2. Dalla tragedia all’opera lirica, passando attraverso il melodramma
Ha scritto Carl Dalhaus : “Dal Sei al Novecento, l’estetica operistica si è retta su due
presupposti imperiosi e tenaci: la dottrina degli affetti e l’idea del meraviglioso.” Ma è
fondamentale ricordare, in aggiunta a questo teorema, che intercorre una grande differenza tra
il teatro recitato e il teatro cantato/musicato: propria del teatro di parola e prosa è l’assunzione
che lo sviluppo dinamico derivi dai discorsi tra i personaggi che si definiscono nel reciproco
confronto dialogico o nei monologhi (com’è palese nel caso analizzato poc’anzi dell’ Elettra).
Nel melodramma e nell’opera lirica invece non esistono discorsi: esistono duetti tutt’al più, e
soprattutto conflitti di affetti. L’opera lirica, dunque, si configura strano genere d’arte: è
composto di addendi diversi, l’ intreccio drammatico ed esibizione musicale, componenti non
omogeneizzabili tra loro, ma trova ragion d’esistere nell’eccezionalità dei personaggi e delle
situazioni rappresentate in grado di legittimare l’uso del canto e della musica in luogo del
quotidiano linguaggio.
Il racconto di eventi in un’opera attraverso il linguaggio musicato si adatta benissimo al
tempo esteso di sentimenti e momenti affettivamente turbati con il risultato che il teatro
d’opera in misura assai superiore al teatro di parola di rendere giustizia all’importanza
drammatica della situazione
43
, e condensare l’azione nella sequenza emotiva degli affetti
scatenati da personaggi che si confrontano e si affrontano
44
.
Transitare dal teatro ateniese classico all’opera lirica affermata del diciottesimo secolo:
decidere di effettuare un salto di tale portata è ancora considerabile un azzardo di impegnativo
livello? Se sì, perché tentarlo, nondimeno? Il motivo risiede nella logica che lega l’una e
l’altra forma d’arte. Entrambe scavano nella psicologia umana avvalendosi di mezzi che
vanno oltre il puro e semplice logos: razionale e irrazionale, testa e cuore si compenetrano e si
intrecciano: le parole e la mimica, i dialoghi e la gestualità, i versi e gli accordi, l’eloquio e le
dinamiche musicali.
43
Dalhaus 1988
44
Coletti 2003
44
2.1 Gli strumenti – musicali e non – per impreziosire un testo
Con qualche marcia e arguzia in più, il libretto, un testo poetico che organizza e articola la
vicenda drammatica, è sempre stato il punto di partenza obbligato per qualunque compositore
che abbia voluto cimentarsi nel redigere un’opera; e un libretto altro non è che un testo
teatrale en travesti e che si presta ad essere musicato, con tutte le sue componenti: la sorte che
tocca alla parola tragica è riconducibile alla distanza che la separa dall’arte plastica e dalla
pittura. Essa ha bisogno di essere resa vitale. Nella forma d’arte che il teatro antico
presuppone bastava “dire”, ma era altresì altrettanto cruciale rappresentare
45
, acciocché il
testo si emarginasse dalla sua pagina e si incarnasse in una voce. La parola doveva farsi statua
e figura, doveva farsi avvenimento. Per la poesia tragica greca la facoltà di gareggiare con le
arti plastiche
46
( “sculturizzarsi”, come direbbe Mandel'štam) è uno dei privilegi più preziosi.
all’appello manca soltanto lo πνεύμα della musica, dell’orchestra intesa in senso moderno: le
truppe ausiliarie degli archi e dei fiati, la cavalleria sonora che rimpolpa il significato del
testo; il soffio che anima e rincuora e risveglia di una vibrazione febbrile la trama recitata e
messa in scena. In breve, riassumendo: l’opera lirica dona freschezza e nuovo lustro a un testo
tragico, ai suoi personaggi, anche se estrapolati dal loro contesto di partenza. Elettra ne risente
di questo influsso corroborante: lo strumento collettivo dell’orchestra, duttile e completo
47
, dà
forza e risalto alla sua umanità perché ne articola i moti e le conferisce nitidezza, chiarezza.
Il ruolo di un oboe, di una viola, di un corno o di un flauto è sempre definito con nettezza: il
colore orchestrale può conferire dignità a un carattere umano, può nobilitare la sua presenza
all’interno della scena, motivare la sua rabbia , ad esempio, oppure mostrarci la sua fragilità.
È un arricchimento, nonché un privilegio fruibile da tutti, poter godere di un personaggio
tragico sulla scena, mentre ciò che dice (e canta) viene tradotto e riempito dall’omogeneità
compatta e insieme differenziata delle sezioni orchestrali. Il cuore dell’orchestra mozartiana è
fatto dalla poderosa massa degli archi, che stendono con maggior brillantezza il colore del
personaggio; non a caso, infatti, le viole, dalla voce più calda e meno acuta, diventano la
45
Diano 1968
46
Averincev 1999
47
Bietti 2015
45
seconda voce di Elettra, perché hanno l’importante scopo di “voce interna”, del subconscio si
potrebbe ardire, inspessendo la densità del tessuto musicale, addentrandovisi.
2.2 Focus sul Settecento
L’opera in musica tra la fine del Settecento e l’inizio del nuovo secolo risentì ovviamente
della maturazione del gusto neoclassico e al contempo, soprattutto in Francia, degli eventi di
formidabile portata rappresentati dalla rivoluzione operata in campo teatral-musicale da
Christoph Willibald Gluck e favorita dalla parallela efficienza poetica di Ranieri de’
Calzabigi; ancora una volta, il nuovo gusto trovò nella nobile compostezza della tragedia
attica una fonte di ispirazione privilegiata. Il soggetto dell'opera sarebbe dovuto presentarsi
patetico, tragico, terribile, sublime; imperniato attorno a solenni eventi, a forti passioni,
declamante personaggi straordinari; e tutto questo, prescritto nelle linee guida che si
prefiggeva Gluck, sarebbe dovuto avverarsi “secondo la maniera greca”, nel compimento
della semplicità, della verosimiglianza e della naturalezza, applicabili ovviamente a una forma
d'arte; in seguito, svolgersi unitariamente, ruotante attorno a un'azione sola, e coerente, non
disturbato da interruzioni o divagazioni, e inserendo ampliamento del ruolo del coro
(nell’intento di richiamare la funzione di quello delle antiche tragedie greche).
Va inoltre menzionato con particolare enfasi il rapporto di reciproca necessità genetica che
lega nelle opere di Gluck il testo alla musica, documentato da una imprescindibile lettera di
Calzabigi indirizzata al Mercure de France nella quale il librettista descriveva i termini di una
collaborazione basata sui criteri assolutamente anomali nella prassi compositiva del tempo
48
.
Questa genesi intrecciata di musica e dramma presupponeva una mentalità mai esplorata
rispetto alle usanze dell’opera seria italiana: anche se pochi anni addietro, Metastasio di sé
affermava di non essere in grado di scrivere un’aria senza immaginarne la musica, non era
specifico riguardo alla destinazione melica della poesia, che rimaneva molto generica. Invece,
nelle opere pianificate da Gluck e Calzabigi, criterio inderogabile era che la musica si
sottomettesse al testo poetico per “ decorare” astratti momenti lirici e ovviamente tutta
48
Gallarati 1984
46
l’azione specificata attraverso quei personaggi e e quei conflitti teatrali.
Al limite della semplificazione, è legittimo osare accostare tutte le riforme settecentesche del
teatro musicale, perché, valutandole complessivamente, si collocano sotto l’egida della
tragedia, malgrado sia ancora quella di stampo classicistico francese, la cosiddetta tragédie
lyrique. La trasformazione del libretto operata da Calzabigi aveva predisposto il testo a una
inseminazione musicale di strepitosa fecondità. La fama del librettista e di Gluck venne
consacrata a Parigi, dove opere come Orfeo e Alceste furono accolte insieme a Iphigénie en
Aulide e Iphigénie en Tauride come geniali e riusciti tentativi di rinnovare la tragédie lyrique
in un rapporto di sostanziale continuità. Il vagheggiamento aristocratico di uno spettacolo
squisitamente intellettualistico, elaborato a mo’ di progetto a tavolino, che riproducesse
l’antica unione di musica e poesia, tipica della tragedia greca tuttavia riuscì a sfuggire al
controllo di alcuni circoli intellettuali
49
. Il teatro musicale si era espanso sotto la spinta di
impulsi ben differenti da quelli di una vigile e consapevolissima ricerca culturale.
2.3 Mozart: Sofocle = Gluck: Euripide
In fin dei conti, era il gusto del pubblico a dettare legge secondo le stratificazioni sociali e
secondo il corso della moda. Avvennero dunque curiosi tentativi di commistione e
combinazione tra la riforma gluckiana e il retaggio del modello metastasiano dell’opera seria
italiana, che ormai si era ridotto a scendere a compromessi molto facili per il suo terribile
bisogno di novità. Il melodramma metastasiano, pur non volendosi arrendere alla modernità
della suddetta riforma, si ostinava a voler tentare la strada del rinnovamento attraverso
percorsi alternativi. Un documento tipico di questo dibattersi dell’opera seria alla ricerca di
una via d’uscita dall’impasse della sua inattualità è fornito proprio dall’Idomeneo di
Giovanbattista Varesco, che mostrava chiaramente che la tendenza al rimodernamento
dell’opera seria puntava all’imitazione del melodramma francese. Fu con altissima probabilità
la stessa corte committente del principe Karl Theodor incline all’apertura al gusto moderno
49
Gallarati 1999
47
che propose all’abate Varesco il modello di una vecchia tragedie lyrique, Idomenée di Antoine
Danchet, rappresentata nel 1712.
Ciò che qui preme è l’argomento mitico eroico dell’opera e va riconosciuto distintamente
l’intento, tipicamente italiano, di concentrare l’interesse dell’azione sui personaggi umani
della vicenda, in modo da accrescere l’importanza e il focus di ciascuna delle dramatis
personae, che infatti calavano da tredici a sei. Anche se l’irrigidimento dell’opera
metastasiana non appariva ancora completamente sanato, esiste senza ombra di dubbio tra le
due opere un vistoso scarto di gusto: si slitta da una concezione miniaturistica e rococò del
teatro musicale ad un’altra di matrice più semplice e meno dispersiva, più concentrata e
monumentale. Il lavoro di Varesco rimane certo un coacervo un po’ disordinato di elementi
stilistici e prospettive teatrali altalenanti tra l’antico e il riformato, che Mozart seppe però
valorizzare in una sorta di tumultuosa ebbrezza sperimentale eccezionalmente omogenea.
La partitura di Mozart rivela i segni del genio che sa e può esaltare la presenza di ciascun
48
personaggio preso individualmente e che determina con criterio e calcolo eccellente le dovute
mutazioni librettistiche: affiora così la tendenza mozartiana a trasformare il melodramma
nella rappresentazione musicale della realtà grazie alla sfrondatura di molti superflui
fardelli mitologici (ancora gravanti sul modello francese) e alla concentrazione del dramma
sulla vicenda umana che unisce il quartetto Idomeneo – Idamante – Ilia – Elettra; assistiamo
all’esplorazione, neppure così embrionale come si potrebbe ingenuamente pensare, dei loro
conflitti interiori e alla drastica riduzione della presenza della natura, innalzata da mero sfarzo
scenografico a sobria cornice del dramma tutto umano. Sono tutti elementi che distaccano
alquanto l’ Idomeneo di Varesco tanto da Metastasio quanto da Calzabigi. Vi è poi, ultimo ma
non meno importante, un elemento che più di ogni altro crea stridente attrito con le strutture
dell’opera gluckiana e della ritrita opera seria: è la tendenza, squisitamente tutta mozartiana,
all’approfondimento psicologico e alla naturale continuità drammatica.
Un obiettivo impensabile viene raggiunto: tentare una rappresentazione tragica, non di sogni e
favole, ma della vita stessa
50
; la rappresentazione in musica del continuum temporale e
psicologico in cui si trova immersa la successione degli eventi interiori ed esteriori che
compongono come tessere il mosaico eclettico della vita umana.
Questa febbrile ricerca diffusa nel melodramma e determinante per intenderne i mutamenti
librettistici perviene nell’Idomeneo attraverso le intuizioni dell’ ingenium mozartiano a
risultati di inarrivabile originalità. Non si tratta tanto e solo degli interludi strumentali; si tratta
piuttosto di un nuovo tipo di rapporto tra musica e poesia presente qui ancora come fattore
inaspettato e anomalo, destinato poi a dilagare nelle opere mozartiane future. La portata
storicamente rivoluzionaria del melodramma mozartiano, che può traslitterarsi un po' in
campo operistico come Sofocle lo fu nel settore tragico teatrale, è data soprattutto dal
dinamismo scenico e gestuale degli italiani e in percentuale maggiore dalla profondità
psicologica dei tedeschi, per via delle loro aperture sul metafisico romantico e “stürmeriano”
che puntavano a superare gli schematismi del razionalismo settecentesco in vista di una
rappresentazione più vera della realtà.
51
50
Sgrignoli 1991
51
Gallarati 1999
49
2.3.1 Alcune questioni sulla ricezione di Elettra nell’età moderna
Per quanto riguarda la cultura tedesca, l'ingresso ufficiale in essa del mito di Elettra risale, con
le dovute approssimazioni, al secolo XVIII
52
, quando infatti fu possibile annoverare per la
prima volta, complice la prima traduzione in tedesco della tragedia di Sofocle nel 1747, opere
in cui questa figura mitologica appariva come protagonista o coprotagonista
53
. Contiamo tra
queste sia tragedie in prosa o in versi alessandrini
54
: mi sto riferendo a Elektra, oder die
gerächte Übelthat, di Johann Jakob Bodmer, datata al 1760 e di Orest und Elektra. Ein
Träuerspiel, in fünf Aufzugen, di Friedrich Wilhelm Gotter, del 1771. Nel primo caso
assistiamo alla stesura del primo dramma tedesco incentrato sulla saga degli Atridi, oltre che
sulla sua principale erede femminile. La tragedia di Johann Jakob Bodmer Elektra, oder die
gerächte Übelthat fu molto influenzato da due opere francesi, l’ Elèctre (1708) di Prosper
Jolyot de Crébillon e l’ Oreste (1750) di V oltaire.
Ciò che distingue con un taglio nitido questo dramma non solamente dai suoi predecessori
modelli francesi, ma anche e soprattutto dalle elaborazioni classiche sul mito degli Atridi, e
che lo distinguerà tangibilmente anche da quelle successive, risiede senza ombra di indugio
nel carattere e nel comportamento dei personaggi, che per la prima volta sono dipinti come
tolleranti, e guidati nei loro gesti più dalla ragione che dai sentimenti.
Lontano da ogni versione mai stata ideata, Elettra e Oreste, vinti da infiniti scrupoli al
momento della messa in atto del loro proposito di vendetta, lo fanno ribadendo che è solo per
obbedire all’ordine di Apollo, un diktat verso cui evidentemente si provava tema e riverente
rispetto . Elettra inoltre perde l’aura tetra e agghiacciante di cui si ammantava e e si permeava
nella tragedia sofoclea, perché nel caso presente non ha più la funzione di spingere il fratello
all’omicidio, di fomentarne, spronandolo, i colpi inferti alle vittime ( elemento, questo, che
era stato precisamente il fiore all’occhiello tra i tratti distintivi tipici dell’identikit di questa
52
Haas – Heichen 1994
53
Santoro 2011
54
Santoro ibidem
50
figura mitologica, anche nelle rivisitazioni successive): inaspettato coup de theatre, tenta di
convincerlo a desistere:
“Wenn du dich der Frau entdeckst, die wir ohne den Vater zu beleidigen nicht Mutter nennen
können, und sie giebt einige Zeichen von Zärtlichkeit gegen dich, und von innerlichem
Gefuhl ihrer Missethaten, so wollte ich dich bey dem Kinne ergreifen, und dich heftig bitten,
dass du den Dolchen nicht zuken solltest, die zu ermorden, die dich und mich mit Schmerzen
geboren hat”
55
“Quando ti rivelerai alla donna che non possiamo chiamare madre senza offendere il padre, e
le dovesse dare dei segni di affetto nei tuoi confronti, e di un sentimento profondo dei suoi
errori, io ti prenderei per mano e ti pregherei con ardore di non affondare il pugnale per
uccidere colei che ha messo al mondo te e me con dolore”
Coerente con l’aura di positivismo, razionalismo e illuminismo morale imperanti dell’epoca,
il finale è positivo e aperto al futuro carico di fresche speranze. In Bodmer non esiste spazio
motivato e non si spiegherebbe l’inserimento per una scheggia incandescente e sfuggente al
controllo quale l’Elettra tramandata dal mito greco inscenato da Sofocle.
Vuole discolparla, piuttosto, lasciando ricadere la responsabilità degli avvenimenti più
importanti della storia sull’intercessione degli dèi, il cui potere viene manipolato in misura più
massiccia rispetto ai classici: esso rappresenta qui la forza irrazionale che guida le mani di
Elettra e Oreste, macchiandosi, unico colpevole, degli atti di vendetta e assassinio. È una
scelta che inneggia alla celebrazione illuministica della razionalità umana, costretta
eventualmente a eccessi spietati solo se trascinata impotente da forze più potenti contro cui
nulla si può ( approssimabile in una massima quale “ubi maior, minor cessat”).
La chiave di lettura epistemologica di questo dramma risiede senz’altro nel razionalismo
settecentesco di stampo e fine etico – didattico, impregnato di quell’ Empfindsamkeit (o “stile
55
Bodmer 1760
51
sentimentale, della sensibilità”) che riveste gli stati d’animo e i sentimenti dei personaggi.
Bodmer eseguì un’operazione rischiosa, riprendendo il mito di Elettra sotto un’ottica non
convenzionale, studiando la storia della sua stirpe, del suo desiderio di vendetta, dell’eccesso
e dell’inumanità ma trasformandolo in ultima battuta in un’opera edificante, pacata,
moralmente istruttiva. Il titolo stesso della sua tragedia, Elettra o il delitto vendicato, rimanda
ai propositi educativi, elevati, perseguiti nel corso di tutto il testo che Bodmer, insieme
all’amico Breitinger, fece coerentemente suoi sia negli scritti critici sia in quelli letterari.
Resta il dato singolare e raro di una Elettra non più eroina dell’odio annichilente, ma una
donna e una figlia che cade preda a mille scrupoli quando si tratta di togliere la vita, una
metamorfosi che causa lo spostamento dell’intero baricentro sofocleo: diventata personaggio
debole e abulico, perde di interesse e fascino letterario il conflitto interiore che in essa si
accende, pur mantenendo un assoluto criterio di verisimiglianza, laddove si parla di una
indecisione che la divide tra amore materno e desiderio di giustizia. Tuttavia quest’ultimo, più
che guidato da una fede o una morale religiosa, si tramuta in una giusta e pia vendetta per
mano delle divinità, ma mancano a tutti gli effetti il rancore arroventato, la cieca disperazione,
il livido accanimento. La difforme connotazione di Elettra promossa quale emblema di virtù,
equità e comprensione rispetto al modello classico della vendicatrice indemoniata, esprime i
diversi propositi che sottendono la tragedia.
Avviene un ribaltamento di obiettivi e messaggi convogliati: allorché Sofocle (e
l’atteggiamento degli antichi in generale) intendeva rappresentare non un mero e banale
conflitto interiore tra bene e male (ma al contrario l’universo tragico scaturito dalle anime
eroiche come Elettra o Aiace, vittime di un indomito temperamento troppo denso da scalfire e
ammorbidire con le armi dei saggi, la pazienza, la moderazione e l’accettazione), mentre
Bodmer intendeva confezionare una ben più rassicurante storia esemplare che trasmettesse il
retto comportamento etico. Non a torto, l’opera ricevette copiose critiche negative nel corso
del tempo, data la sua intrinseca smaccata edulcorazione della figura di Elettra, rimasta
scarnificata dei suoi attributi smodati ma costitutivi:
“ Aus den Übermenschen un Heroen des Sophokles sind Menschen der Zeit Bodmers
geworden, empfindungsreiche, für zarte Gefühle empfangliche Menschen, an deren
52
Mordtaten man nicht glauben kann”
56
“I superuomini e gli eroi di Sofocle sono diventati persone del tempo di Bodmer, persone
sensibili e predisposte ai sentimenti delicati, ai quali non sono attribuibili omicidi.”
E a ben vedere, questo eccesso di pacatezza fu rilevato e criticato anche dai contemporanei di
Bodmer, che gli rimproverarono la trasposizione forzata in chiave illuministica di una tragedia
che tutto aveva fuorché toni tenui e reazioni controllate e misurate.
Citando Haas – Heichen:
“Es ist zu vermuten, daß Elektra, wie Bodmer sie in seiner Tragodie zeigt, einen zu radikalen
Bruch mit der Erwartungshaltung des gebildeten, mit der griechischer Mythologie vertrauten
Lese- und Zuschauerpublikums darstellt. Wirkung und Funktion mythologischer Figuren
werden in erster Linie in ihrer allegorischen Verwendbarkeit gesehen.”
“Si può supporre che Elettra, come viene mostrata da Bodmer, rappresenti una rottura troppo
radicale con le aspettative del pubblico di lettori e spettatori che conoscevano la mitologia
greca. L’ effetto e la funzione delle figure mitologiche vengono visti in prima linea nel loro
uso allegorico.
57
”
Non altrettanto sottotono fu il dramma di Gotter Orest und Elektra. Ein Träuerspiel, in fünf
Aufzügen
58
, che oltre a ribadire già dal titolo la gerarchia di importanza dei personaggi,
riabilitava in parte l’originario spirito dirompente che animava il mito classico senza
spegnerne o ovattarne i picchi. Qui, Elettra torna a essere guidata dai sentimenti estremi, che
la porteranno anche alla follia, nel momento in cui presume che il fratello sia stato ucciso e ,
non avendolo ancora riconosciuto, tenterà a sua volta di sopprimerlo, credendolo l’autentico
uccisore di Oreste. Assumendo molte più analogie derivanti dall’intreccio classico, Elettra è
56
Heinemann 1920
57
Haas - Heichen 1994
58
Gotter 1771
53
mossa nei suoi istinti omicidi solo da odio vendetta e rivalsa che la caratterizzano ancora una
volta infelice e maledetta.
Rispetto al dramma di Bodmer, totalmente intriso del razionalismo della sua epoca, Gotter
accoglie nella sua tragedia alcuni elementi dello Sturm und Drang che riabilitano la familiare
visione di Elettra quale paradigmatica donna straziata da moti totalizzanti dell’anima.
2.3.2 Alcune versioni musicali
Si giunge poi, sempre in seno al fiorente periodo culturale di fine Settecento, alla
composizione di un melodramma in versi (Elektra: Eine musikalische Declammation, di
Wolfgang Heribert von Dalberg, 1780) musicato da Christian Cannabich.
È composto da un solo atto suddiviso in cinque scene, e vi presenzia anche il coro delle
compagne di Elettra; un’analogia con la antica tragedia la si può riscontrare nel lungo
monologo con cui il dramma ha principio, e tramite cui ella si rivolge con impeto alla madre e
a Egisto; gli dèi vengono ripetutamente evocati per attingervi forza in vista della sanguinosa
vendetta: “ Könnt ihr mich so verlassen, o Götter!” (E voi, Dei, non avete nessuna vendetta
per me?)
59
. Di nuovo si rappresenta la smisurata disperazione di Elettra, suo marchio di
riconoscimento
“Ohne Vater! Ohne Bruder! Was sind meine Tage! Ängstliche Traume von Tod, von
Verderben”
“Senza padre! Senza fratello, cosa sono i miei giorni! Paurosi sogni di morte, di rovina”
e solamente il coro, conforme al modello sofocleo sofocleo, si adopera per consolare Elettra
con flebile speranza, che come prevedibile e come già si era sperimentato, ella non riesce a
comprendere, tanto è bruciante il desiderio di vendetta. La parola Rache ricorre incalzante,
59
Dalberg 1780
54
ossessivamente. Il melodramma termina nell’angoscia pervadente poiché il tragico destino si
è compiuto, ma non senza ripensamento da parte di Elettra, che aveva provato un estremo
moto di pietà nei confronti della madre quando la realizzazione dell’omicidio si avvicina.
“Empfang den Lohn von erzurnten Göttern – Doch – nein – mein Herz! – ich müß sie retten,
es ist doch meine Mutter”
Ricevi la ricompensa degli dèi adirati - tuttavia – no – il mio cuore! - devo salvarla, è sempre
mia madre!
60
. Nonostante il proposito di educare e portare a riflessioni personali il pubblico,
quest’opera, comunque contrassegnata dalla presenza del sentimento di disperazione, non
ebbe successo di critica né di plauso, forse a causa dell’asprezza dei toni e della brutalità degli
argomenti, assai lontani dal gusto del teatro borghese che, privo di quel pathos tragico,
prevaleva nel gusto del pubblico di quel tempo.
60
Dalberg 1780
55