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PREMESSA
Questo lavoro si propone di esplorare il territorio molto frequentato e non sempre
adeguatamente mappato delle paure sociali. Si è scelta la strada di un percorso nettamente
delimitato e per quanto possibile sistematico. Si è affrontato sinteticamente il problema
della definizione possibile della paura giungendo a coincidere con le posizioni comuni, a
questo proposito, della sociologia contemporanea. L’esame di un filone specifico, ma
centrale di tale riflessione, ha portato successivamente ad analizzarne uno dei vertici più
significativi, quello costituito nella sostanza dalla sociologia della crisi fortemente
influenzata dalla metapsicologia freudiana e, sia pur con variabili cospicue coincidente
nella sostanza con Elias e Beck nel riconoscimento di una prospettiva problematica di
apertura ad una dimensione sociale “riflessiva e integrata”.
Si è proposto di realizzare alcuni studi di caso sulla tematica ambientale e su quella delle
migrazioni come confronto/conflitto delle strutture noi/loro.
Il quadro fenomenologico analizzato, articolato nell’esame distinto “dei dati” e “delle
opinioni” viene posto in implicita connessione con le conclusioni dei percorsi di analisi sia
di Beck, crisi ambientale come prodotto e causa della apocalisse possibile, sia di Elias, la
crisi delle immigrazioni come prodotto/causa dei conflitti ricorrenti e finora irrisolti della
struttura sociale io/noi.
Nell’ultima parte si è cercato di collegare la complessiva impostazione del lavoro,
orientato sostanzialmente ad una verifica delle ipotesi di indefinibilità e labilità del
concetto di paura e delle sue manifestazioni, ad un “caso” specifico che coinvolge
l’esperienza professionale dell’autrice “il tema dei fear appeals in educazione stradale”.
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1.1 Tentativo di definizione di un contesto metodologico
Di fronte ad un fenomeno come la paura, così universale, con aspetti così molteplici e
variabili, ho ritenuto necessario cercar di fissare alcune riflessioni di metodo preliminari,
sia per non perdermi senza un orientamento nel mare magnum di una letteratura
sterminata, che per evitare la caduta in una inconsapevole arbitrarietà.
Un primo elemento di confusione è stato il tentativo di approccio al tema attraverso la
ricerca di una definizione esaustiva del concetto di paura. La molteplicità, genericità, ecc.
di tali definizioni, cercate in enciclopedie, dizionari, testi giornalistici, e nell’infinito
mondo di internet, mi hanno convinto in primo luogo della mia soggettiva incapacità/
impossibilità di costruire una definizione approfondita, totalizzante e complessiva della
paura e, contemporaneamente, di non poter trarre alcun orientamento dall’eventuale
raccolta delle sue variabili fenomeniche.
Vale a dire, in sostanza, che enunciati e impostazioni descrittive del tipo: “La paura è…”o
del tipo: “Le paure si dividono in…” mi sono apparsi non in grado di costituire, al di là di
approssimazioni superficiali, uno strumento orientativo funzionale.
E’ venuto a sostegno di questa mia incertezza, che mi è apparsa non riguardare
specificatamente l’universo della paura, ma qualsiasi universo non operativamente
definibile (cioè virtualmente infinito) il riferimento a due testi dello scrittore e saggista
argentino Jorge Luis Borges, e specificamente a :
La biblioteca di Babele
1
e a L’idioma analitico di Wilkins:
L’universo (che altri chiama la biblioteca) si compone di un numero indefinito e forse infinito
di gallerie esagonali[…] La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque
vasti scaffali in ragione di cinque per lato[...] le gallerie sono collegate da una scala spirale che
s’inabissa e s’innalza nel remoto.[…] Ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato
uniforme, ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina , di quaranta righe;
ciascuna riga , di quaranta lettere di colore nero.[…] La biblioteca è totale, i suoi scaffali
registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici(numero, anche se
vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò che è dato di esprimere in tutte le lingue. Tutto: la storia
minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca,
migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la
dimostrazione della falsità del catalogo fedele[…]
2
.
La Biblioteca, quindi comprende tutti i libri possibili: tutti i libri che sono stati scritti,
tutti i libri che saranno scritti e che potrebbero essere scritti, libri di storia sul nostro
passato, libri che spiegano il nostro presente e libri che descrivono accuratamente il nostro
futuro.
1
J. L. BORGES, La Biblioteca di Babele, in, Finzioni, Einaudi, Torino, 2006.
2
Ivi, p.78.
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Non è infinita ma è come se lo fosse (così come le paure), ma in essa – commenta
Borges - la possibilità di trovare quel che si cerca, cioè di poter estrarre da quell’ordine
totale e supremo un ordine operativo - un elenco - funzionale alla conoscenza di qualcosa,
è sostanzialmente uguale a zero.
La biblioteca con infiniti corridoi che si ripetono è simile ad un labirinto dove è
inevitabile perdersi, dove tutte le lingue si mescolano, dove vi sono libri criptati o scritti in
codici misteriosi, che vengono interpretati in modo differente da ogni lettore.
Troviamo libri che parlano di alcuni argomenti e altri che esprimono idee
completamente diverse, c’è sicuramente un libro di storia che afferma che fu Cesare a
pugnalare Bruto, così come c’è un libro di scienze in cui si afferma che la terra è piatta o
uno di geografia che dice che Galliate è la capitale d’Italia. Dalla Biblioteca non si esce e
la ricerca della parola esatta, esauriente è infinita e senza alcuna speranza.
Ne L’idioma analitico di John Wilkins,
3
J. L. Borges sviluppa ancor più chiaramente,
con geniale ironia, il tema dell’impossibilità di estrarre dal caos un ordine universalmente
riconoscibile:
Codeste ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il dottor Franz Kuhn
attribuisce a un’enciclopedia cinese che si intitola Emporio Celeste di Conoscimenti Benevoli.
Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in a) appartenenti all’imperatore,
b) imbalsamati, c) addomesticati, d) lattonzoli, e) sirene, f) favolosi, g) cani randagi, h) inclusi
in questa classificazione, i) che s’agitano come pazzi, j) innumerevoli, k) disegnati con un
pennello finissimo di pelo di cammello, l) eccetera, m) che hanno rotto il vaso, n) che da
lontano sembrano mosche. Anche l'Istituto Bibliografico di Bruxelles pratica il caos: ha
ripartito l'Universo in 1000 suddivisioni, delle quali la 262 corrisponde al Papa; la 282, alla
Chiesa Cattolica Romana; la 263 corrisponde al giorno del Signore; la 268 alle scuole
domenicali; la 298 al mormonismo; e la 294 al bramanesimo, buddismo, scintoismo e taoismo.
Non rifiuta le suddivisioni eterogenee, come la 179: Crudeltà verso gli animali. Protezione
degli animali. Il duello e il suicidio dal punto di vista della morale. Vizi e difetti vari. Virtù e
qualità varie[…]
4
.
Il messaggio di Borges è chiaro, ogni classificazione si porta dietro un modo di vedere
il mondo, non esiste una classificazione neutrale. Classificare è un’attività, è uno sforzo
conoscitivo dai risultati necessariamente incerti e indimostrabili.
Le parole di Borges suonano come una presa in giro sia, del sapere enciclopedico, sia di
ogni elenco che voglia proporsi come esaustivo. Stilare classifiche di merito, classificare le
cose del mondo è una pura illusione.
Qualsiasi classificazione è perciò «arbitraria e congetturale» , carente, incerta, che
pretende a una perfezione che non potrà mai raggiungere, è un’impresa tanto vasta e
articolata quanto sostanzialmente poco produttiva, perché dipende da situazioni culturali, e
contesti sociali. Ciò non toglie che classificare ed elencare possa avere una qualche utilità
3
J.L. BORGES, Altre Inquisizioni, Milano, Adelphi, 2000.
4
Ibidem, p.104
6
pratica per orientarsi grossolanamente sia rispetto ai problemi scientifici che soprattutto
alle inevitabili situazioni fenomenologiche.
Un ulteriore passo avanti in questa ricerca di un orientamento metodologico mi è stata
data dalla Psicoanalista Simona Argentieri:
[...] la cosiddetta paura è un fenomeno sfaccettato e caleidoscopico, che per essere compreso
deve essere affrontato da molteplici vertici teorici di osservazione. Occorre però tenere
presente che le varie discipline utilizzano metodologie molto diverse (talora non ne usano
alcuna) e che, di conseguenza, la comparazione e l’integrazione dei dati che se ne vogliono far
derivare è difficile; così come costante è il rischio, non sempre ingenuo, di slittamenti logici,
confusioni di livelli, strumentalizzazioni.
La questione più frequentemente dibattuta è quella relativa alle “nuove paure”, seppure
bisognerebbe preliminarmente chiedersi se davvero ci siano paure vecchie e paure nuove; se
eventualmente le nuove abbiano sostituito o si siano sommate alle vecchie; o magari se le
antiche, eterne angosce abbiano solo assunto nuove vesti. Nella nostra epoca c’è una sorta di
coazione a individuare in ogni ambito l’innovazione e il segno del tempo, enfatizzando spesso
banali oscillazioni o labili variazioni che non hanno alcun senso né evolutivo, né involutivo.
È ragionevole pensare che i maggiori cambiamenti si registrino soprattutto a livello esteriore,
formale; non possono certo mutare i funzionamenti psicofisiologici di base, né il processo di
sviluppo individuale. Ciò che si modifica, in stretta correlazione con le circostanze storiche e
culturali, sono semmai i meccanismi di difesa con i quali si tenta di far fronte alla paura
5
.
L’efficace immagine del caleidoscopio, un apparecchio le cui riflessioni multiple
formano immagini spesso simmetriche che mutano in modo imprevedibile e variabilissimo
ad ogni movimento, appare una metafora della natura polimorfa e inclassificabile delle
infinite facce della paura.
Paure vecchie e paure nuove: “ A fulgure et tempestate, a peste, a fame et bello Libera
nos Domine.” Così recitavano le antiche preghiere per propiziare la semina. Un vero e
proprio catalogo di paure prevedibili e in qualche modo risolvibili.
Oggi le paure sono imprevedibili e difficilmente localizzabili. Viviamo nell’insicurezza
per il presente e nell’incertezza per il futuro, la nostra è l’epoca della sensazione che tutto
sia illimitato senza più confini e misure protettive, e che non vi sia un nemico imputabile
con certezza.
Su un altro piano, anche un antropologo come Marc Augé esprime una sua
considerazione:
Il mondo contemporaneo ci mette dunque di fronte ad un vero e proprio groviglio della paura,
ed è questo groviglio che dovremmo iniziare a dipanare se vogliamo cercare di analizzare le
cause, le conseguenze e i possibili sviluppi del malessere generalizzato che pare essersi
impossessato delle società umane e minacciare il loro equilibrio
6
.
Oggi a paralizzarci è la sensazione che le paure siano presenti nella nostra vita tutte
nello stesso tempo, mescolate e confuse in un groviglio inestricabile, in « una matassa
5
S. ARGENTIERI, Paura, paure, in, Treccani XXI secolo, http://www.treccani.it/enciclopedia/paure-
paura_%28XXI-Secolo%29/
6
M. AUGÉ, Le nuove paure, Boringhieri Torino 2013, p. 12.