2.3 Contraffazione alimentare: la dimensione del fenomeno
La pirateria agroalimentare internazionale, che cerca di evocare impropriamente il nostro
Paese, è in continua crescita, con danni miliardari per le imprese nazionali. Il business supera
ormai i 52,5 miliardi di euro l’anno, praticamente poco meno della metà del fatturato del
settore. [CIA NAN 124] e oltre il doppio del fatturato dell’export agroalimentare che si è
attestato nel 2007 sui 25 miliardi di Euro (Vedi GRAFICO 1).
GRAFICO 1 – Andamento export agroalimentare italiano [INEA 2007]
In altre parole, se venisse uno dato stop alla contraffazione alimentare internazionale, le
esportazioni di prodotti agroalimentari italiani potrebbero abbondantemente triplicare.
La lotta ai falsi prodotti italiani che tolgono spazio di mercato a quelli autentici acquisisce
perciò anche la valenza di scelta essenziale per la sopravvivenza stessa di molte imprese
italiane.
Ci troviamo davanti ad un immenso «supermarket del falso», dell’«agro-scorretto» [CIA
NAN 124], una realtà difficile da contrastare, che porta nei punti-vendita di tutto il mondo
imitazioni dei prodotti italiani, contro cui si sta cercando di intervenire sia attraverso lo
sviluppo di specifiche trattative in ambito europeo ed internazionale, sia con l'adozione di
provvedimenti “mirati” per la tutela dei prodotti alimentari tipici minacciati dalle imitazioni
e da palesi contraffazioni, come ad esempio la diffusa contraffazione del Parmigiano
Reggiano.
Purtroppo la forte frammentazione produttiva (67.000 imprese con 470.000 addetti)
indebolisce la capacità di contrastare il fenomeno.
Per cercare di arginare l’«agropirateria» sono stati registrati, presso le Camere di commercio
internazionali, i prodotti italiani agroalimentari esposti a maggior rischio di imitazione
[Belletti 2007]: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Asiago, Montasio, Pecorino, Fontina,
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Prosciutti, Pasta, Vini, Olii, Conserve di pomodoro, Aceti, ecc. La TABELLA 1, già
commentata in precedenza, fornisce un ricco campionario di imitazioni che nei supermercati
europei e, soprattutto, extraeuropei si richiamano impropriamente alle specialità italiane.
2.4 La contraffazione alimentare in Italia
Malgrado diffusi luoghi comuni, in Italia il settore agroalimentare occupa nell’ampio
fenomeno della contraffazione un posto molto marginale, sia sul versante della produzione
che su quello del consumo.
GRAFICO 2 – Prodotti contraffatti sequestrati nel 2006-7
da Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia di Stato e Polizia Municipale
Fonte: Ministero dell'Interno. [ACLC 2008]
La rete normativa e i controlli severi, capillari e intensi dell’Ispettorato Centrale Repressione
Frodi, della Guardia di Finanza e dei Carabinieri dei NAS è esemplare e cerca di inibire
qualunque iniziativa in questo senso, con maggior successo rispetto a quanto avviene su altri
versanti produttivi (abbigliamento, componentistica, orologeria).
Le stesse Associazioni di categoria vigilano attentamente per garantire qualità e sicurezza a
tavola e per dare un’immagine forte del ‘made in Italy’ nel mondo. “L’agricoltura italiana è
sana e garantisce cibi sicuri” è diventato lo slogan della Confederazione Italiana Agricoltori.
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Chi truffa e chi inganna nulla ha a che fare con i veri produttori agricoli che lavorano e si
impegnano per la qualità e la sicurezza [CIA AP 349].
In realtà, il fenomeno contraffazione alimentare più grave e meno perseguibile avviene
all’estero [Federalimentare 2003].
2.5 Pirateria agroalimentare in Europa
Un caso esemplare è stato quello della Cambozola, formaggio prodotto dal colosso tedesco
Kaserei Champignon Hofmeister, simile al Camembert che evoca però nel suo nome, con la
desinenza, “zola”, il nostro Gorgonzola, pur essendo molto diversa. Nel 1998, dopo anni di
battaglie legali da parte del Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola – Doc dal
1955 e Dop dal 1996 – una sentenza-beffa ha stabilito che, nonostante il nome evochi
effettivamente la denominazione “Gorgonzola”, spetta al giudice di ogni singolo Stato
valutare se all’epoca della registrazione del marchio evocativo c’era stata, oppure no,
malafede. E il giudice tedesco, naturalmente (ma lo stesso ha fatto quello belga), ha dato
ragione al Cambozola.
Altro caso emblematico e “storico” è stato quello della faticosa e vittoriosa causa condotta
contro il Parmesan che – solo nella denominazione – richiama decisamente il Parmigiano
Reggiano, il formaggio più imitato nel mondo. La battaglia contro l’imitazione del
Parmigiano in ambito Europeo è stata “vinta”, dopo anni di dura lotta, con la sentenza della
Corte di Giustizia EU che il 25 giugno 2007 ha dichiarato illegittimo l’utilizzo del termine
Parmesan nell’ambito dei confini comunitari.
Solo di recente il Consorzio per la tutela del Prosciutto di Parma ha vinto la battaglia contro i
supermercati inglesi Asda che confezionavano in vaschetta un sedicente “Prosciutto di
Parma” affettato.
Oggi è meno difficile proteggere i prodotti “di punta”, da quando – nel 2006 – sono stati
emanati i Regolamenti che riconoscono e proteggono i prodotti a Denominazione di Origine
Protetta DOP, e ad Indicazione Geografica Protetta IGP (Reg. CE 510/2006) e Specialità
Tradizionali Garantite STG (Reg. CE 509/2006) [v. ISMEA 2006]. La normativa europea
ha finalmente stabilito che non si possono usare neanche denominazioni imitative
parziali o evocazioni tali da creare confusione nel consumatore.
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Non altrettanto facile è proteggere i prodotti meno “blasonati” anche se non meno
caratteristici, come la pasta o la salsa al pomodoro. Tanto più che – come detto – si ricorre a
imitazioni più blande che, senza usurpare una denominazione o un marchio, cercano di
avvantaggiarsi della reputazione dei prodotti italiani ricorrendo semplicemente ad una bella
bandiera tricolore o utilizzando definizioni gastronomiche in italiano.
Nella catena di supermercati Tesco, che produce una propria linea di pasta sapientemente
collocata proprio a ridosso dello spazio assegnato alla pasta italiana d’importazione, i fusilli
diventano “gemelli”, le penne piccole “macaroni” e le orecchiette “egg gigli”. Tutti i formati
(come avviene anche per “paglia e fieno”, “farfalle”, “lumache” e “vermicelli”) sono
descritti nella nostra lingua.
Per non parlare poi di quello che accade quando la pasta finisce in… scatola. Nei
supermercati inglesi si trovano rigatoni alla carbonara, pasta all’arrabbiata, ravioli
formaggio-e-pomodoro rigorosamente made in UK ma altrettanto rigorosamente debitori, per
i nomi delle ricette e per gli ingredienti, alla nostra lingua.
C’è anche una “salsa per pollo alla milanese” (pomodoro, vino bianco, basilico, coriandolo e
salvia) che, per essere più credibile, riporta sulla confezione la Scala di Milano, e una “salsa
per pollo alla toscana” (vino rosso, peperoni, aglio e basilico), che dimostra la sua
“autenticità” puntando sul solito paesaggio toscano con vista vigneto.
Nei supermercati belgi si trovano impeccabili “Salami Milano” o “Spianate Romane” che in
etichetta riportano una frase criptica: “selezionato nella regione di origine”.
2.6 Pirateria agroalimentare nei Paesi extraeuropei
I Paesi dove sono più diffuse le imitazioni sono Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti, dove
sono particolarmente numerose le comunità di oriundi Italiani.
L’indagine Nomisma-Indicod (Istituto per le Imprese di beni di consumo) commissionata
dalla FederAlimentari ha valutato che nei soli Stati Uniti i prodotti alimentari con qualche
riferimento all’Italia nel segmento retail nel 2003 valevano 16 miliardi di dollari. [Nomisma
2003]
Di questo enorme mercato, però, solo una piccola parte (meno del 10%) proviene
effettivamente dall’Italia.
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GRAFICO 3 – Il 90% dei prodotti “Italiani” negli Stati Uniti
è costituito da prodotti di imitazione di provenienza USA [Nomisma 2003]
Oltre il 90% dei prodotti “Italiani” che si trovano negli scaffali dei supermercati statunitensi
è costituito da prodotti imitativi che, pur fregiandosi di nomi che suonano simili all’Italiano
(Macaroni, Parmesan, Romano Cheese, Chianti…) e di riferimenti all’Italia (tricolore e
immagine della torre di Pisa o del Colosseo), nulla hanno a che fare con il nostro Paese o con
le sue aziende [Federalimentare 2003, Nomisma 2003]
La stessa proporzione – conferma la Coldiretti – vale, in particolare, per i formaggi: negli
Stati Uniti appena il 10% dei formaggi di tipo italiano proviene effettivamente dall’Italia,
mentre per il resto si tratta di imitazioni e falsificazioni ottenute sul suolo americano, con
latte statunitense, in Wisconsin, New York o California: dunque sono falsi nove formaggi su
dieci.
Gli Usa, che non aderiscono al Trattato di Ginevra del 1963, non riconoscono i marchi Dop e
Igp di matrice europea. Se la battaglia contro l’imitazione del Parmigiano in ambito Europeo
è stata “vinta”, la situazione è ben diversa negli Stati Uniti. Per difendere il prodotto sul
mercato statunitense, il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha dovuto registrare il marchio,
nel 1990, e da allora ha speso oltre 1 milione di dollari in cause legali relative a vere e
proprie contraffazione del marchio. E nel resto del mondo continuano a essere venduti 6
milioni di quintali di Parmesan grattugiato a milioni di ignari consumatori.
Nel 2004 dai caseifici statunitensi sono uscite quasi 60mila tonnellate di Parmesan, una
quantità nettamente superiore al totale delle esportazioni italiane di parmigiano reggiano e
grana padano nel mondo (che complessivamente supera di poco le 46mila tonnellate).
Il problema, infatti, non riguarda solo gli Stati Uniti perché Parmigiano Reggiano e Grana
Padano sono le specialità alimentari più imitate nel mondo: il Parmigiano diventa Parmesan
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in Usa, Canada, Australia e Giappone, Parmesão in Brasile, Parmesano in tutto il
Sudamerica o, Parmeson in Cina. Anche il Grana Padano è molto popolare e nelle
contraffazioni locali diventa Regianito in Argentina, Reggiano in tutto il Sud-America, e nei
supermercato di tutto il mondo lo si trova con i nomi, più o meno storpiati, di Grana
Pardano, Grana Padana, Grana Padona. …
Battaglia analoga, anche in questo caso dai risvolti quasi grotteschi, è quella che sta
combattendo il Consorzio per il Prosciutto di Parma proprio in Canada, dove i produttori del
nostro prosciutto più noto all’estero non possono usare il suo storico nome visto che una
società locale, la Maple Leaf, detiene il copyright del marchio: “Parma Ham”.
Se all’interno dell’U.E. i prodotti “tradizionali” godono di un insieme legislativo che
dovrebbe tutelarli
9
, nei paesi extracomunitari la difesa è molto più difficile in quanto non
esiste l’analogo dei regolamenti comunitari ed è quindi necessario stabilire appositi accordi
bilaterali.
Sull’efficacia che sortiscono le norme a tutela del marchio dei prodotti, basti citare che da
quando sono entrate in vigore le nuove normative di tutela europea in ambito comunitario, le
esportazioni di Parmigiano Reggiano in Europa sono cresciute del 7%, in particolare sui
mercati francese, tedesco e spagnolo; viceversa, tra i paesi extra U.E., e in particolare sul
mercato Nordamericano dove si diffondono prodotti contraffatti come il Parmesan, si
registra una progressiva flessione delle esportazioni del prodotto.
2.7 I prodotti contraffatti arrivano nei Nuovi Mercati prima di quelli originali
Ma a preoccupare sono anche le tendenze di Paesi emergenti come la Cina e Honk Kong
dove i prodotti contraffatti – generalmente di scarsa qualità – sono arrivati prima di quelli
originali e rischiano di comprometterne irrimediabilmente l’immagine, oltre che gli interessi
commerciali, dei Paesi a forte tradizione agroalimentare, come l’Italia.
Tali prodotti di imitazione non hanno gli stessi standard qualitativi e di salubrità degli
originali italiani.
9
La vigente normativa comunitaria in materia di etichettatura dei prodotti alimentari non garantisce
pienamente il diritto dei consumatori ad una completa e corretta informazione sulla provenienza di tali
prodotti, tenuto conto che la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio
2000, dispone che il luogo d'origine o di provenienza possa figurare nell'etichetta unicamente nel caso in cui
l'omissione di tale indicazione possa indurre in errore circa l'effettiva origine o provenienza dei prodotti
alimentari.
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Dalla fine degli anni '90 i mercati sono stati invasi da falsi prodotti del "made in Italy",
realizzati soprattutto, anche se non esclusivamente, in Cina. Vi sono imprese italiane che in
diversi settori (anche diversi da quello agroalimentare) hanno perso in pochi mesi quote di
mercato a due cifre in numerosi paesi, non solo asiatici, per colpa dell'import di prodotti
realizzati da imprese cinesi che hanno contraffatto quelli italiani, con tanto di marchi,
imballaggi aziendali e marchi di conformità che traggono in inganno il consumatore
10
.
Il rischio reale di tutto ciò è che si radichi nelle tavole internazionali un falso Made in Italy
che, banalizzando le specialità nostrane frutto di tecniche, tradizioni e territori unici e
inimitabili, finisce per togliere spazio di mercato alle imprese e ai prodotti autentici, in paesi
in cui i nuovi consumatori non sono in grado di distinguere il vero dal falso. Quando
addirittura non succede di peggio e la nostra reputazione è definitivamente compromessa
anche per motivi sanitari.
10
Vengono spudoratamente contraffatto i marchi più conosciuti. Sul marchio “China Export”, graficamente
identico ben noto marchio “CE” che attesta la conformità di alcune categorie di prodotti industriali ai
requisiti di sicurezza previsti dalle direttive comunitarie, si è già detto (vedi nota 2, nel Capitolo 1)
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