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CAPITOLO I
LE TRACCE DEL RAZZISMO SESSUALE
“Il sesso è al centro del razzismo”
Ronald Hyam
(1990: 203)
Freud, nei Tre saggi sulla sessualità (1970), sostiene l’analogia fra la fame e la libido,
definendo la prima come la forza con la quale si manifesta l’istinto di nutrimento e la
seconda come la forza di espressione dell’istinto sessuale. La distinzione tra queste
due spinte innate sta nel fatto che l'impulso sessuale, al contrario dell’appetito, deve
essere represso perché parte di un discorso sull’umanità che da sempre viene
contrapposta alla vita morale e all’evoluzione sociale e culturale della società.
Gli storici della civiltà sembrano essere d'accordo nel presumere che potenti
componenti siano acquisite per ogni sorta di conquista culturale mediante questa
deviazione delle forze sessuali istintuali dai fini sessuali e il loro susseguente
dirigersi verso fini nuovi - un processo questo al quale viene dato il nome di
"sublimazione" (Freud 1970: Vol. II p. 3).
La repressione e la sublimazione degli impulsi sessuali, secondo l’autore, è sostenuta
da forze mentali di opposizione che, di fronte a questi stimoli, producono sensazioni
negative che agiscono come dighe mentali, quali: disgusto, vergogna e carenza di
moralità. Le restrizioni dei desideri sessuali possono poi sfociare in malattia, sotto
forma di manifestazione sintomatica, o sotto forma di sogno, come proiezione di ciò a
cui si ambisce ma che non può essere raggiunto nella vita desta.
Con questa formulazione teorica, Freud è il primo a ipotizzare una connessione tra
desiderio, sogno, immaginario e inibizione delle pulsioni sessuali. Questo
collegamento, assieme alla logica che lo sorregge, hanno costituito, per i posteri, un
punto di partenza per lo sviluppo di molteplici considerazioni sull’umano, sul suo
funzionamento e sulle dinamiche delle relazioni che intrattiene con gli altri. Proprio a
partire da queste riflessioni, lo studio della repressione degli impulsi sessuali ha
7
iniziato ad intrecciarsi con gli studi coloniali e a influenzarne i presupposti. Il modello
repressivo freudiano è stato spesso assunto, infatti, come background teorico, sia da
coloro che intendevano formulare una spiegazione - o una giustificazione - della
condotta sessuale che contraddistingue le (ex)colonie, sia da chi voleva avanzare
riflessioni sessualmente razziste o sul razzismo sessuale in riferimento alle stesse.
In mancanza di un letteratura organica sul “razzismo sessuale”, tenterò, di seguito,
di cercare le tracce di una possibile teoria su tale fenomeno ripercorrendo le pagine di
alcuni degli autori che più di altri hanno indagato la “situazione coloniale”, esplorando
in particolare in esse le implicazioni sessuali del dominio coloniale, le sue conseguenze
più intime nella psicologia del dominatore e del dominato, la sua eredità.
1.1 Mannoni: Prospero e Calibano
Octavio Mannoni analizza, in Prospero e Caliban (1956), i fenomeni psicologici che
soggiacciono e sorreggono i rapporti tra indigeno e colonizzatore nel Madagascar degli
anni Quaranta. Il suo studio propone una visione del modello comportamentale di tipo
complementare: la psicologia del conquistatore e quella del conquistato non sono altro
che facce opposte di una stessa medaglia. Lo psicanalista fa uso del complesso di
inferiorità così come venne teorizzato da Adler: una compensazione di una mancanza
fisica o sociale che, se spinta oltre alla mera neutralizzazione del difetto, tramuta in
iper-compensazione e quindi in un’affermazione del sé espressa nel bisogno di
dominio sull'altro. Facendo uso di questa definizione, l’autore pone le basi per la
costruzione di due profili ben diversi tra loro ma che custodiscono entrambi, alla
radice, una mancanza: il complesso di dipendenza e il complesso di prospero (o
semplicemente di inferiorità). Questi profili psicologici tendono a completarsi tra loro
e a soddisfare l'uno i bisogni dell'altro, in un rapporto di reciproca soggezione.
La dipendenza e l'inferiorità costituiscono un'alternativa; l'uno esclude l'altro.
Quindi, contro il complesso di inferiorità, e più o meno simmetricamente opposto
ad esso, stabilirò il complesso di dipendenza. E questi due diversi climi
8
psicologici servono a caratterizzare due diversi tipi di personalità, due diverse
mentalità, due diverse civiltà (ivi; 40).
Seguendo la teoria adleriana, nel caso della psicologia del colonizzato la mancanza
base sarebbe legata ad una differenza fisica, il colore della pelle. All’interno della
società malgascia però, Mannoni non percepisce alcun senso di inferiorità dovuto a
una diversa pigmentazione poiché i malgasci non costituiscono una minoranza in un
gruppo di diverso colore. Data l'omogeneità della comunità, il complesso d'inferiorità
pensato in termini di differenza fisica perciò non avviene, se non in casi rarissimi.
Malgrado i principi del complesso d'inferiorità di Adler vengano mantenuti, Mannoni
li declina in modo originale per delineare una condizione di inferiorità che scaturisce
da una differenza sociale e psicologica che chiama “dipendenza”. Tale condizione
costituisce il germe stesso dell’inferiorità e della sottomissione del malgascio e si
esprime in una viscerale necessità di dipendere da qualcun altro; un istinto di
subordinazione verso colui che può sostenerlo e guidarlo nella sua esistenza. Il germe
dell'inferiorità è una presenza innata nel malgascio, un carattere preesistente alla
colonizzazione; come se egli covasse in sé, da sempre, il desiderio di essere
colonizzato
3
. A sostegno di questa tesi riporta sia l'utilizzo del termine locale vazaha
(onorabile straniero), con cui i nativi si riferiscono all'europeo, sia i numerosi racconti
e le leggende che narrano di stranieri che giungono dal mare per portare ricchezze e
distribuire benefici.
Questo comportamento dipendente del malgascio, viene, il più delle volte, frainteso
dall’europeo, il quale si sente oggetto di continue richieste, prive di gratitudine,
rivoltegli per la sua risaputa gentilezza e disponibilità. Rivendicazioni che a lungo
andare assumono, agli occhi dell’europeo, la forma di uno sfruttamento. Mannoni su
questo punto rassicura la comunità bianca affermando:
Non si deve supporre che ci fosse qualche domanda di interesse, di motivazioni
o di un desiderio di creare tale relazione semplicemente per sfruttarla: la sua
3
“Il fatto che quando un malgascio adulto viene isolato in un ambiente diverso può diventare sensibile
al classico tipo di complesso di inferiorità dimostra quasi al di là di ogni dubbio che il germe del
complesso era latente in lui dall'infanzia [...] tutto ciò che devo dire al momento, è che tuttavia il germe
rimane inattivo in condizioni normali - cioè, mentre l'individuo si sente saldamente tenuto dai
tradizionali legami di dipendenza” (ibidem; 40).
9
psicologia non era sviluppata o degradata a tal punto. Al contrario: la relazione
stessa era abbastanza per lui - era rassicurante. [...] infatti i doni che il Malgascio
accetta prima, poi richiede, e infine, in alcuni rari casi persino domanda, sono
semplicemente i segni esteriori e visibili di questa rassicurante relazione di
dipendenza (ivi; 43).
Una relazione che, per quanto forzata, non sarà mai totalmente depersonalizzata: il
malgascio infatti non lega un rapporto di dipendenza a qualunque costo e accettando
qualunque condizione. Questo legame, come anticipato precedentemente, poggia su
un’incomprensione del comportamento dei malgasci e della loro presunta dipendenza
e su un conseguente fraintendimento da parte dell’europeo. L’interpretazione fallace
dell’atteggiamento del locale, sostiene Mannoni, è dovuta alla proiezione del desiderio
degli europei sui nativi, un trasferimento che offusca la percezione della dipendenza a
favore di una spiegazione in termini di inferiorità, complesso che il bianco conosce sin
dall’infanzia
4
.
Nel delineare i tratti dei due profili, diametralmente opposti, lo psicologo evoca e
sottopone ad una lettura psicoanalitica due opere letterarie, i cui protagonisti
rispecchiano un insieme di dinamiche inconsce caratteristiche dell’incontro coloniale.
Fa particolare riferimento a Robinson Crusoe
5
, di Defoe, e a Prospero
6
, di Shakespeare,
e agli ambigui e complicati rapporti che questi avevano stretto con la loro contro-parte
4
Quando Mannoni parla dell’europeo che si spiega il comportamento del malgascio in termini di un
complesso che ha segnato la sua stessa infanzia, non vuole sottintendere che il colonizzato sia in sé
infantile. Tale precisazione emerge con chiarezza quando l’autore afferma: “c'è una certa dose di
giustificazione per usare la parola [infantile], perché un simile comportamento sarebbe infantile in noi.
Ma se ci permettiamo di pensare che sia anche infantile nei malgasci, stiamo rischiando di imitare il
colonialista il cui atteggiamento paternalista deriva dalla convinzione che "i negri siano solo dei bambini
grandi". In effetti, naturalmente, questi tratti del comportamento del Malgascio sono infantili, poiché
tutto nell'adulto risale alla sua infanzia. Ciò è confermato dal fatto che il Malgascio considera il
comportamento di inferiorità del tipico europeo, con la sua tendenza a vantarsi di superiorità che sono
in parte immaginarie, come tratto infantile del carattere, poiché vede questo tipo di comportamento solo
nel suo gruppo tra i bambini, prima che l'inferiorità e la dipendenza si differenzino, per così dire” (ivi;
48).
5
Robinson Crusoe, è il figlio di un mercante di Breda che, per sfuggire al suo destino di rappresentante
cadetto della classe media, segue l’istinto e decide di imbarcarsi per intraprendere avventure oltremare.
Durante una spedizione in Africa, per catturare degli schiavi, naufraga su un’isola solo apparentemente
deserta. Dopo 12 anni, infatti, scopre l’esistenza di una tribù cannibale che compie sacrifici umani. Un
giorno Crusoe decide di salvare una delle loro vittime sacrificali, Venerdì, il quale, in attesa di
ricambiare il favore al suo salvatore, rimane al suo fianco in veste di suddito.
6
Prospero è un duca di Milano dotato di poteri magici che viene abbandonato in mare aperto dal fratello
che vuole sbarazzarsene e così lo tradisce, e giunge su un’isola della quale diviene padrone grazie ai
suoi poteri magici, ponendo sotto il suo dominio gli abitanti nativi, Calibano e Ariel. Questi due
personaggi personificano rispettivamente il cattivo e il buon nativo (o selvaggio).
10
subalterna, rispettivamente Venerdì e Calibano. Oltre a ciò che rappresenta ciascuna
di queste figure in sé, per Mannoni è importante riflettere su ciò che i loro creatori
hanno proiettato in esse di loro stessi. Il trasferimento diretto dei loro desideri inconsci
sui profili dei loro protagonisti, infatti, prova “che i complessi esistono ancor prima
che la situazione coloniale venga vissuta” (ivi; 98). Sia Shakespeare che Defoe non
avevano altro modello se non loro stessi per ritrarre i personaggi immaginari dei loro
racconti: naufraghi in isole disperse che, grazie al loro potere (magico o carismatico),
riescono ad affermare la loro autorità sugli abitanti del posto. Alla luce di queste
considerazioni sulla proiezione di un certo tipo di personalità, il complesso di
inferiorità europeo indica un insieme di “disposizioni nevrotiche inconsce che
delineano l’aspetto del paternalismo coloniale” (Fanon 1996: 92). Ogni individuo
appartenente a una società competitiva possiede la tendenza innata a sviluppare un
complesso di inferiorità che lo spinge, per appagare e rassicurare il proprio ego, a
circondarsi di persone dipendenti da lui. Questo germe è presente, come quello
malgascio, in forma latente, nelle profondità dello spirito europeo e, pur essendo
indipendente dal contesto coloniale, è particolarmente fiorente e rigoglioso al suo
interno. In questo senso il personaggio di Prospero rispecchia l’europeo: è un uomo
dotato di un certo potere che non può esercitare quanto vorrebbe tra i suoi simili ma
che si scopre “un magnifico leader tra le persone che gli danno omaggio indiscusso e
non competono con la sua grandezza
7
”, come avviene con i colonizzati. Non a caso i
nomi scelti da Shakespeare per le due figure principali della sua opera rievocano i
presupposti stereotipati che caratterizzano l’immaginario coloniale: da un lato c’è
Prospero, il colonizzatore, colui che gode di una buona condizione e che reca
prosperità
8
; dall’altra Calibano, un essere bestiale con un nome che al contempo fa
pensare a un “cannibale” e richiama la parola inglese “Caribbean” (caraibico)
9
.
Per proseguire con l’analisi della teoria di Mannoni sul razzismo coloniale è
necessario soffermarsi a riflettere sulla vicenda che, nell’opera di Shakespeare, ha
7
Cfr. prefazione di Philip Mason (Direttore degli Studi in Relazioni Raziali al Royal Institute of
International Affairs) nell’opera di Mannoni.
8
v. “Prospero” in Treccani.it, Vocabolario Treccani on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 15 marzo
2011.
9
Cfr. Ferna
́ ndez Retamar (2006), Todo Caliban. L’autore analizza le prime apparizioni agli occhi di
Colombo del popolo caraibico e riporta quelle impressioni e descrizioni che successivamente
condussero alla nascita di personaggi letterari come Calibano.
11
portato al collasso delle relazioni tra Prospero e Calibano, inizialmente “positive”.
Quest’ultimo, infatti, tentò senza successo di violentare Miranda, la figlia del primo.
Contrariamente al senso comune, Prospero, anziché allontanare Calibano o continuare
a tentare di educarlo, decide di renderlo suo schiavo. Per Mannoni questa reazione
rappresenta una giustificazione dell’odio razziale fondata su una colpa sessuale,
meccanismo psicologico all’origine del razzismo coloniale
10
. A supporto di questa tesi
propone la credenza comune che la razza bianca sia superiore a quella nera perché
quest’ultima si è lasciata sopraffare da un’eccessiva masturbazione: convinzione che
aleggia tra bianchi i quali, in realtà, per primi soffrono le restrizioni sessuali imposte
loro dalla famiglia o dalla società a cui appartengono, e che utilizzano l’Altro
“inferiore” come capro espiatorio delle loro stesse cattive intenzioni e dei loro desideri
più reconditi. Quindi, la colpa sessuale originale di Calibano, ossia il tentativo di
stuprare Miranda, non è altro che la proiezione della fantasia incestuosa di Prospero
nei confronti di sua figlia, unica donna presente sull’isola. Nel testo, Mannoni procede
affermando che questa ipotesi spiega come mai un uomo tende ad immaginare l’abuso
da parte di un nero della propria figlia o sorella, oppure della moglie del vicino, mai
della propria consorte. È un tentativo di liberarsi da una colpa proiettandola sull’Altro,
investendolo della propria vergogna e dei propri pensieri disdicevoli. Di fronte a
questo trasferimento del male e dell’impuro, Calibano (il colonizzato) complotta
contro il suo Signore non per liberarsi dal suo dominio ma per sostituirlo con un nuovo
padrone. Questa reazione ci dice qualcosa di più sul complesso di dipendenza: è un
circolo vizioso dal quale non solo è difficile uscire, ma da cui lo stesso colonizzato
non vuole separarsi perché, in fondo, sa anche lui di non poter sopportare la libertà:
Il “Complesso di Prospero”, che trae dall'interno, per così dire, un'immagine
del colonialista paternalista, con il suo orgoglio, la sua impazienza nevrotica e il
suo desiderio di dominare, allo stesso tempo ritrae il razzista la cui figlia ha subito
un tentativo di stupro per mano di un essere inferiore. Nell’opera, ovviamente, il
tentativo è immaginario, ma poiché l'aspetto sessuale del razzismo gioca un ruolo
importante nell'inconscio, cercherò di spiegarlo immediatamente. Questi stupri
10
È importante aggiungere che secondo lo psicologo “lo sfruttamento coloniale non è lo stesso di altre
forme di sfruttamento e il razzismo coloniale è diverso rispetto ad altre forme di razzismo” (Mannoni
1956: 27), affermazione che gli verrà aspramente criticata da Fanon, il quale risponde domandandosi:
“In verità, c’è differenza fra un razzismo e l’altro? Non troviamo forse in tutte le forme di razzismo la
stessa caduta, lo stesso fallimento dell’uomo?” (Fanon 1996: 80).
12
presumibilmente perpetrati da membri di una razza su quelli di un'altra razza
sono pure proiezioni dell'inconscio (ivi; 110, corsivo mio).
Il razzismo coloniale è quindi una proiezione del bianco segnata da un duplice aspetto,
è sessuale ed è violenta. Mannoni segue dicendo:
Questo bisogno di ritrovare nelle scimmie antropoidi, in Calibano o nei negri,
e anche negli ebrei, la figura mitologica dei satiri, attinge nell’animo umano una
profondità in cui il pensiero è confuso, in cui l’eccitazione sessuale è stranamente
legata all’aggressività e alla violenza da molle di grande potenza (ivi; 111,
corsivo mio).
Il connubio tra sessualità e violenza indica la presenza di tendenze aggressive, sadiche
e incestuose, represse negli angoli oscuri della nostra umanità, che ci spaventano e ci
seducono e dalle quali prendiamo la “giusta distanza” trasferendoli un po’ più in là,
nella pelle di un Altro. Un Altro lontano che ci intimorisce e ci affascina. Il razzismo
sessuale definito da Mannoni è un meccanismo psicologico che non si limita a
dominare l’immaginario del bianco, come si può notare nelle opere di Defoe e
Shakespeare, ma ne governa la ragione e l’azione, come testimonia la colonia.
Prima di concludere questo paragrafo, credo occorra fare una precisazione: la figura
di Calibano, che non trova redenzione in Mannoni se non in una laconica compassione,
viene ripresa, reinterpretata e riscattata attraverso l’opera Une Tempête di Aimé
Césaire (1969). Il Calibano di Césaire è un portavoce degli oppressi e dei colonizzati,
un ribelle che sfida colui che l’ha posto ai margini della civiltà e imprigionato nella
sua stessa pelle; è un’esistenza che riscopre la rivolta e riconquista la sua libertà
praticando la disobbedienza:
Per anni ho chinato la testa // Per anni ho preso tutto, tutto // I tuoi insulti, la tua
ingratitudine… // E, peggio di tutto, più degradante di// tutto il resto, // la tua
condiscendenza. // Ma ora è finita! // Finita, hai sentito? // Certo, al momento sei
ancora più forte di me. // Ma non mi interessa nulla del tuo potere // Dei tuoi cani
o della tua polizia o delle tue invenzioni! // […] // Prospero, sei un grande mago:
// sei una vecchia mano nell’inganno. // E mi hai mentito così tanto, // riguardo al
mondo, a me stesso, // che hai finito per imporre su di me // un’immagine di me
13
stesso: // sottosviluppato, nelle tue parole, // incapace // è così che mi hai fatto
vedere me stesso! // E odio quell’immagine…ed è falsa (Atto 3 scena 5: 87 - 88)!
Il poeta, pur riprendendo La Tempesta di Shakespeare in tutte le sue parti, non solo
riscatta il personaggio di Calibano mutandone le sorti, ma cambiando il titolo stesso
della storia, la riveste di un significato nuovo. Racconta di Una Tempesta, una tra le
incalcolabili tempeste quotidiane, di matrice coloniale, che hanno segnato il passato,
che determinano il presente e condizioneranno il futuro di innumerevoli esemplari di
Calibano.
1.2 Fanon: l’ipervirilizzazione del nero
Lo psichiatra Frantz Fanon dedica il quarto capitolo di Pelle Nera, Maschere Bianche
(1996) alla critica del lavoro di Mannoni, definendolo come una “registrazione
sfortunatamente troppo esauriente dei fenomeni psicologici che reggono i rapporti
indigeno-colonizzatore (ivi. 75)”, dalle conseguenze pericolose
11
. L’aspro commento
dell’autore si struttura a partire dal suo diverso posizionamento rispetto ad alcuni degli
elementi che fondano il carattere di Prospero e Caliban ma qui, per motivi di spazio,
ne presenterò brevemente solo due: l’obiettività e la prospettiva psicologica
totalizzante
12
. Per quanto concerne il primo punto, se Mannoni assicura un’analisi che,
pur essendo del tutto personale, tenta di essere il più possibile oggettiva; Fanon
pretende da se stesso uno studio soggettivo della miseria dell’uomo nero e promette al
lettore di attraversare i confini della sua esperienza per dare voce al grido di
un’umanità vilipesa. La seconda obiezione, invece, critica l’utilizzo di una prospettiva
esclusivamente psicologica per la spiegazione e la giustificazione del presunto
comportamento dipendente del malgascio. Questo approccio, infatti, ipotizzando
l’esistenza innata e inconscia di un differenziale cognitivo-comportamentale, respinge
11
Fanon, al di là delle critiche, si esprime in accordo con Mannoni sulla patologizzazione di tali
relazioni, soprattutto nella spiegazione del moto colonizzatore bianco a partire dal desiderio di appagare
un’insoddisfazione in termini di ipercompensazione adleriana.
12
Cfr. Christopher Lane (2002), Psychoanalysis and Colonialism Redux: why Mannoni’s “Prospero
Complex” Still Haunt Us, per un approfondimento su come il pensiero di Mannoni ha influenzato e
stimolato quello di Fanon.
14
la possibilità che qualunque altra variabile storica, politica, economica e sociale, possa
aver avuto degli effetti sulla vita psichica del malgascio. Uno sguardo abbagliato dalle
dinamiche psicologiche rischia di non riuscire a cogliere il peso di tutto il resto, di
lasciarlo fuori campo o percepirlo opaco. Fondamentali, a tal proposito, sono le parole
di Beneduce nel denunciare il meccanismo di edipizzazione che Mannoni opera sul
malgascio nel tentativo di interpretarne i sogni:
Ciò che sorprende è la facilità con la quale un autore intellettualmente onesto
come Mannoni può lasciare sullo sfondo le vicende della repressione coloniale,
la verità del suo terrore, sino a dimenticarsene. Perché è difficile guardare alla
Storia per comprendere la sofferenza e la paura dei suoi interlocutori? Perché
l’ascolto dei loro sogni, dei loro desideri o delle loro inquietudini si traduce nel
silenzio sui drammi e le verità di un conflitto, in un’analisi che ignora l’esperienza
di una dolorosa dispersione di oggetti, corpi, legami? Perché Mannoni ci conduce
lontano dal rumore di quegli zoccoli? Com’è possibile che sfugga al suo ascolto
la violenza dei divieti concernenti i rituali della circoncisione, l’oltraggio ai
simboli e agli spazi del potere regale, la devastazione dell’ecosistema? In quale
invisibile confine si perde la vicenda di un popolo e solo rimane, nelle parole e
negli incubi di quegli uomini, la scena edipica? Pur essendo stato tra i primi a
scrutare le contraddizioni e le ambiguità del contesto coloniale, Mannoni si fa
complice di una rimozione: quella relativa alla violenza del dominio e alle
trasformazioni psichiche che questo induceva (Beneduce 2010: 99)
13
.
Questo significa cancellare la storia, abolirla, dimenticare la violenza dell’invasione,
della schiavitù e della condizione coloniale; significa ignorare che il malgascio è un
corpo occupato, dalla psicologia colonizzata.
L’opera di Fanon è uno studio clinico ed etnografico che si interroga sulle condizioni
di vita del nero del XX secolo: chi è il Nero? Chi è rispetto agli Altri (Noi)? Che cosa
vuole
14
? Lo psichiatra cerca di rispondere a queste e ad altre domande costruendo
13
Mannoni non riesce a guardare oltre al complesso dell’Edipo, finendo così per incastrare il colonizzato
nell’ennesima gabbia del colonizzatore. Beneduce, sottolineando l’entità dell’errore, evoca le seguenti
parole di Deleuze e Guattari, particolarmente emblematiche: “Nella misura in cui esiste, l’edipizzazione
è opera della colonizzazione […]. Edipo è sempre la colonizzazione proseguita con altri mezzi, è la
colonia interiore […]” (Deleuze e Guazzari, cit. in Beneduce 2010: 100).
14
Su quest’ultima domanda in particolare, si è espresso Homi Bhabha in Remembreing Fanon in What
Does a Black Man Want? (Che cosa vuole un uomo nero?), sostenendo che: “L'uomo di colore vuole lo
scontro oggettivante con l'alterità; nella psiche coloniale c'è un disconoscimento inconscio del momento
15
un’analisi psicologica, storica e politica del dramma vissuto dal nero segregato e
discriminato e dell’alienante posizione privilegiata del Bianco. Un tentativo di
comprensione dei rapporti tra Nero e Bianco che non si accontenta di invitare alla
riflessione ma esorta all’azione.
Malgrado le tematiche scottanti affrontate da Fanon siano molte, il razzismo sessuale
è quella che ha occupato uno spazio e rivestito un ruolo più rilevanti, e che ha acceso
più discussioni. Questo argomento, pur essendo evocato nel corso di tutto il testo, viene
trattato soprattutto nel capitolo sesto, Il Nero e la Psicopatologia. La riflessione di
Fanon sul razzismo sessuale si apre con una definizione del termine ‹‹negrofoba›› che
smaschera le reali intenzioni della donna e la scopre ““partenaire” sessuale putativa,
proprio come il negrofobo è un omosessuale represso (ivi; 136)”. Se al di sotto della
paura per il Nero si cela una vigorosa attrazione sessuale, questo accade perché nei
suoi confronti tutto avviene sul piano genitale. Il corpo del Nero, così come la sua sfera
morale ed esistenziale, sono riducibili ai suoi organi riproduttivi, al punto da non
riuscire più a vedere l’uomo nero ma solo il suo membro. A questa iper-
sessualizzazione si accompagna un’iper-virilizzazione, l’ascrizione al corpo del nero
di un potere sessuale allucinante, un istinto bestiale fomentato da una biologia
riproduttiva ingovernabile. Un processo logico perverso e violento che emerge ancora
più evidente se messo a confronto con l’antisemitismo, un odio che, dietro al disprezzo
per l’ebreo, nasconde il timore della sua ricchezza:
I negri, loro hanno la potenza sessuale. Pensate! Con la libertà che hanno, in
piena boscaglia! Sembra che abbiano rapporti sessuali sempre e in ogni luogo.
Sono dei genitali. Hanno tanti bambini che non li contano più. Diffidiamo perché
ci inonderanno di meticci. Decisamente tutto va male… il governo e la burocrazia
assediati dagli ebrei. Le nostre donne dai negri (ivi; 136).
Nella comparazione tra le due diverse manifestazioni di odio razziale segue sostenendo
che: “Non verrebbe in mente a nessun antisemita di castrare l’ebreo. Lo si uccide o lo
si sterilizza. Il negro invece lo si castra. Il pene, simbolo della virilità, viene annientato,
negativo e spezzante del desiderio. [...] L'Altro deve essere visto come la necessaria negazione di
un'identità primordiale - culturale o psichica - che introduce il sistema di differenziazione che consente
al "culturale" di essere rappresentato come una realtà linguistica, simbolica, storica. Se, come ho
suggerito, il soggetto del desiderio non è mai semplicemente un Me-stesso, allora l'altro non è mai
semplicemente un Se-stesso, una fonte di identità, verità o misconoscimento”.