V
Adottare una prospettiva di questo tipo - che verrà definita ecocentrica - significa
incoraggiare lo sviluppo di una coscienza ecologista che ambisce ad un raggio d’azione
dalle conseguenze più vaste. L’acquisizione di consapevolezza ecologica conduce alla
trasformazione del paradigma intellettuale dominante, che comporta anche un cambiamento
degli atteggiamenti individuali e collettivi di portata globale, oltre che all’abbandono di
un’ideologia dello sfruttamento in favore di un’ideologia della coesistenza.
Nella pubblicistica politica la Deep Ecology ha sempre subito una feroce critica, in parte
legittima, che non ha mai reso i giusti meriti ad una prospettiva intellettualmente ricca,
originale e stimolante, che non corrisponde alla caricatura che ne è stata fatta (piuttosto
famosa la descrizione dei deep ecologists come tifosi dell’AIDS), come fa notare Antonio
Cianciullo: “Se si prendono i testi di Naess e dei suoi più autorevoli colleghi si ritrova un
manuale di non violenza esteso a tutte le specie animali e vegetali, un appello alla
coesistenza pacifica sul pianeta che può essere tacciato di scarso realismo, ma non di gusto
masochista per la sopraffazione della natura sull’uomo”
1
.
Al fine di presentare una realistica possibilità di risoluzione della questione ecologica, le
pagine seguenti si proporranno, dunque, quattro obiettivi tra loro interrelati: innanzitutto,
intendono dimostrare come la crisi ecologica non sia solo il frutto di una tradizione di
pensiero, ma anche della storica incomprensione fra istituzioni e soggetti ecologisti
(introduzione); in secondo luogo, tentano di riabilitare ed approfondire, attraverso una
presentazione la più equilibrata possibile, la Deep Ecology in tutti i suoi aspetti e in tutte le
sue conseguenze per la filosofia etico-politica (prima parte); in terzo luogo, presentano un
tentativo di ripensamento delle categorie politiche della modernità alla luce delle critiche e
delle proposte della Deep Ecology (seconda parte): infine, propongono una ridefinizione dei
1
Cfr. Antonio Cianciullo, Si fa presto a dire verde, in “La Repubblica”, 23 luglio 1993.
VI
fondamenti concettuali e delle dinamiche giuridico-procedurali del “governo dell’ambiente”
in aperto confronto con i principi della Deep Ecology, ampliando e modificando, in parte, la
portata del movimento stesso.
La pesante eredità del nuovo millennio reca con sé anche una sfida fondamentale ed
affascinante cui l’uomo non può esimersi dall’affrontare, una sfida umana e naturale allo
stesso tempo: la salvaguardia del pianeta. Paradossalmente tale confronto non si risolverà
con l’individuazione del nemico e con lo scontro per raggiungere una presunta vittoria,
perché questa significherebbe la disfatta di ogni possibilità di esistenza; la moderazione, la
collaborazione, l’interrelazione, il riconoscimento, sono i valori fondanti delle soluzioni
strategiche etico-politiche che potranno permettere di arginare la miopia della nostra
generazione. Ma il primo passo resta raccogliere la sfida.
1
INTRODUZIONE
AMBIENTE, AZIONE POLITICA, ISTITUZIONI.
GENESI E SVILUPPO DI UN DIFFICILE RAPPORTO
1. AMBIENTE E MOVIMENTI AMBIENTALISTI. NUOVA FRONTIERA
DELLA POLITICA
Il dibattito sviluppatosi negli ultimi trent'anni attorno alle ingerenze dell’attività umana
all’interno dei presunti equilibri naturali appare spesso confuso e si perde talora in diatribe
di secondaria importanza e poco costruttive; tuttavia, l'interesse per l'ambiente, o meglio per
i problemi ambientali, è una delle caratteristiche peculiari della società industrializzata di
fine XX secolo. Le riflessioni sulla cosiddetta “crisi ecologica”, infatti, spaziano sui fronti
più vari, a partire da quello scientifico e storico, per continuare sul piano politico e
sociologico, per terminare con quello etico e giuridico; ma la realtà dei fatti è che con il
passare degli anni invece di circoscrivere (non si sta parlando di scongiurare) il pericolo di
una catastrofe globale, ci si avvicina sempre di più al collasso del pianeta.
Il puntuale e sempre chiaro rapporto annuale del Worldwatch Institute
1
ha ancora una
volta evidenziato la latitanza di misure adeguate per la risoluzione dei diversi problemi
ambientali, misure che nell'era della globalizzazione devono necessariamente essere stabilite
a livello politico-giuridico, in quanto la storia ha dimostrato come l'impegno e
l'insegnamento di singoli e nobili individui a favore del rispetto della natura non sia servito
1
Worldwatch Institute, State of the World 2000, Edizioni Ambiente, Milano 2000.
2
per placare il “Prometeo irresistibilmente scatenato”
2
della civiltà umana. Numerosi studi
hanno svelato come fin dall'antichità, anche nella tradizione di pensiero occidentale, si siano
date diverse modalità della relazione fra l'uomo e l'ambiente circostante
3
. In un suo articolo
Ian G. Barbour
4
ha sussunto sotto tre tipologie generiche queste modalità di relazione:
1) dominio dell'uomo sulla natura; 2) uomo come partecipe della natura; 3) uomo come
custode della natura. Ora, non è questo il luogo per l'analisi delle tre tipologie, ma un breve
accenno può essere utile per comprendere l'inevitabilità di una riflessione politica
sull'ambiente.
La tesi dell'influenza della tradizione giudaico-cristiana sul rapporto dominativo
dell'uomo nei confronti della natura, che trova il suo più profondo sostenitore nello storico
del medioevo Lynn White jr.
5
, è largamente accolta, anche se non si renderebbe conto della
complessità del pensiero occidentale se questa venisse considerata come l'unica sorgente di
tale atteggiamento, anche a voler prescindere dal fatto che le Sacre Scritture si prestano a
diverse interpretazioni
6
. Le fonti esterne a questa tradizione sono numerose e altrettanto
importanti, basti menzionare i contributi del pensiero greco nell'accentuare la separazione
fra uomo e natura
7
, oppure la visione meccanicistica della natura emersa nel XVII secolo
grazie all'opera di eminenti filosofi e scienziati quali Bacone, Cartesio, Newton, insieme alle
2
Cfr. Hans Jonas, prefazione a Das Prinzip Verantwortung, Frankfurt am Main 1979 Il principio
responsabilità, Einaudi, Torino 1990, p. XXVII.
3
Cfr. Franco Livorsi, Il mito della nuova terra. Cultura, idee e problemi dell’ambientalismo, Giuffrè Editore,
Milano 2000.
4
Ian G. Barbour, Environment and Man, in Warren T. Reich, The Encyclopedia of Bioethics, The Free Press,
New York 1978 (trad. it., Ambiente e uomo, in Mariachiara Tallacchini, Etiche della terra, Vita e Pensiero,
Milano 1998, pp. 85-101).
5
Lynn White, The Historical Roots of Our Ecological Crisis, in "Science", vol. 155, pp. 1203-1207 (1967);
l'articolo è stato ripubblicato in varie opere, fra cui Louis P. Pojman, Environmental Ethics, Boston-London
1994, fonte utilizzata in questa sede. Anche Carl Amery si pone su questa linea critica, nonostante la sua tesi
risulti pericolosamente estremista; cfr. C. Amery, Das Ende der Vorsehung, Reinbech b., Hamburg 1972.
6
Cfr. Robin Attfield, Christian Attitudes to Nature, in "Journal of the History of Ideas", XLIV (1983), 3, pp.
369-86 (trad. it. Gli atteggiamenti cristiani verso la natura, in Tallacchini, op. cit., pp. 103-27).
7
Sostenitori di questa ipotesi sono lo stesso Barbour, op. cit. (trad. it. p. 86); Eugene Hargrove, Foundations of
Environmental Ethics, New York 1988 (trad. it. Fondamenti di etica ambientale, Muzzio, Padova 1990, pp.
28-42); in parte John Passmore, Man's Responsabilty for Nature, Duckworth & Co. Ltd., London 1980 (trad.
it. La nostra responsabilità per la natura, Feltrinelli, Milano 1991, pp. 26-30).
3
utopie tecnologiche. E ancora, il ruolo del capitalismo e il notevole peso che assunto l'idea
di progresso sviluppata nel XIX secolo, e definitivamente messa in pratica in quello
successivo
8
.
Il celebre articolo di White sulle radici della crisi ecologica ha quindi stimolato negli
ultimi trent'anni una poderosa pubblicistica, la quale ha concorso anche alla rivalutazione di
tutta una tradizione di pensiero passata in secondo piano: è la seconda tipologia menzionata
da Barbour. La cosiddetta tradizione minoritaria
9
ha anch'essa molteplici radici religiose,
rintracciabili nell'antico Oriente (taoismo e buddismo zen su tutti), nella religione popolare
greca e nelle pratiche di San Francesco. Inoltre la natura è stata esaltata nella sua bellezza da
poeti come Blake, Wordsworth, Goethe, i quali nelle loro opere idealizzarono il “naturale” e
il “primitivo” contro il “civilizzato”; sullo stesso filone possono essere inseriti i
trascendentalisti americani Thoreau ed Emerson, ispiratori dei movimenti preservazionisti.
In ambito scientifico, la continuità fra uomo e natura venne affermata e dimostrata da
Darwin proprio nel secolo del progresso, idea successivamente approfondita dalla
riflessione ecologica. Si può notare dunque come l'uomo partecipe della natura non sia un
atteggiamento storicamente impossibile, seppur occorra ammettere che la categoria
dell'uomo despota abbia di gran lunga caratterizzato gli atteggiamenti verso l'ambiente.
Rimane l'ultima tipologia, quella dell'uomo custode della natura, che Barbour indica
quale posizione intermedia fra le due precedenti. L'uomo custode e cooperatore è stato ben
delineato da John Passmore nel suo Man's Responsabilty for Nature, nel quale vengono
citati alcuni passi biblici che ne dimostrano la plausibilità, fra cui l’ormai celebre “e Dio
8
Per quanto riguarda il contributo italiano allo studio di questi temi, è interessante l’intervento di Paolo Rossi,
Atteggiamenti dell’uomo verso la natura, in Mario Ceruti e Ervin Laszlo (a cura di), Physis: abitare la terra,
Feltrinelli, Milano 1988, pp. 190-207.
9
Un'eloquente descrizione di cosa si intenda nel pensiero ecologista per tradizione minoritaria è stata data in:
Bill Devall e George Session, Deep Ecology: Living as if Nature Mattered, Layton, Utah 1985 (trad. it.
Ecologia Profonda. Vivere come se la natura fosse importante, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1989, pp. 33-
44).
4
mandò Adamo nel Giardino dell'Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn. 2,15). Ma
questi non sono i soli esempi riportabili: se Passmore menziona ancora Aristotele,
Giamblico, Teilhard de Chardin, Marcuse
10
, in Barbour si trovano San Paolo e San
Benedetto
11
. Il panorama è vario e si può facilmente cadere in fraintendimenti di pensieri e
di intenzioni degli autori presentati, ma ciò che rende interessante questa congerie di
opinioni è proprio la possibilità per chiunque di riconoscersi in un filone di pensiero e
trovare una giustificazione ai propri comportamenti.
La prima tipologia ha caratterizzato in maniera preponderante l’approccio alla natura nel
mondo occidentale. Non esiste una motivazione unica per giustificare questo processo
storico, ma alla base dello sfruttamento dell'ambiente vi è un'ideologia scaturita dalla
convergenza di idee maturate nel corso di secoli, idee provenienti, come si è visto, dalle più
differenti discipline, ma che sono andate a costituire quello che viene definito il paradigma
della modernità
12
. Meccanicismo, riduzionismo, individualismo, pensiero razionale ed
analitico, soggettivismo, dualismo uomo-natura, sono le caratteristiche del paradigma in
questione. Se poi si aggiungono l'ideologia della produzione e del consumo che domina
l'economia globalizzata e i limiti raggiunti, sia in senso estensionale che in senso
intensionale, dal potere tecnologico, il passaggio da una sfruttamento circoscritto e
trascurabile alla crisi ecologica su livello globale diventa facilmente comprensibile.
Se il paradigma della modernità sembra essere il presunto colpevole, quali sono le misure
da adottare? E' possibile sostituire paradigma? Se la risposta è affermativa, esiste un
paradigma alternativo? E in che modo, con quali strumenti, il presunto nuovo paradigma
può soppiantare il vecchio? Le parole di Fritjof Capra testimoniano l’importanza e
10
Cfr. Passmore, op. cit., pp. 43-50 trad. it.
11
Cfr. Barbour, op. cit., pp. 94-96 trad. it.
12
Per una vasta discussione sui paradigmi e i mutamenti di paradigmi cfr. Thomas S. Khun, The Structure of
Scientific Revolutions, Chicago 1970 (trad. it. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino
5
l’ineluttabilità di questi interrogativi, che hanno introdotto una fervente discussione sulla
necessità di un cambiamento culturale radicale:
Ciò di cui abbiamo bisogno, (…), è un profondo riesame dei principali presupposti e valori della
nostra cultura, un rifiuto di quei modelli concettuali che sono sopravvissuti alla loro utilità, e un
nuovo riconoscimento di alcuni fra i valori che abbiamo abbandonato nei periodi precedenti
della nostra storia culturale. Un mutamento così profondo nella mentalità della cultura
occidentale deve essere accompagnato da una profonda modificazione della maggior parte dei
rapporti sociali e delle forme di organizzazione sociale, da mutamenti che vadano oltre le misure
superficiali di riaggiustamento economico e politico che vengono presi in considerazione dai
capi politici di oggi.
13
Capra ammette dunque l’esistenza di un paradigma alternativo che getterebbe le proprie
fondamenta sulle due tipologie di comportamento analizzate in alternativa all'atteggiamento
dominativo dell'uomo nei confronti della natura. Ma la seconda parte della citazione
evidenzia la questione di fondo: se la presa di coscienza dei singoli sulla necessità di un
mutamento è un passo realizzabile, si è visto infatti come il passato sia ricco di esempi, il
problema nasce quando dall'individuo si passa alla società. Il radicamento delle abitudini è
così profondo per cui i mutamenti singoli risultano troppo lenti e alla lunga insufficienti se
non vengono appoggiati, anzi guidati, da organizzazioni ed istituzioni politiche che riescano
a creare la necessaria collaborazione fra individui, comunità e stati: la crisi ecologica è un
problema globale che dalla globalità deve essere affrontato. L'ambiente diventa allora
problema politico perché problema dell'umanità intera, non solo del singolo individuo;
d'altronde il significato originario del termine 'politica' indica il governo della polis, la
1978
3
). Per quanto riguarda il risvolto pratico del paradigma della modernità cfr. F. J. Bruggermeier und Th.
Rommelspacher (a cura di), Besiegte Natur, Beck, Munchen 1987.
13
Cfr. Fritjof Capra, The Turning Point, New York 1982 (trad. it. Il punto di svolta, Feltrinelli, Milano 1984,
2000
7
, p. 31).
6
quale, nell'era della globalizzazione, ha oltrepassato i confini classici per giungere a
coincidere con l'intera ecosfera. Il profondo mutamento che Capra auspica nel passo citato
deve essere il risultato di un approccio diverso nei tre ambiti che possono influire in tempi
brevi sulle abitudini distruttive e autodistruttive degli uomini: l'etica, la politica e il diritto.
Fino a quando queste tre discipline non riconosceranno l'ecologia scientifica come fonte
indispensabile del proprio sviluppo, il timer della bomba ambientale non rallenterà la sua
corsa.
Arnold Toynbee ha teorizzato l'evoluzione delle civiltà secondo un modello sfida-e-
risposta che in questo ambito sembra calzare a pennello
14
. La cultura occidentale ha portato
la società ad uno stato di squilibrio che la rende meno flessibile e strutturalmente incapace
di affrontare le nuove sfide; l'ambiente naturale pone una nuova e cruciale prova alla civiltà
occidentale che la società attuale non riesce o non vuole fronteggiare portando la Terra
sull'orlo del collasso: saremo in grado nell'immediato futuro di rispondere in modo
adeguato? Toynbee sostiene anche che il processo sfida-e-risposta viene continuato da
minoranze creative, nuove forze culturali che rimpiazzano quelle vecchie e riorganizzano la
vita sociale e politica seguendo nuovi criteri, principi e valori. Ora, la risposta alla
precedente domanda emerge con forza: le minoranze creative, le nuove forze culturali che ci
permetteranno di affrontare in modo adeguato la sfida della crisi ecologica sono le forze
della controcultura, cui appartengono i movimenti e le istituzioni ambientaliste custodi di
valori e principi rispettosi della natura e promotori di politiche in grado di preservare la casa
planetaria. I movimenti ambientalisti diventano l'avanguardia di una nuova società, i soli
soggetti politici che possono guidare la collettività verso il paradigma dell'ecologia. La
14
Cfr. Arnold J. Toynbee, A Study of History, London 1934-61 (trad. it. parziale, Panorami della storia,
Mondadori, Milano 1954).
7
partita si gioca sulla trasformazione profonda delle nostre istituzioni sociali e politiche, dei
nostri valori e delle nostre idee, e l'ambientalismo mette in campo una nuova sensibilità
etica che fonde l'antico rispetto per l'inconoscibile con la moderna conoscenza ecologica.
Riflessione politica e giuridica non sono altro che due mezzi utili all'accelerazione del
processo, provvidenziali per la comprensione della “saggezza ecologica” e per la sua
espansione a livello planetario. Quando entrano in gioco le decisioni collettive come quelle
di cui l'ambiente necessita, non bastano più pochi capi di stato illuminati che, incontrandosi,
determinano il futuro del pianeta, perché in ballo vi è il destino della presente generazione e
di quella futura, della natura e delle altre specie; ognuno di noi è chiamato a collaborare alla
creazione di istituzioni politiche e legali realmente all'altezza. Non molto tempo fa Sergio
Scamuzzi scriveva:
Il tema ambientale diventa posta del conflitto politico e norma sociale grazie ai movimenti
ecologisti, in una realtà sociale composita di tendenze dell'opinione pubblica, associazionismo
localistico, mobilitazioni di protesta, militanza politica semiprofessionale, nuovi partiti verdi e
verdeggiare di vecchi partiti, tecnocrazie pubbliche; anche la cultura d'impresa è spinta così ad
allargare la propria sfera di responsabilità sociale dandosi codici di norme ecologiche, avendo
acquisito nuova consapevolezza della fine di un'epoca in cui era possibile lo sfruttamento
illimitato della natura; stili nazionali diversi di politica ambientale e il suo carattere introducono
ad un costituzionalismo empirico che a sua volta produce e attua legislazione ambientale e apre
le strada a un costituzionalismo vero e proprio.
15
La scelta etica soggettiva non è sufficiente per un cambiamento radicale su scala
planetaria, serve un fondamento diverso per la scelta pro-ambiente. Dietro la pressione dei
movimenti ecologisti, politica e diritto devono produrre innovazione nelle istituzioni e nelle
15
Cfr. Sergio Scamuzzi, Costituzioni, razionalità, ambiente. Linee di ricerca, in Sergio Scamuzzi (a cura di),
Costituzioni, razionalità, ambiente, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 11.
8
procedure legislative, sensibilizzare l'opinione pubblica e controllare l'applicazione delle
norme ambientali, ma è un processo che necessita un’attuazione a livello globale. Allora le
domande divengono: quale fondamento per una teoria politica verde? Quale governo per
l'ambiente? Sono i movimenti ecologisti i soggetti adatti per promuovere il cambiamento?
Esiste però un problema di fondo che riguarda quest'ultimi. Se la breve analisi storica ha
mostrato un variegato panorama di atteggiamenti verso la natura, anche per quanto riguarda
l'ambientalismo si possono riscontrare molteplici e diverse posizioni che si rifanno a
differenti tradizioni etiche e politiche; inoltre la stessa storia dell'ecologismo politico è in
realtà la storia del rapporto dei vari movimenti con le svariate istituzioni. La frammentarietà
è stata la loro debolezza, tradottasi in incapacità di fare pressione, salvo in alcune
circostanze, sui governi e sugli enti istituzionali che nel frattempo continuavano a decidere
dello sfruttamento del pianeta. Il passato diventa utile quando lo si analizza criticamente. Se
gli ecologisti vogliono diventare una forza per il cambiamento devono innanzitutto studiare
la propria storia, iniziare un confronto serio e costruttivo con le proprie origini, ed
analizzare errori e vittorie soprattutto degli ultimi trent'anni. “La storia ecologica può essere
considerata come il punto finale di tutte le storie precedenti, sempre che, oltre alla storia
ecologica in senso stretto, vi includiamo la dimensione ecologica della storia politica,
economica e culturale contemporanee”
16
; i movimenti ecologisti, più o meno radicali, sono i
protagonisti di questo secondo aspetto della storia ecologica, mentre un loro impegno
comune può forse rappresentare l'inizio della storia della civiltà ecologica. Le pagine che
seguono sono dedicate per l'appunto alla genesi dei movimenti ambientalisti, all'azione
politica e al loro rapporto con le istituzioni.
16
Cfr. James O'Connor (trad. it. di Carla De Simone), Cos'è la storia ecologica? Perché la storia ecologica?,
in James O'Connor, Natural Causes. Essays in Ecological Marxism, New York ed Oxford 1998.
9
2. PREISTORIA DEI MOVIMENTI AMBIENTALISTI
Le radici dell'ambientalismo contemporaneo devono essere ricercate nel XVIII e nel XIX
secolo, quando una sorta di nuova sensibilità sembra influenzare non solo gli studi relativi
all'economia della natura, ma anche il rapporto quotidiano dell'uomo con l'ambiente
circostante
17
. Prima ancora che l'ecologia acquisisca lo statuto di scienza sono presenti
considerazioni e atteggiamenti che possono tranquillamente essere definiti ecologici: “l'idea
di ecologia è nata molto prima del nome”
18
. Ma un inizio chiaro non è definibile, non esiste
un singolo evento, un singolo personaggio o una singola nazione da cui far emergere
l'interesse per la natura. La verità è che i luoghi sono molti, i tempi sono diversi, i
personaggi implicati sono i più vari, e lo stesso sviluppo del movimento è irregolare (anche
perché le varie storie locali sono eterogenee).
E' però importante sottolineare come questo cambiamento si formi, in maniera
prevalente, proprio durante la maturazione e lo sviluppo della Rivoluzione Industriale.
L'enorme crescita economica dei nascenti paesi industrializzati, Inghilterra sopra tutti,
comporta il rovescio della medaglia dell'urbanizzazione selvaggia e dello sfruttamento
smisurato del materiale umano e naturale. La nascente cultura urbanistico-industriale della
fine del XVIII secolo trova una certa opposizione nella rivalutazione dei valori rurali e della
vita di campagna che viene enfatizzata nelle opere degli scrittori romantici. Non è un caso
che il rappresentante esemplare di questa tradizione sia un inglese (l'Inghilterra è la nazione
che maggiormente sta vivendo il fenomeno dell'industrializzazione), William Wordsworth,
17
Sul rapporto quotidiano con la natura nella modernità cfr. Keith Thomas, Man and Nature: A History of
Modern Sensibility, New York 1982 (trad. it. L'uomo e la natura: dallo sfruttamento all'estetica dell'ambiente,
Einaudi, Torino 1994).
18
Cfr. Donald Worster, Nature's Economy. A History of Ecological Ideas, Cambridge 1985 (trad. it. Storia
delle idee ecologiche, Il Mulino, Bologna 1994, p. 16).
10
il quale nelle sue poesie esprime un'intima affinità con il mondo naturale
19
. La poesia e la
filosofia di Wordsworth vogliono dar voce alla difesa dell'unione organica con la natura, ad
uno stile di vita estraneo alla combinazione di industrializzazione e mercato colpevole del
distacco dalla campagna rurale. Già nelle sue opere possono essere rintracciati i semi da cui
germoglieranno i primi movimenti conservazionisti inglesi: la concezione della bellezza dei
paesaggi, l'attenzione posta sui territori selvaggi (il poeta non esita a definirli sublimi), la
convinzione dell'importanza dell'aria aperta, il riconoscimento delle pratiche agricole
tradizionali. Ad una attenta analisi non sembrano passati duecento anni.
Come detto, Wordsworth è un caso esemplare dell'attenzione romantica per l'ambiente,
ma sicuramente non l'unico. Si potrebbero citare numerosi altri poeti inglesi, e non, che
contribuiscono alla diffusione della nuova sensibilità verso la natura, ma fra questi John
Ruskin gioca un ruolo particolarmente importante, poiché è il primo ad impegnarsi in una
campagna politica contro le conseguenze dell'azione umana sulla natura. Nel 1876 si oppone
alla costruzione di una linea ferroviaria che sarebbe dovuta passare all'interno del Lake
District e che avrebbe rischiato di distruggere l'ambiente naturale; in alternativa all'opera
civilizzatrice rappresentata dalla costruzione della ferrovia, Ruskin propone la protezione
della natura come rinvigorimento della fibra morale degli abitanti della campagna, “la cui
forza e virtù devono sopravvivere per rappresentare il corpo e l'anima dell'Inghilterra
precedente i giorni della decadenza meccanica e del disonore commerciale”
20
. Il suo
impegno non si ferma alla propaganda politica, ma si orienta verso la creazione di istituzioni
con lo scopo di ricreare la bellezza di un mondo destinato a scomparire a breve termine.
Se dalla letteratura ci si sposta al punto di vista storico-scientifico, si può riconoscere
l'influenza dell'esperienza di un curato di campagna, Gilbert White, solito ad affiancare allo
19
Sull'importanza di Wordsworth e dei suoi epigoni per la sensibilizzazione nei confronti del mondo naturale
cfr. Ramachandra Guha, Environmentalism. A Global History, New York ed Harlow 2000, pp. 10-17.
20
Ivi, p. 15.
11
svolgimento delle funzioni religiose momenti di ricerca e di svago nell'ambiente naturale di
Selborne, il villaggio rurale in cui risiede. Il suo libro The Natural History of Selborne
21
, che
vede la luce nel 1789, è un vero e proprio trattato scientifico sulla flora e sulla fauna
selvatiche, sull'avvicendarsi delle stagioni e sull'ordine naturale; ma la novità dell'opera
consiste nella complessa visione armonica che l'autore dà dell'ordine naturale: ogni
elemento dell'ambiente esterno contribuisce almeno in parte all'esistenza dello stesso, e
l'uomo non è altro che uno di questi elementi. La visione arcadica della vita rurale, la
concezione dell'uomo quale membro e cooperatore del disegno divino, la riconciliazione di
uomo e natura, sono idee che fortemente affascinano la generazione primottecentesca anglo-
americana, la quale cerca nelle parole del parroco-naturalista una sorta di fuga dalle grandi
città industrializzate alla ricerca della rigenerazione mentale e morale. The Natural History è
il primo trattato di storia naturale di stampo ecologico, una fonte inesauribile di esperienze
alternative e innovative per la nascente società industriale ed un referente importante per
coloro che si sarebbero impegnati nella difesa delle bellezze naturali.
Uomini come John Clare, William Morris, Edward Carpenter, poeti ma anche architetti e
uomini politici, continuano l'opera dei loro predecessori e vedono la nascita delle prime
associazioni ambientali verso la fine del XIX secolo: nel 1865 la Commons Preservation
Society, per la prevenzione dell'accrescimento smisurato delle città a scapito dei boschi; nel
1883 la Lake District Society, figlia delle battaglie di Ruskin; nel 1885 la Selborne League,
per la protezione di piante e uccelli rari; nel 1898 la Coal Smoke Abatement Society, che
fece grosse pressioni sul governo per rinforzare la legislazione sul controllo
dell'inquinamento
22
. I movimenti per la preservazione della vita selvaggia sono quindi
21
Gilbert White, The Natural History of Selborne, New York 1899. Sull'esperienza di White vedi Worster, op.
cit., pp. 25-49.
22
Cfr. Guha, op. cit., p. 16; ed anche John McCormick, The Global Environmental Movement, London 1989,
pp. 2-6.
12
affiancati da movimenti che lottano contro lo svilupparsi della società industriale,
movimenti che dipingono la fonte del potere politico ed economico della nazione come
distruttiva per l'ordine morale e sociale, la salute umana, i valori tradizionali, l'ambiente
fisico, e le bellezze naturali. L'azione politica di questi anni raggiunge il culmine con la
nascita del National Trust, istituito nel 1893 per proteggere l'eredità culturale e naturale
della nazione dalla normalizzazione causata dallo sviluppo industriale, ma dopo un
folgorante inizio perde efficacia, anche perché numerose associazioni vengono assorbite da
enti governativi poco inclini all'opposizione.
L'Europa continentale non rimane insensibile alla nuova visione della natura e alla critica
della società industriale. Soprattutto in Francia e Germania il sentimento romantico
contribuisce a dar corpo a una visone idealizzata della natura che riflette la tradizione
pastorale e rurale di Rousseau, Chateaubriand, Hugo, oltre che alla polemica contro il
progresso moderno e all'esaltazione del pre-moderno, tipica dell'ultimo Schelling. La
corrente romantica europea non cerca altro che una sorgente di rassicurante stabilità in un
mondo che rapidamente sta cambiando: l'ordine naturale diviene l'ideale di una società
alternativa. A cavallo del secolo gruppi e movimenti di pressione proliferano anche nel
Nord Europa, mentre al sud il ritardo del processo di modernizzazione comporta anche un
ritardo a livello di sensibilità ecologica; il risultato è la diffusione, nei paesi settentrionali,
della legislazione per la protezione della natura, soprattutto nei confronti di alcune specie
animali, la creazione di numerosi parchi nazionali, e l'inizio della collaborazione
internazionale fra i vari movimenti
23
, mentre nel sud del continente l’interesse rimane
puramente artistico.
23
Cfr. Russel J. Dalton, The Green Rainbow. Environmental Groups in Western Europe, New Haven &
London 1994, pp. 26-30.