V
INTRODUZIONE
Si può pensare alla Thailandia come a un „crocevia religioso‟? Se ci si limitasse al
mero dato statistico la risposta sarebbe impegnativa e pleonastica al tempo stesso. In
un Paese che nei secoli vide la fioritura del buddhismo di scuola theravada ogni altra
religione che professata – islam, induismo, cristianesimo – non può che essere relegata
a un ruolo di marginalità.
Ma il Paese che deve il significato del proprio nome all‟espressione “terra degli
uomini liberi“, in quanto fu l‟unico nel sud-est asiatico ad aver preservato la propria
indipendenza dagli appetiti coloniali di Francia, Inghilterra e Giappone, ha
storicamente avuto – e tuttora conserva – una fondamentale funzione di „snodo‟
politico e religioso.
La Santa Sede fu ben consapevole di questa sua duplice valenza, conferita più da
storia e geografia che da stime numeriche. Lo fu a partire dal XVII secolo, allorché i
primi missionari giunsero nel Siam, quale terra di evangelizzazione alternativa alla
Cina che aveva chiuso le proprie porte.
Il fatto che la loro predicazione si rivolgesse in primis a minoranze etniche e religiose,
– sfuggite alle persecuzioni in altri Paesi e riparate ad Ayuthaya, capitale del regno
siamese – fu un buon indicatore del clima di tolleranza che si respirava nel regno,come
attesta la prima lettera papale inviata nel 1699 da Clemente IX al re del Siam Narai.
Si è ritenuto utile rievocare eventi legati a epoche storiche remote perché la trattazione
ha tra le proprie mete prefisse quella di dimostrare come situazioni e problematiche del
Siam/Thailandia appaiano sostanzialmente immutate nel corso di secoli. Al di là del
suo tema centrale – le relazioni Santa Sede-Thailandia – il presente studio comprende
infatti la realtà dei rifugiati delle zone di confine con altri Paesi dell‟area, punctum
dolens degli appelli vaticani nei consessi internazionali e degli Angelus domenicali a
San Pietro.
Certo i nomi sono mutati: gli sfollati annamiti del Tonchino di un tempo hanno ceduto
il posto ai „boat people‟ vietnamiti, e le minoranze degli armeni o degli esuli
cristiano-giapponesi sono ora quelle degli Akka, Hmong, Karen e Robhinya. Tuttavia
la precarietà della loro esistenza permane invariata rispetto a quella di secoli addietro.
Nel momento in cui un arco temporale di considerevole ampiezza viene preso in
esame, è d‟obbligo „mettere in bilancio‟ le relative, inevitabili luci ed ombre. In questo
studio vi è spazio dedicato ad entrambe: gesuiti e francescani alla corte siamese,
missionari combattenti per la difesa di Ayuthaya assediata dai birmani, sodalizi
intellettuali di vescovi e sovrani, rappresentano quell‟epitome positiva, che alimentò le
speranze di conversioni dei sovrani al cristianesimo.
VI
Dall‟altro lato, pure se confinata in un tempo assai breve, vi è la drammatica vicenda
dell‟intolleranza anticattolica, che funestò il Paese allo scoppio della seconda guerra
mondiale.
Anche in quel momento storico la Thailandia ebbe tuttavia modo di mettere in
evidenza singolari peculiarità. Ne sono d‟esempio le ricerche condotte presso
l‟Archivio Nazionale thailandese, che hanno dimostrato come durante il regime
dittatoriale che governò il Paese durante il conflitto vigesse una forma di censura
„bifronte‟.
Ad essa era sottoposta la stampa in lingua thai, impossibilitata com‟era a denunciare le
persecuzioni religiose in atto nel Paese. Per contro la stampa in lingua inglese godeva
di ben maggiore libertà – di informazione, di critica – nella generale convinzione che
pochi lettori „acculturati‟ sarebbero stati del tutto ininfluenti sugli eventi. Fondata o
meno che fosse l‟ipotesi, non si trattava di cosa di poco conto, se paragonata alla
soppressione della libertà di stampa nei regimi dittatoriali d‟oriente ed occidente.
Per ciò che concerne le fonti della ricerca, il ritardo storiografico che si è avvertito per
il tema specifico dell‟intolleranza religiosa ha fatto sì che i manoscritti – diari,
memoriali, relazioni di re, papi, delegati apostolici e missionari – abbiano costituito le
maggiori risorse consultabili.
Sento pertanto il dovere di rivolgere un grato pensiero all‟Arcidiocesi di Bangkok, per
la disponibilità e collaborazione di cui ha dato prova, autorizzando la consultazione di
documentari „sensibili‟, che di norma sarebbero vincolati da segreto.
L‟accesso consentito a questo delicato materiale – in massima parte in italiano e
francese – è per certi aspetti in analogia con la „libera‟ stampa inglese del periodo
bellico. Ora come allora si è evidentemente ritenuto che lingue d‟élite non avessero
„peso specifico‟, il che ha consentito accuratezza e puntualità nella ricostruzione degli
eventi.
Lo studio non presenta conclusioni esaustive sull‟argomento, né forse avrebbe potuto
fornirle. Allorché si riteneva che il viaggio di papa Wojtyla in Thailandia nel lontano
1984 fosse l‟evento principe delle secolari relazioni Santa Sede-Thailandia, il 13
settembre 2013 il Primo Ministro thailandese Yingluck Shinawatra è stata ricevuta in
udienza dal neoeletto papa Francesco.
L‟incontro, che ha segnato la ripresa dei contatti dopo un silenzio protrattosi per oltre
mezzo secolo, si è concluso con l‟invito ufficiale al pontefice di compiere una visita in
Thailandia.
Jorge Bergoglio ha accolto l‟invito. Un nuovo capitolo sta per avere inizio.
1
PARTE I
LE RELAZIONI SANTA SEDE–SIAM DAL XVII AL XIX SECOLO
2
CAPITOLO PRIMO
L’EVANGELIZZAZIONE DEL PAESE: CENNI STORICI
1.1 Il periodo di Ayuthaya.
Le prime relazioni ufficiali tra Siam e Vaticano risalgono al 1669, anno del primo editto
papale (breve) di Clemente IX a re Narai, sovrano siamese. Ben prima avevano tuttavia avuto
inizio le relazioni ufficiose. L‟ingresso del cristianesimo nel paese si ebbe con i cappellani
delle navi portoghesi, che nel XVI secolo gettarono l‟ancora nel porto fluviale di Ayuythaya,
capitale del regno. La loro predicazione era rivolta alla comunità portoghese e a varie etnìe –
cinesi annamiti (vietnamiti), profughi del Tonchino, armeni, esuli cristiani dal Giappone –
che nella cosmopolita Ayuthaya avevano trovato la tolleranza che veniva loro negata nei
paesi d‟origine.
Questa la realtà che si dovette presentare ai domenicani Jeronimo da Cruz e Sebastiao do
Canto, primi religiosi del cui arrivo si abbia data certa (1567). “Jeronimo battezzò molti
pagani e istruì i loro bimbi alla dottrina cristiana […] per loro sventura furono anche i
primi martiri, per mano dei musulmani il primo, dei birmani il secondo”.
1
Ma il flusso di
religiosi – francescani nel 1582 e gesuiti nel 1606 – non si arrestò per questo, anche se a
prezzo di altre vite, come quella del p. Julio Cesar Margico, ospite a corte nel 1624, ucciso
da un fedele al quale aveva rimproverato i peccati commessi.
L‟istituzione della Sacra Congregazione De Propaganda Fide nel 1622 con la bolla di
Gregorio XV „Inscrutabili divinae providentiae‟, fece sì che il nuovo corso di quella che si
potrebbe chiamare „politica estera‟ vaticana prendesse ufficialmente il via: la fondazione del
Collegio Urbaniano (1627) per i novizi stranieri, della stamperia Typis Poliglottis Vaticanis
per le lingue extra-europee, e soprattutto l‟istituzione delle Missions Etrangères de Paris
(M.E.P) nel 1659, rappresentarono le nuove „scelte di campo‟ operate da Roma. Questo
determinò che antiche prerogative legate all‟evangelizzazione delle terre di conquista di
Spagna e Portogallo (Padronado o Padroado) risalenti alle „bolle alessandrine‟ del 1493 di
1
Chumpispan, S. A brief History of the Catholic Church in Thailand, Bangkok Archidiocesis, 2006.
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Alessandro VI e di Leone X nel 1514
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cessassero d‟essere in vigore. Gli arcivescovi iberici di
Goa e Manila, in linea con i propri Paesi d‟origine, manifestarono un aperto dissenso. Da
quel momento le loro navi si rifiutarono di prendere a bordo i missionari francesi,
costringendoli ad avventurarsi in interminabili viaggi di terra. Per le animosità che ne sorsero
Propaganda Fide ritenne necessario impartire ai religiosi in partenza per l‟oriente istruzioni
non propriamente in sintonia con missioni di pace nel „nome di Cristo‟: segretezza
sull‟incarico conferito, codice cifrato nelle corrispondenze con Roma, con l‟effetto di
contribuìre ad alimentare un clima di reciproco sospetto.
In questo quadro di relazioni precarie il 22 agosto 1662 sbarcarono ad Ayuthaya Mons.
Lambert de la Motte, vicario apostolico del Tonchino (Vietnam del sud), Jean de Bourges e p.
Didier, primi missionari M.E.P a fare ingresso in territorio siamese. Il 27 gennaio 1664 – un
anno e mezzo dopo, tempo considerevolmente breve date le difficoltà dei trasporti – Francois
Pallu, l‟altro vicario apostolico di Cochinchina (Vietnam del nord), Louis Laneau, futuro
vescovo di Auythaya ed altri prelati rafforzarono la presenza del clero transalpino nel Siam. Il
loro arrivo fu il preludio del nuovo vicariato apostolico del Siam, che Alessandro VII
proclamò il 22 Agosto 1662, provocando come effetto immediato una levata di scudi da parte
dei missionari portoghesi del Padroado.
Sarebbero occorsi un nuovo papa (Innocenzo XI) e un nuovo patriarca a Goa per
persuadere i domenicani ad un giuramento di obbedienza (1678), che i gesuiti prestarono
soltanto due anni dopo. La vexata quaestio si sarebbe conclusa col „breve‟ di Clemente XI
„Speculatores Domus Israel‟ del 1702, attraverso il quale si dispose l‟invio in India e Cina di
p. Maiard de Tournon in qualità di visitatore apostolico e „legato a latere‟, in realtà con
compiti di pacificatore/informatore della S. Sede “perché – come ebbe a dire il Muratori
negli „Annali d'Italia‟(XII) – sulle troppo contrarie relazioni venute di colà non si potevano
ben chiarire i fatti”.
Il primato francese ad Ayuthaya era tuttavia fait accompli, come attestato dall‟istituzione
del sinodo dei vescovi, di un collegio-seminario, della congregazione degli „Amanti della
croce‟, di chiese, scuole e ospedali, che nel 1685 contribuivano a farne una capitale da fiaba,
unica al mondo: “Des vaisseaux francais, anglais, hollandais, chinois, siamois, un nombre
innombrable de ballons, de galères dorées…” descriveva un „estatico‟ abate di Choisy.
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2
“Inter coetera” del 3 maggio 1493 e „Dum fidei constantiam‟ del 7 giugno 1514, in:
Sorge G., Il Padroado regio e la S.Congregazione De Propaganda Fide nei secoli XVI-XVII, Bologna 1985.
3
Abbé de Choisy, Journal du Voyage de Siam , Trevoux, Paris 1741 in:
P. Sukkata, Influences Occidentales dans l‟architecture thailandaise, Université de Lausanne, 1998.
4
1.2 Il regno di Narai e la prima lettera papale.
Quel „rinascimento‟ aveva un artefice: Narai il Grande, re del Siam dal 1657 al 1688.
Monarca dotato di notevole curiosità intellettuale, stimolata da gesuiti di altrettanto grande
spessore come i padri Tachard e Valguarnera, egli giunse a far dono d‟un terreno alla Chiesa
che sia Roma che Versailles interpretarono come preludio della sua conversione al
cattolicesimo.
Animato da questa speranza, Pallu si recò a Roma per chiedere al papa una lettera che
favorisse l‟apertura dei contatti. Clemente IX acconsentì: il 24 agosto del 1669 – munito di
sigillo dell‟„anello piscatorio‟ e della dicitura „nel terzo anno del nostro pontificato‟ – il
documento gli fu consegnato nella basilica di Santa Maria Maggiore. Era la „posa della prima
pietra„ delle relazioni tra Santa Sede e Siam. Lunga e travagliata sarebbe stata la vicenda di
quello scritto. Tra la consegna nella mani di Pallu e la sua lettura che venne data al monarca
siamese nel palazzo reale di Lopburi, sarebbero trascorsi ben quattro anni di peripezie d‟ogni
sorta. Redatta in latino, celebrava con toni enfatici il re illuminato, protettore dei cristiani,
munifico nella sua donazione alla Chiesa. “Questa ed altre concessioni di Vostra Maestà
sono segni inequivocabili di benevolenza ed affetto, di cui i nostri inviati mai erano stati
beneficiari. Per questo prego di estendere la Vostra tutela, clemenza e giustizia sui nostri
rappresentanti, a difesa della loro incolumità”. Il finale della lettera è degno di interesse, non
tanto per l‟ annuncio di doni papali, che, andati perduti durante il viaggio, di fatto avevano
lasciato Pallu a mani vuote, quanto per le espressioni usate da papa Clemente IX: “Preghiamo
Dio affinché possa illuminarVi con la verità divina, regnando per lungo tempo su questa
terra e in eterno in Cielo. Noi non cesseremo di chiederlo alla sua infinità bontà e
misericordia con tutto il nostro cuore”.
Se non proprio una conversione annunciata, sembrava qualcosa di assai vicino. Narai
mostrò di apprezzare gli elogi, sorvolò con apparente „non chalanche‟ su alcune incongruenze
del testo legate al lungo tempo trascorso – il papa autore della lettera deceduto, i doni perduti
durante la navigazione – e in segno di gradimento predispose due ambascerie. La prima perì
in un naufragio (“cose che capitano a chi viaggia per mare” questo il laconico commento,
più zen che theravada, del monarca siamese) e la seconda che potè giungere San Pietro, ma
solo nel febbraio 1677.
Nell‟udienza a Pallu, Innocenzo XI espresse comprensione e solidarietà (nel corso del
viaggio il prelato aveva conosciuto anche le prigioni spagnole) e gli affidò una lettera per
5
Narai dai toni altisonanti “luce di divina grazia, clemenza, magnificenza , fiamma d‟ affetto”
sempre con la riposta speranza nella sua conversione: “Che Dio Le faccia dono della perfetta
conoscenza della verità divina”.
Anche questa volta la missiva ebbe un percorso travagliato: non giunse a destinazione
prima del 1682, lo stesso anno in cui alla corte di Ayuthaya si era insediato Costantino
Phaulkon. Agente di commercio di Cefalonia, all‟epoca dominio veneziano (si dibatte tuttora
se „Falcon‟ pronunciato in veneto non fosse più appropriato) seppe conquistare la fiducia di
Narai che lo elevò al grado di „Lord di corte‟. “Con quella carica che ebbe l‟effetto di
renderlo inviso ai mandarini di palazzo, si investì del ruolo di „tessitore‟ di relazioni tra
Ayuthaya, Roma, Versailles, francescani e gesuiti. Del suo notevole zelo e spregiudicatezza
si ha prova nelle sue corrispondenze con i potenti dell‟epoca, con i quali si mostrava prodigo
di consigli, offriva servigi, con toni da „inter pares‟”
. 4
Ma gli intrighi di corte, di cui era pure consumato maestro, gli furono fatali. Una congiura di
palazzo ordita dal fratello del re, Petracha, spodestò Narai e provocò la condanna a morte di
Phaulkon per alto tradimento, supposto reo di tentata „svendita‟ del Siam alla Francia. Un
romanzo storico descrive con toni da tragedia shakespeariana la fine di questo mercante
levantino che dopo un ingresso trionfale nella corte del Siam, salì tanto in alto da diventare
tertius a rege: “La sera del 5 giugno 1688, munito del conforto dei gesuiti, fu tradotto al
patibolo a dorso d'elefante. Sbigottita la gente si chiedeva :”Ma è lui ? Non può essere „il
piccolo greco‟, guardatelo, pare uno spettro!” Qualche istante prima che la spada calasse su
di lui, Phaulkon cavò dalla scarsella la Croce di San Michele – giusta onorificenza o illecita
ricompensa del Re Sole poco importava in quel momento – e supplicò il mandarino di farla
avere al figlio”.
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Poi, per le relazioni tra Santa Sede e Siam, fu solo silenzio. I sentimenti antifrancesi che
avevano infiammato la rivoluzione di palazzo ricaddero anche sui missionari. A questo
proposito profetiche si rivelarono le „Lettere dal Siam‟ del 1682 inviate dal francescano
Adamo Morelli a Cosimo III a Firenze. In esse il religioso menzionava “templi, mausolei,
sepolcri, sontuosissime statue di Buddha d‟oro massiccio” ma pure “dubbi sull‟opportunità
di legare l‟opera missionaria alla politica di Luigi XIV”.
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L‟epilogo funesto non potè tuttavia oscurare le luci di quel periodo: “Storia invero
affascinante quella che vi fu tra due governi: l‟uno temporale, l‟altro spirituale, lontani tra
4
Sioris, G.A., Phaulkon, the Greek counsellor at the court of Siam, Bangkok, The Siam Society 1998, p. 74
5
Hoskin,J., Falcon at the court of Siam, Asia Books, 2002.
6
Bressan,L., “Religione” in Italia e Thailandia cinque secoli di viaggi e incontri, Bangkok Chulalongkorn
University Printing House, 1996.