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INTRODUZIONE
Le tensioni tra il mondo occidentale e quello islamico hanno caratterizzato il
trascorrere dei secoli. Esse, spesso, sono giustificate da moventi di natura religiosa,
ma tendenzialmente causate da finalità economiche, geopolitiche o militari.
Al giorno d’oggi, nei paesi occidentali, il solo nominare la parola Islam viene
inesorabilmente associato ad un insieme di connotazioni negative; il credo coranico è
visto come una religione portatrice di sole costrizioni che inibiscono lo sviluppo
umano nelle sue interazioni economiche e sociali.
Al contrario, non va dimenticato come la millenaria cultura islamica sia stata un faro
per lo sviluppo intellettuale, per la medicina, la matematica e per la stessa economia.
L’abilità delle popolazioni arabe di sfruttare il commercio ha reso città come
Damasco, Il Cairo e Baghdad capitali mondiali per ricchezza, sfarzo e potere come
possono essere oggi Londra, New York o Parigi.
A seguito della grave crisi del 2007 che ha colpito e messo in ginocchio l’intero mondo
finanziario tradizionale, si è assistito ad un comune sentimento di scetticismo e
sospetto verso il mondo bancario e della finanza. Questa diffidenza si è tradotta in
una crescente ricerca e richiesta di strumenti differenti che possano costituire una
valida alternativa alla finanza classica.
Il comune agire di questi fattori ha portato la Finanza Islamica da essere fenomeno di
nicchia, destinato a pochi mercati domestici, a vera innovazione finanziaria globale
suscettibile di stimolanti applicazioni e sviluppi.
Questo elaborato vede la luce proprio con l’intento di portare un minimo di chiarezza
su un tema che, purtroppo, troppo spesso viene letto con lenti offuscate da pregiudizi
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che non permettono di cogliere la semplicità, l’eticità e il potenziale del fenomeno
finanziario islamico. Le opportunità sono davvero interessanti, i numeri sono chiari:
l’industria finanziaria islamica registra tassi annui di crescita composti del 6%, dal 2012
ad oggi, e le previsioni indicano che nel 2023 si raggiungeranno i 3,8 trilioni USD in
assets con un tasso di crescita annuo previsto del 10%.
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Parlare di economia e finanza islamica non può prescindere dallo studio e dalla
conoscenza dei principi alla base della stessa religione: l’Islam è la legge della vita
medesima, una forza che si rivela in ogni sfumatura dell’esistenza umana. Il più
conosciuto divieto è relativo alla corresponsione di interessi, riba. Tuttavia, è una
definizione alquanto limitata che non abbraccia la complessità e la portata di questa
imposizione. Subito sorge spontanea la domanda: come si riesce a svolgere l’attività
bancaria in maniera redditizia? La risposta ruota attorno al concetto di profit and loss
sharing, definibile come il più rilevante precetto economico contenuto nei testi religiosi
e che caratterizza l’intero impianto contrattuale islamico.
Se il principio di condivisione allontana il rischio speculativo, contestualmente
comporta altre tipologie come il rischio d’impresa o, indirettamente, quello di prezzo.
Alla luce di un ampio e stringente set normativo di natura religiosa è lecito domandarsi
come tutto questo possa convivere in una società “occidentale” e, soprattutto, quali
sono le concrete opportunità per le economie di questi paesi legati ad una concezione
classica della finanza.
Il primo capitalo ha lo scopo di approfondire lo stretto ed indissolubile legame che la
religione ha nei confronti dell’uomo, della società e dell’economia. Quindi si
analizzano le varie fonti del diritto e i testi sacri dell’Islam che regolano ed influenzano
l’intero agire economico e sociale del credente musulmano. La trattazione segue un
ordine per importanza decrescente nella esposizione delle fonti religiose per
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Dati tratti da “Islamic Finance Development Report 2018” prodotto dalla società Thomson
Reuters.
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facilitarne la esposizione; tuttavia esse sono interconnesse e influiscono ugualmente
nella condotta del credente.
Il secondo capitolo ruota attorno al tema economico e si articola nella spiegazione dei
numerosi precetti, imposti dalle fonti religiose, che invidiano e identificano il sistema
economico-finanziario islamico. Dopo l’esposizione dei concetti di proprietà, lavoro
e contratti si prosegue con i veri pilastri della finanza islamica: il divieto di riba, e la
complementare condivisione di guadagni e perdite, il divieto di gharar e maysir, la zakat
e il divieto di operare in attività haram.
Nel terzo capitolo ci si addentra concretamente tra le pieghe del mondo finanziario
islamico occupandoci del sistema bancario. L’esposizione ha approfondito
l’evoluzione storica con un focus sulle peculiarità che contraddistinguono la banca
islamica da quella tradizionale occidentale e sul determinante ruolo ricoperto dallo
Shari’ah Board.
Un’attenzione particolare è stata dedicata alla trattazione del set di contratti
tipicamente implementati dalla banca islamica nella sua operatività.
Il quarto capitolo presenta i tre maggiori segmenti in cui si suddivide la finanza
islamica: sukuk, takaful e fondi comuni d’investimento. Tutti e tre gli argomenti sono
trattati dettagliatamente nei vari sottotipi in cui si articolano, inoltre è stato dedicato
ampio spazio all’analisi del mercato di ognuno di questi tre strumenti finanziari
islamici maggiormente impiegati dagli investitori.
Infine, il quinto ed ultimo capitolo presenta il caso Italia con l’approfondimento dei
due principali limiti, legislativo e fiscale, che ostacolano lo sviluppo di un mercato
Shari’ah compliant. Uno dei pochi paesi europei che non ha ancora colto la duplice
opportunità: da un lato abbracciare lo sviluppo demografico dei fedeli musulmani in
termini di raccolta e dall’altro diventare oggetto d’investimenti da parte dei ricchi paesi
medio-orientali.
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FONTI GIURIDICHE E RELIGIOSE
Capitolo I - 1 La Shari’ah
Lo studio della Finanza Islamica è indissolubilmente associato alla religione coranica.
Per poterla comprendere occorre, preventivamente, indagare su cosa sia l’Islam, come
esso influisca sui rapporti personali, sui rapporti economici e sulla società nel suo
insieme.
Il termine musulmano deriva dall’arabo “muslim”, participio passato del verbo
“asalama”, mentre l’infinito sostantivato è Islam. Il verbo “asalama”, in italiano, è
riconducibile al concetto di “sottomissione” ed il credente musulmano è colui che si
sottomette ad Allah. Questo elemento rappresenta la chiave di volta per interpretare
ed addentrarsi tra i precetti dell’ultima tra le religioni abramitiche e per meglio
coglierne le sfumature economiche.
Differentemente dalle altre religioni monoteistiche, l’Islam influenza direttamente
ogni singolo aspetto e momento della vita del credente nella comunità di fedeli, la
Ummah.
Non può essere semplicemente considerata come una religione, perché tutto ruota
attorno al concetto di comando divino espresso tramite il Profeta Maometto. Questi
dettami, derivanti da Dio, individuano un vero e proprio stile di vita che abbraccia
ogni sfaccettatura della vita terrena: dai legami personali, al culto, all’economia sino
all’alimentazione e all’abbigliamento. (Russo, 2014) Per un musulmano, l’intera vita è
caratterizzata dalla spiritualità e nessun aspetto dell’esistenza stessa si può laicizzare.
L’Islam si fonda sul principio che tutto ciò che riguardi la morale, l’etica e la religione
La Finanza del Profeta
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abbia la precedenza rispetto alla volontà umana e al pragmatismo. (Porzio, 2009) In
virtù di ciò, il pensiero islamico è distinguibile da quello ebraico o cristiano poiché
presenta un automatismo nel passaggio dall’obbedienza individuale ai dettami
religiosi, ad una società organizzata. La coincidenza tra la concezione di Stato e di
Chiesa è totale, l’una è l’essenza dell’altra.
Secondo la tradizione islamica la vita deve seguire i dettami della Shari’ah.
Non esiste una chiara e precisa definizione, può essere intesa come l’insieme delle
regole e dei comportamenti che determina il come essere musulmano. In lingua
italiana può essere tradotta in più modi: “la grande Via”, “la Via dell’Ordine”
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, “il
Sentiero Esteriore”. A prescindere dalla traduzione attribuita, come scritto nel Corano
la Shari’ah delinea il percorso di norme affidate a Noè, ad Abramo, a Gesù fino
Maometto per giungere a Dio: “Vi ha prescritto la religione che già raccomandò a Noè e che
noi ti abbiamo ispirato e che abbiamo raccomandato ad Abramo, a Mosè e a Gesù̀: «osservate
la religione, e non dividetevi»”. Corano [42,13]
Come osserva Alessandro Bausani
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spesso è presente un’incomprensione nell’utilizzo
corretto della terminologia: “È stata spesso notata come caratteristica dell’Islam quella di un
«assorbimento della teologia nella legge». Infatti, chiamare la legge religiosa dell’Islam, la Shari’ah,
«diritto musulmano» o «diritto canonico» è piuttosto equivoco.” (Bausani, 1999)
Infatti, sull’argomento è piuttosto chiaro anche Joseph Schacht
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: “Islamic Law is the
epitome of Islamic thought […] Islam regarded knowledge of the sacred Law as the knowledge par
excellence. Theology has never been able to achieve a comparable importance in Islam”. (Schacht,
1991, p. 1)
Un fattore rilevante da evidenziare è come il termine diritto usualmente venga
associato alla struttura giuridica specifica di ogni Stato specifico che lo ha prodotto,
mentre il cosiddetto diritto islamico riguarda ogni credente musulmano, a prescindere
dalla nazione o dall’etnia.
2
“In seguito ti abbiamo posto sulla via dell'Ordine”. Corano [45,18]. Traduzione Hamza
Piccardo.
3
Alessandro Bausani (1921-1988) è stato un islamista, arabista, iranista, storico delle religioni e
traduttore, uno dei massimi studiosi italiani dell'Islam, nonché traduttore e commentatore di una
delle più importanti versioni in lingua italiana del Corano.
4
Joseph Schacht (1902-1969) è stato un orientalista tedesco naturalizzato britannico e uno dei
più autorevoli esperti di diritto islamico in Occidente.