10
1.2 TIPOLOGIE DI BILINGUISMO
Come è possibile dedurre da questa prima introduzione, il concetto di bilinguismo
rappresenta un fenomeno altamente complesso e soggetto a varie interpretazioni
determinate dalla storia personale dell’individuo, dal contesto d’acquisizione,
dall’età e da altri fattori. Nella letteratura specialistica è stato necessario sviluppare
una divisione funzionale, basata su diversi criteri, il primo dei quali vede la
contrapposizione tra un bilinguismo sociale o comunitario e un bilinguismo
individuale
14
.
Il primo tipo identifica l’uso di due varietà linguistiche all’interno di un gruppo o
comunità sociale o territoriale. In queste comunità due lingue sono in contatto e il
risultato è che una buona parte della popolazione è bilingue e i due codici linguistici
possono essere usati nello stesso evento comunicativo. Questo fenomeno può
concretizzarsi in due modi: la comunità può essere costituita da due gruppi
monolingui, al cui interno si trova un gruppo di parlanti bilingue oppure la comunità
è costituita da un singolo grande gruppo di parlanti bilingui, che usano le due lingue
in modo funzionale e complementare o che comunicano ricorrendo ad una terza
lingua.
Una particolarità del bilinguismo sociale è rappresentata dalla diglossia, concetto
elaborato dal linguista statunitense Charles A. Ferguson a fine anni ’60, cioè la
compresenza di diverse varietà linguistiche linguisticamente contigue e
13
Ibid, 3-4.
14
Gilardoni, Pluralismo e comunicazione, 42.
11
funzionalmente differenziate in cui la varietà High è usata solo in ambito formale,
mentre la varietà Low è usata solo in ambito informale. Di conseguenza queste due
varietà non sono percepite come uguali ed utilizzabili in tutte le circostanze
presentando funzioni totalmente separate. Molte volte una varietà è letteraria e di
prestigio, mentre l’altra è quella parlata dalla maggioranza della popolazione. In
questa definizione le due varietà sono strettamente relazionate. Uno degli esempi
più rappresentativi è identificabile nell’arabo standard, quello usato nel Corano, a
cui si affianca l’uso colloquiale di varietà regionali dell’arabo (marocchino,
tunisino, ecc.)
15
.
Fig. 1 – Caratteristiche della diglossia.
16
Nel 1967 una pubblicazione del linguista Joshua A. Fishman introduceva la
possibilità di diglossia tra lingue non correlate come varietà High e Low
17
come nel
caso di ebraico e yiddish che presentano un ambiente culturale comune, ma codici
linguistici non correlati. Sono state rilevate anche situazioni in cui il numero di
varietà linguistiche erano più di due. Quest’ultima caratteristica ha dato ulteriore
propulsione agli studi sulla diglossia, portando all’individuazione del concetto di
triglossia, analizzato dal linguista Wang Xiaomei che sottolinea come prima
dell’indipendenza della Malesia, nel paese come lingue High predominasse
l’inglese come lingua dell’amministrazione e dell’istruzione affiancato da cinese
cantonese e miin, mentre altri dialetti cinesi minori svolgevano le funzioni di lingue
Low. Successivamente all’indipendenza, avvenuta nel 1957, questa situazione di
triglossia è mutata: l’inglese è infatti stato rimpiazzato al malaysiano, mentre il
15
Ferguson, Diglossia, 325-328.
16
Coulmas, Sociolinguistics, 143.
17
Fishman, Bilingualism, 29-38.
12
mandarino si è imposto nella comunità cinese, includendo nella sua sfera di
influenza anche dialetti minori e altre lingue; secondo l’autrice, a lungo termine la
triglossia scomparirà a favore di una più comune diglossia
18
.
Marc Deneire più recentemente ha sottolineato come l’inglese come lingua franca
possa essere interpretata in chiave di diglossia: l’inglese infatti è ormai la lingua
della comunicazione delle scienze e della tecnologia a livello internazionale e in
questa prospettiva l’uso generalizzato dell’inglese potrebbe portare a una
“secondarizzazione” delle altre lingue che diventerebbero quindi varietà Low
incapaci di sviluppare terminologie specifiche
19
.
Il bilinguismo individuale invece si può definire come lo stato psicologico di un
individuo che può accedere a più di un codice linguistico nella comunicazione
20
.
Un’altra suddivisione che è possibile effettuare è in base all’età in cui inizia
all’acquisizione: si può parlare di bilinguismo simultaneo, consecutivo e tardivo.
Il bilinguismo simultaneo è quando un bambino viene esposto dalla nascita o nel
primo anno di vita a due lingue. Questo caso riguarda principalmente le famiglie
con genitori parlanti due lingue diverse e in cui ciascuno utilizza la propria lingua
per parlare con il bambino (one parent - one language)
21
. Non vi è totale accordo
tra gli esperti su quale sia il periodo limite che segna il passaggio da un bilinguismo
simultaneo a uno consecutivo, la maggior parte della letteratura lo fa coincidere con
il raggiungimento del terzo anno di vita
22
.
Il bilinguismo consecutivo si ha quando un bambino apprende una seconda lingua
(L2) dopo la stabilizzazione della prima lingua, la L1
23
. Infine, il bilinguismo
tardivo si verifica nei casi in cui l’introduzione della L2 avviene dopo i 6/7 anni di
età
24
.
18
Xiaomei, Mandarin Spread in Malaysia, 8-9.
19
Deneire, Global Issues, 393-395.
20
Hamers e Blanc, Bilinguality and Bilingualism, 6.
21
Sander, Bilingualism in Childhood, 5.
22
McLaughlin, Second-Language Acquisition, 101.
23
Sander, Bilingualism in Childhood, 5-6.
24
Duarte, Bilingual Language Proficiency, 33-34.
13
Fig. 2 – Asse temporale del bilinguismo.
L’età d’acquisizione non è l’unico fattore che è stato considerato ai fini dello studio
sul bilinguismo. È possibile infatti distinguere tra un bilinguismo equilibrato e uno
dominante. Nel primo caso, più raro, il soggetto presenta abilità d’uso equivalenti
25
,
mentre nel secondo, il soggetto presenta maggior competenza in una lingua che è
anche quella più usata
26
.
Un ulteriore asse di organizzazione del bilinguismo vede una sostanziale differenza
nell’organizzazione cognitiva legata cioè ai processi di produzione, comprensione
e memorizzazione delle lingue. È possibile qui individuare un bilinguismo
coordinato che vede gli individui avere due sistemi semantici e due codici
linguistici, di conseguenza i vocaboli delle due lingue rappresentano entità separate;
i bilingui combinati hanno invece un sistema semantico e due codici linguistici: le
stesse parole in diverse lingue hanno i medesimi significati; questo tipo di
organizzazione è prevalentemente presente nei bilingui simultanei che possiedono
quindi una rappresentazione fusa delle due lingue. Infine, il bilinguismo
subordinato vede la prima lingua come intermediaria per l’acquisizione della
seconda: il soggetto assimila i significati della lingua più debole tramite la lingua
dominante, di conseguenza i concetti vengono appresi come equivalenti di concetti
già posseduti
27
.
25
Baker, Bilingual Education, 8-9.
26
Fabbro, Neurolinguistics of Biligualism, 107.
27
Bialystok, Bilingualism in Development, 101-102.
14
Fig. 3 – Rappresentazione di significante e significato nelle tre forme di bilinguismo.
28
Occorre sottolineare altresì come quello che viene definito “bilinguismo perfetto”
sia una condizione rara e instabile in quanto una lingua tende sempre a prevalere
nel controllo del “territorio” costituito dalla capacità linguistica del parlante
29
,
infatti la presenza di significati paralleli rappresenta un costo aggiuntivo per il
cervello che tenderebbe ad evitare. Il dominio di una lingua sull’altra sarà
determinato dalle situazioni e dalle occasioni.
Anche la valorizzazione e lo status sociale delle lingue incidono sul bilinguismo
tanto che Josiane Hamers e Michael Blanc hanno elaborato la definizione di un
bilinguismo additivo e di uno sottrattivo. Nel primo caso si avrà una contemporanea
valorizzazione sociale positiva delle lingue e lo sviluppo delle abilità del soggetto,
in caso contrario le lingue non verranno viste come complementari, bensì come in
competizione, e quella più “prestigiosa” si convertirà nella L1
30
. Silvia Gilardoni
descrive diversamente, riprendendo gli studi di Grosjean e Py, l’indebolimento
della L1 negli adulti immigrati da lunghi periodi in paesi esteri; in questi casi si
preferisce parlare di una ristrutturazione della L1 e non di una perdita
31
.
1.3 CERVELLO E LINGUAGGIO
Il cervello è forse l’organo più misterioso e affascinante del corpo umano e solo
recentemente, grazie a nuove scoperte e progressi medico-scientifici ne è stato
possibile studiare in modo più completo funzionamenti e malfunzionamenti. Come
è noto, il cervello è diviso in due emisferi che presentano asimmetrie di
elaborazione o funzionali e anatomiche; le due parti quindi non possono essere
28
Heredia e Cieslicka, Bilingual Memory Storage, 13.
29
Laponce, Languages and territories, 15.
30
Hamers e Blanc, Bilinguality and Bilingualism, 99-100.
31
Gilardoni, Plurilinguismo e comunicazione, 56.
15
considerate autonome. Come è stato infatti dimostrato, nonostante l’emisfero
sinistro sia dominante in termini di linguaggio, il destro ha rilevanza per quanto
riguarda la prosodia: in alcuni pazienti con lesioni in specifiche aree dell’emisfero
destro, sono state rilevate problematiche nell’intonazione corretta di frasi e parole;
inoltre, questi soggetti non sono in grado di comprendere neanche il tono emotivo
dei discorsi o il contesto sociale della parola (come battute e barzellette)
32
. Il
linguaggio è una funzione complessa, composta da più sub-processi che vanno dal
riconoscimento all’articolazione dei suoni, passando per la comprensione e la
produzione di parole e frasi. Fondamentali sono la memoria e la capacità
d’attenzione.
Le prime salienti scoperte relative alla connessione tra cervello e capacità fasica
risalgono al XIX secolo. Partendo dai malfunzionamenti neurologici, gli studi che
si susseguiranno nel corso degli anni porranno enfasi su come il cervello sia in
grado di processare il linguaggio.
Nel 1861 il neurologo francese Paul Broca scoprì nel cervello di suo paziente,
soprannominato “Tan” (unica sillaba che era in grado di pronunciare), che
presentava un’afasia che gli impediva di parlare, leggere o scrivere, dovuta a una
lesione nella circonvoluzione frontale inferiore sinistra. Il soggetto era però in grado
di intonare questa sillaba in diverse maniere, cercando di darvi un significato
diverso o di “rispondere” a ciò che gli veniva chiesto; di conseguenza, la sua
capacità di comprensione del linguaggio venne considerata normale
33
.
Dall’individuazione della lesione si iniziò a pensare che quest’area, che verrà
denominata Area di Broca, fosse responsabile della produzione del linguaggio.
Pochi anni dopo, nel 1874, il neurologo tedesco Carl Wernicke collegò l’esistenza
di problemi legati alla comprensione del linguaggio con lesioni all’area posteriore
del lobo temporale, individuando l’esistenza di un centro legato alla creazione delle
“immagini uditive delle parole”
34
localizzato nella circonvoluzione temporale
superiore, denominata da quel momento area di Wernicke. I pazienti colpiti da
questo tipo di afasia, detta sensoriale, presentano un linguaggio scorrevole e fluente,
32
Balconi, Neuropsicologia della comunicazione, 28-29.
33
Freberg, Discovering Biological Psychology, 390.
34
Zannino, Disturbo semantico, 14.
16
ma privo di senso logico e di tentativi di correzione e una totale assenza di
consapevolezza della situazione
35
.
Fig. 4 – Sezione di cervello vista da sinistra, indicazione area di Broca e Wernicke.
36
Negli anni a seguire, grazie alle scoperte medico-scientifiche e ai progressi
tecnologici, sono state possibili ulteriori analisi che portarono nel 1971 alla
definizione del Modello di Wernicke-Geschwind, elaborato da Norman
Geschwind: un modello di “reti di linguaggio”
37
caratterizzato dalla presenza di
interconnessioni tra le diverse aree del cervello, tutte implicate nella comprensione
e produzione del linguaggio
38
.
A conferma dell’implicazione di diverse aree cerebrali nell’elaborazione e
produzione del linguaggio vi sono le afasie. Questi disturbi del linguaggio infatti
non riguardano solamente i danni all’Area di Broca o quella di Wernicke, ma
possono essere conseguenza di danni (oltre che di patologie) a altre zone del
cervello e danno origine a diverse forme di afasia, alcune delle quali influiscono
anche sulla capacità di scrittura (afasie ubiquitarie) o provocano mutismo e
acinesia
39
.
Negli anni ’60, con la nascita della neurolinguistica, una scienza che unisce
linguistica, psicolinguistica, psicobiologia e neuroscienze, è stato possibile iniziare
a studiare le strutture anatomiche-funzionali del linguaggio, il suo sviluppo ed
eventuali deficit; tutto ciò è possibile grazie a nuove strumentazioni come risonanza
35
Ibid.
36
“Aphasia”, NIH, ultima cons. 19 ottobre 2019, https://www.nidcd.nih.gov/health/aphasia.
37
Berardi, “Le reti del linguaggio”.
38
Ibid.
39
“Tipi di afasie”, Manuale Msd professionisti, ultima cons. 19 ottobre 2019,
https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-neurologiche/funzione-e-disfunzione-
dei-lobi-cerebrali/afasia#v21855270_it.
17
magnetica (RM), elettroencefalogramma (EEG) e tomografia (PET), che hanno
permesso di osservare i cambiamenti nelle aree cerebrali di pazienti sottoposti
contemporaneamente a test neuropsicologici di vario genere. Questi nuovi studi
hanno permesso di approfondire temi quali l’acquisizione del linguaggio e possibili
malfunzionamenti.
Tempo fa si pensava che il linguaggio venisse acquisito a seguito della nascita, ma
più recentemente è stato dimostrato che già nell’utero materno i bambini sono
esposti ad una serie di stimoli esterni da cui possono imparare. Fondamentale in
questo contesto risulta essere il senso dell’udito. Nonostante la presenza di ostacoli
al suono e la distorsione che ne risulta a causa dei tessuti che separano il bambino
dal mondo esterno, è stato dimostrato che i suoni bassi arrivano ai bambini e
l’elemento rilevante non è tanto il contenuto, ma la prosodia e l’intonazione
40
.
Con acquisizione del linguaggio si indica il processo che porta un bambino a
sviluppare e possedere la capacità di capire e parlare la o le lingue a cui è esposto.
Questo processo può essere diviso in diverse fasi
41
: la prima viene definita “pre-
linguistica” e va dalla nascita al primo anno di vita. Viene ulteriormente suddivisa
in:
1. Prime vocalizzazioni (0-3 mesi): include i pianti e vocalizzazioni con
associazioni di vocali-consonanti.
2. Lallazione rudimentale (4-7 mesi): aumentano i suoni che il neonato è in
grado di produrre.
3. Lallazione canonica (7-9 mesi): si formano le prime sillabe spesso
riprodotte in maniera ripetitiva, la lallazione reduplicata
42
(MA-MA-MA,
ad esempio).
4. Produzione delle prime parole (9-18 mesi): spesso si tratta di due sillabe
uguali ripetute. L’arco di tempo che comprende questa fase dipende dalla
precocità della prima parola pronunciata che mediamente risulta essere
all’undicesimo mese di vita.
40
Moon, Lagercrantz e Kuhl, Language Experienced in Utero, 158-159.
41
Aglioti e Fabbro, Neuropsicologia del linguaggio.
42
Aprile, Psicologia dello sviluppo linguistico, 186.