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INTRODUZIONE
Con questa tesi ho cercato di analizzare il ruolo che ha avuto la regista, attrice e fotografa
tedesca Leni Riefenstahl, nel suo ruolo di autrice di film e documentari, in particolare al servizio
del regime nazionalsocialista tedesco. Per fare ciò sono partito dalla suo autobiografia. Essa è
stata pubblicata in Italia col titolo di Stretta nel tempo. Storia della mia vita
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da Bompiani.
Di fatto poi, nella sua lunghissima vita, muore infatti a 101 anni, la regista non prenderà mai
una vera e propria pausa. Un’esistenza che si può definire, senza esagerazioni, una vera e
propria epopea, così come la sua figura un mito, come la definisce il regista, scrittore e
sceneggiatore ferrarese Michele Sakkara nel suo libro del 2009 dal titolo Leni Riefenstahl. Un
mito del XX secolo.
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Una figura tanto geniale e poliedrica da riuscire ad avere una carriera
florida e di successo anche dopo la caduta dell’ideale nazista. Proprio alla sua scaltra decisione
di non aderire al regime (Hitler era infatti tanto estasiato da lei da non obbligarla mai ad
iscriversi al NSDAP) deve il suo lavoro post bellico. Nonostante l’ostracismo di taluni che la
perseguiterà per il resto della vita, riuscirà comunque a girare il mondo e ad affermarsi come
fotografa e documentarista, sebbene l’immediato dopoguerra sia stato molto difficile per lei e,
ancora oggi, sia spesso associata alle sole produzioni naziste, per le quali è universalmente nota
al grande pubblico. Dopo la sua morte sono stati pubblicati svariati volumi a lei dedicati, non
solo in lingua tedesca, per rendere omaggio al suo genio ma soprattutto per fare chiarezza sulla
sua figura che, per via della collusione col regime è sempre stata, almeno in parte, banalizzata
e misconosciuta. Proprio questo sarà il motivo che la porterà a scrivere di sé, non per redimersi
agli occhi del mondo ma per raccontare della propria vita e delle proprie scelte, dai primi ricordi
infantili agli anni della vecchiaia.
Questo testo è stato però solo un punto di partenza per poter non solo esplorare la vita di una
delle più interessanti ed enigmatiche personalità del Terzo Reich sopravvissute alla guerra, ma
anche un’occasione per riflettere sul ruolo fondativo che ebbe il suo lavoro per l’estetica nazista
e viceversa, in un processo osmotico nel quale la regista farà conoscere se stessa e l’ideale
hitleriano al mondo.
Il trattare un argomento legato alla Germania nazista potrebbe sembrare un’idea tutt’altro che
originale ma ho cercato di farlo con uno sguardo il più possibile rivolto all’attualità. Anche oggi
infatti la violenza talvolta esplode, con i dovuti distinguo, anche per le strade d’Europa. Una
violenza figlia di idee integraliste e assolutamente riluttanti al dialogo proprio come quella
1
Leni Riefenstahl, Stretta nel tempo. Storia della mia vita (Memoiren), prefazione di Enrico Ghezzi, Bompiani
2000
2
Michele Sakkara, Leni Riefenstahl, Un mito del XX secolo, Chieti, Solfanelli, 2009
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perpetrata dall’ideale nazista e in seguito dall’apparato statale, che darà vita ad una
efficientissima e puntuale violenza di stato
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come la definisce lo storico e accademico francese
Pierre Vidal-Naquet. Egli usa questo termine in uno dei suoi numerosi lavori dedicati alla
Guerra d'Algeria degli anni 1954-1962, dove la rivolta algerina venne soppressa nel sangue con
violazioni sistematiche dei diritti umani ad opera delle forze armate francesi. Anche nel caso
nazista è doveroso mostrare come le violenze dapprima opera dei primi gruppi paramilitari delle
SA, acronimo di Sturmabteilung (reparto d'assalto) conosciute anche come camicie brune,
successivamente divennero prerogativa di tutti gli altri organi armati dello Stato e non solo delle
SS, le Schutzstaffeln (squadre di protezione). Molti massacri furono infatti portati a compimento
anche dalla Wehrmacht e dalle sue tre forze armate che la costituivano: l’Heer (esercito), la
Kriegsmarine (marina militare) e la Luftwaffe (aeronautica militare). Ad essi si affiancarono,
per lo più in patria, le varie divisioni di polizia, del tutto asservite al regime, e della
Hitlerjugend. Essa era l'organizzazione giovanile maschile fondata dal NSDAP nel 1926 per
accogliere i giovani, a partire dai 10 anni, e prepararli a servire nelle forze armate, divenendo
così dei “buoni cittadini”. Spesso quest’ultima viene paragonata alla nostra Opera Nazionale
Balilla (ONB), anche se non sono pienamente assimilabili. Essa fu concepita sin dalla sua
fondazione come uno strumento di penetrazione nelle scuole, i cui prèsidi e insegnanti erano
tenuti ad “aprire le porte” delle strutture scolastiche alle iniziative dell'ONB. Mussolini cercò
di fare ciò che la Germania fece, dal basso e spontaneamente, durante il primo conflitto
mondiale, istituzionalizzandolo, per pervadere meglio l’istituzione scolastica. In Germania a
spingere all’arruolamento nella grande guerra furono più che altro zelanti educatori che,
facendo leva sugli ideali di Patria e Gloria, riuscirono a far approdare molti giovani delle scuole
superiori alle trincee. Questo è mostrato in maniera esemplare nel celeberrimo romanzo
autobiografico dello scrittore Erich Maria Remarque: Niente di nuovo sul fronte occidentale
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pubblicato nella sua prima edizione in Germania nel 1929 e finito nei roghi nazisti del ‘33
insieme a molti altri titoli. Roghi, i Bücherverbrennungen, voluti e organizzati dalla Deutsche
Studentenschaft (Associazione degli studenti tedeschi) allo scopo di eliminare "lo spirito non
tedesco".
Il primo e più grande avvenne il 10 maggio 1933 nell'Opernplatz berlinese dove 40.000 persone
poterono udire un discorso di Joseph Goebbels, dal 1926 ministro della propaganda. Un
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Pierre Vidal-Naquet, Lo stato di tortura: la guerra d’Algeria e la crisi della democrazia francese, Milano, Res
Gestae, 2012
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Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, trad. Stefano Jacini, aggiornamento e revisione
della traduzione di Wolfango della Croce, Collana Biblioteca, Vicenza, Neri Pozza, 2016
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discorso funereo che faceva da corollario a questa inaudita infamia verso l’umanità che,
nonostante il bagliore dei falò, aveva solo intravisto le tenebre che il nazismo porterà con gli
anni a venire. Il testo di Remarque venne dato alle fiamme in quanto l’opera divenne ben presto
un manifesto pacifista. Essa non mostrava nulla di eroico o valoroso, ma solo la crudezza, la
violenza e le quotidiane brutalità delle trincee. In modo straordinariamente realistico mostrò
quanto poco ci fosse di glorioso nell’uccidere, nel vivere in condizioni miserabili tra sporcizia
e topi, strisciando nel fango nelle anguste trincee, nell’aspettare giorni e giorni
nell’interminabile tensione della guerra di logoramento, senza la minima possibilità di
mangiare, lavarsi o vestirsi in modo adeguato. Benché mostrasse anche l’unica cosa che porterà
i pochi eletti fuori dalle trincee sani e salvi, il sentimento di cameratismo, troverà
ineluttabilmente l’oblio insieme ad altri illustri autori, da Albert Einstein a Werner Hegemann.
Questi riti pseudo pagani che sancirono la morte della libertà culturale, appaiono ancora più
folli se pensiamo che furono organizzati dagli studenti universitari. Coloro che sarebbero dovuti
essere depositari della cultura e della libertà ad essa indissolubilmente annessa, divennero i suoi
assassini. Ed è proprio come un assassinio che oggi è percepito questo macabro rituale; tanto
che la Germania ha costruito un memoriale nella piazza di Berlino, mentre targhe e monumenti
sono stati posti in memoria dei roghi nelle altre città dove essi ebbero luogo, come a Monaco
di Baviera, a Gottinga o nelle città austriache di Salisburgo e Vienna. I roghi infatti si espansero
anche alla vicina Austria, che nonostante fosse ancora lontana dall’annessione (l’Anschluss) del
1938,
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era saldamente nelle mani del Cancelliere austriaco Engelbert Dollfuß, durante la
dittatura che oggi prende il nome di austrofascismo.
Per pareggiare i conti gli Alleati nel ‘46 confiscarono più di 30.000 testi nazisti, dai testi
scolastici fino alle poesie del generale von Clausewitz quasi tutti furono distrutti tanto che il
rappresentante della Direzione Militare alleata ammise, in un’intervista alla rivista Time dello
stesso anno, che l’atto non fu tanto diverso dai roghi di libri organizzati dai nazisti. Tutto questo,
che non può sembrarci altro che follia medievale (nell’accezione evidentemente negativa del
termine), ci vede sicuri che ora, nella nostra aperta e civilizzata Europa, non possa più accadere.
Invece proprio pochi mesi fa, nel maggio 2016, a Bologna, in concomitanza con un comizio
politico del partito secessionista Lega Nord, un piccolo gruppo di incappucciati appartenente
ad un centro sociale è entrato in una libreria per stracciare i libri del leader del movimento,
come segno di protesta, il tutto filmato e documentato in modo che il gesto idiota potesse essere
immortalato a dovere. Ed è proprio qui che sta il vero pericolo. Non nel vandalismo
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Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1919-1999, Laterza, 2000
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disorganizzato di qualche imbecille. È più di un gesto stupido, ma è un qualcosa di criminale;
il degradarlo a puro vandalismo è qualcosa della cui pericolosità ci si deve rendere conto subito.
Guardandoci indietro non possiamo non ricordare come, fatalmente, si ridusse e ridimensionò
il pericolo incarnato da Hitler, arrivando addirittura a deriderlo e a farsi beffe di lui
apostrofandolo con una serie di nomignoli che spaziano da “pifferaio magico” a “figlioccio
dell’inflazione”.
Un altro fatto di attualità turbò le coscienze del nostro paese avvenne nel 2009 nell’ambito del
decreto legislativo in ambito di sicurezza, che puntava alla gestione delle “ronde di quartiere”,
Queste ronde cittadine sono sempre esistite, in particolare nelle grandi città, che per via delle
loro dimensioni e alla presenza di aree degradate sono sempre le più soggette al crimine. Questa
proposta prese una piega alquanto inquietante quando il leader dell’MSI (Movimento Sociale
Italiano), Gaetano Saya, decise di istituire le cosiddette “ronde nere” o per i più fanatici
“Guardia Nazionale Italiana”. Il partito, nato direttamente dal disciolto ed illegale PNF, il
Partito Nazionale Fascista, poteva contare, a suo dire su oltre 2100 volontari su tutto il territorio
pronti a vestire la divisa molto simile a quella delle “camicie brune” e che prevedeva una fascia
da braccio nera sulla quale svettava il simbolo del sole nero, lo schwarze sonne, emblema della
società segreta Thule. È più che evidente che si trattò di una provocazione di un partito piccolo
e ai limiti della legalità. Ma anche in questo caso non si può ridimensionare il tutto come la
trovata di un esaltato. Molti cittadini esasperati dalla criminalità dilagante videro di buon occhio
questa iniziativa tanto che l’allora capo del governo, Silvio Berlusconi, si vide costretto a dare
udienza a una delegata del movimento, la moglie del fondatore, alle date agli arresti domiciliari
con l’accusa, assai meno goliardica, di avere istituito una polizia segreta parallela. Non rende
certo più tranquilli sapere che questa pantomima è costata 11 mesi di reclusione per apologia
di fascismo al leader del movimento, accusato anche del reato di riorganizzazione del disciolto
partito fascista.
Questi sono dunque i motivi che mi hanno portato ad approfondire questo argomento. La vita
di una delle figure più interessanti del Terzo Reich è stato solo uno spunto per una riflessione
di più ampio respiro. Analizzare il passato per comprendere meglio il presente è una delle
prerogative più alte e nobili della storia. Una storia che non sia lo studio mnemonico di date o
avvenimenti ma un passato da cui apprendere, una insostituibile chiave di lettura del presente e
una guida che ci accompagni in un futuro più che mai incerto.
«Ogni vera storia è sempre autobiografica» credeva Benedetto Croce. Con una autobiografia
ho cominciato questo percorso.
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CAPITOLO 1. Leni Riefenstahl: la vita e le opere al servizio
dell’ideale nazionalsocialista
1.1 Il documento: l’autobiografia
Per ricostruire il vissuto e il lavoro della poliedrica artista tedesca sono partito dalla sua
autobiografia. Venne pubblicata in Italia nel 1995 col titolo di Stretta nel tempo. Storia della
mia vita, benché il testo usato sia l’edizione successiva, l’ultima versione italiana, edita nel
2000. Il testo originale, dal titolo Memoiren, contava ben 928 pagine, ridotte a 668 per la
versione inglese e a 608 in quella italiana. In Germania il libro è stato pubblicato nel 1987,
quando la Riefenstahl era già ultraottantenne. Nonostante la sua veneranda età il testo ci dona
una storia personale molto ricca, resa con una sbalorditiva dovizia di dettagli, sintomo di una
mente ancora brillante e attiva. La memoria della Riefenstahl risulta davvero strabiliante, non
solo nei dialoghi con l’establishment nazista, ma anche nella cura che dedica alla descrizione
di tutta la propria vita, di cui la parentesi nazionalsocialista risulta nemmeno molto ampia.
Ciononostante non si può negare il fatto che molti di questi avvenimenti abbiano subito un
processo per il quale la donna li ha rielaborati, facendone di fatto un grandioso romanzo e
venendo meno alla fedeltà dei fatti, che avrebbe potuto essere resa bene con la forma diaristica,
magari coeva, cosa fatta da molte delle figure più influenti del Terzo Reich, come ad esempio
Heinrich Himmler o Joseph Goebbels. Quest’ultimo fu per tutta la vita politica uno scrupoloso
diarista; cominciò infatti ad annotare le proprie idee, le riflessioni e gli appunti più svariati a
partire dal 1923, anno topico per il partito nazionalsocialista tedesco e per la sua esistenza. A
differenza di molte altre figure i cui scritti od epistole sono di importanza relativa o addirittura
rivelatisi dei falsi, i diari del ministro della propaganda vennero rinvenuti del Führerbunker dai
soldati sovietici. Questi testi sono un fondamentale documento storico del periodo, ancora oggi
studiati e analizzati nei minimi dettagli; spesso utilizzati dagli studiosi come fonte primaria. In
ambito storiografico sono definite fonti primarie tutte quelle fonti (siano esse di tipo testuale,
epigrafico o archeologico) che provengono direttamente dal periodo storico oggetto di studio,
senza che vi sia alcun tipo di mediazione. Per quanto riguarda i diari di Goebbels questo è
evidente: gli scritti sono spesso redatti in modo frettoloso e nemmeno troppo elegante, a
differenza della cura quasi ossessiva che dedicava alla preparazione dei discorsi pubblici e dei
suoi articoli.
Per l’autobiografia della Riefenstahl è invece palese l’esatto opposto. La descrizione tanto
minuziosa e spesso “colorata” di ogni parte della sua vita tradisce un evidente processo di
rielaborazione e ricostruzione del proprio passato che romanza ed edulcora gli avvenimenti