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1.1. Il primo processo mediatico per stupro
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Figura 1 L'avvocato Tina Lagostena Bassi e la sua assistita, Fiorella
Era il 26 aprile del 1979. La Rai trasmise in seconda serata Processo per stupro,
il primo documentario mai realizzato all’interno di un tribunale, quello di Latina,
in cui venivano filmate integralmente la prima udienza, tenutasi nel maggio
1978, la seconda del giugno 1978 nel corso del processo a quattro uomini
accusati di aver violentato una ragazza di diciotto anni. L’idea era nata l’anno
precedente durante un convegno internazionale femminista contro la violenza
sulle donne, in cui era emerso che, nelle udienze per violenza sessuale, alla fine
la responsabilità veniva addossata interamente alla vittima.
Fu così che Loredana Rotondo, assieme ad altre cinque giovani programmiste e
registe, chiese l’autorizzazione di riprendere il processo a Rocco Vallone,
Cesare Novelli, Claudio Vagnoni e Roberto Palumbo (inizialmente latitante),
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Rotondo, Loredana; Daopulo, Ron; De Martiis, Paola; Miscuglio, Annabella; Carini, Anna; Dordi, Loredana.
Processo per stupro, 1979
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accusati di aver sequestrato e violentato in gruppo una giovane di nome Fiorella,
conoscente di Vallone, che l’aveva attirata in una villa nella campagna romana
di Nettuno nel 1977 con una proposta di lavoro. La ragazza, lavoratrice in nero,
aveva abboccato all’invito di Vallone, che diceva di volerle far conoscere i soci
di “una ditta di nuova costituzione di cui ella avrebbe dovuto essere la
segretaria”. Sopravvissuta a un pomeriggio di sevizie, aveva denunciato i
quattro che, all’arresto, avevano prima confessato, poi negato la propria
colpevolezza, e infine ritrattato durante l’istruttoria dichiarando che il rapporto
sessuale si era consumato, ma era stato consensuale. Gli imputati affermarono
infatti di aver concordato con Fiorella una retribuzione di 200 mila lire, mai
versata.
1.2. La prima udienza, maggio 1978
Le prime riprese furono girate all’esterno del tribunale: protagoniste, le madri
degli imputati che, interpellate dalle autrici, non esitarono a difendere i figli con
convinzione. Una di loro in particolare (probabilmente quella di Vallone, perché
sottolineò, in camera, che Fiorella disturbava il figlio a lavoro telefonandogli
spesso e il Vallone era l’unico che la vittima conoscesse, ndr) sostenne che il
figlio non aveva fatto niente di male perché:
Nun l’ha mica ammazzata sta ragazza, s’è andato a divertì, certo che
gli piaceva pure a lei andare a divertisse, sennò non ci andava con
mio figlio, che mio figlio c’aveva moglie e un figlio!
Fiorella non era, secondo questa madre, una vittima, ma una seduttrice
consapevole, una prostituta pronta a tutto per inguaiare i suoi “clienti”. I quattro
quindi non avevano nessuna colpa perché si sa, gli uomini sono fatti così: poco
importa che siano sposati e abbiano una famiglia da cui tornare, tutti apprezzano
la compagnia delle prostitute. Incalzata da una delle autrici, la donna ammise
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che non avrebbe di certo visto di buon occhio l’eventualità che suo marito
“andasse a puttane”, ma lo avrebbe capito, in quanto uomo.
L’intervento della donna ha il compito di suggerire allo spettatore quale sia stato
l’andamento del processo, nel quale ci si trova quasi all’improvviso, dopo un
frame di pochi secondi dove campeggia la scritta Tribunale di Latina.
Prima ancora di iniziare le deposizioni, gli avvocati difensori proposero come
risarcimento da parte di Novelli, Vallone e Vagnoni la somma di due milioni di
lire, che vennero depositati in aula in banconote. Il gesto suscitò la reazione
sdegnata della parte civile nella persona di Tina Lagostena Bassi, avvocato di
Fiorella, che definì la cifra come una “mazzetta buttata sul tavolo secondo il
sistema di Napoli” insufficiente a risarcire una donna violentata della dignità
che le era stata strappata rifiutandola. La sua assistita, interpellata dal giudice,
fece lo stesso: il motivo della sua scelta fu che ragioni morali le impedivano di
accettare.
Al posto dei due milioni, come risarcimento simbolico, Fiorella e l’avvocato
Lagostena Bassi chiedevano una lira soltanto e che la somma di giustizia
stabilita dal giudice venisse devoluta al centro contro la violenza nei confronti
della donna di Roma. Uno dei difensori, evidentemente incapace di comprendere
il motivo del rifiuto, chiese ulteriori spiegazioni all’avvocato di parte lesa, che
iniziò da subito a sottolineare le incongruenze del processo:
Noi donne riteniamo estremamente offensiva questa prassi instaurata
di portare la mazzetta, scusatemi il termine, ma la mazzetta posata se
anche non gettata sul tavolo dei giudici (…). È incommensurabile il
danno che una donna subisce per una violenza carnale!
Capelli raccolti, camicetta bianca e viso acqua e sapone dall’espressione neutra,
Fiorella comparve a questo punto in aula e divenne lo strumento volontario per
mostrare agli italiani la pressione psicologica e l’umiliazione che ogni donna
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sufficientemente coraggiosa da denunciare una violenza sessuale doveva
affrontare da parte di avvocati e magistrati. La sua breve apparizione davanti al
giudice, prima che la corte si ritirasse per una pausa per deliberare in seguito alle
prime eccezioni preliminari, venne seguita dai commenti velenosi di chi
assisteva al dibattimento: “lasciamole sfogare”, “è quello che dico io, è meglio,
da un punto di vista psicologico ci conviene”. Le autrici approfittarono di questo
intermezzo per avvicinare gli imputati e chiedere loro se le mogli fossero andate
a trovarli in carcere: mentre uno rispose di no, gli altri annuirono timidamente.
Le mogli erano dunque dalla loro parte?
Al rientro della corte, il giudice rese noto il rifiuto a lasciare che alcune
attiviste dei movimenti femministi si costituissero parti civili e che
l’imputato latitante, Roberto Palumbo, si era finalmente costituito. A
questo punto la parola passò agli imputati: il primo raccontò di essere stato
avvicinato da Vallone quel fatidico 7 ottobre, giorno in cui si era
consumato il presunto reato. Vallone gli aveva comunicato che Fiorella
aveva un urgente bisogno di soldi e che perciò era disposta ad avere
rapporti carnali con chiunque in cambio della somma complessiva di
200mila lire. Un compenso elevato per tutti e quattro, che avrebbero dovuto
mettere assieme i propri risparmi (50mila lire a testa) per raggiungerlo. La
ragazza non aveva, però, mai ricevuto tale compenso e la motivazione
fornita dagli imputati per il mancato pagamento era che alcuni di loro
avevano già avuto gratuitamente rapporti con lei in cambio di un caffè al
bar o di qualche sigaretta e che il rapporto di quel giorno non li aveva
soddisfatti (nonostante nessuno di loro avesse avuto il coraggio di negare di
aver raggiunto l’orgasmo, ndr): uno di loro dichiarò addirittura di preferire
la propria moglie. La deposizione degli imputati era contraddittoria,
confusa: Novelli ammise di non essere sicuro che il Vallone fosse uscito
dalla stanza durante il suo “turno” nell’avere un rapporto con Fiorella,
Vagnoni confessò di volerla truffare e non volerle dare i soldi che le
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spettavano per la prestazione. Ma Lagostena Bassi questo non bastava e gli
fece confermare anche di aver mandato il cugino dalla diciottenne per
offrirle un milione di lire in modo che lei facesse finta di non riconoscerlo
nell’eventualità in cui si sarebbero incontrati in un’aula di tribunale,
essendo Vagnoni pregiudicato.
Fu poi la volta della giovane vittima, alla quale il presidente della commissione
sentì il bisogno di fare alcune rassicurazioni:
Come vedete non siete sola, non avete bisogno di sostegno morale,
siamo tutti padri di famiglia. Non c’è bisogno che guardate la vostra
madre adottiva
Quindi le chiese se avesse mai avuto rapporti sessuali con Vallone e Novelli, ma
lei negò fermamente, dichiarando di conoscere sì Vallone, ma di aver soltanto
guidato la sua macchina qualche volta uscita da scuola. Fiorella dovette
ricostruire nuovamente i fatti di quella giornata drammatica, come si fosse svolta
la violenza, se i quattro l’avessero picchiata o l’avessero costretta in altro modo
a subire il rapporto, che tipo di rapporto si fosse consumato, se le fellatio
praticate si fossero concluse con eiaculazione in ore. Spiegò come Vallone
l’aveva aggredita, denudata e atteso che i suoi compari lo raggiungessero nella
stanza prima di abusare di lei. La ragazza, che in un primo momento aveva
tentato di opporsi, aveva ceduto “alle voglie dell’individuo” perché i quattro
l’avevano schiaffeggiata e minacciata di morte. Le minacce erano continuate
anche una volta consumata la violenza perché la giovane era stata costretta a
seguire i suoi aguzzini in un salottino, dove Palumbo, armato di bastone,
sghignazzava e continuava a terrorizzarla. Il tono di voce di Fiorella, durante
l’interrogatorio, era tremante, insicuro: l’aula rumoreggiò spesso riecheggiando
le sue affermazioni e lei, mesta, si affrettava a tranquillizzare il giudice che
tentava di ristabilire la calma sussurrando “Non fa niente”.