1
CAPITOLO I
DAL CONFLITTO ALLA MEDIAZIONE: STRUMENTO DI
RISOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE
1.1 Un primo approccio sociologico del conflitto
Il concetto di conflitto è un elemento centrale nello studio delle scienze sociali. Diversi
approcci sociologici hanno provato a fornire una definizione e un’analisi del concetto di
conflitto, ma è da Marx in poi che il conflitto ha rivestito un ruolo fondamentale per interpretare
le dinamiche di mutamento delle società. Tentare una definizione del concetto che comprenda le
sfumature dei diversi approcci è comunque un’impresa ardua e ancora in fase di elaborazione.
Gallino scrive che il
“conflitto è un tipo di interazione più o meno cosciente tra due o più soggetti individuali o
collettivi, caratterizzato da una divergenza di scopi tale, in presenza di risorse troppo scarse perché i
soggetti possano conseguire detti scopi simultaneamente, da rendere oggettivamente necessario, o
far apparire soggettivamente indispensabile, a ciascuna delle parti, il neutralizzare o deviare verso
altri scopi o impedire l’azione altrui, anche se ciò comporta sia infliggere consapevolmente un
danno, sia sopportare costi relativamente elevati a fronte dello scopo che si persegue”
1
.
All’interno di una logica razionale, dunque, il conflitto appare come il costo minore da
sopportare in previsione di un fine da raggiungere. Sono stati vari gli studiosi che hanno tentato
di definire e quindi teorizzare il conflitto, spesso dando allo stesso delle connotazioni positive
altre volte negative. La teoria del conflitto si fonda su alcuni assunti di base fondamentali:
• gli individui possiedono alcuni interessi di base, comuni a tutte le società;
• il potere è il nucleo centrale delle relazioni sociali, ed essendo scarso e distribuito in
modo diseguale, è fonte di conflitto;
• i valori e le idee sono “armi” usate dai diversi gruppi per perseguire i propri fini.
I teorici critici del conflitto ritengono che gli scienziati sociali abbiano l’obbligo morale
di impegnarsi nella critica alla società. Essi rifiutano di separare l’analisi dal giudizio, i fatti dai
1
Gallino L., Dizionario di Sociologia, UTET, Torino, 1993, p. 156.
2
valori. In linea di principio sono convinti che possa esistere una società senza conflitti, ed è per
questo che vengono anche definiti utopisti. I teorici analitici, invece, considerano il conflitto
come un aspetto inevitabile e permanente della vita sociale. Essi respingono l’idea che le scienze
sociali debbano essere legate a giudizi di valore. Inoltre, sottolineano che il conflitto e le sue
radici hanno un carattere permanente e pertanto non può esistere una società senza
controversia
2
. I sociologi sostenitori del conflitto ritengono che la società sia in continuo
mutamento a causa della coercizione di alcuni membri su altri e si chiedono come mai,
nonostante i continui mutamenti, le società continuino a stare unite. I funzionalisti, invece,
considerano la società stabile ed integra, enfatizzano l’accordo sui valori e non riescono a dare
una spiegazione alle rivoluzioni e ai cambiamenti sociali.
1.1.1 Le teorie conflittualiste
Per le teorie conflittualiste, che vedono Marx quale capostipite, il conflitto è una
costante della storia dell’umanità che determina mutamento sociale. L ’autore, nello specifico,
riteneva che il mutamento facesse progredire la società, nonché l’umanità, di conseguenza il
conflitto è uno stato fisiologico della società nonché organo propulsore delle trasformazioni
storiche
3
.
Marx partiva dalla concezione che gli individui nella società sono divisi in classi e che
l’appartenenza ad una classe sociale dipende dalla posizione occupata nel sistema economico,
che a sua volta è emblema di valori diversi e contrapposti
4
. Il conflitto è quindi una condizione
che nasce dai rapporti tra le diverse classi e il mutamento sociale non è altro che mera
conseguenza del conflitto stesso
5
. È nel contrasto tra le forze produttive e i rapporti storici di
produzione che va individuato il vero conflitto strutturale, caratteristica endemica di ogni società
in cui vi sia una iniqua distribuzione delle risorse. Per Marx, quindi, l’esistenza del conflitto crea
sempre un gruppo di oppressi ed un gruppo di oppressori. L’unico modo per uscire dal caos e
far sparire il malcontento generale, è la realizzazione della società comunista, in cui ad ognuno
2
La Torre M., Una introduzione alla filosofia del diritto, Rubbettino, Catanzaro, 2004, p. 221.
3
Bianco A., La conoscenza del mondo sociale. Guida allo studio della sociologia., Franco Angeli,
Milano, 2007, p. 63.
4
Marx K, Engels F., Manifest der komunistischen Partei, London, 1848 (trad. it. Manifesto del Partito
Comunista, Torino, Einaudi, 1953).
5
Corsi V., La sociologia tra conoscenza e ricerca, Franco Angeli, Milano, 2009, p.128.
3
viene dato secondo i propri bisogni ed ognuno contribuisce secondo le proprie possibilità. Il
conflitto viene meno solo se vi è una giusta distribuzione delle risorse, alla quale si può arrivare
per mezzo della rivoluzione, unico strumento in grado di cancellare le disuguaglianze, fautrice
di una società senza classi
6
.
Si può dire che la teoria sul conflitto, nasce a partire da Marx, anche se vi fu un tentativo
da parte degli studiosi successivi di sviluppare una teoria non marxista del conflitto. In generale,
per gli autori successivi, il conflitto non è negativo e non giunge necessariamente ad un esito
predeterminato e definitivo. I critici di Marx, partendo dal concetto del conflitto come
inevitabile, non arrivano infatti ad una concezione negativa dello stesso. Gli stessi affermano
che il conflitto è inevitabile perché è intrinseco nella natura umana e che è positivo perché è il
motore di sviluppo dell’intero sistema sociale. Le differenze sociali portano gli individui a
superare ed a migliorare le relazioni, i rapporti istituzionali e, in generale, la società in cui
vivono. Se venisse a mancare questo elemento di turbolenza la società non si evolverebbe più,
cioè non si avrebbe cambiamento sociale. Per i successori di Marx, quindi, il conflitto non è una
caratteristiche negativa della società ma è il motore fondamentale dello sviluppo della società
stessa, che tende a cambiare ed evolversi costantemente.
Anche per Weber il conflitto non determina uno stato patologico e non conduce alla
disgregazione della società, ma al contrario esso può generare ordine ed è uno stato fisiologico
della società stessa. L’ordine è quello status che si raggiunge una volta che il conflitto viene
regolato, tuttavia per poterlo gestire positivamente è necessario innanzitutto riconoscerlo.
Weber, a differenza di Marx, non ritiene che i conflitti giungano sempre a placarsi, regnando
l’armonia
7
. Secondo questo autore il conflitto genera sia ordine che mutamento, in quanto non si
può ricondurre esclusivamente alla lotta di classe, come intendeva Marx, ma è originato dalle
varie sfere vitali, quali quella economica, politica del diritto, della religione, dell’onore e del
prestigio, che, se pur autonome, si alimentano e condizionano vicendevolmente
8
. In ogni
società, infatti, la compresenza di diverse forme di lotta, inerenti all’agire umano, si basa su
interessi diversi: attraverso i conflitti si creano e si trasformano le istituzioni sociali, che
6
Troisi C., Forme e modelli di ADR. Profili sostanziali, in Autorino G., Noviello D., Troisi C. (a cura
di), Mediazione e conciliazione. Nelle controversie civili e commerciali, Maggioli, Santarcangelo di
Romagna, 2013, p. 43.
7
Weber M., Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, Tübingen, Mohr, 1904-05
(trad. it. L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, in Sociologia della religione, Milano,
Comunità, 2002).
8
Bagnasco A, Barbagli M., Cavalli A, Elementi di sociologia, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 24.
4
generano mutamento vitale. Per Weber il conflitto non può essere eliminato dalla vita sociale e
la pace non è altro che un mutamento del conflitto stesso.
9
Il conflitto è una lotta: si tratta
dell’imposizione di un soggetto contro la volontà e la resistenza di una o più controparti.
Il sociologo collega il conflitto e la lotta al potere ed individua tre aree dove esso prende
maggiormente forma: nell’ambito politico, sociale ed economico. Nell’area politica si esplica
nella contesa del potere tra i diversi gruppi politici/partiti, Nel settore economico entra in gioco a
seconda delle dinamiche commerciali: salari, credito e merci; nell’ambito sociale, infine, si
scatena per ottenere prestigio sociale o per riaffermare valori, comportamenti, stili di vita o
culture differenti. Il conflitto, dunque, funge da filtro selezionatore, grazie a cui sopravvivono i
più adatti, i più capaci e più meritevoli affinché la società, l’economia e la politica abbiano il
meglio e possano progredire
10
.
Più recentemente Coser definisce il conflitto sociale come funzione necessaria per il
mantenimento e lo sviluppo sociale, in quanto genera integrazione. Il conflitto si autolimita, non
è intrinsecamente autodistruttivo poiché, spesso, le linee di divisione tra gli attori del conflitto
tendono ad incontrarsi e “rincontrarsi”. L’autore basa la sua teoria su quanto precedentemente
sostenuto da Simmel: nel conflitto si presenta sia una tendenza degli esseri umani a dissociarsi
ma anche una tendenza ad associarsi, in quanto gli atti conflittuali sono e rimangono interazioni
tra individui che nascono e generano condivisione
11
. Egli, inoltre, ha tentato di definire il
conflitto di comunità e ritiene che lo stesso si sviluppi quando la distribuzione del potere
esistente non ha più legittimazione da parte dei membri della comunità e viene quindi
subordinato da gruppi esterni che lo mettono in discussione e quando l’allocazione delle risorse
è inadeguata per il soddisfacimento di tutti. Tali conflitti si sviluppano prevalentemente tra e
all’interno delle organizzazioni, del vicinato e delle istituzioni
12
. Il conflitto sociale può essere
definito lotta cosciente di classe, posta in essere da persone, gruppi o collettività per conseguire
9
Callà R. M., Conflitto e violenza nella coppia, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 25.
10
Maniscalco L. M., Sociologia e conflitti. Dai classici alla peace reserch, Altrimedia, Matera, 2010,
p. 27.
11
Arielli E., Scotto G., Conflitti e mediazione. Introduzione a una teoria generale, Mondadori,
Milano, 2003, p. 4.
12
Laue J. H., Cormick G. W., L’etica dell’intervento nelle dispute di comunità, in Luison L. (a cura
di), La mediazione come strumento d'intervento sociale. Problemi e prospettive internazionali, Franco
Angeli, Milano, 2006, p. 96.
5
beni limitati mediante risorse limitate. Ciò nonostante per Coser il conflitto ha degli aspetti
funzionali: aumenta la solidarietà di gruppo che non sarebbero tale se non vi fosse il conflitto
13
.
1.1.2 Le teorie funzionaliste
Tra le teorie macro-sociologiche, la corrente funzionalista ritiene che le disuguaglianze
sociali, generatrici di conflitto, creino un equilibrio all’interno del sistema che permette allo
stesso di rimanere in vita e di evolversi. Ogni sistema, infatti, è composto da parti diverse, che
fanno sì che, nonostante i differenti mutamenti, si mantenga uno stabile equilibrio. Tra i
funzionalisti, Durkheim è un autore classico che si è occupato dell’ordine sociale. Egli si chiede
come sia possibile che le persone, nonostante tutte le tensioni presenti nella società, riescano a
tenere rapporti civili tra loro. Egli ritiene che sia presente in ognuno di noi un senso
sovraindividuale, il sacrificio che permette alla collettività di rimanere coesa. L’equilibrio
sociale, quindi, viene ripristinato facendo leva su sentimento di appartenenza, altruismo e
solidarietà
14
.
La coesione sociale è strettamente legata alla presenza nella società di norme e valori.
Le prime sono regole di comportamento che l’uomo tende a seguire in determinate situazioni,
non mere norme giuridiche, legislativamente costituite e garantite dal potere giudiziario, ma
norme sociali che vigilano e fungono da arbitri nell’agire quotidiano e che vengono rispettate
inconsapevolmente. I valori, invece, sono orientamenti più astratti da cui le norme sociali
discendono; riguardano i fini sociali dell’azione, orientano l’essere di ognuno di noi che viene
indirizzato verso il giusto comportamento volto ad un ordine ideale e desiderabile
15
. L’ambita
unione sociale, che mira a generare ordine, è tuttavia, costantemente posta in discussione, in
quanto gli interessi del singolo sono e possono essere diversificati e, se contrastanti, possono
degenerare in conflitto. Se al conflitto se ne dà una connotazione negativa, parrebbe, quindi, che
lo stesso possa essere deleterio per il vivere sociale, in quanto può incidere negativamente sul
senso sociale di coesione.
Vari studiosi, tra cui Parsons, attribuiscono al conflitto una connotazione prettamente
negativa. Il suo approccio viene chiamato “struttural-funzionalista”, nel senso che si propone di
13
Giner S., Perri A., Manuale di sociologia, Meltemi,1999, p. 68.
14
Bianco A., op. cit., p. 63.
15
Bagnasco A, Barbagli M., Cavalli A, op. cit., p. 64.
6
individuare la struttura di fondo della società e di comprenderla mostrandole funzioni che le sue
parti devono assolvere. L’autore, sapendo che non vi potrà mai essere perfetta integrazione e
armonia tra i diversi sottosistemi dell’azione (sociale, culturale e della personalità), non nega,
che dall’interazione degli stessi, possano scaturire delle tensioni
16
. Ritiene, però, che,
ogniqualvolta che nasce un contrasto di tale genere, le soluzioni debbano essere ricercate non
nella morale ma nel diritto, nella politica e nella funzionalità dello stesso sistema che deve,
quindi, saper fornire delle risposte immediate e appropriate alla risoluzione della controversia.
Questo fa sì che il conflitto sociale sia altamente istituzionalizzato
17
.
Parsons arriva a spiegare il conflitto passando indirettamente dall’ordine sociale e
mettendo in luce tutto ciò che è necessario per non far entrare in crisi tale ordine. Egli non dice
che il conflitto sia inesistente, ma che ogni ordine sociale può essere precario come è precaria la
salute di un organismo vivente. Il punto di vista per capire il funzionamento di quel determinato
sistema sociale è sempre la salute e mai la malattia e, quindi, è necessario aver ben chiari quali
siano i meccanismi di cui lo stesso è attrezzato, per far fronte a tensioni e conflitti, al fine che lo
stesso si possa conservare e rimanere integralmente armonioso
18
.
I critici delle teorie di Parsons ritengono che egli teorizzò la società come se fosse un
unico essere vivente, senza prendere in considerazione diverse variabili tra cui valori, interessi,
azioni e conflitti dei singoli individui, che vengono sostituiti da un sistema di natura
impersonale. Diversamente da Coser egli non ritiene che il conflitto possa essere fonte di
crescita o innovazione ma si preoccupa solo di come ci si possa difendere dallo stesso, senza
motivarne le cause e la sua insorgenza. Egli, infatti, concentrandosi su ciò che è funzionale al
sistema sociale, non considera la natura dei conflitti, visti solo come disfunzionali, e non riesce,
quindi, a dare una spiegazione chiara ai motivi del mutamento sociale.
I sociologi funzionalisti, considerando la società in stabile equilibrio omeostatico in cui
le singole parti concorrono al buon andamento del tutto, non riescono per questo motivo a
spiegare le rivoluzioni, i cambiamenti improvvisi che generano mutamento sociale.
16
Prandini R., Introduzione, in Sciortino G. (a cura di), Talcott Parsons: la cultura della società,
Mondadori, Torino, 1999, p. 45.
17
Parsons T., Prolegomeni a una teoria delle istituzioni sociali, Armando, Roma, 1995, p. 17. (Ed. or.
Parsons T., Prolegomena to a Theory of Social Institutions, in American Sociological Review, 1935)
18
Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano, 2008, pp. 338 e ss.
7
Sebbene Parsons ci proponga la sua teoria del conflitto attraverso la prevenzione
dell’ordine sociale, alla luce dei sociologi esaminati possiamo asserire che nella società non vi
può essere ordine senza mutamento che è costantemente generato dal conflitto .
Nello specifico, Durkheim ci spiega che la società si nutre di solidarietà ed ogni componente di
essa partecipa alla coesione sociale con proprio spirito di sacrificio per un interesse collettivo
sovraindividuale e non egoistico. Weber ritiene che nella risoluzione del conflitto, volta
all’ordine sociale, sia insito un substratto valoriale che animando il conflitto stesso gli permette
di evolversi. Marx, infine, sostiene che il conflitto si generi con la capacità di andare oltre
l’ordine prestabilito, in un’ottica di sovversione che sia capace di produrre mutamento e crescita
sociale.
In sostanza il conflitto è visto come una causa del mutamento sociale che permette alla
società di produrre un cambiamento ed evolvendosi, di progredire.
Nel proseguo della nostra analisi, spostandoci dagli ampi aggregati sociali alla sfera
intrapersonale e interpersonale vedremo come la gestione positiva del conflitto permetta ai
singoli di vivere tale esperienza come motivo di cambiamento e opportunità di crescita.
1.2 La gestione positiva del conflitto
Originariamente la parola conflitto aveva un significato che rimandava ad un incontro
acceso, tra due o più parti, con la possibilità di risolversi positivamente. Gli autori latini ne
davano una connotazione di “far incontrare, confrontare, riunire, avvicinare”, solo tardivamente
il termine acquista una valenza negativa di combattere, contendere ostilmente
19
. La logica
comune del conflitto vede soccombere o limitare un desiderio rispetto ad un altro, detenuto da
un soggetto più forte, che va a prevalere sull’altro. Ciò lede l’identità e le facoltà del primo
soggetto nei confronti del secondo, generando un profondo malessere personale, senso di
volubilità e incapacità
20
.
Il conflitto, porta con sé una sensazione di debolezza che modifica la percezione delle
proprie capacità, perdita del controllo della situazione vissuta, dubbi, confusione e incertezza.
19
Tiberio G., Cocco A., Lo sviluppo delle competenze relazionali in ambito sociosanitario.
Comunicazione, lavoro di gruppo e team building, Franco Angeli, Milano, 2005, p.174.
20
Morineau J., Lo spirito della mediazione, Franco Angeli, Milano, 2000, p. 29.
8
Goleman studiando l’intelligenza emozionale, illustra come nessuno sia immune da tali
sensazioni, anche la parte del conflitto che apparentemente ha la miglior posizione di potere
21
.
Per questo motivi, il conflitto nel mondo odierno trova un posto scomodo: nessuno lo vuole,
tutti cercano di eliminarlo e nessuno lo desidera. Il conflitto fa emergere emozioni quali rabbia,
odio, disperazione e solitudine ed è per questo che tutti ricerchiamo uno stato di armonia, basato
su amore, alleanza e condivisione
22
.
Negli ultimi anni, nel nostro paese, è sempre più acceso il dibattito intorno al
conflitto/rimedio e alla possibilità di prevedere de-giurisdizionalizzazione e aprire la strada verso
i metodi alternativi di risoluzione delle controversie. Sarebbe ipocrita però pensare che tale
apertura provenga, solo ed esclusivamente, dalle molteplici condanne che l’Italia ha avuto da
parte dell’Unione Europea per i ritardi nella conclusione dei processi giudiziari
23
. Sarebbe più
appropriato dire che la scelta della strada di risoluzione del conflitto dipende da che cosa ogni
soggetto ritiene importante nel momento in cui sta vivendo il conflitto stesso. Se la cosa
essenziale nell’esperienza del conflitto è il potere, si cercherà l’aiuto opportuno per rafforzarlo
(teoria del potere), se si considera che i propri diritti siano stati lesi, sì cercherà di rivendicarli
(teoria dei diritti) e, invece, se si ritiene che le proprie esigenze non vengano soddisfatte, sì
cercherà la strada per il loro appagamento (teoria dei bisogni). Nell’esperienza del conflitto si
esprimono tutte e tre le condizioni, la prevalenza di una sull’altra fa sì che il configgente chieda
aiuto al difensore dei diritti, all’avvocato piuttosto che ad un professionista terzo e imparziale
come il mediatore
24
. Il bisogno e il desiderio di ciascun essere umano si rapporta a quello di un
altro soggetto: se coincidono c’è armonia, se c’è opposizione, nasce il conflitto. La mediazione
entra in gioco quando vi è un conflitto attivo; caso in cui la soddisfazione di un bisogno o di un
desiderio di un soggetto non viene colmata dall’azione di un altro soggetto
25
.
Il conflitto è una dinamica di vita che accompagna ogni essere vivente durante la
propria esistenza. Nonostante ad esso venga spesso attribuita un’accezione negativa, può essere
considerato come una forza naturale sia positiva che negativa, che può portare talvolta al
21
Goleman Bennet T., Alchimia emotiva. Come la mente può curare il cuore, Rizzoli, Milano, 2013,
p. 254.
22
Anzivino M, Conflitto, questo sconosciuto, in Martello M. (a cura di), L’arte del mediatore dei
conflitti. Protocolli senza regole: una formazione possibile, Giuffrè, Milano, 2008, p. 22.
23
Resta E., Giudicare, conciliare e mediare, in Scaparro F. (a cura di), Il coraggio di mediare,
Guerini e Associati, Milano, 2001, p. 24.
24
Baruch Bush R. A., Folger J, La promessa della mediazione, Vallecchi, Firenze, 2009, p. 48.
25
Arielli E., Scotto G., op. cit., p. 18.