73
2. Sindacati di blocco.
La seconda tipologia pattizia individuata dall’art. 2341 bis del codice civile come
rilevante e dunque subordinata ai dettami codicistici è quella dei sindacati diretti a
limitare il trasferimento delle azioni oggetto dell’accordo ovvero delle
partecipazioni nelle società che le controllano. Si tratta dei c.d. patti di blocco,
ovverosia di quelle convenzioni parasociali per il tramite delle quali alcuni o tutti i
soci – nonché, precisano alcuni
227
, anche soggetti terzi – si impegnano a sottostare
a vincoli reciproci concernenti, in particolare, il trasferimento delle partecipazioni
che ne costituiscono l’oggetto. I sottoscrittori, in altre parole, acconsentono a
sottoporre la libera trasferibilità delle azioni a particolari condizioni espressamente
convenute ovvero a precisi limiti temporali, sino all’eventuale impegno ad un
divieto assoluto di alienazione
228
.
Da un lato, dunque, la convenzione di cui alla lettera b) dell’art. 2341 bis presenta
tratti in comune con il sindacato di voto precedentemente analizzato: il patto di
blocco, rappresentando nient’altro che una diversa modalità di stabilizzazione degli
assetti societari, garantisce ai suoi sottoscrittori – come anche il contratto di cui alla
lettera a) della citata norma – la cristallizzazione della compagine sociale, sì da
impedire eventuali mutamenti che potrebbero aversi con l’ingresso, ad esempio, di
soggetti indesiderati all’interno della società
229
.
La natura del contratto de quo è, d’altro canto, differente rispetto alla convenzione
di voto . Il primo, infatti, ha ad oggetto obblighi reciproci di ciascuna parte nei
confronti di tutti gli aderenti, sicché autorevole dottrina
230
è pacifica nell’inquadrare
tale accordo nella categoria dei contratti di scambio: presentando l’evidente
caratteristica della corrispettività delle prestazioni, ed in assenza, altresì, del
227
M. AVAGLIANO, Le clausole che limitano o escludono la circolazione di azioni e di
partecipazioni: tra norme statutarie e patti parasociali, in Le acquisizioni societarie, diretto
da M. IRRERA, Bologna, Zanichelli, 2011, p. 422-423.
228
Ibidem; E. ADDUCCI, op. cit., p. 24; E. BUCCIARELLI DUCCI, op. cit., p. 462; M. PERRINO,
op. cit., p. 333.
229
L. FRANCINI, op. cit., p. 5.
230
Ibidem; A. FERRUCCI, C. FERRENTINO, op. cit., p. 136; D. SCARPA, op. cit., p. 10. Contra,
A. NUZZO, op. cit., p. 487 e ss.
74
perseguimento di uno scopo comune, i patti di blocco si distanziano nettamente
dalle convenzioni di voto, inquadrate, all’opposto, nell’alveo dei contratti
associativi.
Conseguenza della classificazione esposta è rappresentata, in primis, dalla sorte del
vincolo parasociale in caso di scioglimento del contratto da parte di un paciscente:
se, infatti, i sottoscrittori di un patto di voto sono portati – per la natura stessa del
vincolo – a confrontarsi costantemente, l’adempimento di un sindacato di blocco
può essere richiesto a distanza di anni, al punto da rendere consigliabile l’inclusione
dell’obbligo all’interno dello statuto, di norma destinato sopravvivere per un arco
di tempo più lungo
231
.
Nonostante le asserite differenze, sovente, alla convenzione di voto si accompagna
la stipulazione di un patto di blocco: ciò con il preciso fine di rafforzare l’efficacia
del vincolo di voto assunto dagli aderenti, al contempo – com’è evidente – parti di
entrambi gli accordi
232
. Tramite l’utilizzo congiunto delle due tipologie pattizie,
infatti, il gruppo di controllo della società è in grado di generare un sistema di potere
stabile e duraturo, ed in quanto tale difficilmente manipolabile
233
. Di qui di nuovo
l’affinità tra le due forme di patto parasociale: entrambe sono un utile strumento di
conservazione dello status quo rappresentato, in questo ambito, dalla composizione
della compagine sociale e, ancor più precisamente, di predeterminazione del
comportamento dei soci sottoscrittori
234
.
Il rafforzamento della governance societaria esistente rappresenta la finalità tipica
che muove i soci alla conclusione degli accordi di blocco: tale obiettivo può essere
raggiunto, dunque, ostacolando i trasferimenti di partecipazioni societarie, così da
impedire l’ingresso di soggetti non graditi che potrebbero alterare gli equilibri
societari. A tal fine si ammette la possibilità che all’interno del sindacato di blocco
sia inserito un divieto di alienazione dal carattere assoluto, purché accompagnato
da specifici limiti di tempo e di efficacia e rispondente ad un apprezzabile interesse
di una o di tutte le parti dell’accordo. È quanto generalmente si prevede ai sensi
231
L. FRANCINI, op. cit., p. 5-6.
232
E. ADDUCCI, op. cit., p. 24.
233
D. SCARPA, op. cit., p. 10.
234
R. TORINO, op. cit., p. 747.
75
dell’art. 1379 c.c. per qualsiasi contratto, sicché non sussistono dubbi – in dottrina
come in giurisprudenza – in merito all’applicabilità di tale disposizione al contratto
parasociale in esame
235
.
Il dibattito riguarda, piuttosto, l’individuazione del contenuto di quell’interesse
indispensabile perché la convenzione de qua possa essere ritenuta valida e, dunque,
compatibile con l’ordinamento. A questo scopo occorre far riferimento, ancora una
volta, alle ragioni che portano i soci a concludere un siffatto contratto: questo,
interferendo con la liberà trasferibilità delle partecipazioni azionarie, risponde
all’esigenza – spesso sentita dai soci di una joint venture societaria – di conferire
un carattere di infungibilità a determinati soci ovvero, alle volte, a ciascun membro
della società. Il sindacato di blocco diviene, conseguentemente, strumento di
valorizzazione di un connotato tipico delle società di persone, vale a dire il c.d.
intuitus personae: interesse, quest’ultimo, ritenuto degno di tutela ai sensi dell’art.
2355 bis c.c., che espressamente ammette la possibilità di sottoporre a “particolari
condizioni” la circolazione delle azioni della società
236
.
Il citato articolo 2355 bis del codice civile permette, altresì, di operare una
comparazione tra strumenti – i.e. le clausole di blocco – diretti al raggiungimento
del medesimo scopo – ovverosia il menzionato processo di personalizzazione – e
nascenti, tuttavia, da fonti negoziali differenti. La regola generale della libera
trasferibilità delle partecipazioni, enunciata dal codice civile al primo comma della
riferita disposizione, presenta, infatti, eccezioni di vario tipo e di varia gradazione:
i soci possono, ex art. 2355 bis, secondo comma, c.c., comprimere il potere di exit
dalla società attraverso l’inserimento di specifiche clausole di blocco all’interno
dello statuto sociale, in tal modo cristallizzando l’assetto della governance e
ponendosi al riparo da possibili tentativi di scalate da parte di terzi investitori
237
. In
virtù della loro collocazione, le clausole statutarie hanno il pregio di essere
235
Ivi, p. 723-724; D. SCARPA, op. cit., p. 10-11.
236
G. B. FERRI, La prelazione societaria nella giurisprudenza, ovvero il riflesso puntuale di
aperte contraddizioni dottrinali, in Nuova giur. civ. comm., 1998, II, p. 11 e ss.; D.
PROVERBIO, op. cit., p. 69-71.
237
M. AVAGLIANO, op. cit., p. 355 e ss. e p. 392.
76
opponibili nei confronti dei terzi, sicché parte della giurisprudenza
238
non ha esitato
a far conseguire all’inadempimento dei soci la nullità del trasferimento operato in
violazione della clausola. Si è d’altro canto osservato
239
che normalmente tale
drastica conseguenza si fa derivare dalla violazione di norme imperative e non
anche, come in questo caso, da una disposizione organizzativa societaria; a questa
conclusione si affiancherebbero, inoltre, conseguenze ulteriori, quali l’impossibilità
di sanatoria successiva da parte dei soci nonché l’imprescrittibilità dell’azione di
nullità, sicché l’acquisto del terzo sarebbe destinato a rimanere nell’incertezza
giuridica. Un diverso orientamento
240
, dunque, ha preferito parlare di inefficacia
del trasferimento: così argomentando, alla violazione della prescrizione statutaria
non conseguirebbe l’invalidità dell’atto, bensì la semplice improduttività dei suoi
effetti.
In alternativa all’inserimento di una sì descritta clausola all’interno dello statuto
della società, ai soci viene attribuita la facoltà di concordare un divieto di
alienazione tramite la stipulazione di un patto parasociale di blocco. Ciò che
differenzia quest’ultimo dalla prescrizione statutaria è, principalmente, l’efficacia
del vincolo sulle azioni: il mancato rispetto, da parte di uno o più paciscenti, di
quanto stabilito attraverso la convenzione parasociale, non è di per sé in grado di
invalidare l’atto di trasferimento effettuato; ciò anche qualora l’intera collettività si
vincolasse in tal senso, non potendosene per ciò solo far derivare uno svuotamento
dell’assemblea quale organo deputato ad esprimere la volontà sociale.
All’inadempimento del patto parasociale non potrebbe che conseguire – ed è quanto
nella pratica avviene – un mero obbligo risarcitorio dell’alienante nei confronti dei
238
Trib. Roma, 19 marzo 1998, in Giur. it., 1998, p. 2111; Trib. Como, 23 febbraio 1994, in
Soc., 1994, p. 678 e ss.; Cass. civ., 21 ottobre 1973, n. 2763 in Giur. comm., 1975, II, p. 23.
239
C. LIBERIO, Effetti della violazione della clausola di prelazione, in Giur. merito, 2005, p.
2102.
240
Per la dottrina, C. ANGELICI, Della società per azioni: le azioni. Artt. 2346-2356, Milano,
Giuffrè, 1992, p. 360. Per la giurisprudenza, Cassazione civ., 30 settembre 2005, n. 19203,
sez. I, in Riv. notariato, fasc.4, 2006, pag. 1065, con nota di S. CLERICÒ, L'alienazione di
partecipazioni sociali in spregio della clausola di gradimento ed il valore del silenzio
dell'organo competente ad esprimerlo.
77
sottoscrittori dell’accordo, non essendo ipotizzabile, a contrario, alcuna
invalidazione della cessione, che rimane efficace ed operante tra le parti
241
.
Il pacifico riconoscimento di una tutela meramente risarcitoria non deve
scoraggiare quanto all’opportunità dell’utilizzo della convenzione parasociale in
luogo della corrispondente previsione statutaria: autorevole dottrina
242
ne ha
evidenziato il pregio nel presentare un contenuto assai più flessibile e malleabile,
sicché la stipula di un patto di blocco parrebbe, in quest’ottica, addirittura
preferibile. A differenza dei meccanismi statutari che, in virtù dell’efficacia erga
omnes che ne caratterizza i vincoli, comprimono con maggiore forza le ragioni
dell’autonomia privata e limitano notevolmente la negoziabilità delle
partecipazioni, l’apposizione di un divieto di alienazione di natura parasociale non
inibisce irreversibilmente la circolazione azionaria, in tal modo mantenendo
inalterata l’appetibilità degli investimenti.
L’impossibilità di porre rimedio all’inadempienza dei paciscenti non ha impedito
ai soci di introdurre meccanismi atti ad impedire ovvero, quanto meno, ostacolare
la dismissione. A tal fine sono stati introdotti plurimi obblighi accessori volti ad
incrementare l’efficacia del vincolo parasociale: inter alia, concessioni di mandati,
procure, deleghe, nonché girate, intestazioni e depositi fiduciari. Questa pratica
assai diffusa ha posto non pochi dubbi in ordine alla natura giuridica – e,
conseguentemente, all’efficacia – della pattuizione così rafforzata: si è parlato, a tal
proposito, di sindacati ad efficacia reale
243
.
Come il loro omologo statutario, anche le clausole parasociali possono assumere
forme differenti. La dottrina maggioritaria è solita individuare tre macro-categorie
di sindacati di blocco: i patti di inalienabilità o intrasferibilità, i patti di prelazione
ed i patti di gradimento.
241
E. BUCCIARELLI DUCCI, op. cit., p. 462.
242
M. AVAGLIANO, op. cit., p. 424; P. FIORIO, I patti parasociali, in Il nuovo diritto
societario, diretto da G. COTTINO e G. BONFANTE, O. CAGNASSO, P. MONTALENTI, Bologna,
Zanichelli, 2009, p. 75; E. MACRÌ, op. cit., p. 241.
243
Ex plurimis, M. AVAGLIANO, op. cit., p. 427-428.
78
Quanto alla prima delle tipologie indicate, appare sufficiente rinviare a quanto già
detto con riferimento alle convenzioni attraverso cui i soci si impegnino a sottostare
al divieto di cui all’art. 1379 c.c.
Anche la seconda forma di accordo, il c.d. patto di prelazione, si concretizza in una
convenzione stipulata al fine di comprimere l’autonomia privata degli aderenti:
questi, pur essendo liberi di dismettere la propria partecipazione azionaria, non sono
altrettanto liberi nella scelta del soggetto cui offrirla. Ad un soggetto terzo – in
quanto, s’intende, non sottoscrittore dell’accordo – dovrà essere preferito, in caso
di vendita, un socio c.d. oblato: in tale eventualità, infatti, ciascun paciscente si
obbliga ad offrire le proprie azioni in prelazione ai – soci o terzi – sottoscrittori del
patto
244
.
Se da una parte, dunque, viene protetto l’interesse collettivo della società a non
subire alterazioni della propria compagine sociale ovvero la rimodulazione delle
percentuali azionarie, si assicura, dall’altra, la tutela dell’interesse dei soci ad
accrescere proporzionalmente la propria partecipazione, così da mantenere
inalterate le proprie prerogative all’interno della società
245
.
Il fine, dunque, è il medesimo: salvaguardare gli assetti societari formatisi
garantendo conoscenza e controllo sulle variazioni della compagine, così da poter
valutare la rispondenza della nuova composizione con l’intuitus personae che
avesse determinato la scelta dei soci di entrare in società. Differente è, invece, la
prestazione oggetto dell’accordo: un obbligo di non alienare le proprie quote
azionarie per un tempo massimo determinato, nel primo caso, ed un diritto
potestativo all’acquisto in via preferenziale della partecipazione offerta in vendita,
nel secondo
246
.
Quanto al contenuto della clausola di prelazione, è pacifico che il primo
adempimento debba consistere nell’intenzione di alienare comunicata con lettera
raccomandata presso il domicilio di ciascun socio. L’informazione, poi, dovrà
essere necessariamente corredata dall’individuazione del cessionario nonché dalla
244
Ex plurimis, D. PROVERBIO, op. cit., p. 72 e ss.; A. DI GASPARE, op. cit., p. 56.
245
L. FRANCINI, op. cit., p. 5.
246
E. ADDUCCI, op. cit., p. 34.
79
puntualizzazione delle principali condizioni per la cessione, ossia il prezzo di
vendita e le modalità del pagamento, cui si accompagnano altresì i termini per
l’esercizio della prelazione da parte dei soggetti interessati
247
. A questo fine è stato
riconosciuto
248
in capo ai soci c.d. oblati un vero e proprio diritto di conoscere
l’identità del terzo offerente, sicché sembra opportuno dover includere nella
denuntiatio anche il nome di colui che formuli l’offerta.
Quanto detto in ordine al contenuto non esaurisce l’analisi della clausola di
prelazione. Discussa è, infatti, la tematica della natura giuridica: a parere di buona
parte della dottrina e della giurisprudenza si tratterebbe niente meno che di un
contratto preliminare unilaterale
249
sottoposto alla condizione sospensiva della
decisione del socio di vendere la quota azionaria; diversa, invece, l’interpretazione
di quell’indirizzo che individua nel negozio di prelazione i caratteri di una promessa
unilaterale del venditore di non addivenire alla stipulazione di un contratto con un
terzo se non prima di aver proposto la cessione al prelazionario alle medesime
condizioni; vi è, infine, chi ha qualificato la prelazione come diritto di opzione, cui
corrisponderebbe, naturaliter, un diritto potestativo in capo al beneficiario e
consistente nella facoltà di concludere il contratto qualora l’offerente decida in tal
senso
250
.
Altrettanto dibattuta è, infine, la questione della natura giuridica della c.d.
denuntiatio, ossia della comunicazione dell’intento di mettere in vendita la
partecipazione azionaria. La maggioranza della dottrina
251
e della giurisprudenza
252
è orientata nel senso di qualificare detta informazione come proposta contrattuale
irrevocabile: ciò sulla base della considerazione per cui l’adesione degli interessati
all’offerta del socio sarebbe di per sé idonea a vincolare il cedente, sicché la
manifestazione di volontà in tal senso – e nel rispetto delle forme prescritte –
247
Ibidem.
248
Coll. arb., 29 luglio 2008, in Banca borsa tit. cred., 2009, p. 493.
249
Secondo la Cass. civ., sez. lav., 26 marzo 1997, n. 2692, in Giust. civ. Mass., 1997, p. 469,
è tale quel contratto «in sé perfetto e autonomo, ancorché con obbligazioni a carico di una
sola parte, rispetto al contratto definitivo […]».
250
F. BROCK, Vendita di azioni e violazione del patto di prelazione, in Contratti, Milano,
Ipsoa, 1994, p. 297.
251
G. B. FERRI, op. cit., p. 25.
252
Trib. Milano, 24 marzo 2003, in Giur. milanese, 2004, p. 35.
80
sarebbe sufficiente a concludere il contratto. Un diverso orientamento
253
,
all’opposto, attribuisce alla denuntiatio natura di semplice invito a proporre: priva,
in quanto tale, degli estremi essenziali del contratto di cessione da concludere, a
questa corrisponderebbe il semplice diritto dell’interessato di acquistare il bene
secondo quanto previsto dal patto di blocco.
Vi è, poi, la terza tipologia di sindacati di blocco. Con il termine “patto di
gradimento” si suole far riferimento, di norma, a quella clausola attraverso cui i soci
attribuiscono a determinati soggetti il potere di individuare gli acquirenti della
partecipazione azionaria eventualmente oggetto di vendita da parte di uno dei
paciscenti. Attraverso tale meccanismo il trasferimento delle azioni – in grado,
come visto, di modificare l’assetto di governance societaria permettendo l’ingresso
di soggetti estranei ovvero alterando gli equilibri fissati dalle percentuali azionarie
possedute – può essere impedito ovvero ostacolato: perché sia valido, infatti,
necessita di un’espressa autorizzazione di un organismo ad hoc a ciò deputato
254
.
Solitamente il placet alla cessione è dato dall’organo decisionale del patto ovvero
da quello direttivo: tale scelta è dettata dall’esigenza di imputare la decisione alla
volontà sociale, sicché una determinazione in tal senso, qualora sia lasciata ad un
organo rappresentativo, garantisce la certezza della coincidenza tra l’interesse
sociale ed il tornaconto dei singoli. È quanto avviene, d’altronde, per le clausole
statutarie di gradimento: nella prassi, infatti, i soci sono soliti riservare la
deliberazione all’assemblea o al consiglio di amministrazione
255
.
L’organo decisionale, dunque, ricevuta comunicazione dell’intenzione di alienare,
avrà il compito di individuare il soggetto – già membro della società oppure terzo;
in questo secondo caso non è dato ravvisare particolari divergenze rispetto
all’analizzata clausola di prelazione – “gradito”, vale a dire colui che sia ritenuto
idoneo a beneficiare della cessione. La scelta potrà essere compiuta su basi
253
S. EREDE, Clausole di prelazione sociale e parasociale: tipi ed effetti, in in AA.VV.,
Sindacati di voto e sindacati di blocco, a cura di BONELLI F. – JAEGER P.G., Milano, 1993, p.
247.
254
D. PISELLI, La validità e l’efficacia dei patti parasociali dopo la riforma societaria (nota a
Cass. 18 luglio 2007, n. 15963), in Società, 2009, p. 202.
255
R. AMBROSINI, “Sociale” e “parasociale” nella clausola di gradimento, in Società, 2009,
p. 171; A. DI GASPARE, op. cit., p. 56.
81
differenti a seconda che il vaglio si fondi su requisiti predeterminati o meno: è nota,
a tal proposito, l’annosa problematica della validità delle clausole di mero
gradimento, per il tramite delle quali il placet viene subordinato al c.d. merum
arbitrium dell’organo sociale, mancando, invece, qualsiasi ancoraggio del rifiuto
ad una giustificazione oggettiva. Il rischio, com’è evidente, è in una selettività
dettata dal perseguimento di interessi personali dei membri dell’organo, con
evidenti ripercussioni sull’interesse sociale potenzialmente confliggente
256
.
Ad oggi la soluzione al problema è stata data dal legislatore: la clausola di
derivazione parasociale, così come avviene per la prelazione che venga inserita
nello statuto della società, deve necessariamente sottostare ai dettami normativi di
cui all’art. 2355 bis del codice civile, ove si dispone l’inefficacia delle clausole de
quibus che subordinino il trasferimento delle azioni “al mero gradimento di organi
sociali o di altri soci” salva espressa previsione di un obbligo di acquisto delle
azioni ovvero del diritto di recesso in capo all’alienante. In altre parole il legislatore
della riforma, garantendo il diritto di far acquistare ai soci le proprie azioni o,
alternativamente, di recedere in caso di rifiuto, ha reso possibile la tutela da ogni
abuso del socio che voglia dismettere la propria partecipazione, in tal modo
permettendo, altresì, il perseguimento dell’interesse sociale a mantenere omogenea
la compagine sociale
257
.
3. Sindacati di gestione.
La terza tipologia di patti parasociali che si intende esaminare è certamente quella
che reca con sé le maggiori problematicità. Le perplessità, come si vedrà, sono
legate all’intensità del vincolo che si originerebbe – e, nella prassi, si origina – dalla
stipulazione di un siffatto accordo, al punto da aver indotto la dottrina a qualificare
256
G. FERRI, op. cit., p. 355.
257
L. FRANCINI, op. cit., p. 6.