4
Introduzione
Il presente lavoro si concentra sull’indagine dei metodi di
individuazione, lotta e repressione del fenomeno mafioso attraverso la
ricerca e l’analisi di varie fonti storiche e giurisprudenziali. Si è scelto
di suddividere la presente tesi di laurea in quattro periodi storici
proprio a voler ripercorrere le varie fasi dell’ascesa e del relativo
contrasto, da parte dello Stato italiano, alla mafia. Parlando di
criminalità organizzata si è deciso di spostare il baricentro dell’analisi
sulla “Cosa Nostra” siciliana, in quanto viene considerata, insieme alla
“Camorra”, una delle organizzazioni delinquenziali più antiche, ed in
base ai lavori della dottrina e giurisprudenza, una delle più radicate nel
territorio.
Da sempre al centro dell’attenzione di varie scienze (giuridiche,
sociali, politiche), il fenomeno mafioso ha interessato più o meno
costantemente, a seconda delle efferatezze procurate, anche
l’opinione pubblica. Dopo esser stato considerato a lungo una
caratteristica comportamentale propria delle popolazioni del sud Italia,
in seguito, a causa della violenta escalation di delitti, le istituzioni
hanno progressivamente preso coscienza della pericolosità di questa
organizzazione incancrenitasi a vari livelli in tutto il resto del Paese.
5
Nel primo capitolo, dopo una breve analisi storica e semantica del
termine “mafia”, la trattazione ripercorrerà il periodo post-unitario
fino ai primi del Novecento; l’ascesa del fenomeno mafioso non potrà
che cominciare dalle prime fonti giuridiche che attestano la presenza,
nel territorio della Sicilia, di questa entità ancora non ben identificata
di tipo parastatale, composta da più “sette” o “associazioni” di
malandrini, che si sostituisce allo Stato o lo affianca dove non riesce
ad intervenire in prima persona. Essenziali, per questa prima parte,
saranno le relazioni e gli studi parlamentari, come la Commissione
Bonfadini e la relazione Franchetti/Sonnino, che consentiranno di
descrivere uno spaccato economico e sociale della Sicilia post-
Borbonica, ancorata ad un’economia di tipo agreste nelle aree interne
e un’intensificazione degli scambi commerciali sulla costa. La
magistratura fatica a rapportarsi alle nuove realtà della regione tanto
da rimaneggiare, molto spesso, le norme giuridiche e i codici,
tentando di identificare al meglio le caratteristiche essenziali di questi
gruppi e soprattutto le singole fattispecie criminose. Il contributo degli
organi di polizia permetterà di delineare, seppur in maniera
approssimativa, una mappatura del territorio come, ad esempio, nel
rapporto Sangiorgi che delinea le ubicazioni delle presunte
6
“fratellanze” risalendo ai possibili collegamenti con il mondo
borghese.
Nel secondo capitolo si esporranno il problema del latifondo e della
cosiddetta “mafia in guanti gialli”; concetto elaborato nei primi del
Novecento dal giurista Gaetano Mosca, che ci permetterà di analizzare
la nascita di “quell’alta mafia” che, attraverso l’assidua ricerca di
amicizie potenti, interagirà con il mondo politico in maniera sempre
più incisiva. Verrà analizzato il tentativo accanito di lotta al fenomeno
durante il ventennio fascista e di spicco sarà la figura del “prefetto di
ferro” Cesare Mori che delineò un sistema inflessibile di misure
repressive. I primi contatti tra Cosa nostra americana e mafia siciliana,
caduta del fascismo e rivolta contadina concluderanno il capitolo.
Nel terzo capitolo si ripercorrerà il periodo susseguente al dopoguerra
mettendo in risalto la capacità di adattamento della mafia ai nuovi
mercati. Se, in un primo momento, essa veniva accomunata
all’economia agreste, dagli anni 50 in poi si assiste ad una mutazione
sempre più evidente di come essa riesca a penetrare in ogni settore:
dall’edilizia agli appalti pubblici in un primo momento, al mercato
della droga successivamente. In questa terza parte sarà fondamentale
ripercorrere i passaggi che portarono all’istituzione della prima
7
commissione parlamentare antimafia nel 1962 a seguito di eventi che
sconvolsero l’opinione pubblica; da qui i contributi della relazione di
minoranza di due figure di spicco come l’onorevole Pio La Torre e il
giudice Cesare Terranova che permetteranno, per la prima volta, di
presentare, in concreto, azioni repressive nei confronti della mafia. Da
qui le prime Leggi come la n. 575 del 1965 che elabora il concetto di
associazione mafiosa introducendo le prime norme di tipo repressivo.
Il capitolo ci concluderà trattando dei primi grandi ed infruttuosi
processi degli anni 60 (Catanzaro e Bari).
Dopo aver analizzato la legislazione emergenziale degli anni Settanta,
nel quarto capitolo l’attenzione si focalizzerà sul mutamento repentino
degli asset mafiosi, a seguito del cambio di governance interna ed
esterna, grazie ai presunti accordi politici (è il periodo tristemente
noto come la “mattanza”).
Seguirà la disamina dell’entrata in vigore della legge Rognoni/La
Torre, che segna un punto di svolta nella giurisprudenza italiana con
l’istituzione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso
(Art. 416 bis c.p.) .
Il presente elaborato si concluderà approfondendo la brillante
intuizione del magistrato Rocco Chinnici: la creazione di un pool di
8
magistrati concentrati esclusivamente sui reati di mafia e sulle
indagini bancarie che consentiranno l’istituzione del Maxiprocesso di
Palermo dove si confermeranno, presso la Corte di Cassazione,
definitivamente, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia con
l’ufficiale riconoscimento della mafia come organizzazione criminale,
con una propria gerarchia e delle proprie norme.
9
Capitolo primo
LA DIFFUSIONE DEL FENOMENO MAFIOSO NEL PERIODO
POST-UNITARIO
1.1 DEFINIZIONE E ORIGINE DELLA PAROLA MAFIA
Il termine mafia è stato da sempre oggetto di studio e discussione
circa l’origine semantica e l’accezione positiva o negativa del
vocabolo. Molteplici storici ed antropologi della materia hanno
sollevato perplessità proprio nel tentare di ricostruire un percorso
unitario, per identificarne al meglio il corretto significato. Lo storico
Enzo Ciconte spiega come la descrizione del fenomeno mafioso ha
stentato a trovare ingresso nelle opere accademiche per una certa
negligenza degli studiosi poiché considerato «il prodotto delle classi
subalterne, marginali e infime della società»
1
; la mancanza di fonti
certe ha causato la progressiva impenetrabilità e segretezza degli usi e
costumi. Una delle prime descrizioni del fenomeno, senza un esplicito
riferimento alla parola mafia, venne riportata in una lettera del 1838,
1
E. Ciconte, Storia criminale La resistibile ascesa di mafia, ‘ndrangheta e camorra dall’Ottocento
ai nostri giorni, Rubettino, Soveria Mannelli, 2008, p. 9.
10
redatta dal procuratore del Regno delle due Sicilie, Pietro Calà Ulloa
2
,
indirizzata al Re nella quale viene riportato testualmente:
Vi ha in molti paesi delle unioni o fratellanze, specie di sette, che
dicono partiti, senza colore o scopo politico, senza riunione, senza altro
legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là
un arciprete […] Sono tante specie di piccoli governi nel governo […]
Una cassa comune sovviene ai bisogni ora di far esonerare un
funzionario, ora di difenderlo, ora di proteggere un imputato, ora
d'incolpare un innocente
3
.
Leonardo Sciascia
4
, nei suoi scritti, indica come la parola mafia derivi
da una commedia teatrale del 1863 di Giuseppe Rizzotto “I mafiusi di
la Vicaria” ossia un gruppo di uomini del carcere di Palermo intenti
alla pratica del pizzo
5
; involontariamente la rappresentazione assunse
popolarità scavalcando i confini nazionali. L’opera inscena, seppur in
2
Pietro Calà Ulloa (Napoli, 1801 – Ivi, 1879) fu un uomo politico e scrittore italiano. Di origini
nobiliari, dal 1836 ricoprì diversi incarichi nella magistratura criminale fino al 1860. Le sue opere
letterarie furono molteplici; si ricorda in particolare le “Relazioni” del 1838, inviate da Trapani al
ministro di Grazia e Giustizia, Nicola Parisio. Queste relazioni formarono una vera e propria
inchiesta sulla regione Sicilia, portando alla luce le prime forma di associazionismo nell’Isola. Cfr.
G. Masiello, s.v. “Calà, Ulloa, Pietro” in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani , volume I (A-
Les), Il Mulino, Bologna, 2013.
3
N. Colajanni, Nel Regno della mafia, Edizioni Il Grano, Messina, 2014, pp. 25-26.
4
Leonardo Sciascia (Racalmuto, 1921 - Palermo, 1989) fu uno scrittore e saggista italiano che
impostò sempre i suoi libri su un impegno civile capace di portare alla luce le piaghe secolari della
società siciliana, tra cui, la connivenza della mafia con il mondo politico regionale e nazionale
alludendo alla incontenibile mentalità mafiosa. Cfr. P. Squillacioti, s.v. “Sciascia, Leonardo”, in
Dizionario Biografico degli Italiani, volume 91, Roma, 2018.
5
Pizzo:Tangente estorta dalle organizzazioni mafiose e camorristiche: imporre, pretendere il
p.; pagare il pizzo.
11
modo embrionale, i tratti comuni della mafia odierna ossia la riunione
di un gruppo di uomini sotto l’ordine di un capo, specializzato in
attività criminose e con delle proprie regole di ingaggio
6
. Nonostante
il suo successo, la parola "mafia"non era ancora considerata sinonimo
di criminalità ma poteva assumere diversi significati
7
. Se ne deduce
che il valore negativo fosse sconosciuto alla popolazione siciliana. In
altre regioni come la Toscana significava “povertà” o “miseria”
mentre, per identificare l’attività criminale, veniva preferito il termine
“camorra”
8
. In altri documenti ancora era presente la “maffia”
termine che verrà utilizzato lungo tutto l’arco dell’Ottocento, per poi
scomparire del tutto
9
.
6
Cfr. L. Sciascia, Storia della mafia, Barion, Palermo, 2013 pp. 10-11.
7
A. Traina, Nuovo vocabolario siciliano-italiano, Giuseppe Pedone Lauriel, Palermo, 1868, p.550.
Nel vocabolario, il termine viene così definito: «Neologismo per indicare azione, parole o altro di
chi vuol fare il bravo: sbracerìa, braveria. Sicurtà d’animo, apparente ardire: baldanza. Atto o detto
di persone che vuol mostrare più di quel che è: pottata. Insolenza, arroganza: tracotanza. Alterigia,
fasto: spocchia. Nome collettivo di tutti i "mafiusi". (Smàferi si chiaman in Toscana gli sgherri; e
maffia dicon della miseria, e miseria vera è il credersi grand’uomo per la sola forza bruta; ciò che
mostra invece brutalità, cioè l’esser grande bestia!».
8
AP, Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, VI legislatura, doc. XXIII, n. 2, presidente L.
Carraro, commissari, G. Adamoli, A. Agrimi, G. Benedetti, E. Bertola, G Chiaromonte, M.
Cifarelli, G. De Carolis senatore, M. Follieri, W. Garavelli, E. Gatto, M. D. Gerolimetto, N.
Bertazzi Grassi, P. La Torre, F. Lugnano, R. Maffioletti, A. Malagugini, F. Mazzola, E. Meucci,
G. Niccolai, A. Nicosia, F. Patriarca, G. Pisano, E. Revelli, P. Riccio, V. Rosa, M. Sgarlata, S.
Signori, C. Terranova, M. Zuccalà, M. Vineis, Commissione parlamentare d’inchiesta sul
fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione conclusiva (relatore Carraro), tipografia del Senato
(2500) – 2/3/4, Roma, 1976, p. 97.
9
G. Di Revel, Da Ancona a Napoli. Miei ricordi, Fratelli Dumolard, Milano, 1892, p.180. Riporta
una lettera del Generale della Rovere in data 1 maggio 1861 indirizzata a Genova Thaon di revel
che scriveva testualmente: « La situazione qui non è bella […] qui v’è pure la camorra, non meno
cattiva della napoletana. La chiamano maffia.».
12
Si sarebbero dovute attendere le dichiarazioni del prefetto di Palermo
Filippo Gualtiero che, in un rapporto segreto del 25 aprile 1865, per la
prima volta associò il termine mafia ad una organizzazione
malavitosa
10
. Nel 1871 la legge di pubblica sicurezza si occupava di
«oziosi, vagabondi, mafiosi e sospetti in genere». Inoltre, nel 1874 la
mafia veniva definita dal prefetto di Palermo, Gioacchino
Rasponi, come «malandrinaggio di città»
11
. Le elezioni di quell’anno
segnarono la sconfitta della Destra storica che avrebbe portato ad un
acceso contrasto politico e culturale tra i deputati delle rispettive
fazioni con l’accusa da parte della destra nei confronti
dell’opposizione di aver vinto le consultazioni grazie a corrotti,
mafiosi e all’utilizzo di bande armate per assicurarsi voti
dell’elettorato. Dalle successive discussioni parlamentari, si arrivò ad
istituire commissioni allo scopo di confermare la presenza in Sicilia di
queste associazioni di “malfattori”. L’acceso dibattito che ne scaturì
portò a considerare che la mafia fosse un’invenzione della destra per
screditare l’isola. L’argomento fu al centro di disquisizioni sugli
organi di stampa, nei circoli culturali e addirittura oggetto di
10
C. Lo Monaco, A proposito della etimologia di mafia e mafioso, in Lingua Nostra, n.1,Livorno,
1990, p.5 La dichiarazione del prefetto di Palermo Filippo Gualtiero riporta testualmente:«La
mafia esiste. Il nome solo dice associazione. Questa associazione di malfattori è numerosa, è piaga
vecchia e quando si rivela è segno che qualcuno la commove».
11
Cfr. S. Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli Ed. , Roma, 2004.