INTRODUZIONE
“Ogni opera nasce, rimane e si dissolve.”
Andy Goldsworthy
Sic vos non vobis, (Per voi ma non vostra).
Il titolo scelto per questa tesi riprende un aneddoto latino utilizzato da Virgilio
per rispondere al plagio di una sua opera . Si tratta di una frase che, in seguito, e
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in altri contesti, si può ritrovare incisa anche su alcune fontane pubbliche in
diverse città italiane.
Sic vos non vobis è una sorta di dichiarazione che vuole ricordare quanto le acque
scorrano naturalmente per loro stesse e a beneficio dei cittadini, ma che, di fatto,
non sono proprietà di nessuno. Questa locuzione, posta in prossimità del bene
comune per eccellenza, oggi risuona come un avvertimento: le risorse naturali
sono a disposizione dell’uomo, ma non gli appartengono.
Sic vos non vobis è stato anche il titolo di una mostra collettiva tenutasi al PAV
(Parco Arte Vivente) nel 2014, che ha avuto come tema comune il delicato
equilibrio fra il considerare l’acqua come un bene pubblico intoccabile e la sua
privatizzazione a pura merce di profitto .
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Per voi ma non vostra, questa è l’espressione che meglio descrive lo status delle
opere d’arte, delle azioni e dei processi artistici che sono stati presi in
considerazione in questo studio, le quali esulano dai classici contesti espositivi e si
situano in una realtà di ancora difficile definizione, al di fuori del consueto
mercato dell’arte contemporanea.
Il fine di questa ricerca è quello di affrontare alcuni problemi legati al tema,
sempre più presente, dello stretto legame che collega arte e ecologia, analizzando
Nella vicenda narrata dallo storico detto ‘pseudo-Donato’, Virgilio accusa di plagio un poeta di
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second’ordine (Batillo) per aver utilizzato le sue frasi, come a ricordargli che la poesia (la sua poesia) è
per tutti, ma non è proprietà di chi la usa.
AA.VV ., Commons Art, PAV , Prinp Editoria d’arte, 2014, p.26
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alcuni esempi recenti che sono sorti nel territorio toscano nel corso degli ultimi
anni.
In tutte queste esperienze il paesaggio viene trasfigurato e la natura diventa la
protagonista di una storia forte che guarda all'uomo come uno spettatore
incredulo davanti alle potenzialità della natura stessa.
Ciò che questa tesi tratta sono le opere d’arte, le iniziative, che hanno come
comune interesse di base la volontà di un ritorno verso la natura, la naturalità,
verso il rispetto dell’ambiente e verso una totale e innocua integrazione fra opera
d’arte e ambiente naturale.
Da sempre l’essere umano, e non solo all’interno del noto movimento della
Land Art, ma fin dall’antichità, ha sentito l’esigenza di realizzare opere, siano esse
architettoniche, scultoree, o di qualsiasi altra natura, in spazi aperti, opere che
hanno avuto un legame profondo con la religiosità e la spiritualità del genius loci.
A partire dagli anni ’60 la storia dell’arte si è sempre più intrecciata alla richiesta
di maggiore attenzione per gli equilibri che regolano la vita sulla Terra. L’interesse
per la qualità degli spazi urbani, la sostenibilità delle produzioni e del consumo, si
sono riversati in una sorta di tutela della natura ‘selvaggia’.
Il paesaggio toscano, nello specifico, comincia oggi ad essere percepito e
proposto nella sua complessità antropica, sociale e culturale: un paesaggio a più
dimensioni, da attraversare liberamente nello spazio e nel tempo, secondo
percorsi tematici tradizionali e innovativi, un paesaggio che offre parchi, boschi e
sentieri dedicati all’arte contemporanea. In questo luogo sono sorti, infatti,
numerosi parchi d’arte ambientale, parchi-museo, giardini d’artista, e hanno avuto
luogo performance che condividono questi ideali di alleanza fra arte e ecologia.
Le caratteristiche comuni alle opere prese in considerazione sono: integrazione
fra creazione e natura nel rispetto dell’unicità del paesaggio in questione; la
riscoperta del paesaggio scelto, delle tradizioni di coloro che lo abitano e dei suoi
legami con la storia; il fatto che gli artisti intervengano delicatamente nel contesto
in modo da non danneggiare l’ambiente, la sua conformazione e la sua identità;
l’utilizzo di materiali il più possibile naturali, deperibili, organici, spesso reperiti in
situ, in modo da creare opere non inquinanti e per lo più transeunti che si
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adeguano al ciclo naturale della vita per tornare ad essere parte di essa dopo la
loro breve esistenza.
Le domande alle quali questa ricerca si propone di rispondere riguardano il fatto
se sia veramente possibile, oggi, parlare di arte eco-sostenibile, e che cosa si
intende con questa espressione?
Se ammettiamo che questo tipo di arte esiste, arte che potremmo chiamare
organica, biodegradabile, transeunte, bio-arte, come si inquadra la sua natura di
creazione effimera all’interno di un contesto che ha sempre avuto come
peculiarità l’eternità? Come ci si rapporta a questo tempo circolare, in cui le opere
ritornano alla natura in una sorta di eterno ritorno? Chi sono i promotori di
questa nuova forma d’arte?
Lo stesso artista di opere ambientali di questo tipo non è spesso in grado di
attestare con certezza a chi le opere, realizzate da lui stesso, appartengano.
Nella maggior parte dei casi, queste ultime sono semplicemente ridonate alla
natura. Queste opere appartengono al loro creatore esclusivamente nel momento
della loro realizzazione; possono essere esperite dagli spettatori, se non nel
momento esatto della loro creazione, tramite video o documentazione
fotografica, nel caso in cui si tratti di opere propriamente effimere o performance,
oppure recandosi in loco, in parchi, boschi, giardini, non sempre facili da
raggiungere.
Ciò che emerge da queste situazioni, molto eterogenee fra loro, è l’importanza,
già sottolineata da Hegel, dell’arte come frutto di un processo, ossia l’arte
potrebbe avere il suo contenuto, la sua ragione d’essere, proprio nella sua
transitorietà.
Dal momento che la mutazione di questi lavori è continua, costante e
sottomessa alle condizioni atmosferiche, la percezione delle opere cambia di
stagione in stagione, secondo l’ora del giorno e della notte, a seconda della luce e
del mutare del contesto, ed esse non possono, in alcun caso, essere riportate alla
loro condizione primordiale tramite restauri o azioni conservative di qualsiasi
genere.
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L’idea di questa ricerca nasce anche da alcuni interrogativi che riguardano la
condizione attuale dell’arte contemporanea, la sua ricezione da parte del pubblico,
e anche del suo futuro.
Sarebbe impensabile parlare oggi di arte senza affrontare la questione della
grande crisi che essa ha attraversato, e che attraversa tuttora, e del distacco che va
via via aumentando fra il mondo dell’arte, destinato ormai ad una piccola élite di
appassionati, e il mondo reale, quotidiano, del resto della popolazione.
Non è un caso, infatti, che la situazione dell’arte contemporanea sia stata
affiancata da una serie di metafore dall’eccezione negativa che hanno cercato, di
volta in volta, di individuare le modalità in cui l’arte ha tentato di ridefinire il suo
statuto nel corso dell’ultimo secolo; basterà pensare a “s-definizione dell’arte” (H.
Rosenberg), “smaterializzazione dell’oggetto artistico” (L. Lippard), “sparizione
dell’arte” (J. Baudrillard), o alla “destituzione filosofica dell’arte” (A. Danto).
Questo disagio interno alle arti, che investe ogni loro dimensione (mimetica,
tecnica, sociale e politica), è il raggiungimento di una nuova consapevolezza
riguardo il fatto che la direzione dell’arte oggi è molto incerta, così come lo è suo
ruolo, e che è molto difficile prevedere quali saranno le evoluzioni future in
merito.
In un mondo plasmato esclusivamente dall’uomo, infatti, l’arte ha smarrito la
sua funzione orientante, l’eccesso tecnico della progettualità della bellezza ha tolto
all’arte la sua forza discorsiva.
Se già nei secoli scorsi filosofi noti quali Hegel e Nietzsche ci avevano parlato
della fine dell’arte, è nel Novecento, dopo le avanguardie e con l’avvento dell’arte
concettuale, che la situazione si fa ancora più complicata.
L’arte abbandona il suo ruolo secolare di imitatrice della natura, di mimesis, per
accostarsi sempre più alla filosofia, dando vita a situazioni ambigue e non sempre
di facile interpretazione.
Secondo Danto, infatti, il problema consiste in questo: nel momento in cui l’arte
si muta in filosofia in qualche modo giunge alla sua fine. Se davanti alle Brillo Box
di Warhol non siamo più in grado di stabilire se si tratti di arte semplicemente
guardandole, questo significa che l’arte allora non consiste nel creare nuova arte,
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ma nel riconoscere filosoficamente cos’è arte o cosa non lo è, ossia nel
distinguere filosoficamente arte e realtà anche nel caso in cui queste siano
percettivamente identiche.
Ma qual’è, allora, il destino dell’arte? Verso dove stiamo andando?
Si chiuderà in se stessa, esprimendo una pura soggettività che sopravvive nel
recinto della sua istituzione? O sarà un'arte che si riaggancia, con nuovi vincoli,
alla natura e al mondo?
Qualunque cosa sia l’arte oggi, non si tratta più di arte creata per essere
soprattutto guardata, o contemplata, sulle bianche pareti di una galleria o di un
museo. Si tratta di un’arte che richiede di essere esperita a livello sensoriale e
soprattutto spaziale, che recupera i suoi legami con la società e con il contesto,
che si integra nel paesaggio, che segue i ritmi della natura.
Allora forse è possibile, dopo tutti gli eccessi a cui abbiamo assistito nell’ultimo
secolo (tecnici, monetari, dimensionali, ecc.), pensare un’arte che recuperi la
semplicità del rapporto primordiale uomo-natura, offrendo opere che rendano
manifesto un pensiero e un’ideologia profondamente ecologica, riportando
l’essere umano non solo alla riflessione sulle evoluzioni climatiche e
sull’inquinamento ambientale, ma anche riavvicinando il vasto pubblico, e non
solo gli ‘addetti ai lavori’, al suo antico ruolo catartico e di guida nella società.
Questo forse è possibile se si pensa ad azioni che abbiano interesse verso le
diverse identità dei luoghi, verso le tradizioni delle persone che vi abitano, e che
abbiano fra le loro finalità quella del recupero di zone dismesse o poco
frequentate, azioni che si integrano perfettamente nel paesaggio estetico e che
siano contestualizzate in luoghi aperti e alla portata di tutti, invece che essere
chiuse all’interno dei circuiti tradizionali, o appese alle pareti del white cube.
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I. IL PAESAGGIO COME IDENTITÀ ESTETICA
“ Ancora per un certo periodo di tempo ci rimane la possibilità di venire liberamente ad una decisione, la decisione di
prendere un corso che sia diverso da quello che abbiamo percorso nel passato. Possiamo ancora decidere di allineare la
nostra intelligenza con quella della natura.”
Joseph Beuys
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I.1 Paesaggio, ambiente, ecosistema
Se ci soffermassimo, anche soltanto per pochi minuti, a leggere i titoli dei
quotidiani, di molte pubblicazioni, e anche di molti programmi televisivi, si
noterebbe subito quanto il termine ‘paesaggio’ ricorra usualmente nelle nostre
prime pagine e nelle nostre discussioni. Si parla spesso di tutela del paesaggio, del
paesaggio come cultura, della necessità della bellezza, di paesaggi rubati e
paesaggi aggrediti, del ‘bel paesaggio’, e via dicendo. In Italia, a questo fine, sono
nate diverse associazioni come Italia Nostra, il Fondo Ambiente Italiano, il
Touring Club, che al paesaggio hanno dedicato impegno costante e che hanno fra
i loro obiettivi una permanente vigilanza sul paesaggio stesso.
Ma in realtà cosa intendiamo quando parliamo di paesaggio?
Sembra alquanto evidente che sotto il nome di paesaggio si intendono fenomeni
differenti. Solitamente, la maggior parte delle persone, collega istintivamente l’idea
di paesaggio a un’idea di valore estetico, ma in realtà si potrebbe pensare che
parlare di paesaggio in termini di esperienza estetica sia fuorviante e dannoso, o
semplicemente inutile . Molti addetti ai lavori (architetti, urbanisti, politici, ecc.)
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sostengono che l’aspetto estetico del paesaggio sia roba per letterati, e che, ad
ogni modo, non abbia nulla a che vedere con le questioni serie della
progettazione, del recupero, della pianificazione e della tutela giuridica.
Negli ultimi decenni, la nozione di paesaggio in senso estetico, è stata oggetto di
un attacco su più fronti, che ha fatto sì che tale nozione finisse per apparire
desueta, equivoca, inservibile.
Nel suo libro La lunga guerra per l’ambiente, Elena Croce scrive: «Paesaggio è un
termine che continua a richiamare facilmente accenti sarcastici da politici e
managers, i quali, indistintamente, lo intendono come l’acquerello della signorina
ottocentesca. Un termine il cui suono, di sia pur civilissimo dilettantismo, non
appartiene più all’odierna, aspra e rivendicativa, difesa dell’ambiente ».
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P . D’Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Laterza, Roma, 2001, p.116
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E. Croce, La lunga guerra per l’ambiente, Mondadori, Milano, 1979, p.73
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