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INTRODUZIONE
Il paesaggio da sempre accompagna la nostra vita, scorre al nostro fianco durante i
viaggi, anche quelli più brevi, quelli più semplici ma è in grado di risaltare la nostra
realtà soprattutto nei periodi di viaggio più lunghi, permettendoci la scoperta di una
profonda emozionalità legata al territorio.
Personalmente ho voluto incentrare la mia ricerca nel territorio che conosco meglio e in
modo ora più approfondito, cioè la regione Lombardia ed in particolare la zona del
milanese; i luoghi sui quali mi sono concentrata sono quelli verso i quali non si nutre
tendenzialmente particolare attenzione, perché nascosti e perché in parte distanti dalla
nostra moderna attualità.
Affrontare l’abbandono dei luoghi significa cercare di fare una analisi non solo del
territorio di interesse, ma anche di noi stessi, della popolazione che lo abita e che
solitamente lo vive; si tratta dunque di un’indagine condotta in modo tale da poter
capire quale sia la ragione di tale status di cose, provando a comprendere quali siano le
motivazioni più nascoste legate a questo gesto.
La difficoltà maggiore è stata riscontrata nel trovare i dati che maggiormente ho ritenuto
importanti, fondamentali per la costruzione di una tesi improntata alla documentazione
dell’abbandono non come novità ma come stato di cose preesistente e persistente. Dalle
cave alle chiese, dalle case agli immobili industriali, fino ad approdare alle cascine.
Gli immobili sono in grado di descriverci uno stato di cose, sono in grado di dipingerci
o descrivere una funzionalità oppure un tipo di società in particolare; la storia
dell’agricoltura lombarda è fondamentale al fine di comprendere quanta importanza le
cascine o gli immobili rurali hanno avuto nel dare avvio alla società attuale, partendo
dalla società contadina tipica della Lombardia fino al secondo Novecento.
Le cascine però non sono completamente sparite dall’immaginario collettivo, anzi in
alcuni casi ed in alcuni comuni svolgono attualmente una funzione totalmente differente
da quella per la quale erano state pensate, ma che è considerata fondamentale per
l’espletarsi della società odierna. La città di Milano ha avviato un progetto legato al
recupero delle cascine, cercando dunque di dare un input positivo alla riscoperta di
questi luoghi da sempre nocciolo della società.
Diverse sono le strategie di recupero di un territorio, di un luogo e di un immobile; e in
diversi modi queste possono essere applicate alle cascine. Dalla trasformazione
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residenziale all’affiancamento produttivo, dalla estrema specializzazione agricola allo
stravolgimento della funzione iniziale.
Ho desiderato rivolgere particolare attenzione ad una modalità specifica di intendere la
cascina attualmente, e cioè la fattoria didattica; attraverso la collaborazione della
Cascina Gervasoni, mi è stato possibile dipanare i dubbi e le questioni rispetto ad una
novità nell’intendere il rapporto tra la natura e l’uomo.
Indagare tematiche e luoghi come quelli sui quali mi sono soffermata, ritengo sia
importante al fine di riuscire a comprendere attraverso quali meccanismi sociali,
culturali ed economici si stiano affermando sempre di più un’estetica paesaggistica
diversa, soprattutto nelle zone urbane o periurbane di grande intensità.
Trovare soluzioni efficienti ed efficaci grazie alle quali diventi possibile riutilizzare
edifici già presenti sul territorio, ma versanti in totale o parziale condizione di
abbandono oppure altamente sottoutilizzati, ritengo sia molto lodevole oltre che
conveniente in una società che è rimasta vittima lei stessa dell’eccessivo consumo di
suolo e dal feroce inurbamento del territorio.
Anche attraverso la riscoperta di valori antichi ma non per questo non più attuali, che
invoglino e coinvolgano soprattutto i giovani nella ri-creazione di un sano rapporto
uomo-ambiente, sarà possibile apprezzare maggiormente le caratteristiche del territorio
nel quale siamo immersi e dunque viverlo appieno.
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CAPITOLO 1 - ABBANDONO, TRATTO CARATTERISTICO DEI LUOGHI
CONTEMPORANEI
1.1 – LE MOTIVAZIONI DELL’ABBANDONO
Attualmente si assiste sempre di più all’abbandono di luoghi, edifici, scuole, palestre
vecchie cascine, strade, piscine, parchi divertimento che rimangono come siti isolati,
portatori di un’idea di struttura ormai superata e che si ergono come paladini di un
passato ormai offuscato da grandi palazzi all’insegna del postmodernismo e del
dinamismo urbano. Nelle campagne tratto caratteristico è ormai il taglio dei campi ad
opera di grande arterie stradali, quello che una volta era il segno peculiare della società
contadina, e che ora troneggia a simbolo di un passato agricolo, è il cascinale. Mentre
nel contesto cittadino, molti sono gli edifici abbandonati o fatiscenti, accanto ai quali
sorgono strutture nuovissime e che raramente si integrano sia con lo skyline, ma anche
con lo stile architettonico della città stessa, nelle campagne si assiste sempre di più
all’espansione urbana, con il suo stile di vita, ma anche con le sue strutture. Solo nella
città di Milano, secondo quanto rilevato dagli uffici comunali, tra gli edifici privati ve
ne sono 160 abbandonati o in stato fatiscente
1
. Dunque diventa priorità combattere
l’apatia nella quale questi edifici vengono lasciati, non solo per il miglioramento
estetico del profilo della città e neanche esclusivamente per un ritorno prettamente
economico, ma per il recupero di quella memoria che rappresentano questi edifici e per
il miglioramento della vita dei cittadini.
Da sempre l’esigenza di miglioramento delle proprie condizioni ha spinto l’uomo ad
abbandonare il suo luogo di nascita, oppure la propria casa o la propria patria in cerca di
un futuro diverso in altri luoghi. Non stupisce quindi che vi sia l’abbandono, ciò che
colpisce è come questo sia ormai diventato sistematico e parte della cultura locale.
Lasciare un edificio, vuol dire spostarsi alla ricerca di una struttura più nuova rispetto
alla precedente, il che ovviamente conduce all’aumento del consumo di suolo. Secondo
1
COMUNE DI MILANO, La mappa dei 160 immobili privati abbandonati, in “Comune di Milano”,
http://www.comune.milano.it/portale, consultato a giugno 2014
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le ultime stime dell’ISPRA in relazione al consumo di suolo, si può notare a livello
nazionale come dagli anni ‘50 al 2012 si sia passati da una percentuale di 2,9% al 7,3%,
cioè da una superficie di 8.700 km² a 21.890 km²
2
.
Tabella 1 - Stima del suolo consumato a livello nazionale, per anno. Fonte: ISPRA, 2014
Anni ‘50 1989 1996 1998 2006 2009 2012
Suolo
consumato
(%)
2,9% 5,4% 5,9% 6,1% 6,8% 7,0% 7,3%±
Intervallo
di
confidenza
della stima
al 95%
±0,2% ±0,2% ±0,2% ±0,2% ±0,3% ±0,4% ±0,4%
Suolo
consumato
(km²)
8.700 16.220 17.750 18.260 20.350 21.170 21.890
Già da questi dati si può evincere come anche l’abbandono di strutture, oltre ad
innumerevoli progetti, contribuisca all’impoverimento pedologico e all’aumento del
cemento nel Paese. Diventa dunque vitale, sulla scia di una visione più green dello
sviluppo economico che negli ultimi decenni ha investito tutta l’Europa, saper
recuperare queste strutture, non erigerle a semplice simbolo di un passato che non
sembra ci appartenga più e neanche lasciarle apatiche in campagne che non governano
più, ma che imbruttiscono poeticamente diventandone le rovine.
Sebbene si tratti di una tematica molto attuale, assistiamo all’abbandono strutturale da
diversi decenni. La svolta storica si è avuta con la rivoluzione industriale che ha
introdotto l’idea di un miglioramento delle condizioni di vita sia individuale che
2
ISPRA, Le stime del consumo di suolo in Italia,
http://www.isprambiente.gov.it/files/suolo/Dati_consumo_di_suolo_ISPRA_2014.pdf, consultato in
giugno 2014
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collettiva, incentrando il suo potenziale sulla città, andando quindi a creare una rottura
con il modello agricolo. Nonostante questo trend non si affermi in tutta Europa con le
medesime tempistiche, esso è un tratto caratterizzante dell’esplosione urbana di
qualsiasi società, basata dunque sul fascino che la città esercita sulla popolazione.
Ovviamente è soprattutto tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 che si assiste allo
spopolamento delle campagne, che diventano un luogo inospitale e di dure fatiche. Da
un lato assistiamo all’abbandono delle strutture della ruralità, ma dall’altro siamo di
fronte all’ingigantimento delle città, che diventano sempre più luogo di attrazione
sociale. Nella città non avviene spopolamento, ma al contrario la popolazione aumenta,
date le numerose possibilità sia lavorative che di intrattenimento. Questa tendenza si
inverte a partire soprattutto dagli anni ’90 del Ventesimo secolo, quando la cittadinanza,
non riuscendo più a relazionarsi con la sua città, cerca dei luoghi in cui non vi sia la
tirannia della società sul singolo individuo, riscoprendo dunque quell’antico legame che
ha con la terra. Si assiste quindi alla ricerca di una casa all’esterno della città, che non
sia nella remota campagna, ma che si collochi in quella periferia nata con la
rurbanizzazione, lontana dalle borgate più esterne dell’agglomerato urbano, ma
abbastanza vicino ad esso da non sentirsi totalmente staccata dalla realtà precedente.
Le motivazioni che spingono il singolo cittadino all’abbandono della propria dimora e
che lo guidano alla ricerca di una propria identità, sia che essa possa essere trovata in un
contesto rurale, sia in un altro contesto, sono differenti: l’attuale cittadino è vicino
all’idea della smart city e in generale di una città che possa essere più green, più
ecosostenibile, più accessibile ma soprattutto più fruibile, godibile e vivibile. La città
diventa sempre più city light (light urbanism), una città leggera, senza definizione, una
città dei divertimenti dove intrattenersi, visitare, fare compere, fruire di servizi (Soya,
2007, 286).
3
Non tutti questi tratti sono propri delle attuali città, per cui spesso la
risposta a questi bisogni è da cercare altrove.
3
GARDINI E, “Città-campagna: la sociologia di fronte alle trasformazioni del territorio, in “Ricerca”
Dipartimento sociologia e comunicazione “Sapienza” Università di Roma,
http://www.sociologiadelterritorio.it/archivio/ricerca/r4.pdf, consultato a giugno 2014
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Ma se da un lato assistiamo al compiersi del volere del singolo individuo, dall’altro lato
possiamo assistere anche alla coercizione sociale. Sempre più spesso si assiste al
fenomeno dell’esproprio: all’art. 42 della Costituzione italiana si afferma come la
proprietà privata possa essere espropriata per pubblica utilità, il che comporta
ovviamente l’abbandono della dimora dietro indennizzo da parte dello Stato, che
dunque espropriando il terreno o l’edificio ne diventa proprietario.
4
Sono diversi gli
esempi, come le aziende che sono state indennizzate per ottenere il lotto sul quale
sorgevano per costruirvi una infrastruttura che potesse giovare alla collettività.
Fino a pochi anni fa, si riteneva che l’investimento nel mattone fosse un’operazione
sicura, dando un margine di profitto alle famiglie. Infatti “questa mentalità arcaica, che
andrebbe esaminata con gli strumenti dell’analisi sociologica, ha prodotto in Italia uno
specifico segmento di mercato, in cui il denaro investito fruttifica più che altrove”.
5
E
ancora “ il ‘guadagno’ del singolo, se tale è, consiste piuttosto in quello che si potrebbe
chiamare un ‘sentimento della sicurezza’: non dover pagare un affitto, non dover
cambiare casa se non lo si vuole, non correre rischi investendo i propri risparmi in
attività economiche, imprese o azioni. La casa, insomma, vale come bene rifugio”.
6
Ciò
che emerge è la necessità di sicurezza che si impernia sulla casa. Ma nel periodo di
recessione attuale, questa non è più una verità intoccabile, anzi, investire sul mattone,
significa perdere spesso l’investimento. Vi è la difficoltà di poter avere una casa per
problematiche economiche, ma nonostante questo i cantieri continuano fino
all’inevitabile fallimento del progetto, che cede ad un territorio depredato dagli
speculatori, scheletri di case e condomini mai terminati.
Passeggiando per le città, si possono incontrare edifici fantasmi; sono strutture
abbandonate per diverse ragioni e che si ergono dal cemento come simbolo di scelte
4
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA,
http://www.governo.it/Governo/Costituzione/CostituzioneRepubblicaItaliana.pdf, consultato in giugno
2014
5
SETTIS S., Paesaggio Costituzione cemento, la battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Torino,
Einaudi, 2010
6
SETTIS S., nello stesso luogo
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urbanistico-politiche sbagliate. Condomini ora occupati dai centri sociali, cantieri aperti
e mai conclusi, strutture militari non più funzionanti, zone ricreative morenti, vecchi
capannoni industriali decadenti. Spesso questo accade perché la città muta funzionalità
e dunque il capannone industriale che nel passato aveva svolto una funzione vitale per
lo sviluppo della città , ora non può mantenere lo stesso status di importanza. Ma la
maggior parte dei casi di abbandono nel contesto cittadino, non sono solamente legate
alla speculazione edilizia, ma anche alla mancata capacità di adeguamento delle
strutture, che dunque decadono in confronto alla modernità. Una scelta
involontariamente effettuata dalla città è quella della gentrification, cioè la
riqualificazione di un quartiere o di una parte della città, utilizzando una parte della
cittadinanza, quella più creativa ad esempio, per modernizzare la zona stessa. Un
esempio celebre è quello offerto dalla zona Navigli di Milano: zona fatiscente e
abbandonata a se stessa fino agli anni ’70, grazie ai creativi, ai designers, agli artisti ha
saputo recuperare la sua centralità, svincolandosi da quella solitudine nebbiosa che la
allontanava dalle sfolgoranti luci del centro città.
Questo però non ferma l’abbandono, che diventa il maggior sfregio delle città stesse,
rovinandone il panorama, ma anche la qualità della vita. Anche l’economia gioca un
ruolo fondamentale; negli anni ’50-’60 la speculazione edilizia tocca l’apice del
successo, grazie a politiche territoriali che incoraggiavano questo tipo di operazioni.
Nell’attuale momento storico questo non può più accadere e ovviamente si assiste
all’allontanamento dal centro cittadino, di quella parte della classe media che colpita
dalla recessione, lascia la propria dimora per spostarsi in un luogo più accessibile
economicamente e meno stressante psicologicamente. Si ha lo svuotamento del centro:
ciò che intorno agli anni ’50 era il centro della vita, ora vive la “vetrinizzazione”, cioè
l’essere diventato un centro in cui vengono osservate le vetrine dei negozi, dei locali ma
in cui difficilmente si può vivere.
Esempio celebre può sempre essere associato alla città di Milano, il cui centro ormai
non è più vissuto da cittadini, ma è diventato il nucleo della moda, a fianco al
“quadrilatero della moda”. Oppure il caso di Venezia, città che ha conosciuto un boom
economico a cura del turismo a partire dagli anni ’50 e che ne è diventata succube.
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Questo esempio è tipico della “turistificazione”, ossia l’esser preda del turismo di
massa, costruito sui grandi numeri e che rende impossibile la vita dei veneziani. Difatti
da anni a Venezia, i bellissimi palazzi affacciati sui canali, raramente sono abitati dai
cittadini, ma sono generalmente stati trasformati in hotel e strutture di intrattenimento
per i turisti. Non più quindi una città da vivere, ma da visitare, da guardare.
I casi riportati sono esempi di come l’abbandono in realtà non si presenta sempre sotto
l’aspetto fatiscente delle strutture, in cui la vegetazione ha ormai ripreso potere, ma
anzi come spesso esso si manifesti sotto la veste di una “teatralizzazione” urbana.
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Figura 1: La Cascina Briavaca a Lucino, frazione di Rodano. Questo luogo da molti anni è vittima di
abbandono parziale. Alcune sue parti sono ancora attualmente abitate, ma non per svolgere attività legate
alla funzionalità primaria.
Nel passato attorno alla città si estendeva la campagna; fino al 1950 vi era una divisione
netta tra agglomerato e campagna, soprattutto in Italia, in cui l’industrializzazione si
afferma tardivamente e si colloca soprattutto nel nord della penisola. In questo contesto,
l’abbandono della struttura rurale, avveniva per diverse motivazioni: la sicurezza
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TURRI E., Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia, Marsilio
Editore, 1998 e riedizioni 2003 e 2006