44
2.1 La segregazione di status occupazionale
In teoria, le donne hanno la possibilità di accedere a qualunque professione desiderino, in
pratica però ciò non accade; le loro scelte risultano delimitate da confini molto ristretti.
Si parla di “confini” ma sarebbe più giusto chiamare le cose col proprio nome, per tale
motivo è opportuno chiarire il concetto di “segregazione”
12
nel gergo comune ci si
riferisce alla suddivisione spaziale tra uomini e donne posta alla base della subordinazione
femminile.
Con tale espressione, strettamente legata al concetto glass ceiling di cui si è ampiamente
discusso in precedenza, si vuole definire un’ineguale distribuzione per genere degli
individui tra le diverse occupazioni” (Strober, 1987). In questo contesto è opportuno far
luce sul fenomeno definito: segregazione di status occupazionale inteso come una
maggiore concentrazione di donne o di uomini in determinati livelli di attività e
occupazione, da questo particolare evento deriva una ineguale distribuzione degli
individui all’interno delle diverse attività lavorative. La segregazione occupazionale è
generalmente misurata da un “indice di segregazione” che varia da zero (nel caso di
completa integrazione) a cento (nel caso di completa segregazione)
3
”. La stessa può
essere assumere due accezioni differenti: segregazione orizzontale e segregazione
verticale. La prima, si verifica quando le donne si ritrovano confinate in una gamma di
settori e occupazioni ampiamente limitata rispetto a quella degli uomini mentre la
seconda, si palesa nell’istante in cui alle donne sono riservate determinate posizioni
lavorative, specifici livelli di responsabilità; privandole della possibilità di raggiungere
posizioni di spicco, riservandole solo specifici gradi gerarchici.
L’origine della segregazione occupazionale è da imputare ad una concezione comune
secondo la quale le donne sono destinate a ricoprire solo determinati ruoli, tanto è vero
che nell’immaginario collettivo sono qualificate come le sole “adatte” a svolgere mestieri
ed occupare settori che rappresentano il prolungamento delle funzioni domestiche. Da
troppo tempo, infatti, la società si basa su una visione tradizionalista della donna,
continuamente legata a stereotipi sociali che la confinano a svolgere dei futili ruoli di
2
TRECCANI, «Con significato più generico, separazione, che si specifica ulteriormente con accezioni
proprie in alcune discipline». http://www.treccani.it/vocabolario/segregazione.
3
STROBER M. H., 1987, Occupational Segregation, voce del dizionario di economia “The New Palgrave”,
Eatwell J., Miligate M, Newman P.
45
back office, si tratta di carriere predefinite, come: parrucchiera, estetista, segretaria,
infermiera, insegnante, assistente sociale, commessa e molti altri ancora. Questi lavori
sono caratterizzati da basse retribuzioni, qualificazioni poco elevate e scarse prospettive
di carriera ma, sono più conciliabili rispetto ad altri permettendo alle stesse di gestire più
facilmente le responsabilità familiari, ad esempio; prediligono tali attività perché
garantiscono l’adozione di orari flessibili, la sede lavorativa non è molto distante dal
proprio domicilio e alle donne non sono richiesti interventi straordinari o improvvisi
trasferimenti.
La segregazione occupazionale assume un preciso significato discriminativo quando
anche a parità di istruzioni e di mansioni alle donne viene riconosciuto un salario più
basso di quello maschile.
Di seguito vi è l’enumerazione delle cause che generano la segregazione occupazionale
in Italia: “la divisione familiare dei ruoli, la discriminazione sessuale, le scelte formative
e i meccanismi che governano i percorsi di carriera nelle organizzazioni gerarchiche. Se
ne trae la conclusione che gli stereotipi di genere che sono all’origine della segregazione
occupazionale riducono l’efficienza del sistema economico perché portano al
sottoutilizzo della forza lavoro femminile e ne distorcono l’investimento in capitale
umano. Da qui l’utilità sociale delle politiche di desegregazione
4
”.
In assenza di una concertazione tra imprese, istituzioni e famiglie sui temi della
conciliazione e della flessibilità, la leadership maschile resta l’unico modello di
rifermento.
“Il fenomeno della segregazione occupazionale è determinato da fattori che agiscono sia
dal lato dell’offerta di lavoro sia da quello della domanda. Dal lato dell’offerta di lavoro
intervengono meccanismi legati al modello di divisione del lavoro nella famiglia, al ruolo
sociale del lavoro, alle diverse scelte d’investimento formativo tra uomini e donne. Dal
lato della domanda incidono schemi precostituiti sulla minore produttività femminile, la
4
ROSTI L., SIMONAZZI A., 2006, “La segregazione occupazionale in Italia- Questioni di genere,
questioni di politica. Trasformazioni economiche e sociali in una prospettiva di genere”, Carocci Editore.
46
doppia occupazione delle donne (in casa e sul posto di lavoro), ma anche preferenze
soggettive dei datori di lavoro
5
”.
Dalle recenti ricerche relative “all’imprenditoria femminile italiana”
6
centrale è la figura
della “career woman”
7
, una donna manager che con un certo ottimismo si fa strada nei
ruoli gerarchici più alti, prima generalmente considerati di pertinenza esclusivamente
maschile; in pratica è una donna che compete «con gli uomini per l’assunzione di ruoli
decisionali vantando credenziali e competenze elevate, e adeguandosi agli unici modelli
esistenti, quelli maschili
8
».
Nell’ultimo decennio sono numerosi gli studi condotti sul tasso di occupazione femminile
in Italia, i quali indicano che molti cambiamenti positivi sono avvenuti, sia in termini
quantitativi assoluti sia in termini qualitativi: i tassi di occupazione femminile sono
aumentati e molte resistenze relative alla carriera e agli ambiti occupazionali delle donne
sono cadute o si sono comunque indebolite
9
.
Il lavoro forza la divisione tra i due soggetti dotando la donna di una maggior autonomia.
10
Il Sole24Ore riporta che: «Il tasso di occupazione delle donne (15-64 anni) a giugno ha
raggiunto il 48,8%. Il valore, ha sottolineato l’Istat, più alto dall’avvio delle serie
storiche (dal 1977). Tuttavia, per integrare a pieno le donne italiane nel mercato del
5
Posizione femminile nel mercato del lavoro e grado di segregazione occupazionale
in Abruzzo,
http://www2.regione.abruzzo.it/xConsiglieraParita/docs/donneLavPres/Cresa_rapporto2006_Cap_3_2.pdf
6
OSSERVATORIO CAMERALE, Sistema camerale 2010. Le Camere di commercio, a fianco delle
imprese, a sostegno dello sviluppo, cit., e Ministero per le Attività produttive, osservatorio per
l’imprenditoria femminile, documento consultabile online al link: http://www.osservatoriodonna.it.
7
KLEIN V., MYRDAL A., 1973, I ruoli della donna. famiglia e lavoro, p. 28, Armando. Per career woman
si intende una «creazione di origine borghese sintomatica della seconda fase della rivoluzione sociale»
degli anni sessanta e settanta che rompeva la ripartizione dei ruoli “ideali” femminili della «brava
casalinga» e della «signora da salotto».
8
PRUNA M.L., 2007, , Donne al lavoro, p.100, Il Mulino.
9
Difatti “oggi, rispetto a trent’anni fa, la donna va oltre, guarda ancora avanti, e vede la possibilità di
lavorare e non dipendere da nessuno se non da sé stessa; la donna italiana, alla pari di quella tedesca,
francese e spagnola vuole lavorare in proprio, “creare impresa” in altre parole “mettersi in gioco”.
“Creare impresa”, oggi, nonostante la crisi economica di questi anni, è per tutti una possibilità e lo è
anche per la donna. “fare impresa” è anche un modo di essere più libere, un’opportunità in piazza e
diversa per esprimere meglio se stesse, le proprie qualità e le proprie conoscenze acquisite durante gli
studi universitari e post-universitari nel lavoro quotidiano” BONUGLIA R., 2018, L’imprenditoria
femminile italiana tra ricerca e innovazione, Youcanprint.
10
“Ottimisticamente, si è pensato di aver intrapreso la strada giusta, ma l’Italia ha mancato gli obiettivi
posti dall’Europa di una ancora maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro e di un più
diffuso presidio delle posizioni di vertice all’interno delle organizzazioni”. Betti e Verashchagina, 2009;
Bettio, Smith e Villa, 2009; Banca d’Italia, 2011; OECD, 2012.
47
lavoro c’è ancora molta strada da fare: in base ai dati Eurostat, l’Italia è agli ultimi posti
nel confronto europeo (solo la Grecia fa peggio)».
11
( tavola 2.1).
Tavola 2.1 Tasso di occupazione persone di 15-64 anni, anni 2008-2016
Fonte: ISTAT- Elaborazione su dati Rilevazione Sulle Forze Lavoro.
È importante elencare alcune delle motivazioni che non consentono di innalzare il livello
della partecipazione femminile. Esse sono molteplici e ampiamente note: dalla carenza di
servizi per la conciliazione tra vita professionale e familiare, alla ineguale distribuzione
del lavoro domestico e di cura all’interno della famiglia, alla persistenza di stereotipi di
genere che, spesso occultati o sminuiti, di fatto producono nuove disuguaglianze e
discriminazioni.
Col passare degli anni il manifestarsi di questi spiacevoli contesti è aumentato. In vero,
lo status di segregazione occupazione è da imputare principalmente al forte grado di
segmentazione che caratterizza il mercato del lavoro italiano, con questa affermazione ci
si riferisce alle barriere poste all’accesso e alla mobilità che risultano più presenti sui
livelli di qualificazione più bassi.
Viste le numerose attività che popolano la vita extra-lavorativa delle donne, esse
preferiscono una carriera da dipendente piuttosto che avviare un’attività autonoma, in
quanto la prima non solo garantisce una maggiore protezione sociale ma, consente alle
stesse di rintagliare più tempo per loro.
11
MARINI A., Occupazione record per le donne, ma l’Italia resta al penultimo posto in Europa,
http://www.ilsole24ore.com
48
Le difficoltà che scaturiscono dalla segregazione sono da osservarsi all’interno di un
contesto lavorativo moderno, laddove gli agenti economici sono diversi fra loro e
dispongono di notevoli informazioni private. L’obiettivo ultimo è di massimizzare il
benessere collettivo mettendo la persona giusta al posto giusto, tanto è vero che affinché
sia perseguito l’interesse generale è opportuno che le posizioni apicali siano ricoperte da
persone dotate di un intelletto superiore. A sostegno di questa affermazione sono gli studi
condotti nel 1982 dalla ricercatrice Sherwin Rosen che all’interno di Bell Journal of
Economics afferma che: “Al vertice delle organizzazioni gerarchiche, infatti, le decisioni
errate possono produrre danni enormi rovesciandosi a cascata sui livelli decisionali
sottostanti, ed è quindi razionale affidare queste decisioni alle menti più capaci di cui si
dispone, al fine di minimizzare il rischio di errori
12
”. Se si volesse paragonare il grado di
intelligenza maschile e femminile emergerebbe che gli uomini e le donne hanno lo stesso
livello cognitivo e di conseguenza l’investimento in termini di capitale umano è effettuato
secondo criteri razionali e efficienti che hanno l’obiettivo di incentivare gli individui più
dotati ad investire sulla loro cultura, avviando corsi di formazione e innalzando il loro
livello di istruzione; ciò facilità il meccanismo di collocamento sul mercato del lavoro.
Osservando i risultati accademici conseguiti dalle donne emerge che il loro rendimento è
nettamente superiore rispetto a quello maschile, questo, dovrebbe significare che meritino
una posizione lavorativa equiparata al proprio livello di istruzione ma, in realtà i dati
mostrano un rapporto dimetricamente opposto.
La società sostiene un onere ogni volta che prende una decisione sbagliata che si rivela
essere nociva in termini di investimento di capitale umano. Queste situazioni si verificano
ogni qualvolta si decide di non assegnare dei ruoli di responsabilità alla componente
femminile. Nella fattispecie ci si riferisce ad un costo molto alto dovuto all’inutilizzo del
cinquanta per cento del capitale umano in termini di potenziale intellettivo di cui dispone
la società. Quindi, per evitare che la società supporti un onore così alto, ossia ogni volta
che una posizione lavorativa viene affidata ad un uomo meno talentuoso di una donna che
12
ROSEN S., 1982, Authority, Control, and the Distribution of Earnings, “Bell Journal of Economics”,
https://econpapers.repec.org/article/rjebellje “L’intelligenza di cui dispone la società è quella incorporata
nella mente di uomini e donne, che per mezzo dell’istruzione e della formazione la trasformano in
quell’insieme di abilità innata e di competenze acquisite che gli economisti chiamano capitale umano, e
che è la più importante forma di capitale (sia come quantità che come qualità) delle economie moderne.
D'ISANTO G. F., 2013, Segregazione di genere e differenziali salariali nel mercato del lavoro italiano: Il
caso delle organizzazioni non profit, p.96, Giappichelli Editore.
49
compete per la medesima qualifica, è fondamentale l’adozione di importanti politiche di
desegregazione. Tali politiche sono necessarie, almeno, fin quando la società rispecchi
una distribuzione egualitaria della intelligenza tra i generi.
2.1.1 Il valore aggiunto del bilanciamento dei sessi nelle aziende
La seconda rivoluzione industriale segna l’inizio del processo di rinnovamento del
sistema di erogazione dei beni e/o servizi che le imprese erano solite adottare. In passato,
era di uso comune organizzare l’attività produttiva grazie ad una struttura predefinita; la
cosiddetta “catena di montaggio”. Tale sistema tendeva a creare un ambiente di lavoro
meccanico e privo di componenti emotive; ai dipendenti era richiesto l’adozione di un
comportamento predefinito e nozioni cognitive basilari sufficienti ad assemblare i pezzi
nei modi e nei tempi stabiliti, non era previsto fare altrimenti.
La situazione appena descritta rappresenta un chiaro esempio di una forma di produzione
remota e obsoleta. Per trovare una soluzione a questa obsolescenza, fu impellente il
bisogno di innovarsi. Tale ammodernamento fu avviato grazie al rinnovamento del
sistema imprenditoriale volto a soddisfare le esigenze della società moderna. L’obiettivo
ultimo era quello di modificare la modalità di produzione e di erogazione dei beni
prodotti. Si tratta di una trasformazione graduale che mira a modificare il sistema
economico per offrire al cliente un prodotto arricchito mediante componenti di servizi.
Dunque, nel futuro imminente, ciò che resta della struttura della catena di montaggio è
destinata a sparire, diventando un retaggio del passato. Si tratta di un particolare contesto
in cui “l’attenzione si sposta dal back office, dalla fabbrica, verso il front office, il
momento di contatto con il cliente
13
”. Ed è in questa circostanza che le relazioni instaurate
con i dipendenti assumono una connotazione nuova. Da questo momento in poi, saranno
denominati collaboratori così come le risorse umane si sostituiscono ai vecchi uffici del
personale. Questo è il quadro che si presenta quando l’employee engagement assume un
ruolo centrale nell’organizzazione aziendale, in quanto esso “influenza sia i processi
13
MAZZEI A., 2018, Engagement e disengagement dei collaboratori: Comunicazione interna e
valorizzazione delle risorse umane per un contesto di voce, p.9, Franco Angeli.
50
aziendali e la loro produttività sia i rapporti che l’azienda ha con l’esterno, nel momento
in cui entra in contattato con chi è interessato alla sua offerta
14
”.
È opportuno fare chiarezza sul concetto di “employee engagement” che negli ultimi anni
ha capitalizzato l’attenzione sia in ambito aziendale sia in ambito accademico. Tale
concetto non risulta avere, ancora oggi, una definizione universalmente riconosciuta
malgrado siano state innumerevoli le ricerche condotte, gli strumenti utilizzati, le energie
impiegate e il tempo speso.
Il concetto di employee engagement è entrato a far parte del nostro gergo quotidiano e
potrebbe semplicemente essere tradotto come “occupare, ottenere o coinvolgere
l’interesse o l’attenzione di qualcuno; esso include dimensioni tipicamente
comportamentali, come il farsi coinvolgere o partecipare a attività quali dialoghi,
conversazioni o azioni che concernano un impegno relazionale focalizzato. L’evoluzione
storica del concetto di engagement presenta definizioni caratterizzate da una certa
propedeuticità e da concetti strutturali comuni quali lo “stato psicologico, la motivazione
e l’affettività
15
” . Dunque, qualsiasi sia la definizione o la traduzione che si vuole
utilizzare, essa non sarà mai esaustiva nel comprendere le mille sfaccettature del concetto.
Quindi, innumerevoli sono i significati che può assumere tale terminologia; “molte delle
quali fanno riferimento a una gamma di concetti riferiti alla gestione delle risorse umane
(HRM) e al comportamento organizzativo, come: dedizione al lavoro, impegno verso
l’organizzazione soddisfazione sul lavoro, motivazione, funzionamento ottimale.
Tuttavia, in quei concetti c’è sempre un tratto in comune: l’engagement viene visto come
un modo di essere, uno stato interno
16
”.
Sebbene si sia cercato di chiarire tale concetto, si è sorvolato sul fatto che l’engagement
non è un qualcosa di meccanico che può semplicemente essere richiesto dal datore di
lavoro al proprio dipendente, ma si tratta di qualcosa che il lavoratore può offrire. La
circostanza appena descritta si verifica quando gli operai vengono trattati come essere
umani; si tiene conto dei loro bisogni, delle loro necessità e dei loro lavori. Così facendo
14
Ibidem, p.10.
15
ALBERGGIANI G., LAMARQUE A., TODISCO S., ZUCCA C., 2015, Digital enterprice: Innovare e
gestire le organizzazioni 2.0., Hoepli Editore.
16
BRIDGE E., 2016, Employee engagement: Come ottenere il massimo da dipendenti soddisfatti e motivati,
I ed., Edizioni LSWR.
51
si tende a rimuovere il rapporto antagonistico tra management e collaboratori, trattando
questi ultimi come degli esseri umani è più facile che collaborino e lottino per difendere
gli interessi comuni. In accordo con quanto definito dall’Osservatorio HR Innovation
practice (in occasione del Kick Off del MIP, 2016), l’employee engagement è sinonimo
di crescita, benessere e profitto. Numerose sono le motivazioni che muovono tale
affermazione, a partire dalle più banali: un dipendente soddisfatto è produttivo, conscio
del ruolo che ricopre nell’organizzazione. Offre un contributo attivo allo sviluppo del
business. In vero, si tratta di un approccio che incrementa il livello di coinvolgimento
rispetto ai valori aziendali, innalza il livello lealtà e di orgoglio nei confronti
dell’organizzazione. Dunque si adopera affinché le condizioni lavorative siano ottimali
auspicandosi che tutti i collaboratori, eseguendo la loro prestazione lavorativa, diano il
meglio di sé.
Ed è in quest’ottica che opera l’impresa moderna; la quale cerca sempre di avere un
contatto diretto con i propri impiegati per evitare che questi ultimi siano spinti a lasciare
la loro occupazione. In virtù del fatto che se questo dovesse accadere vorrebbe dire che
la società avrebbe una grossa perdita, misurabile non solo sui costi sostenuti per
l’assunzione e la formazione, ma sui rischi che si corrono quando l’impresa debba
nuovamente impegnarsi sul mercato del lavoro per trovare una persona egualmente
valida. Si sa che tale rischio è strettamente connesso alle remote possibilità di trovare la
persona adatta. Per evitare che tale problema si presenti è opportuno che la società
comprenda, almeno in parte, cosa si cela dietro le menti dei propri dipendenti. Sul questo
fronte, è stato redatto il sesto report annuale dall’Employee Engagemt Trends per scoprire
il coinvolgimento degli impiegati. L’accurata osservazione è stata eseguita estrapolando
i dati dei sondaggi; ottenuti grazie alla somministrazione di più di 500 mila test ai
dipendenti che lavorano in circa 8.700 organizzazioni aziendali che hanno partecipato
all’ultimo “Best places to work” negli Stati Uniti. Tale indagine è stata elaborata dal
software house Quantum Workplace. Lo studio ha evidenziato che il livello di istruzione
è direttamente correlato all’engagement (senso di coinvolgimento). In particolare, dice il
rapporto presentato da Quantum che: «i dipendenti coinvolti sono più produttivi, più
redditizi, più incentrati sul cliente, e hanno più probabilità di rimanere». Quindi sono
fondamentali le energie spese per coinvolgere il lavoratore nei processi produttivi.
L’obiettivo può essere raggiunto solo se la sua mansione risulti essere interessante e