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Introduzione
L’intento del mio lavoro è cercare di analizzare i presupposti e la discussione
filosofica intorno al complicato tema dell’eutanasia, il quale da sempre, infiamma
il dibattito pubblico, intellettuale e politico. Naturalmente, in questa discussione il
contributo giuridico non può che essere fondamentale per un’analisi approfondita
e attuale del tema, infatti, come spiega bene la professoressa Cinzia Piciocchi:
Il tema della fine della vita rientra più in generale nel rapporto tra
diritto e scienza e dall’impatto della scienza sui diritti […]. La rapidità e,
talvolta, l’imprevedibilità delle scoperte scientifiche sono spesso indicati
come i principali aspetti problematici che il diritto deve affrontare,
trovandosi a dettare regole per disciplinare un panorama in continuo
mutamento.
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Nel primo capitolo espongo il pensiero etico di Hans Jonas, il quale ha
elaborato una filosofia morale, sviluppata negli anni settanta, ma che appare
perfetta per il nostro tempo. La sua impostazione è, infatti, più comprensibile ora
che negli anni della sua pubblicazione perché parte integrante del suo lavoro sono
i moniti pessimistici verso un futuro a rischio, moniti purtroppo inascoltati poiché
si possono facilmente verificare, oggi, le nefaste conseguenze da lui paventate.
Altro contributo fondamentale del suo lavoro è l’analisi della storia della scienza e
della tecnica; infatti i grandi dilemmi morali del nostro tempo dipendono proprio
dal grande progresso tecnico-scientifico e dal mutamento che esso ha apportato
alla natura umana ed extraumana. Il progresso ha aperto delle possibilità dapprima
nemmeno immaginabili, e, come un vaso di Pandora, si sono riversati su di noi
nuovi e angosciosi dilemmi morali. La soluzione proposta dal filosofo, ovvero una
nuova etica fondata sul principio di responsabilità, sembrerebbe essere l’unica
soluzione possibile, da adottare celermente, per evitare di sprofondare in un
baratro irreversibile, come espresso nell’opera Sull’orlo dell’abisso. Il principio
responsabilità, la sua personale teorizzazione etica, può, anzi deve, diventare
l’egida sotto la quale l’impresa scientifica deve muoversi.
1
C. PICIOCCHI, La dignità nel fine vita: un concetto dirimente?, in A. D’ALOIA, Il diritto alla fine
della vita. Principi, decisioni, casi, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2012, p. 42.
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Nel secondo capitolo tratteggio un excursus storico dell’eutanasia attraverso
il contributo di importanti filosofi ed intellettuali. È un excursus che, il più delle
volte, piuttosto che riferirsi all’eutanasia da noi conosciuta, prende in
considerazione il gesto ultimo del suicidio razionale: i massimi esponenti della
storia del pensiero hanno discusso se sia legittimo o meno togliersi la vita e
secondo quali argomentazioni. Ho inevitabilmente citato, Platone e Aristotele, i
filosofici latini e cristiani, ed i più famosi filosofi moderni. Tra quest’ultimi è
distintivo il pensiero di Francesco Bacone, il quale per primo teorizza la
possibilità di porre fine alle sofferenze attraverso l’aiuto del medico: il riferimento
storico all’eutanasia più simile a quella attuale.
Prima di procedere ad un’analisi approfondita dell’eutanasia, propongo, nel
terzo capitolo, una schematica descrizione della disciplina generale alla quale
l’eutanasia appartiene: la bioetica. Un discorso generale e introduttivo riguardante
la bioetica deve, necessariamente, articolarsi attraverso l’esposizione dei due
paradigmi che all’interno si contrappongono: la bioetica cattolica e la bioetica
laica, ai quali ho dedicato due paragrafi distinti. In aggiunta, per approfondire il
dibattito, riservo un ulteriore paragrafo per specificare come la dicotomia
cattolico/laico, pur esauriente ad un livello più generale, sia, al cospetto di
un’analisi più approfondita, meno precisa. In letteratura si trovano, infatti, svariate
eccezioni di intellettuali cattolici vicini a posizioni laiche e viceversa; per questo,
negli ultimi anni, si è fatta strada una nuova formulazione, più stringente, della
dicotomia precedente. Nel terzo paragrafo espongo, quindi, la riflessione intorno
alla dicotomia disponibilità/indisponibilità della vita: queste sono le due nuove
categorie intorno alle quali ruota tutta la bioetica, più precise e discriminanti
rispetto a quelle cattolico/laico o sacralità/qualità della vita.
Nel quarto capitolo, corpo centrale di tutta la tesi, illustro più
dettagliatamente cosa sia l’eutanasia e in quali forme essa si manifesti poiché,
nelle opinioni comuni, sfuggono le varie sfumature e vengono espresse idee
generiche e confuse. L’eutanasia ha, infatti, svariate possibilità di esplicarsi,
alcune anche legali altre no. La classificazione tradizionale è tra eutanasia passiva
ed eutanasia attiva, ed entrambe, a loro volta, possono essere consensuali o non
consensuali.
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Sempre nel quarto capitolo, dopo un primo paragrafo dedicato alla storia e alle
problematiche intorno al concetto di “morte”, descrivo, in paragrafi separati, le
varie forme eutanasiche articolandone l’esposizione attraverso le opinioni a favore
e quelle contrarie, tenendo conto anche del punto di vista degli specialisti in
materia giuridica. Per la fattispecie dell’eutanasia passiva consensuale non si può
non considerare la straziante storia di Piergiorgio Welby poiché ha scosso e
toccato tutto il paese. In questo paragrafo prendo in esame la sentenza stessa,
quella nei confronti del dottor Riccio, il medico che lo aiutò a morire; poiché in
essa sono contenuti degli importanti spunti giuridici ed etici. Purtroppo, Welby è
tristemente noto poiché fu un caso indecente di denegata giustizia: il diritto
inviolabile al rifiuto delle cure gli venne negato, proprio da quelle istituzioni che,
invece, avrebbero avuto l’onere di garantirlo. Tuttavia, nonostante giuridicamente
il gesto del dottor Riccio si configurasse come “omicidio del consenziente”, il
medico venne assolto, riscontrando la cogenza del diritto del malato a richiedere
la fine di ogni trattamento. Parallelamente al caso Welby azzardo anche la
trattazione della controversia riguardo la morte di Papa Wojtyla, un caso passato
in sordina, ma che, dalla convincente analisi del saggio della dottoressa Lina
Pavanelli, appare, invece, sconvolgente.
Nei paragrafi concernenti l’eutanasia attiva, espongo nuovamente le
argomentazioni dei sostenitori e dei detrattori, ma, in particolare, per questa
categoria, propongo anche alcuni riferimenti al di là dei confini nazionali.
Accenno, infatti, alla particolare situazione inglese, dove le sentenze dei giudici
possono sovrastare la volontà individuale; ed anche la fattispecie olandese
dell’eutanasia attiva consensuale infantile, con il famoso protocollo Groningen del
medico Eduard Verhagen. Concludo il capitolo centrale trattando la cosiddetta
eutanasia attiva indiretta, cioè la morte del paziente come effetto collaterale della
terapia del dolore. Questa è anche chiamata eutanasia pura, poiché è
l’applicazione precisa del significato letterale del termine “dolce morte”; infatti,
grazie agli antidolorifici e ai sedativi, il trapasso è reso indolore e sereno. Sempre
in questo paragrafo tratteggio anche la storia della pioniera di questo settore il
quale è denominato altresì medicina palliativa. Cicely Saunders è, infatti, una
figura fondamentale sia per la medicina palliativa, sia per la medicina in generale;
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ma anche per la filosofia e la religione. Ella, convogliando nella sua opera istanze
mediche, filosofiche, religiose e sociali, ha reso la sua impresa completa, profonda
ed innovativa.
Nel quinto capitolo racconto un’altra importantissima vicenda italiana: la
storia di Eluana Englaro. Attraverso il contribuito fondamentale del filosofo
Maurizio Mori, nel suo libro su Eluana, mostro come questa storia, oltre ad essere
significativa in sé per sé, è divenuta simbolo di un cambiamento epocale di
paradigma. Recependo le pressanti istanze di umanizzazione della medicina e
dell’autoderterminazione del paziente, in un contesto di paternalismo medico
ormai giunto al tramonto, Mori evidenzia come nella sentenza Englaro si evinca
questo cambiamento di orizzonte di significato. Il nostro tempo, la nostra società è
passata da un paradigma ippocratico a quello, più moderno e attuale, paradigma
bioetico. Senza questa riflessione, non si potrebbe comprendere questa sentenza,
che va formalmente contro il principio informatore del nostro ordinamento,
ovvero l’indisponibilità della vita; tuttavia, nei casi permessi dalla legge, si evince
come questo principio venga offuscato da quello laico dell’autodeterminazione. I
giudici, ricostruendo a posteriori la volontà di Eluana, attraverso le testimonianze
di familiari ed amici, sentenziarono la legittimità della richiesta del padre Beppino
di staccarla dalle macchine che la tenevano in vita.
Nel sesto capitolo, affronto il contesto etico-giuridico della società inglese,
poiché giunge a soluzioni a noi estranee che, difficilmente, riusciamo ad
intendere, riferendomi in particolare alla tristissima vicenda del piccolo Charlie
Gard che ha acceso il dibattito bioetico nella passata estate. In questo capitolo,
attraverso un’opera di David Lamb, delineo i presupposti giuridici e filosofici che
portarono i giudici inglesi a sentenziare in una maniera così incomprensibile ai
nostri occhi. Grazie a Lamb si possono scoprire due importantissime istanze del
mondo inglese che determinano la sostanziale differenza culturale rispetto alla
nostra società: sono il concetto di futilità e di interesse del paziente. Grazie a
queste, congiuntamente ad un substrato istituzionale di paternalismo, i medici ed i
giudici inglesi decidono le sorti di alcuni pazienti, anche in opposizione alla
volontà dei familiari.
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Nel settimo capitolo, rendendosi sempre più stringenti ed attuali le questioni
concernenti i documenti vicarianti la nostra volontà, cioè i cosiddetti testamenti
biologici, analizzo, grazie al contributo del giurista Mantovani, le problematiche
giuridiche riguardanti il tema del consenso antecedente. Problematiche che,
verosimilmente, hanno determinato la lentezza della promulgazione di una legge
sulle DAT, legge che, tuttavia, finalmente, è stata emanata anche in Italia; il
paragrafo del capitolo sette è predisposto proprio all’analisi, articolo per articolo,
del testo di legge.
Nell’ottavo, ed ultimo capitolo, cerco di analizzare il dibattito tra coloro che
affermano che la legalizzazione dell’eutanasia sia legittimata dalla sussistenza di
un più generale “diritto di morire”, e coloro i quali negano l’esistenza di tale
diritto, sia sotto il profilo teorico che quello pratico. In sintesi, per gli oppositori,
non si può istituzionalizzare un diritto che contraddica il pilastro fondativo sul
quale si regge l’ordine dello Stato che, come espresso dalla teoria
contrattualistica, è stato creato proprio con lo scopo di difendere la vita dalla
pericolosa e incerta “jungla naturale”.
La mia passione per la bioetica è nata durante l’ultimo anno delle scuole
superiori. Infatti, a dispetto della consuetudine che, per la maturità, prevedeva una
tesina che toccasse ogni materia scolastica, io decisi di svolgerla esclusivamente
in filosofia, trattando il tema bioetico della fecondazione artificiale. Con l’estate,
maturai la decisione di non cedere alle inclinazioni personali ed iscrivermi a
biotecnologie a Modena. L’esito fu scontato: studiare a livelli universitari
qualcosa che non piace e per la quale non si è portati è, ovviamente, impossibile e
deprimente. Fortunatamente, incappai nell’esame di bioetica che riaccese la
fiamma sopita; mi trasferii, perciò, a Ferrara a studiare quello che amavo e furono
gli anni più stimolanti e piacevoli della mia vita. Con questa tesi magistrale sento
di concludere un percorso cominciato dieci anni fa e contraddistinto dalla
personale inclinazione verso i temi bioetici.
Ringrazio la relatrice, la professoressa Vallori Rasini, e il correlatore, il
professor Thomas Casadei, i quali, fornendomi delle fonti interessantissime e un
fondamentale supporto (anche morale), hanno contribuito alla realizzazione del
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mio lavoro finale. Soprattutto li ringrazio per la loro continua e prolungata
disponibilità.
Dedico questo lavoro a mio figlio, sperando che possa essere orgoglioso di me,
anche avendo, purtroppo, perso molti anni per terminare questo percorso di studi.
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1- Hans Jonas e la nuova etica necessaria alla nostra civiltà
tecnologica: un contributo fondamentale e imprescindibile
anche in ambito bioetico.
Prima di esaminare la questione bioetica dell’eutanasia, è di fondamentale
importanza affrontare le profonde problematiche insite nell’etica del nostro
tempo. Grazie al contributo di Hans Jonas, l’etica, e di riflesso la bioetica,
acquisiscono una nuova teorizzazione che appare tutt’ora valida e tutt’ora
imprescindibile. In particolare, per la mia trattazione, ho considerato i seguenti
testi: Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica; Tecnica,
Medicina ed Etica. Prassi del principio responsabilità; Sull’orlo dell’abisso.
Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura. Queste letture appassionano
soprattutto per la loro attualità: pur essendo testi pubblicati negli anni ottanta
sembrano, contenutisticamente, freschi di stampa; tuttavia tendono anche ad
amareggiare in quanto è evidente che il monito in essi contenuto non sia stato
ascoltato. Se la situazione appariva già tragica agli occhi di Jonas, oggi siamo a un
soffio dal punto di non ritorno.
Nelle primissime righe del Il principio responsabilità Jonas esprime la sua
insoddisfazione verso l’etica tradizionale affermando come intento dell’opera la
fondazione e giustificazione di una nuova etica:
Ogni etica tradizionale […] condivideva tacitamente le seguenti, tra
loro correlate, premesse: 1) La condizione umana […] è data una volta per
tutte nei suoi tratti fondamentali. 2) Su questa base si può determinare senza
difficoltà e avvedutamente il bene umano. 3) La portata dell’agire umano e
quindi della responsabilità è strettamente circoscritta. Intento di questa
trattazione è mostrare che queste premesse non sono più valide e riflettere
sul significato che ciò riveste per la nostra situazione morale.
2
Caratteristiche fondamentali dell’etica tradizionale erano, una techne “innocua”
che non generava dilemmi morali simili a quelli che si propongono nella
contemporaneità, e quindi il non interessamento etico verso il mondo inanimato
oggetto dell’agire umano, l’antropocentrismo (l’etica era interessata solo all’agire
2
H. JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 2009,
p. 3.
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dell’uomo verso l’uomo) e un rapporto esclusivo tra il bene e il male con l’azione
hic et nunc:
[…] Ogni rapporto con il mondo extraumano, ossia tutta quanta la
sfera della techne (abilità manuale), era neutrale sotto il profilo etico in
relazione tanto all’oggetto quanto al soggetto di tale agire.
[…] Il significato etico faceva parte del rapporto diretto dell’uomo con
il suo simile, incluso il rapporto con se stesso: ogni etica tradizionale è
antropocentrica.
[…] Il bene e il male, di cui si doveva occupare l’agire, si manifestava
nell’azione, nella prassi stessa oppure nella sua portata immediata e non era
oggetto di pianificazione a distanza. Questa prossimità dei fini valeva per il
tempo come per lo spazio.
[…] Nessuno era ritenuto responsabile per le conseguenze
involontarie di un suo atto ben intenzionato, ben ponderato e ben eseguito.
La leva breve del potere umano non richiedeva la leva lunga del sapere
predittivo.[…] Proprio perché il bene umano conosciuto nella sua
universalità è lo stesso in ogni tempo […] il suo luogo completo è sempre il
presente.
3
Perché tutto ciò non sarebbe più valido? Perché, secondo l’autore, l’etica è la
sovrastruttura che guida l’agire umano (struttura), mutando quindi la struttura
sottostante si rende necessario anche un “aggiornamento” della rispettiva
sovrastruttura:
[…] in seguito a determinati sviluppi del nostro potere si è trasformata
la natura dell’agire umano, e poiché l’etica ha a che fare con l’agire, ne
deduco che il mutamento nella natura dell’agire umano esige anche un
mutamento nell’etica. […] la novità qualitativa di talune nostre azioni ha
dischiuso una dimensione del tutto nuova di rilevanza etica che non era
prevista in base ai punti di vista e ai canoni dell’etica tradizionale.
I nuovi poteri che ho in mente sono naturalmente quelli della tecnica
moderna.
4
Evento cruciale risulta essere l’avvento non della semplice tecnica, che ha
accompagnato l’uomo fin dagli albori della civiltà e non ha determinato il rischio
di turbare l’equilibrio della natura, ma nello specifico della tecnica moderna:
La tecnica moderna ha introdotto azioni, oggetti e conseguenze di
dimensioni così nuove che l’ambito dell’etica tradizionale non è più in grado
di abbracciarli.
5
3
Ivi, pp. 7-8.
4
Ivi, p. 3.
5
Ivi, p. 10.