Infatti, l'istituto della programmazione negoziata riconosce le
potenzialità e le specificità dei diversi ambiti territoriali e, di conseguenza,
individua la possibilità di progettare e attuare programmi di intervento su
base locale (sussidiarietà). Tale logica comporta l'assunzione di un ruolo
attivo da parte dei soggetti locali (pubblici e privati), chiamati ad essere i
promotori e i principali protagonisti dei progetti di sviluppo del proprio
territorio (partenariato). La strategia è quella di fondare lo sviluppo sulle
reali esigenze delle forze sociali, nella convinzione che i progetti promossi
in sede locale, da coloro che meglio conoscono il territorio, possano
rappresentare il modo migliore per allocare le disponibilità e attivare le
risorse autoctone (programmazione).
Uno degli strumenti operativi della programmazione negoziata è il
Patto territoriale: accordo, promosso da enti locali, parti sociali, o altri
soggetti pubblici o privati, relativo all'attuazione di un programma di
interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo
locale (Legge 662/96 Art. 2 Comma 203, Lettera d). I Patti territoriali si
propongono, quindi, di sostenere lo sviluppo locale e l'occupazione
attraverso la definizione di una strategia comune tra i diversi attori che
operano sullo stesso territorio (rappresentanti degli industriali e dei
lavoratori, enti locali, imprese, banche, fondazioni, università, ecc.).
Il ruolo dello Stato, in tale contesto, risiede nel mettere a disposizione
degli attori locali le risorse e gli strumenti per raggiungere gli obiettivi
proposti e nell'attività di controllo e di valutazione dei risultati ottenuti.
Nel 1998 gli strumenti della programmazione negoziata sono stati
estesi al settore agricolo suscitando grande attenzione da parte degli
amministratori locali e dei rappresentanti della cosiddetta "società di
mezzo", certi di entrare in possesso di uno strumento di grande impatto
sulla promozione e lo sviluppo rurale del Mezzogiorno (De Meo e
Nardone, 2000).
Questo modello di programmazione ha avuto un notevole riscontro nel
settore primario; infatti, in fase di istruttoria bancaria è emerso un alto
grado di vitalità progettuale del sistema agricolo che nel giugno del 2000
ha portato all'approvazione da parte del Ministero del Bilancio di 91 Patti
specializzati nei settori dell'agricoltura e della pesca, 67 localizzati nel
Mezzogiorno e 24 nel Centro - Nord.
Le peculiarità e le novità di questo strumento di intervento, insieme
all’attenzione che esso ha suscitato stimolano, inevitabilmente, una
maggiore riflessione sulle sue caratteristiche e, soprattutto, sulla sua
implementazione. Tale riflessione si rende ancora più necessaria se si
considera che più d’un autore ha espresso una posizione decisamente
critica rispetto all'efficienza e all’efficacia dei Patti Territoriali (Fadda,
1999; De Muro, 1999; De Rita, 2001; Corsera, 2001), considerando che,
pur essendo stati progettati per favorire lo sviluppo locale, nella loro
traduzione operativa essi si tramutano semplicemente in ulteriori strumenti
assistenzialisti.
II. OGGETTO E METODOLOGIA
L’inquadramento del fenomeno studiato appena esposto aiuta a
chiarire la natura e la rilevanza dell’oggetto del presente lavoro.
In particolare, gli obiettivi che si intende perseguire sono di duplice
natura, teorica ed empirica:
� da un punto di vista teorico, si intende presentare un modello
adatto per valutare la coerenza dei Patti Territoriali rispetto agli
obiettivi di sviluppo locale;
� da un punto di vista empirico, l’intento è quello di testare il
modello teorico ad un caso specifico.
Per quanto concerne la costruzione del modello, è ovvio che esso
debba avere come presupposto un’analisi dei fattori, materiali ed
immateriali, unici e distintivi, indispensabili per lo sviluppo locale. A
questo proposito, si può trovare un sensibile ausilio nelle numerose analisi
che hanno contribuito a spiegare la natura dello specifico vantaggio
competitivo di particolari reti di imprese localizzate all’interno di uno
specifico territorio (Beccattini, 1987; Beccattini e Rullani, 1993; Bonomi,
1998; Brunori, 1999; Porter, 1990). Concetti quali l’apprendimento locale,
la conoscenza contestuale, le risorse relazionali, l’atmosfera industriale, il
mercato comunitario sono perciò implicitamente recuperati nel modello
proposto in quanto elementi indispensabili per lo sviluppo locale.
Ovviamente il modello proposto deve rispondere nel modo migliore
possibile al criterio della completezza, nel senso di prendere in
considerazione l’insieme degli elementi che possono condizionare la
riuscita dell’intervento pubblico nel senso voluto dalla normativa.
Un’ulteriore caratteristica del modello è quella dell’applicabilità a casi
concreti. Per dimostrare, la bontà dello schema concettuale proposto si è
scelto un case-study cui applicarlo. In particolare, si è scelto di applicare il
modello al Patto territoriale agricolo dell’area Nord Barese – Ofantina.
La metodologia per la raccolta dei dati necessari a questo scopo ha
richiesto di assumere tutti i documenti ufficiali del Patto, da sostanziare con
i dati statistici ufficiali e le analisi territoriali, da una parte, e con le
interviste a testimoni privilegiati, dall’altra.
Nella sua complessità, il lavoro è organizzato in quattro capitoli oltre
alla premessa e alle conclusioni.
Il primo capitolo intende inquadrare le motivazioni che hanno spinto
per l’affermazione dell'istituto della programmazione negoziata e dei suoi
strumenti. Per tale motivo, si prende in considerazione l’evoluzione del
contesto politico, socioeconomico e scientifico-culturale che ha
caratterizzato la recente storia del nostro Paese. In questa parte del lavoro,
vengono anche chiariti gli aspetti normativi della programmazione
negoziata.
Oggetto del secondo capitolo è, invece, lo strumento di intervento
“Patto territoriale”. In questa sezione del lavoro sono descritte le modalità e
le procedure per l'attivazione di un Patto territoriale e si discute
dell'estensione dell'approccio negoziale al settore dell'agricoltura e della
pesca.
Nel terzo capitolo si presenta il modello teorico per valutare la
rispondenza dei Patti Territoriali ai modelli di sviluppo locale. In via
preliminare, si presentano i principali contributi presenti nella letteratura
economica sul tema dei modelli locali di sviluppo in modo da essere
agevolati al momento dell’individuazione delle condizioni di successo del
Patto territoriale.
Nell'ultimo capitolo si applica il modello al Patto territoriale agricolo
Nord Barese - Ofantino. Il capitolo è diviso in due parti. Nella prima si
presenta in maniera sintetica il territorio ed il Patto. Nella seconda, si
analizza l’intervento proposto alla luce dei parametri del modello.
Capitolo 1
DALL'INTERVENTO STRAORDINARIO ALLA
PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA
1.1 L'intervento straordinario nel Mezzogiorno
Il problema dello sviluppo inadeguato del Mezzogiorno rispetto alle
altre regioni del Paese è stato riconosciuto da sempre come il più serio e
persistente che il Paese abbia dovuto affrontare. La storia degli interventi
effettuati nel Mezzogiorno è stata letta di volta in volta in chiavi diverse, a
seconda del punto di vista dell'osservatore. Da un lato c'è stato chi ha
sottolineato i grandi progressi compiuti dall'economia del Mezzogiorno in
senso assoluto. Di contro si è fatto notare che, sin dalle origini, la politica
di sviluppo nel Mezzogiorno è stata gravemente condizionata dalle
esigenze delle regioni più avanzate del Paese.
Su un piano tecnico, altri hanno fatto notare che è possibile muovere
considerevoli critiche alla logica interna degli interventi. Infatti, per molti
anni gli interventi furono costituiti soltanto da una politica di opere
pubbliche, senza che si possa parlare di una completa politica di sviluppo,
circostanza questa che pose seri limiti di efficacia alle misure adottate.
Inoltre si fa notare che per le regioni meridionali, eminentemente agricole,
oppresse dal peso di un secolare immobilismo, sarebbe stata necessaria una
politica molto più capillare e legata alla partecipazione diretta delle
popolazioni, perché si potessero ottenere risultati più soddisfacenti.
"…. buona parte dell'intervento straordinario nel Sud considera inutile lo
sforzo di ricerca volto alla sua articolazione territoriale (meglio la logica
delle opere decise al centro, magari su suggestione dei politici locali più
potenti;…" (De Rita e Bonomi, 1998, pp.8-9).
Già a partire dal 1861, subito dopo la proclamazione del nuovo
Regno, il rilevante divario economico esistente tra Nord e Sud apparve
subito come uno dei più gravi problemi del nuovo Stato unitario. In questa
prima fase (fase che si prolungherà per un quarantennio), obiettivo
principale della politica d'intervento fu quello di unificare il contesto
economico e sociale nel quale l'imprenditore italiano, a qualsiasi regione
appartenesse, avrebbe operato; ossia di unificare le pubbliche istituzioni
operanti nel campo economico, i modi e le condizioni del loro agire, le
strutture fondamentali della proprietà terriera.
Verso la fine del secolo ci si rese conto che l'azione di unificazione
normativa non valeva ad avvicinare l'obiettivo generale dell'unificazione e
che il divario economico esistente tra Nord e Sud non era fenomeno
superabile solo mediante provvedimenti unificatori di istituzioni, di
politiche e di strutture proprietarie. Partendo da questa constatazione si aprì
una nuova fase della nostra politica economica, caratterizzata da misure che
non avevano solo lo scopo di livellare situazioni di partenza, ma anche
quello di creare situazioni di favore nel Mezzogiorno nei confronti delle
altre regioni d'Italia.
Si ebbero così le "leggi speciali" per determinate regioni1,che
disponevano in primo luogo l'esecuzione di opere pubbliche giudicate
necessarie per lo sviluppo economico e civile, e di cui la legislazione
generale non era sufficiente a determinarne l'esecuzione. Nel settore
agricolo venivano disposte misure di alleggerimento degli oneri fiscali
gravanti sulla piccola proprietà, venivano istituite forme speciali di credito
agrario, si promuovevano riforme in materia di contratti agrari; furono
adottati nuovi provvedimenti tendenti a trasformare la proprietà terriera. In
questa fase si ebbero anche i primi interventi nel settore industriale, in
materia di agevolazioni fiscali e doganali.
1
Si ricordano la Legge speciale per la Sardegna del 1987, la Legge per Napoli (1904), la legge per la
Basilicata (1904), e la Legge per le province meridionali, la Sicilia e la Sardegna (1906), nonché una serie
di provvedimenti tendenti ed ovviare le deficienze che l'applicazione delle predette leggi aveva
manifestato.
Il vasto complesso di provvedimenti presi a partire dall'inizio del
secolo non valsero però ad impedire che, al termine della prima grande
guerra, il problema del divario Nord-Sud si presentasse ancora in tutta la
sua gravità; nuove misure quindi dovevano essere prese nel quarto di
secolo compreso tra le due guerre.
Nel settore delle opere pubbliche, trovò più larga ed ormai normale
applicazione, il principio secondo il quale lo Stato doveva sollevare gli enti
locali da obblighi finanziari loro derivanti dall'ordinamento vigente per
l'esecuzione delle opere pubbliche e per lo svolgimento di servizi collettivi.
Sono inoltre da ricordare, nel settore agrario, le leggi del 1924, del
1928 e del 1933 attraverso le quali si affermò il concetto di bonifica
integrale che era suscettibile di ricevere nel Mezzogiorno le applicazioni
più feconde. L'intervento nel settore industriale non presentava innovazioni
di rilievo; è solo da ricordare la localizzazione attuata dall'IRI (Istituto per
la ricostruzione industriale, sorto nel 1933) nella regione napoletana di
importanti produzioni meccaniche e siderurgiche.
Quest'ultima azione, sebbene di portata limitata, è importante perché
contiene due elementi tipici della teoria dello sviluppo economico che in
quegli anni andava affermandosi: a) l'esercizio diretto di industrie da parte
dello Stato in funzione espansiva e non soltanto di risanamento, o di mera
razionalizzazione di attività già esistenti; b) il riconoscimento che il
processo di sviluppo di un'area arretrata deve puntare anche e soprattutto
sull'impianto di industrie di beni strumentali e non soltanto sulle semplici
industrie di beni di consumo a mercato locale.
Alla fine del secondo conflitto mondiale il problema del divario
Nord-Sud si presentava praticamente irrisolto e anzi è reso più avvertito
dalle esigenze di giustizia che potevano meglio esprimersi nel nuovo
quadro politico e sociale. Nel 1947 vennnero prese le prime misure dirette a
facilitare lo sviluppo industriale; ma è nel 1950 che, con l'istituzione della
Cassa per il Mezzogiorno2, l'azione di intervento assunse caratteri nuovi (P.
Saraceno, 1961).
La Cassa per il Mezzogiorno era un organismo dotato di specifiche
risorse finanziarie destinate ad intervenire, in aggiunta all'intervento
ordinario dello Stato, con politiche mirate sui diversi aspetti delle economie
e delle strutture sociali dell'Italia meridionale.
L'intervento avviato pose le basi per un rapido apprestamento delle
infrastrutture richieste da un processo di sviluppo moderno. Inoltre esso si
canalizzò in un'azione di riforma della struttura agricola e in
un'intensificazione del processo di industrializzazione. L'attività privata,
quindi, venne ulteriormente incentivata, così come vennero poste le
premesse per un intervento più massiccio da parte dell'industria a
Partecipazione Statale.
Nel primo decennio, ovvero dal '50 al '60, gli interventi ebbero, quale
obiettivo principale, le opere pubbliche, precludendo l'attuazione di altre
forme di intervento che mirassero ad un maggior sviluppo
dell'imprenditorialità locale. Infatti, ciò che sarebbe dovuto rientrare
nell'ordinaria amministrazione degli enti locali, diventava intervento
straordinario.
"Il proposito del legislatore del 1950, secondo l'interpretazione che a noi
pare più aderente ai fatti, fu il dotare il Mezzogiorno di una più intensa ed
efficiente rete di servizi di interesse generale (strade, bonifiche, acquedotti,
ferrovie, ecc.) che si può intendere come una politica delle infrastrutture,
le quali costituiscono certamente il primo atto di una politica di sviluppo,
ma non possono da sole costituire tutto il contenuto della politica di
sviluppo" (G. Di Nardi, 1960, p.494).
2
Legge 646 del 10/08/1950.
La legge istitutiva della Cassa, nella sua prima formulazione, non
menzionava neppure l'impegno di una diretta politica per l'intensificazione
industriale, né vi fu qualche impegno ufficiale a porre come obiettivo del
"Piano di opere straordinarie per il Mezzogiorno" un dato tasso di sviluppo
del reddito prodotto nell'area di intervento della Cassa, o quanto meno il
deliberato proposito di realizzare la piena occupazione delle forze di lavoro
meridionali, mediante detto piano.
Nei primi anni di applicazione della legge, le interpretazioni correnti
dei suoi scopi, risultanti dalle dichiarazioni delle autorità impegnate nella
sua esecuzione, propendevano verso la concezione di un intervento
straordinario della spesa. Ciò doveva contribuire ad aumentare, per effetto
del moltiplicatore Keynesiano, il PIL nelle suddette regioni, creando,
altresì, le premesse per la creazione di nuove imprese locali. Queste,
inoltre, avrebbero beneficiato di una maggiore dotazione ed efficienza dei
pubblici servizi, risultante dagli investimenti effettuati. L'iniziativa privata,
successivamente, avrebbe goduto, inoltre, di sussidi in conto/capitale e in
conto/interessi, di sgravi fiscali, quest'ultimi destinati ad imprese di nuova
costituzione.
Appare opportuno segnalare che non sono stati mai fissati veri
obiettivi di crescita e di sviluppo nel Sud, in quanto tutta la politica
dell'intervento straordinario è stata incentrata esclusivamente sulle
emergenze ed ispirata dall'interesse politico.
Nella politica dell'intervento straordinario i progetti si realizzavano
non per obiettivi, bensì in relazione a quello che i deputati chiedevano (De
Rita e Bonomi, 1998).
Gli scopi dei provvedimenti in favore del Mezzogiorno sono, perciò,
da intendersi come generici obiettivi di sviluppo.
Per quanto concerne più specificatamente gli obiettivi affidati alla
Cassa per il Mezzogiorno dal Comitato dei Ministri, questi consistevano
essenzialmente nell'eseguire un piano di opere pubbliche straordinarie e di
curare l’erogazione di sussidi ai privati, concessi secondo precise
disposizioni normative. La Cassa, istituzionalmente, ha dunque avuto il
compito di eseguire, nei tempi fissati dalla legge (cioè entro l'anno 1965), il
piano di opere straordinarie, che ad essa fu affidato nel 1950, con le
successive integrazioni di detto piano, autorizzate con vari provvedimenti
emanati, su iniziativa del Comitato dei Ministri, dal 1952 al 1959.
Per quanto riguarda l'analisi economica dei flussi finanziari, appare
opportuno sottolineare il fatto che, per la mancanza di un tessuto
economico capace di metabolizzare detti flussi, immediatamente la parte
più ricca del Paese si avvantaggiava dei flussi di ritorno provenienti dal
Mezzogiorno. Infatti, mancando l'indotto, queste aree erano costrette ad
importare beni e servizi dalle regioni più evolute.
Nel 1957 la Cassa per il Mezzogiorno inaugurò la politica di
intervento diretto alla creazione di economie industriali. In quegli anni, i
caratteri del nuovo ciclo di espansione in cui era entrata l'economia italiana
risultavano ormai evidenti: la crescita dei settori industriali del Nord,
fondata su intensi e crescenti flussi di esportazione nei mercati
internazionali, rimetteva in moto il divario fra le due economie del Paese a
un ritmo più elevato che in passato. Venne allora stabilito che le
Amministrazioni statali dovessero riservare a imprese meridionali il 30%
delle forniture e lavorazioni loro occorrenti. Alle regioni meridionali
doveva inoltre essere riservato il 40% degli investimenti eseguiti dalle
amministrazioni; infine, le imprese industriali a partecipazione statale
dovevano ubicare nell'area meridionale una frazione fissa di nuovi
impianti: il 60% del totale. Sempre a partire dal 1957 venne autorizzata la
costituzione di consorzi fra enti locali per la creazione e la gestione, tramite
sussidio ed assistenza della Cassa, di "aree di sviluppo" industriali, oppure
dove le opportunità locali apparivano più limitate, l’istituzione di ristretti
"nuclei di sviluppo" (P. Bevilacqua, 1993).
In questa fase, gli interventi e gli effetti reali di crescita industriale
furono concentrati in poche aree regionali. Per iniziativa prevalentemente
dell'industria pubblica (le Partecipazioni Statali) o per intervento di grandi
imprese private già operanti al Nord o in altre aree del Paese, sorsero allora
giganteschi complessi localizzati in aree delimitate (processo di
industrializzazione per poli regionali).
Quali effetti produsse la politica industriale dell'intervento
straordinario che alla data del 1975 aveva investito ben novemila miliardi
(al valore del 1970) in questo solo settore? I pareri, in proposito, non sono
unanimi e il dibattito che ha accompagnato e seguito questa fase non si è
ancora concluso. Certo, la strategia dell'industrializzazione per poli ha
prodotto risultati inferiori alle aspettative. Si era, infatti, immaginato che
concentrando massicci investimenti in alcune aree strategiche di trascinare,
tramite un meccanismo più o meno spontaneo di contagio, altre economie e
territori in un processo generale di sviluppo. E questo, certamente, non è
avvenuto, quanto meno nelle dimensioni auspicate. Nella maggioranza dei
casi, infatti, le grandi imprese che si insediatesi nelle varie regioni
meridionali costituivano emanazioni di grandi gruppi nazionali che
conservano (come conservano spesso tuttora) i propri centri operativi nelle
aree del Centro-Nord. E quindi spesso esterno e forestiero era il personale
dirigente e tecnico, subordinato a scelte produttive che avevano ovviamente
come punto di riferimento la casa madre. Non di rado, inoltre, il sorgere di
tali grandi stabilimenti metteva in crisi realtà industriali locali, soprattutto a
causa dell'assorbimento della manodopera specializza esistente. Ma ciò che
in genere ha impedito o limitato la diffusione di attività manifatturiere
"indotte" dai grandi complessi, è stata spesso la strategia che ha ispirato la
loro presenza e azione nelle realtà locali; la nascita di piccole imprese
autonome intorno al nuovo polo industriale è stata, infatti, lasciata alla
spontaneità, senza un programma mirato e sistemico di creazione di attività
produttive impegnate nella lavorazione di parti ausiliari necessarie
all'impresa centrale.
Negli anni Ottanta, si assiste ad un sensibile mutamento, nella quantità
e nella qualità, dell'impegno che lo Stato aveva dispiegato fino a metà degli
anni settanta a favore del Mezzogiorno. In termini quantitativi i contributi
ai settori produttivi meridionali (agricoltura, industria, servizi) si sono
venuti riducendo in misura significativa; in termini qualitativi è mutata la
natura dell'intervento pubblico che ha finito con privilegiare l'assistenza
alle famiglie, ai privati, ai vari gruppi sociali, piuttosto che concentrare il
proprio impegno finanziario verso le imprese e gli investimenti produttivi.
In altri termini, il denaro pubblico destinato al Sud, prima concentrato
prevalentemente a sostenere la crescita dell'economia, viene poi sempre più
largamente utilizzato dallo Stato e soprattutto dai governo regionali a
favore di una miriade disordinata di iniziative imprenditoriali, e al tempo
stesso per erogare, attraverso pensioni, indennità, integrazioni ecc., forme
sempre più estese di assistenza sociale.
In questi anni "si delinea quel Patto non scritto tra Regione e Stato
centrale, per cui alle istituzioni regionali viene lasciato un relativo
margine di azione a sostegno delle attività artigiane, delle piccole imprese
e dei sistemi industriali, mentre il livello centrale mantiene il rapporto
stretto con la grande impresa, le partecipazioni statali e la grande finanza
attraverso gli istituti di credito a maggioranza pubblica"(De Rita e
Bonomi,1998, p.53).
L'attività della "Cassa" subisce numerose proroghe, ma sia i risultati
raggiunti sia il mutato ruolo assunto dalle Regioni, convinsero le forze
politiche a porre fine a tale esperienza. Nell'agosto del 1984, il Governo
dispose la soppressione e la messa in liquidazione della "Cassa";
successivamente il CIPE3 approvò un piano di completamento delle opere
in corso, nominando un commissario governativo per la loro gestione.
Nel 1986 veniva varata la Riforma dell'intervento straordinario 4che
pur salvando il principio dell'addizionalità dell'intervento statale rispetto
alla normale azione pubblica sul territorio, introduceva il principio di
pluralismo di iniziativa, consentendo ad una molteplicità di soggetti
(amministrazioni centrali, regioni, enti locali, enti pubblici, privati)
l'accesso al finanziamento degli interventi inseriti nei "Piani triennali di
sviluppo", articolati in "azioni organiche di intervento" ed inseriti in "Piani
annuali di attuazione". Veniva, inoltre, istituita l'Agenzia per la promozione
dello sviluppo nel Mezzogiorno (AGENSUD), avente compito di
finanziamento dei progetti regionali e delle attività svolte dagli enti di
promozione per lo sviluppo del Mezzogiorno (o degli altri soggetti
specificati dalla legge), di concessione di agevolazioni finanziarie in favore
delle attività economiche secondo le direttive del piano triennale e di
completamento delle opere in corso di realizzazione da parte della Cassa.
Dopo quarant'anni dall'istituzione della "Cassa per l'intervento
straordinario nel Mezzogiorno", nelle regioni meridionali il reddito pro-
capite è notevolmente cresciuto, ma non altrettanto è avvenuto però per la
capacità di sostenere uno sviluppo economico autonomo e per la
maturazione della società civile. La crescita del reddito si è infatti
accompagnata a una forte dipendenza della società dall'intervento pubblico
e a vecchie e nuove condizioni di degrado sociale.
3
Il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica è un ente pubblico. E' stato istituito allo
scopo di coordinare l'azione di tutti i ministeri con competenze in campo economico ed in particolare il
Ministero del Tesoro e del Bilancio, che assume un ruolo centrale nella gestione degli strumenti della
programmazione negoziata, il Ministero del Lavoro, e il Ministero delle Finanze.
4
Legge n. 64 del 1/03/1986.