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INTRODUZIONE
Questo elaborato si propone come un percorso di analisi che si snoda tra le tematiche
dell’infertilità femminile, i processi di medicalizzazione e incorporazione ad essa riferita e le
Nuove Tecnologie Riproduttive (NRT). Tematiche che, collocandosi tra la sfera individuale
e quella pubblica, possono rappresentare un punto di partenza valido per indagare quelle
ridefinizioni soggettive e collettive attraverso cui gli attori sociali costruiscono e
decostruiscono continuamente una cultura. La tesi non ha ovviamente pretese di esaustività
sul tema, ma punta a suggerire dei quesiti attraverso cui le potenziali risposte possano
evidenziare un tragitto dinamico per pensare ed esaminare l’infertilità femminile al tempo
delle NRT. Esaminare in che modo l’antropologia ha tematizzato questi argomenti e fornire
uno spunto di riflessione su quali problematiche essi possono presentare nell’ambito di una
costruzione dell’identità personale e nel contesto di una società sempre più caratterizzata da
un “globale nel locale” sono alcuni obiettivi che il lavoro si è proposto di soddisfare.
Le motivazioni che mi hanno spinta a scegliere questo argomento non sono di natura
personale, né derivano da particolari argomenti affrontati nel mio percorso di studi, ma
nascono piuttosto da una serie di convergenze. L’interesse che ho sempre provato per la
tematica del corpo ha incontrato lentamente gli strumenti che lo studio del metodo
antropologico ha saputo darmi in questi anni e insieme a una predilezione per le realtà private
e poco evidenti, ma in grado di modificare fortemente la percezione di sé e degli altri, hanno
mosso il mio interesse per un argomento come quello dell’infertilità femminile. Ho scelto di
trattare quest’ultima nella declinazione che assume all’interno della riproduzione
medicalmente assistita perché credo nell’utilità che l’analisi antropologica può assumere nel
contesto delle politiche pubbliche.
Il percorso che ho deciso di intraprendere nella tesi si articola in tre capitoli: il primo è
dedicato a definire la problematica dell’infertilità nella prospettiva biomedica e a tracciarne
il processo di medicalizzazione cha ha conosciuto a partire dagli anni ’50, attraverso
particolari aspetti come quello dello sguardo. Il secondo capitolo si propone invece di
indagare gli aspetti dell’incorporazione e della sofferenza femminile legati alla condizione di
infertilità, quali sono le istanze che entrano in gioco nella decisione di ricorrere alle cure
mediche e come si configura di conseguenza l’importanza del dato biologico nell’esperienza
di diagnosi e cura di questa condizione. Nel terzo ed ultimo capitolo tratteremo invece del
ruolo delle NRT nella ridefinizione di alcune sfere di senso fondamentali quali la parentela e
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la religione, e di quali nuovi spazi culturali si stiano costruendo come conseguenza della loro
crescente importanza.
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CAPITOLO I
Percezione e definizione dell’infertilità tra corpi e medicina
1.1 Infertilità e sterilità: come e attraverso cosa le conosciamo
Verso la metà degli anni Novanta, l’antropologa francese Françoise Héritier dava
un’autonomia senza precedenti alla narrazione dell’infertilità femminile, astraendola dalla
conoscenza scientifica e dall’ordine morale e inscrivendola alla pratica sociale. Con questo
non intendeva che le sue rappresentazioni non si fondino su esperienze concrete, ma che la
conoscenza precisa dei meccanismi fisiologici arrivata solo in tempi recenti è marginale nella
messa in pratica delle norme di condotta sociali che ad essa si riferiscono, le quali nell’ottica
strutturalista della studiosa presentano ovunque dei caratteri ricorrenti (Héritier 1997: 59). A
mio avviso è utile partire da questa riflessione per comprendere in che modo si è costruita
negli ultimi anni la narrazione dell’infertilità femminile.
La grande tematica della riproduzione umana è considerata dagli antropologi un punto
d’accesso fondamentale e privilegiato per indagare molteplici sistemi di senso locali e globali
(dalla politica al diritto, fino alle istituzioni sociali) grazie alla sua natura di dato biologico
ma allo stesso tempo di fenomeno culturale costruito e quindi variabile geograficamente e
cronologicamente
1
. A questo proposito è fondamentale notare come la questione
dell’infertilità femminile, pur collocandosi all’interno del macro-argomento della
riproduzione, presenti invece una relativa omogeneità globale nella sua percezione sociale e
personale. È evidente infatti che ovunque questa condizione porta con sé una serie di
problematiche che variano dalla frustrazione, all’esclusione sociale, al lutto, fino ad arrivare
al pericolo di vita del soggetto stesso a causa di pratiche mediche (Inhorn, Van Balen 2002:
7). Sebbene Héritier abbia quindi giustamente evidenziato il ruolo predominante delle
pratiche sociali, a maggior ragione per il loro carattere comune, ha a mio avviso sottovalutato
l’importanza del discorso medico sull’infertilità femminile, che oggi rappresenta la modalità
principale attraverso cui noi conosciamo e costruiamo questa tematica. Si potrebbe quindi
affermare che negli ultimi vent’anni la conoscenza biomedica dei processi riproduttivi si sia
ormai profondamente legata alle pratiche sociali, tanto da diventarne il fondamento stesso,
arrivando in molti casi ad allacciarsi a tradizioni popolari e a medicine tradizionali.
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A questo proposito vedere The Politics of Reproduction, Ginsburg, Rapp, 1991.
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A questo proposito è interessante notare come la definizione stessa di infertilità sia nata solo
relativamente di recente in seno alla biomedicina, e come subisca continue rinegoziazioni da
parte degli attori sociali coinvolti, dai medici alle donne stesse.
1.1.1 Problematicità della definizione, delle definizioni
La definizione di un concetto non è mai data a prescindere, ma è sempre costruita
culturalmente dagli attori sociali. Per questo motivo essa tende a riflettere le esigenze di un
determinato contesto sociale e a soddisfare uno specifico obiettivo. Nel caso dell’infertilità la
questione di una definizione propria ed unica appare particolarmente complicata in quanto le
categorie e gli interessi che, idealmente, dovrebbero convergere hanno natura estremamente
diversa tra loro e variano dalla sfera della sensibilità personale a quella pubblica (medica,
indagine demografica, etc). Cercheremo qui di definire brevemente quali sono le definizioni
di infertilità che vengono maggiormente adottate e in che contesti, oltre che evidenziarne le
criticità.
La definizione che si presenta oggi come quella più riconosciuta è quella prettamente clinica
della WHO (World Health Organization) che recita:
“Infertility is a disease of the reproductive system defined by the failure to achieve a clinical
pregnancy after 12 months or more of regular unprotected sexual intercourse”
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Questa descrizione è frutto di una collaborazione tra WHO, ICMART (International
Committee for Monitoring Assisted Reproductive Technologies) e altri partner che nel 2009
si sono impegnati per ridefinire il glossario delle definizioni riguardanti l’infertilità e le cure
mediche che ad essa si riferiscono. La prima cosa che si può notare è che subito l’infertilità
viene definita come una malattia. Questo ci riporta al discorso fatto in precedenza: se la
definizione più riconosciuta in assoluto dai singoli e dalle più svariate associazioni che si
interessano del problema, oltre che la prima che si presenta con una semplice ricerca su
internet o su un’enciclopedia, è una definizione clinica e presenta l’infertilità come malattia,
allora significa che il discorso biomedico ha una prerogativa nel pensiero collettivo attuale.
Non si può però dire che questa frase sia priva di complicazioni. A questo proposito la
studiosa Marcia Inhorn, i cui studi riguardano il tema dell’infertilità in società non occidentali,
sottolinea che questa definizione ha poco a che fare con l’effettiva esperienza degli individui
2
Trad. “L’infertilità è una malattia dell’apparato riproduttivo determinata dal fallimento del raggiungimento di
una gravidanza clinica dopo 12 mesi o più di regolari rapporti sessuali non protetti”. Fonte:
https://www.who.int/reproductivehealth/topics/infertility/definitions/en/ consultato in data 01.05.2019.
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nella loro condizione infertile. Ad esempio, una forma di infertilità sociale può essere
percepita nel momento in cui una donna ha solo uno o due figli in contesti dove la normalità
è averne sette, otto o più. In altri casi la percezione della condizione infertile può avvenire
anche solo dopo pochi mesi dal matrimonio, e a distanza di un anno la donna può già essere
stata abbandonata (Inhorn, Van Balen 2002: 12).
Un altro campo che non riconosce del tutto la definizione della WHO è la demografia. I
demografi infatti, tendono ad usare una differente definizione di infertilità, che comprende
maggiori variabili e che vede tempi più dilatati:
“Infertility is an inability to become pregnant with a live birth, within five years of exposure
based upon a consistent union status, lack of contraceptive use, non-lactating and maintaining
a desire for a child.”
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Il primo aspetto rilevante di questa definizione è che il termine per definire l’infertilità è la
mancanza di una nascita di un bambino vivo, e non il mancato concepimento come nella
precedente. In secondo luogo, il periodo di esposizione alla possibilità di gravidanza è stato
spostato da uno a cinque anni. Il motivo di queste differenze rispetto alla prima definizione è
evidente per i demografi che, lavorando su larga scala, si trovano impossibilitati ad avere dati
certi sul grande numero di aborti, spontanei o volontari, e sui parti di feti morti. In questo
modo cercano di assicurare una raccolta di dati il più comprensiva possibile, dove solo le
donne che hanno le minime possibilità di concepire siano considerate infertili (Lock, Nguyen
2010: 256; Greil, McQuillan 2010: 138).
Un terzo elemento chiave è l’esplicitazione del desiderio di avere un figlio. Un ricco dibattito
si è sviluppato intorno a questo argomento dal momento che l’intento sembra giocare un ruolo
implicito nella prima definizione che abbiamo visto ma dichiarato nella seconda. Se la
definizione di infertilità implica infatti l’intenzione di avere un figlio, allora sono da
analizzare i vari gradi di intenzione e riconoscere che la linea di demarcazione tra fertile e
infertile non è così stabile come si potrebbe pensare (Greil, McQuillan 2010: 137). Questo
aspetto giocherà un ruolo fondamentale anche nell’analisi della definizione che i soggetti
infertili danno di loro stessi, il modo in cui collocano la loro esperienza nei contesti culturali
a cui appartengono, come vedremo nel capitolo successivo.
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Trad. “L’infertilità è un’inabilità di avere una gravidanza con una nascita viva in cinque anni di esposizione
basata su uno stato di unione stabile, mancato uso di contraccezione, non allattamento e costante desiderio di
un figlio”. Fonte: https://www.who.int/reproductivehealth/topics/infertility/definitions/en/ consultato in data
01.05.2019.