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Introduzione
Le ricerche, gli studi, le teorie sul funzionamento della mente e su quella particolare,
distintiva, caratteristica umana definita “coscienza” (nel suo significato di “autocoscienza”)
costituiscono un corpus amplissimo e vario ma connotato da uno statuto scientifico
assolutamente unico: l’oggetto della ricerca coincide con lo strumento utilizzato. Si studia la
mente grazie alla mente. Questa identità di soggetto ed oggetto che è, al contempo,
un’articolazione che distanzia la mente che osserva e la mente che viene osservata, l’essere
soggetto dall’essere oggetto, può sintetizzare quanto questo percorso scientifico si situi in un
territorio estremo della conoscenza. Eppure, si tratta soltanto di una della tante “questioni
complesse” dischiuse dallo studio della mente, in una successione vertiginosa di problemi che
racchiudono altri problemi che racchiudono altri problemi e soluzioni che, come in un
disegno frattale, una volta focalizzate e analizzate rivelano complessità inaspettate e
correlazioni con l’insieme che sembrano mostrare che non è possibile chiarire nessun punto
isolato della materia se non si chiarisce, nello stesso momento, tutto il resto. La
consapevolezza di questo autentico “paesaggio di difficoltà”, ha influenzato la struttura di
questo lavoro. Esso è infatti incentrato sulle ipotesi dette del “cervello quantistico” che, per
essere illustrate sinteticamente, hanno bisogno soltanto della descrizione dei principali
fenomeni della fisica quantistica e di alcune nozioni sulla struttura del cervello e dei neuroni.
Ma, così procedendo, non soltanto non potremmo apprezzare il percorso storico dei diversi
tentativi di soluzione dell’aspetto più caratteristico ed enigmatico dell’essere umano, la
coscienza del proprio pensiero e di se stesso, ma non sapremmo come collegare l’ipotesi di
una sua derivazione da principi quantistici con l’insieme dei problemi aperti dallo studio della
mente. La filosofia, che certamente per larga parte della sua storia non ha potuto attingere a
corrette descrizioni scientifiche, ha però posto con una forza che rimane inalterata le
“questioni fondamentali”, i cardini logici ed epistemologici di ogni teoria della mente e della
coscienza. Tanto è che, anche oggi, ricercatori all’avanguardia in questi settori specifici
organizzano, e valutano, le proprie acquisizioni sullo sfondo teorico di una corrente
filosofica. Né bisogna credere che valga una sorta di principio evolutivo per cui la filosofia
più recente si coniughi più facilmente con le scoperte più recenti. Anzi, vi sono
probabilmente più studiosi della mente che fanno riferimento a S. Tommaso D’Aquino di
quelli che aderiscono al pensiero di Heidegger o Wittgenstein. Tanto da poter dire, con
5
Etienne Gilson, che “la filosofia sotterra sempre coloro che ne organizzano il funerale”
1
. Le
teorie scientifiche sulla mente, poi, non soltanto hanno via via chiarito la natura di alcune sue
attività e gli aspetti anatomici e fisiologici che vi sono sottesi ma hanno anche stabilito,
seppur con la provvisiorietà connessa al metodo scientifico, via via cosa queste non fossero e
non potessero essere. Così, ad esempio, l’analogia del cervello con un computer che esegue
un programma, che sembrava straordinariamente promettente, si è rivelata con il tempo
inadeguata a descrivere le funzioni superiori, per quanto in certi casi potesse simularle
nell’affrontare lo specifico problema che ha portato all’elaborazione del software. Al
contrario, la teoria delle reti neurali, all’inizio addirittura sbeffeggiata come una bizzarria
priva di possibilità di sviluppo, si è rivelata straordinariamente efficace soprattutto quando è
stata messa in relazione con le teorie del caos deterministico. Questo lavorio di delimitazione,
in negativo ed in positivo, degli approcci più efficaci costituisce un riferimento essenziale, al
di là delle costruzioni teoriche specifiche. Ci rende consapevoli, ad esempio, che il processo
mentale deve avere per molti versi determinate caratteristiche, come l’essere caratterizzato da
regimi caotici e non da una successione lineare di stimoli e risposte. Oppure, che è necessario
far rientrare nell’atto di autocoscienza non soltanto la mente ma anche il corpo, che non è un
mero meccanismo recettore ed attuatore ma parte integrante del processo, e la stessa realtà
esterna in relazione con il soggetto pensante. La sinteticità dell’esposizione di un tessuto
conoscitivo che, visto nei dettagli, rivelerebbe l’intreccio di moltissime teorie, se da una parte
è lontano dall’essere esaustivo dall’altra lascia percepire con più chiarezza il porsi dei
problemi cruciali e l’emergere di assunti che, nella loro forma più generale, possono essere
condivisi da teorie anche profondamente diverse. Come si trattasse di “fari” che stabiliscono
un riferimento per rotte diverse. Così, la storia dello studio della mente ci appare
continuamente tesa alla risoluzione del problema difficile dell’autocoscienza e, per così dire,
sempre più capace di entrare nel dettaglio dei processi mentali (prima con la neurologia e poi
con alcune teorie quantistiche della mente) ma, contemporaneamente, anche sempre più
caratterizzata dal superamento della divisione tra mentale e corporeo, in un movimento
complessivo di recupero della persona nella propria integralità. La possibile soluzione del
problema dell’autocoscienza, grazie alle ipotesi quantistiche, diviene così il punto terminale
di un processo di conoscenza che deve riorganizzarsi intorno a questo risultato per integrare
le più promettenti acquisizioni generali sulla mente e sulle sue attività. In un certo senso, è
come se giunti alla fine del percorso, al tema specifico di questo lavoro, ci si dovesse volgere
1
Gilson, È., 1937, The Unity of Philosophical Experience, C. Scribner’s Sons, New York. p 306
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all’indietro per ricominciare ad interrogarsi: ammesso che sia dimostrata o dimostrabile
l’essenza quantistica dell’autocoscienza, cosa possiamo dire della memoria? Cosa
dell’inconscio? Cosa dell’io? Cosa dell’essere nel mondo?
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Capitolo I
Mente e coscienza
1.1 Cos’è la coscienza?
Da sempre l’essere umano si interroga su se stesso. Come facciamo a nascere, a svilupparci, a
muoverci, ad agire, a pensare? Prima il pensiero mitico e religioso, poi le scienze nel loro
progredire hanno fornito molte risposte. Conosciamo la nostra anatomia e la nostra fisiologia.
Sappiamo come si genera un nuovo essere umano e come, grazie al codice genetico,
l’informazione necessaria al suo sviluppo sia ereditata con il Dna. Molto resta ancora da
sapere. Le nostre conoscenze sono particolarmente lacunose quando la risposta ad un quesito
è complessa ma ancor di più quando lo stesso quesito è complesso. In un essere umano, nulla
lo è più di quel “complesso delle facoltà psichiche, cioè delle facoltà intellettive, affettive,
volitive, istintive, nell’integrazione dinamica che si attua nell’uomo”
2
. Ovvero, nella
definizione Treccani, la mente. Un concetto che, nell’essere umano, deve essere
immediatamente correlato a quello di coscienza in un rapporto la cui definizione non è che
uno dei tanti aspetti del problema generale: come si producono e cosa sono la mente e il
pensiero? Come si produce l’autopercezione ovvero la coscienza? E poi (ma potremmo
chiedercelo anche prima), cos’è la coscienza? Domande che ci siamo posti da millenni e che
non hanno ancora una risposta vera e propria. Certamente, come sempre nella scienza, più
procediamo nella scoperta del “come” più sembra allontanarsi la comprensione del “cosa”.
Sappiamo talmente tante cose della carica elettrica da averla usata per rivoluzionare il mondo
con l’elettronica e le tecnologie derivate. Eppure, se ci chiediamo cosa sia la carica elettrica
dobbiamo rispondere “uno stato della materia”. La distinguiamo in positiva e negativa
perché, in certe condizioni, si comporta diversamente. In modo analogo, conosciamo l’attività
elettrica, chimica, neuronale che accompagna l’attività cerebrale ma questo non spiega cosa
siano i pensieri. Tanto che, nel corso del tempo, si è più volte, ed in vari modi, pensato che
corpo fisico e mente fossero cose interagenti ma diverse, separate e irriducibili l’una all’altra.
Ma, con argomenti non meno forti, si è anche più volte immaginato che fossero, invece,
un’unica sostanza. In Grecia, quando si comincia a “pensare il pensiero” e ad indagare
sull’esperienza più familiare e più enigmatica, la scienza non ha gli strumenti per descrivere
il corpo né tantomeno la sua fisiologia o le sue basi chimiche e genetiche. Non si conosce
2
AA.VV., 2009, Treccani Filosofia, voce ‘mente’, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma.
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l’attività del cervello, non si sa nulla di neuroni e sinapsi. Lo spazio del mentale contiene
oggetti propri che si possono chiamare anima, soffio, spirito, vita ma anche oggetti che
vengono dall’esterno come le parole di un dio o enti che appartengono ad un altro livello di
realtà . Eppure, le idee che hanno animato quella prima filosofia non sono soltanto importanti
come passaggi di un’evoluzione che, all’apparire della scienza, lascia il posto ad altre idee
che tengono conto, organizzano ed interpretano conoscenze oggettive. In primo luogo,
l’elusività della mente e della coscienza lascia a volte intatto il valore di riflessioni che hanno
inquadrato con profondità il problema e che se non sono spiegazioni esaustive definiscono,
per così dire, i confini e gli aspetti fondamentali di ogni spiegazione accettabile. In secondo
luogo, le scoperte della scienza contemporanea hanno spesso indicato non solo come i confini
del materiale e dell’immateriale dovessero essere rivisti ma anche come gli stessi concetti
andassero ripensati. La fisica quantistica, argomento centrale in questa tesi, ha
improvvisamente rivelato che la stessa cosa si comporta in certe condizioni come una
particella materiale ed in altre come un’onda. I campi di forza, immateriali, agiscono sulla
materia. Infine, più riusciamo a comprendere più ci abituiamo all’improvvisa comparsa della
complessità in uno schema interpretativo che sembra “semplice” ed autoconsistente. Un
esempio eloquente è l’idea che si aveva, sino a non molto tempo indietro, del Dna: una
risposta esauriente a tutte le domande su come un nuovo individuo, sulla base delle
informazioni del codice genetico, potesse formarsi e svilupparsi. In realtà, si è poi scoperto
che vi sono modificazioni ereditabili che inducono variazioni geniche senza modifiche del
Dna: varia il fenotipo ma non il genotipo. In precedenza Norbert Wiener
3
, fondatore della
cibernetica, aveva dimostrato con un semplice calcolo che l’informazione necessaria alla
costruzione di un essere umano, con le sue 10
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cellule, non poteva essere interamente
contenuta nel Dna. Dunque, il pensiero contemporaneo possiede una quantità enorme di
risultati scientifici ma non ha ancora nessuna spiegazione e comprensione condivisa di
concetti che sono la quintessenza stessa della definizione di essere umano. Il tentativo di
sapere “come” funzionino la mente e la coscienza e di “cosa” siano non ha prodotto
spiegazioni appaganti e condivise. Ma non siamo certo al punto zero. L’approccio
interdisciplinare ha prodotto modelli di organizzazione della conoscenza che da una parte
costituiscono un sostrato di evidenze scientifiche imprescindibili per qualsiasi teoria
3
Wiener, N., 1961, Cybernetics, MIT Press, Boston.
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interpretativa e dall’altro hanno evidenziato e circoscritto quei punti critici nell’evidenza
scientifica che devono essere chiariti per poterla formulare.
Per poter comprendere le più recenti acquisizioni scientifiche e, in particolare, quelle che
hanno posto le basi per l’ipotesi del cosiddetto “cervello quantistico”, oggetto di questa tesi,
occorre ripercorrere sinteticamente la storia delle idee interpretative del concetto di mente
cosciente. I primi ad occuparsene furono i filosofi che, per l’Occidente, compaiono in Grecia
più o meno a partire dal VII secolo a.C.
Per Platone
4
, la coscienza ha una funzione essenzialmente conoscitiva: le idee sono realtà
ontologiche indipendenti, forme secondo le quali è plasmata la realtà e che risiedono
nell’anima come forme intellettuali. L’anima, vissuta nell’Iperuranio, conserva il ricordo
delle idee e, dunque, la conoscenza è innata. Democrito, gli stoici, gli epicurei, gli scettici
hanno ipotizzato che la vita psichica sia riducibile alle funzioni neurofisiologiche del corpo.
Tra tutti, è Aristotele a porre il problema della coscienza in un senso che influenzerà il
pensiero fino ad oggi, seppur secondo interpretazioni diverse. La sua osservazione
preliminare è che il vivere animale si fonda sulla sensazione, il desiderio (ma forse è più
appropriato il termine freudiano di “pulsione”) e l’immaginazione
5
. Per sensazione s’intende
non soltanto la capacità di riconoscere segnali provenienti dall’esterno ma, prima di tutto,
piacere e dolore. Per un animale, la sensazione dell’acqua non significa soltanto il
riconoscerla tra gli elementi ma è costitutivamente innervata dal piacere che dà il berla
quando si ha sete e dal dolore che si prova, quando se ne è privati e si ha sete. Se l’animale
percepisce il mondo come piacere e dolore, “se l’animale è dotato di sensibilità è anche
animale che desidera (...); dove c’è sensazione c’è anche piacere e dolore e dove c’è piacere e
dolore che pulsione, dal momento che il desiderio è desiderio del piacevole”
6
. Ma perché ci
sia desiderio, è necessario sapersi rappresentare ciò che desideriamo, ciò che può appagarlo.
Dunque, “un animale non può desiderare senza immaginazione”
7
e “gli oggetti immaginati
sono come quelli percepiti, salvo il fatto che sono senza materia”. Aristotele la definisce
“immaginazione sensibile (o estetica)”. Ma la sensazione non riguarda soltanto un reale a cui
corrisponde ma “chi vede percepisce di vedere, chi ode percepisce di udire, chi cammina
percepisce di camminare e similmente per le altre attività c’è un percepire del fatto che siamo
in attività e perciò noi percepiamo di percepire e pensiamo di pensare”
8
. Per “percepire di
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Platone, 2000, Fedro, Bompiani, Milano.
5
Aristotele, 1955, Organon, Giulio Einaudi Editore, Torino.
6
Aristotele, 1957, L’Anima, Editori Laterza, Bari, pp. 127-129.
7
Aristotele, 1968, L’Anima, Oxford University Press, Oxford, pp. 65-66.
8
Aristotele, 2005, Etica Nicomachea, Editori Laterza, Bari, pp. 118-119.