015, il trafficante d’armi che gli aveva venduto l’arsenale si sarebbe costituito
spontaneamente alla Polizia, confessando di aver fornito a Coulibaly delle pistole
mitragliatrici Skorpion, un lanciagranate e due Ak47 che i fratelli Kouachi hanno
utilizzato per compiere l’attentato a Charlie Hebdo. Effettivamente, il numero di Luglio
2015 di Dar Al Islam, la rivista dello Stato Islamico in lingua francese, riportava le
istruzioni per procurarsi delle armi e raccomandava agli adepti di dissimulare tutti i
segni esteriori riconducibili alla loro religiosità per assumere lo stile da “ragazzo di
quartiere” alla ricerca di un’arma per commettere una rapina. Fra gli altri “scambi di
competenze” di particolare importanza per le organizzazioni terroristiche, figurano
soprattutto l’uso di documenti falsi e l’accesso a covi segreti, che permettono ai
terroristi di sfuggire alle Autorità e incrementano le possibilità che un complotto si
traduca in un attacco portato a termine. Semplificando, l’accesso a delle competenze
criminali aiuta i terroristi a mantenere un basso profilo. Ciò che conta non sono tanto le
specifiche competenze che i criminali esperti possono (o meno) possedere, quanto
piuttosto l’uso di canali che possono favorire i loro movimenti. Harry Sarfo, ad
esempio, ex foreign fighter di Brema, città situata nella Germania del Nord, sostiene
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che l’IS questo lo ha perfettamente compreso. Secondo quanto da lui dichiarato ai
giornalisti, l’organizzazione, anziché ricercare dei falsari, si sarebbe attivata nel
reclutare pregiudicati aventi legami con la criminalità organizzata e in grado di
procurarsi documenti di identità falsificati.
5.Finanziamenti Criminali
5.1 Il tema dei finanziamenti al terrorismo è oggetto di numerose relazioni, risoluzioni e
convenzioni internazionali. Se gli aspetti generali della problematica sono stati
ampiamente analizzati, i legami tra i finanziamenti alla criminalità organizzata e i
finanziamenti al terrorismo non hanno ricevuto la dovuta attenzione. Due studi recenti
hanno tentato di colmare tale lacuna. Un rapporto siglato da Magnus Normark e
Magnus Ranstorp, dell’Accademia Nazionale Svedese della Difesa, si è focalizzato sul
modo in cui i combattenti europei finanziano i propri viaggi in Siria. Oltre a prestiti,
donazioni private, frodi bancarie e commerciali, i reati minori giocano un ruolo in
prima linea. Un altro studio condotto da Emile Oftedal, dell’Istituto Norvegese di
Ricerca per la Difesa (FFI), esamina il sovvenzionamento di 40 progetti di attentato tra
il 1994 e il 2013: se circa i tre quarti sono stati finanziati con fondi legali, lo studio
mostra che la criminalità, specialmente traffico di stupefacenti, frode e traffici illeciti,
ha svolto un ruolo determinante in quasi il 40 % dei casi. Con il continuo incremento
del numero di criminali che virano verso il terrorismo, questa fonte di finanziamento
non potrà che assumere un’importanza sempre maggiore.
5.2 Alcuni gruppi terroristici dispongono di budget enormi. Ma questo dato ha
un’influenza relativa nei finanziamenti degli attentati terroristici in Occidente, poiché
tali fondi sono ben distinti e separati dai budgets centralizzati. Da oltre una decade, tali
gruppi esortano i propri sostenitori occidentali ad autofinanziarsi, privilegiando
contestualmente tipologie di attacchi poco onerosi e di facile esecuzione. L’analisi di
Oftedal lo evidenzia e rivela che il 90% dei complotti terroristici in Europa contempla
“un elemento” di autofinanziamento, mentre all’incirca la metà degli stessi risulta
totalmente autofinanziata.
5.3 Gli atti terroristici in Europa non necessitano di grandi costi. Per diventare un foreign
fighter, raramente occorre più di un biglietto aereo per la Turchia. Si può facilmente
acquistare un fucile automatico AK-47 con meno di 2000 euro e una pistola ha un
costo ancora inferiore. Il prezzo di vendita di un coltello o di noleggio di un veicolo è
irrisorio. Lo studio di Oftedal mostra che tre quarti dei progetti di attentato in Europa