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INTRODUZIONE
Con quest’opera si vuole trasportare il lettore in un viaggio di esplorazione della
figura dell’infermiere, guardandola dal punto di vista del diritto. La professione
infermieristica non è di certo una nuova professione ma le sue origini e la sua
nascita nel nostro territorio sono molto lontane. L’evoluzione storico- legislativa
risulta importante come la crescita e il cambiamento che ha portato con sé. Il
momento storico in cui si scrive (fine 2018- 2019) è un’epoca di grande movimento
normativo in ambito sanitario e di necessità di maggiore affermazione per la
figura infermieristica. Il legislatore ed i giuristi abbandonano il mero riferimento
alla figura del medico per parlare concretamente di esercente la professione
sanitaria includendo l’infermiere. Nel 1940 veniva approvata una prima
regolamentazione per l’esercizio della professione infermieristica con r.d.
1310/1940, il cd. mansionario che verrà abrogato sessanti dopo con la legge 42 del
1999, rimanendo un’ombra ancora oggi presente tra gli infermieri. È del 1994 il
decreto ministeriale che introdurrà il profilo professionale dell’infermiere. Il
legislatore affermerà che il campo proprio di attività e di responsabilità sarà
determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili
professionali, dagli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma
universitario e dei rispettivi corsi di formazione post-base e dagli specifici codici
deontologici. Nel 2000 per la prima volta verrà anche esplicitato il concetto di
autonomia nell’esercizio delle professioni sanitarie così completando le funzioni
enunciate nel d.m. 739/1994. Negli anni cinquanta del novecento vennero istituiti i
Collegi delle infermiere professionali, delle assistenti sanitarie visitatrici e delle
vigilatrici d’infanzia (IPASVI). Tale ente è stato il protagonista indiscusso sino alla
legge 3 del 2018 che finalmente istituisce l’Ordine professionale degli infermieri
(FNOPI), mettendo in pratica la previsione della legge 43/2006 che non vide mai
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applicazione. È il 2017 quando interviene la più importante riforma della
responsabilità sanitaria conosciuta come la legge Gelli o Gelli- Bianco, Disposizioni
in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di
responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. Una riforma intenta a
ripristinare un corretto rapporto tra professionista sanitario e paziente superando
l’esperienza passata incentrata sul controllo e sulla sanzione invece che sulla
prevenzione dei danni, dei rischi e sulla protezione del paziente. Si realizza così
più solidamente la cd. alleanza terapeutica che riequilibra i rapporti e agisce sulla
medicina difensiva minimizzandone l’uso e concentrandosi sull’adeguatezza e
prontezza delle cure e sulla gestione dei rischi. Uno dei presupposti della legge
24/2017 è la necessità di riequilibrare la funzione giurisdizionale e la natura del
rapporto tra il paziente e il professionista sanitario con un conseguente
disallineamento della posizione dell’operatore sanitario rispetto a quella
dell’azienda. Il rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria crea
un vincolo negoziale dal quale dipendono gravosi oneri in capo alla struttura. Al
terzo comma dell’art. 7 della legge Gelli leggiamo nero su bianco il ritorno al
regime di responsabilità aquiliana, per gli esercenti le professioni sanitarie,
prospettato nella giurisprudenza precedente alla storica sentenza del 1999 che
apre la strada alla teoria del contatto sociale. Il legislatore modifica, attraverso
l’art. 6, il codice penale introducendo una autonoma fattispecie di reato per il caso
di morte o lesioni come conseguenza di condotta colposa in ambito sanitario, l’art.
590- sexies cp. Per la prima volta, nel codice, si parla di “esercente la professione
sanitaria”. Inoltre, abroga il comma 1 dell’art. 3 della ormai pensionata legge
Balduzzi il quale, ricordiamo, recitava: << L’esercente la professione sanitaria che
nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche
accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In
tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il
giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente
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conto della condotta di cui al primo periodo.>>. Quando si parla di responsabilità
professionale non si può non soffermarsi sulla responsabilità disciplinare la quale
sarà analizzata attraverso due percorsi in virtù dello status dell’infermiere,
pubblico dipendente o libero professionista, chiudendo la trattazione con una
veloce disamina della documentazione infermieristica.
Gli importanti interventi legislativi e le trasformazioni degli ultimi anni hanno
portato ad una evoluzione della professione infermieristica italiana se ben ancora
molto distante dagli altri colleghi europei ed americani. Nuove e più competenze
che l’infermiere deve garantire nell’esercizio della sua professione. Con
l’acquisizione di maggiori responsabilità e competenze trovano i natali nuove
figure professionali sempre più specializzate nei vari ambiti assistenziali. Tra le
recenti novità viene annoverata la figura dell’infermiere legale- forense, nata in
Italia solo agli inizi del ventunesimo secolo e ancora in un importante fase di
affermazione. L’infermiere legale e forense è l’operatore sanitario che riesce ad
applicare la scienza infermieristica alle questioni legali, è il professionista
specializzato nella valutazione di ogni aspetto giuridico e giurisprudenziale che
riguardi l’esercizio dell’assistenza infermieristica. La principale area di intervento
dell’infermiere specializzato nell’ambito legale e forense è l’attività peritale e di
consulenza. Quest’ultima tipologia di intervento infermieristico ha avuto
un’importante evoluzione nell’ultimo anno, sulla scia della riforma Gelli e del suo
art. 15, la neonata FNOPI si è dovuta adoperare per la creazione di specifici albi
presso i tribunali dove potessero iscriversi gli infermieri andando a stipulare il
protocollo d’intesa con CSM e CNF del 24 maggio 2018, con lo scopo di
armonizzare i criteri e le procedure di formazione degli albi dei periti e dei
consulenti tecnici. L’accordo richiede ai futuri periti/consulenti il possesso di una
speciale competenza che non si esaurisce nel mero possesso del titolo abilitativo
alla professione, ma si sostanzia nella concreta conoscenza teorica e pratica della
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disciplina, come può emergere sia dal curriculum formativo e/o scientifico sia
dall’esperienza professionale del singolo esperto (art. 3 Protocollo d’intesa).
Rilevanti novità sono introdotte anche dall’art. 8 della legge 24/2017 in materia di
responsabilità sanitaria dal punto di vista processuale. Scopo della norma è quello
di diminuire il contenzioso giudiziario attraverso l’utilizzo di metodi alternativi di
risoluzione delle controversie e di evitare azioni civili risarcitorie cd. esplorative o
solamente ritorsive nei confronti della classe medico- sanitaria.
Ciò nonostante, nell’attuale condizione del mondo sanitario italiano imperversa la
cd. cultura della colpevolezza, conseguenza e causa di questo il fenomeno della
medicina difensiva e quindi l’esponenziale aumento del contenzioso sanitario.
Infatti, la presa di coscienza dell’importanza del clinical risk management, in
Italia, è recente. E così la legge Gelli ha un altro merito, aver posto l’attenzione sul
concetto di prevenzione, prevenire gli errori nell’erogazione delle cure, prevenire
risultanti danni ai pazienti, prevenire conseguenti contenziosi giudiziari
comprensivi di sanzioni penali e risarcitorie. C’è la consapevolezza che un buon
sistema di gestione del rischio clinico – un virtuoso sistema di indagine, allerta e
monitoraggio degli eventi avversi – sia uno strumento di vantaggio per i
professionisti sanitari oltre che per i pazienti. L’intento è quello di abbandonare la
“cultura della colpevolezza” sostituendola con una “cultura della sicurezza”. La
sicurezza delle cure è la base per una buona assistenza sanitaria e ciò emerge
chiaramente dalla lettura dell’art. 1 della legge in commento. L’erogazione di cure
sicure ridurrà la probabilità del manifestarsi di danni a carico dei cittadini e
proteggerà il principio fondamentale del diritto alla salute in accordo anche con
quanto stabilito nel codice deontologico degli infermieri. Significante, altresì, la
previsione dell’art. 16: <<I verbali e gli atti conseguenti all’attività di gestione del
rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell’ambito di procedimenti
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giudiziari>>. Cade così una delle principali resistenze alla collaborazione per la
rilevazione degli eventi avversi da parte degli operatori sanitari.
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Capitolo 1
PERCORSO STORICO- LEGISLATIVO DELLA FIGURA
DELL’INFERMIERE, IL RICONOSCIMENTO
PROFESSIONALE.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il processo di riforma del sistema
formativo dell’infermiere. – 3. Il profilo professionale e il
riconoscimento della responsabilità dell’infermiere nell’esercizio di
funzioni non limitate a quelle di un mansionario. – 4. La legge 43/2006.
– 4.1 Ordini o ancora Collegi professionali? – 4.2 Gli articoli 1 e 2. – 5.
L’infermieristica forense.
1. Premessa.
Per parlare della responsabilità infermieristica odierna è necessario andare
indietro nel tempo e osservare l’evoluzione storica, dal punto di vista legislativo,
della figura dell’infermiere.
E’ necessario chiarire sin da subito cosa intendiamo oggi per “infermieristica”: un
corpus complesso di attività di tipo tecnico, relazionale ed educativo; prendersi
carico delle conseguenze della malattia di tipo fisiologico, psicologico e sociale,
nell’ambito del vivere quotidiano e dell’autonomia della persona considerata nella
sua totalità e soggettività; conoscenze e strumenti teorico-metodologici volti
all’esercizio delle funzioni di tutela e promozione della salute, individuale e
collettiva.
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2. Il processo di riforma del sistema formativo dell’infermiere.
L’evoluzione dell’esercizio della professione è andata di pari passo con il processo
di riforma del sistema formativo dell’infermiere.
Le prime scuole sorgono nel XX secolo su iniziativa di organizzazioni private
come Croce Rossa Italiana e istituzioni religiose. Nel 1925 ha i suoi natali la prima
normativa statale, r.d.l. 1832/1925, Facoltà dell’istituzione di scuole- convitto
professionali per infermiere e di scuole specializzate di medicina, igiene pubblica e
assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici, la quale regolamenta l’istituzione e
il funzionamento delle scuole infermieristiche.
Nel 1934 le norme di formazione infermieristica vengono inserite all’interno del
Testo Unico delle leggi sanitarie, r.d. 1265/1934, nel capo III “Delle professioni
sanitarie”, Sezione I “Delle infermiere diplomate”, art. 130 ss. Riportiamo di
seguito alcuni degli articoli più salienti:
Art. 130
Le università con facoltà di medicina e chirurgia, i comuni, le istituzioni pubbliche di beneficienza
e altri enti morali, possono essere autorizzati con decreto del Ministro per l’interno, di concerto col
Ministro per l’educazione nazionale e sentito il consiglio superiore di sanità, a istituire scuole-
convitto professionali per infermiere. […]
Art. 133
Le scuole convitto professionali per infermiere debbono funzionare presso un pubblico ospedale
dotato di reparti di medicina e chirurgia che abbiano sufficiente disponibilità di servizi in
proporzione al numero delle allieve e provvedere con le proprie infermiere (capo-sala, infermiere
diplomate, allieve) alla assistenza immediata di una parte, almeno, delle corsie dell’ospedale.
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Qualora, in una determinata località, non sia possibile istituire scuole- convitto professionali per
infermiere presso ospedali pubblici, il Ministero dell’interno, di concerto con quello
dell’educazione nazionale, può autorizzare l’istituzione di dette scuole anche presso istituti privati,
purché rispondano ai requisiti indicati nel comma precedente.
Art. 135
Per l’ammissione alle scuole- convitto è prescritta, come titolo di studio minimo, la licenza di
scuola media inferiore o di scuole di avviamento o altro titolo di studio equipollente.
Nelle scuole convitto le allieve compiono un corso biennale teorico pratico, con relativo tirocinio.
Quelle che alla fine del biennio abbiano superato apposito esame conseguono un diploma di Stato
per l’esercizio della professione di infermiera.
Presso le scuole- convitto può essere istituito un terzo anno di insegnamento per l’abilitazione a
funzioni direttive.
Le allieve, che, dopo aver conseguito il diploma di Stato per l’esercizio della professione di
infermiera, abbiano superato con esito favorevole anche gli esami del terzo corso, conseguono uno
speciale certificato di abilitazione.
Il Testo Unico inoltre stabilisce le condizioni necessarie per l’esercizio delle
professioni sanitarie. Rivestono particolare interesse gli articoli 99 e 100.
Art. 99.
È soggetto a vigilanza l’esercizio della medicina e chirurgia, della veterinaria, della farmacia e delle
professioni sanitarie di levatrice, assistente sanitaria visitatrice e infermiera diplomata. […]
La vigilanza si estende:
a) all’accertamento del titolo di abilitazione;
b) all’esercizio delle professioni sanitarie e delle arti ausiliarie anzidette.
Art 100.
Nessuno può esercitare la professione medico- chirurgo, veterinario, farmacista, levatrice,
assistente sanitaria visitatrice o infermiera professionale, se non sia maggiore di età e abbia
conseguito il titolo di abilitazione all’esercizio professionale, a norma delle vigenti disposizioni.
[…]
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Dalla lettura dei citati articoli emerge la prima delle condizioni legali per
l’esercizio della professione: il possesso del titolo di abilitazione all’esercizio
professionale, che oggi si consegue con la laurea universitaria. L’esame finale, a
cui sono soggetti gli studenti universitari iscritti al corso di infermieristica,
<<consiste in una prova scritta e in una prova pratica, -che- abilita all’esercizio
professionale>>
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. Il disposto è recepito nel decreto interministeriale dell’aprile 2001,
Determinazione delle classi delle lauree universitarie delle professioni sanitarie, il quale
all’art.6 afferma che la prova finale dei corsi di laurea afferenti alle classi di cui al
presente decreto ha valore di esame di stato abilitante all’esercizio professionale.
Alcuni anni dopo, nel 1940, veniva approvata una prima regolamentazione per
l’esercizio professionale degli infermieri con r.d. 1310/1940, Determinazione delle
mansioni delle infermiere professionali e degli infermieri generici. Tale norma, di
notevole importanza, fu modificata con d.p.r. 225/1974, Modifiche al regio decreto 2
maggio 1940, n. 1310, sulle mansioni degli infermieri professionali e infermieri generici. Il
regolamento, r.d. 1310/1940, viene comunemente conosciuto con il nome di
“mansionario”, ora abrogato secondo quanto disposto dalla legge 42/1999 che
verrà analizzata successivamente. Il Titolo I del suddetto mansionario era
intitolato “Mansioni dell’infermiere professionale” e conteneva i seguenti articoli:
Art. 1
Le attribuzioni di carattere organizzativo ed amministrativo degli infermieri professionali sono le
seguenti:
a) programmazione di propri piani di lavoro e di quelli del personale alle proprie dipendenze,
loro presentazione ai superiori e successiva attuazione;
b) annotazione sulle schede cliniche degli abituali rilievi di competenza (temperatura, polso,
respiro, pressione, secreti, escreti) e conservazione di tutta la documentazione clinica sino al
1
D.lgs. 502/1992, Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art.1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421,
art.6.