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INTRODUZIONE
Uno dei temi più dibattuti ed analizzati in questo periodo è l’introduzione di una quota minima di
presenza femminile nei consigli di amministrazione delle imprese, e l’impatto che l’inserimento di un
numero maggiore di amministratrici può avere sull’attività del board e sulle performance delle imprese.
Infatti negli ultimi quindici anni una delle questioni politiche e sociali più centrali per molti Paesi
dell’Unione Europea è stata la disparità di uguaglianza tra uomo e donna sul lavoro, a cui si è cercato
di porre rimedio tramite l’attuazione di numerose misure legislative finalizzate ad incrementare la
presenza del genere femminile nei consigli di amministrazione delle imprese.
Più specificatamente a partire dalla normativa della Norvegia del 2003 che imponeva l’introduzione di
una quota minima di amministratrici entro tre anni, in Europa molti Stati hanno sviluppato iniziative
legislative vincolanti (Italia, Germania, Francia) o volontarie (Regno Unito, Spagna) per aumentare la
percentuale di donne nei CDA delle imprese.
A distanza di pochi anni si può affermare che le normative hanno raggiunto il loro scopo, visto il
notevole incremento della presenza femminile nei board delle imprese quotate Europee (come
riportano i dati della Consob e dell’European Institute for Gender Equality
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).
Se da un lato però una quota minima di presenza sembra essere stata raggiunta, dall’altro una
conclusione univoca sull’influenza e sull’impatto che tutto ciò ha avuto sull’attività dei consigli di
amministrazione e sui risultati delle imprese ancora non è stata trovata.
L’improvviso e repentino sviluppo di misure legislative ha generato di pari passo un rapido incremento
di contributi teorici e analisi empiriche, finalizzate allo studio degli effetti di ciò che viene definito
“Gender diversity”, sullo svolgimento dei ruoli dei consigli di amministrazione e sulle performance
delle società.
Da una revisione della letteratura è facilmente constatabile che le evidenze ottenute sono molto varie e
spesso contrastanti, ai lavori che riscontrano degli effetti positivi si contrappongono altrettante analisi
che dimostrano un impatto negativo o non significativo.
Questa tesi prende parte al dibattito appena descritto, tramite un’analisi che vuole approfondire
l’impatto della diversità di genere nei consigli di amministrazione sui risultati dell’impresa.
Per farlo sono stati raccolti dati quantitativi su 212 società quotate dell’EU-28, e qualitativi sui relativi
consigli di amministrazione e sui rispettivi membri.
In particolare si sono raccolti dati finanziari (Tobin’s q, Roa, Roe, Totale attività, ecc.), e dati
individuali sugli amministratori (sesso, nazionalità, età, livello di formazione e di istruzione, ecc.) per
l’anno 2018.
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Vedi le successive figure 11 e 12.
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Questi dati “Cross-sectional” sono stati poi analizzati tramite una regressione lineare multipla, testando
nello specifico tre ipotesi.
In primo luogo si è testato l’effetto positivo dell’aumento del livello di istruzione dei membri del board
sulla performance
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delle imprese del campione.
In secondo luogo si è riscontrata una relazione negativa tra la presenza femminile nei consigli di
amministrazione ed i risultati dell’impresa.
Sebbene ambedue i risultati ottenuti fossero in linea con numerose evidenze empiriche di altri contributi
in letteratura, e con numerosi fondamenti teorici, si è voluto approfondire ulteriormente l’effetto della
gender diversity, tramite una terza ipotesi.
Infatti tramite un ulteriore regressione si è testato l’effetto congiunto delle prime due variabili
esplicative (livello di istruzione e presenza di donne nel board), riscontrando un effetto positivo sulla
performance della presenza di donne con un livello di istruzione elevato nei consigli di amministrazione
dell’impresa.
Quest’ultimo risultato non solo sembra essere in linea con le conclusioni di altre analisi, ma supporta
anche empiricamente le raccomandazioni dei recenti aggiornamenti dei Codici di Autodisciplina, che
evidenziano come nel mantenere una quota di presenza femminile, i criteri prioritari di cui devono tener
conto le organizzazioni ed i comitati per le nomine, sono quelli della competenza e della professionalità,
assicurati da un livello di istruzione elevato.
La spiegazione dettagliata dei metodi utilizzati, delle variabili considerate, dell’analisi svolta e dei
risultati ottenuti è presentata nel quarto capitolo. Per arrivare a svolgere questo studio sono stati raccolti
ed esaminati diversi argomenti e contributi teorici funzionali per condurre l’analisi, descritti
nell’elaborato nel seguente modo.
Nel primo capitolo si è svolta una panoramica sulla corporate governance, facendo un approfondimento
sia sui differenti sistemi di governo delle imprese, sia sugli scandali societari dei primi anni del duemila
e le relative cause, analizzando due teorie: la “Agency Theory” e la “Stewardship Theory”, spiegandone
le principali differenze.
L’obiettivo del capitolo, che si evince dall’ultimo paragrafo, è quello di evidenziare il ruolo
fondamentale dell’attività del consiglio di amministrazione rispetto ai risultati dell’impresa.
Nel corso degli anni il CDA ha acquisito all’interno della gestione societaria sempre di più
un’importanza chiave, la spiegazione e l’analisi dei suoi ruoli è sempre stato un tema centrale in
letteratura, e numerosi sono i contributi che studiano la relazione tra le modalità di svolgimento
dell’attività di monitoraggio, di decision-making e di networking, con i risultati delle imprese.
Negli ultimi anni l’attenzione si sta spostando sulle variabili che influiscono su una corretta
composizione del consiglio di amministrazione, e che possono generare un’influenza positiva sulla sua
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Come proxy è stato usato il Tobin’s q.
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attività e di conseguenza sui risultati dell’impresa. In particolare si sta affermando sempre di più la
convinzione che la “board quality” è essenziale per una sana gestione della società, e che per assicurare
tale qualità bisogna tener conto di criteri di diversità nella sua composizione.
Per questo nel secondo capitolo viene ampiamente trattata la diversity, evidenziando come il consiglio
di amministrazione negli ultimi anni non è più visto come un’entità omogenea in termini di background,
istruzione, nazionalità e genere; ma in un contesto sociale ed economico sempre più multiculturale,
aperto e dinamico, la sfida delle organizzazioni per sopravvivere è comporre un CDA i cui membri
siano eterogenei, in termini di caratteristiche demografiche e cognitive.
Tramite un’analisi della letteratura vengono spiegati i vantaggi che la diversità può dare all’impresa e
le teorie alla base di tali vantaggi (RBV, Dependence Resources, Intrinsic Motivation Theory), ma allo
stesso tempo anche l’impatto negativo che la diversity può avere sull’attività del board e
sull’organizzazione.
Per spiegare meglio questa doppia influenza che può avere l’inserimento di elementi di diversità
nell’impresa, si è analizzato il concetto di “double-edge sword”, termine coniato dalla letteratura per
evidenziare questo doppio risvolto.
I benefici derivanti dalla maggiore diversità di prospettive e di idee, la migliore capacità di
comprensione delle dinamiche dei mercati, la più intensa propensione all’innovazione, possono essere
limitati dalla difficoltà di comunicazione e dalla maggiore possibilità che si formino sottogruppi che
generano contrasti interni, causati dall’eterogeneità demografica e cognitiva dei membri del gruppo di
lavoro.
Per questo diventa essenziale per l’organizzazione sviluppare un processo di diversity management,
funzionale alla creazione di un ambiente lavorativo che supporti la diversità, con lo scopo di trarne i
benefici limitando gli svantaggi.
Infine nell’ultimo paragrafo si è svolto un approfondimento delle variabili demografiche e cognitive
della diversità, esaminandone nello specifico i pro ed i contro. In particolar modo si è analizzato
l’impatto che il diverso background ed il livello di istruzione degli amministratori può avere sull’attività
del CDA e sui risultati delle imprese, disamina funzionale all’analisi empirica dell’ultimo capitolo.
Il terzo capitolo si è focalizzato sull’aspetto della diversity attualmente più centrale, sia a livello
normativo che tra gli studiosi, cioè la diversità di genere.
In primo luogo si è voluto analizzare nello specifico gli interventi legislativi Europei degli ultimi anni,
spiegando come quello Norvegese del 2003 è stato un input per molti altri Paesi nell’introdurre misure
vincolanti o volontarie, che prevedessero una quota minima di percentuale femminile nei CDA.
Nello specifico si sono esaminati gli interventi della Spagna, della Francia, del Regno Unito e
dell’Italia, evidenziando come lo scopo delle misure sembra essere stato raggiunto, viso che i dati
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dimostrano che negli ultimi anni c’è stato un notevole incremento di amministratrici nelle imprese
quotate della maggior parte dei Paesi dell’EU-28.
Come già detto questo sviluppo normativo ha generato un gran numero di analisi empiriche svolte per
capirne l’effettivo impatto sulle imprese, ed una revisione dei principali contributi teorici viene fatta
nel quarto paragrafo di questo capitolo, con lo scopo di mettere in luce come nonostante gli studi siano
numerosi, non vi sia assolutamente univocità di risultati.
In particolare spiegando il campione, la modalità e le variabili utilizzate dai principali studi empirici,
si evince come ai lavori che riscontrano effetti positivi sull’attività del consiglio di amministrazione ed
in generale sulla performance, sono contrapposti altrettanti studi che dimostrano effetti negativi
prendendo in considerazione le stesse variabili, o non trovano affatto risultati significativi.
Nell’ultimo paragrafo del capitolo si cerca di dare una spiegazione a tale discordanza di evidenze,
tramite due teorie collegabili tra loro: il “Tokenismo” e la “Critical Mass”.
Kanter (1977) spiega come l’introduzione del genere femminile in un gruppo di lavoro (CDA)
composto prevalentemente da uomini, generi da parte di quest’ultimi un’attitudine ad identificare le
donne come un sottogruppo, piuttosto che identificarle come membri effettivi del gruppo e dell’impresa
(vengono viste come semplici “token”). Ciò ovviamente influisce negativamente sul lavoro del
consiglio di amministrazione, quindi di conseguenza tende ad avere un impatto negativo sui risultati
dell’impresa.
Kramer et al. (2006) approfondiscono il fenomeno, riscontrando come ciò può non avvenire nel
momento in cui nel consiglio di amministrazione sia assicurata una certa quota minima di donne (che
sembra essere uguale a 3), che “normalizza” l’introduzione di amministratrici agli occhi degli altri
membri del gruppo, rendendo le donne non più discriminate e non prese in considerazione, bensì
riconosciute come parte integrante del consiglio di amministrazione e dell’impresa.
Alla fine del capitolo vengono menzionati i contributi teorici che hanno dato l’input all’analisi
personale sviluppata nell’ultimo capitolo. Infatti oltre all’attuale tendenza delle raccomandazioni dei
Codici di Autodisciplina, di seguire nella composizione del CDA criteri di diversità di genere tenendo
conto in primo luogo dei requisiti di competenze e conoscenze adeguate all’impresa, ci sono anche
diverse analisi che testimoniano come l’elemento importante per far sì che la gender diversity abbia
un’influenza positiva, è che le donne assunte siano qualificate (Kramer et al. 2006, Smith et al. 2006,
Bianco et al. 2015).
Infine il quarto capitolo descrive come tale elaborato vuole dare un contributo al dibattito appena
introdotto, spiegando le ipotesi di ricerca, la procedura seguita nel creare il campione, la metodologia
di analisi e discutendo i risultati ottenuti.
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CAPITOLO I: Corporate Governace
1.1 Panoramica introduttiva sul concetto di Corporate Governance
L’attenzione verso le tematiche relative alla corporate governance è indubbiamente cresciuta
nell’ultimo ventennio, quando ai dibattiti degli analisti e dei policy maker del campo economico e
giuridico incentrati sui benefici dei sistemi di governo delle imprese, si è aggiunto il forte interesse
degli imprenditori e degli stakeholder in generale, nel verificare il rispetto delle regole delle struttura
dell’impresa, delle best practices e delle normative.
In realtà, seppur con diversa enfasi ed importanza, la corporate governance è una questione che ha
sempre accompagnato la storia economica e d’impresa, e che continuerà inevitabilmente ad evolversi
proponendo nuove sfaccettature.
Già nel 1776 Adam Smith, nel libro “An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations”,
affermava: “The directors of such companies, however, being the managers rather of other people's
money than of their their own, it cannot well be expected that they should watch over it with the same
anxious vigilance with which the partners in a private copartnery frequently watch over their own”.
Anticipando di più di un secolo quello che sarà il dibattito centrale della gestione d’impresa: la
separazione dei poteri fra i direttori ed i proprietari.
In realtà si hanno testimonianze di fondamenti di governo societario già nel periodo del colonialismo,
tant’è che alcuni studiosi identificano la nascita del diritto societario con la costituzione delle
Compagnie delle Indiee
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, ad inizio del 1600.
Un valido esempio è la Compagnia olandese delle Indie orientali (Vereenigde Geoctroyeerde
Oostindische Compagnie), fondata nel 1602 e costituita dalle sei camere
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olandesi (Amsterdam,
Middelburg, Enkhuizen, Delft, Hoorn e Rotterdam), quando il governo le garantì il monopolio delle
attività commerciali nelle colonie in Asia per ventuno anni.
La V.O.C. risultava estremamente oligarchica, poiché il capitale iniziale di 6.459.840 fiorini, fu diviso
in azioni, rapidamente sottoscritte dai 17 direttori dell’organo esecutivo, che venivano scelti da
un’assemblea di 60 rappresentanti degli azionisti.
Una forma che ricorda l’organizzazione delle Società per azioni di oggi, caratterizzata da personalità
giuridica e responsabilità limitata, con le azioni quotate in quella che era la Borsa di Amsterdam.
I primi argomenti di corporate governance di quel periodo riguardarono l’istituzione nella Compagnia
di un organo di controllo: il c.d. “Collegio dei Nove”, avente la funzione di controllare l’operato dei
direttori, che si rese necessario a seguito delle prime problematiche di conflitto d’interesse, cioè quando
i governatori grazie al legame instaurato con le Compagnie locali, riuscirono ad acquisire le merci in
anticipo e non a condizioni di mercato.
L’esigenza di un rinnovamento e di nuove sperimentazioni dell’attività economica non si è avvertita
fino alla metà del XIX secolo, quando prima la spinta della Rivoluzione industriale, poi la forte crescita
del commercio internazionale grazie allo sviluppo dei trasporti e della navigazione, e la conseguente
affermazione di politiche libero-scambiste con la stipulazione di trattati commerciali, favorirono un
aumento della concorrenza, quindi un aumento dell’efficienza tecnica e della produttività, causando
una maggiore dimensione e complessità aziendale.
L’unica forma giuridica per fare impresa del periodo non fu più sufficiente, l’organizzazione aziendale
priva di responsabilità limitata - la cd. Società di persone - in cui il gestore dell’impresa coincide con
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Insieme di società nazionali di mercanti, fondate tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, per propria iniziativa o per
concessione del monopolio commerciale nelle colonie Asiatiche del governo nazionale.
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Venivano chiamate camere le sedi della V.O.C.