UNIVERSITA' VITA-SALUTE SAN RAFFAELE
Facoltà di Psicologia
Corso di Laurea Magistrale in Psicologia
Tesi di Laurea di: Valentina Rosone Relatore: Lucio Sarno
Correlatore Claudio Ruggieri
IL SOGNO LUCIDO:
DA UNA RICOSTRUZIONE STORICO-ANTROPOLOGICA DEL FENOMENO
ONIRICO ALLE PIÙ ATTUALI ACQUISIZIONI PSICO-FISIOLOGICHE, PER
UN’APPLICAZIONE IN CAMPO PSICOTERAPEUTICO
Lo scopo del presente lavoro risiede nell’analisi del fenomeno del Sogno Lucido, un singolare
stato di coscienza nel quale l’individuo acquisisce consapevolezza di stare sognando, mentre si
trova nel sogno, ed all’interno del quale egli è paradossalmente in grado di esercitare un’influenza
consapevole sul materiale onirico (Tholey P., 1980).
Partendo da un’accurata ricostruzione storico-antropologica circa l’evoluzione dell’esperienza
del sogno nella storia dell’umanità, si prosegue illustrandone il percorso di sviluppo all’interno
dell’ampio panorama psicoterapeutico e neuroscientifico attuale: a partire dai contributi apportati
inizialmente da Freud, Jung, ed Hillman, così come dall’approccio della Gestalt, e dai più attuali
sviluppi metodologici acquisiti dall’orientamento cognitivista, l’analisi del sogno viene utilizzata
come potente lente d’ingrandimento sugli ermetici processi inconsci della mente umana. Si
prosegue dunque illustrandone le più attuali acquisizioni sperimentali in campo psico-fisiologico,
con un minuzioso approfondimento sul lavoro pionieristico condotto presso l’Università di
Stanford da Stephen LaBerge (1990) circa il fenomeno della lucidità onirica. Sulla base di una
scrupolosa analisi della letteratura scientifica, si arriva inoltre ad illustrare quali specifici aspetti
del sogno lucido si sono rivelati particolarmente utili ed efficaci nel trattamento di soggetti
sperimentali, argomentando in che modo questi potranno essere implementati ed applicati a fini
terapeutici. Sono evidenziate le risonanze del fenomeno in analisi con la dimensione dell’ipnosi,
la pratica della Mindfulness, alcune innovative tecniche di lavoro clinico sul sogno, lo Yoga
Onirico, ed antiche tradizioni orientali; ne conseguono implicazioni sulla natura stessa della
realtà. A completamento del quadro fenomenologico così dipinto, viene presentata la Teoria del
Biocentrismo (Lanza R., 2007), inserita all’interno del suo contesto di appartenenza, ossia: la
Fisica Quantistica.
4
CAPITOLO I
Il sogno nella storia dell’umanità
« La veglia è un altro sogno
che sogna di non sognare. »
~ Jorge Louis Borges
« Dreaming is perception unconstrained by sensory input.
Perception is dreaming constrained by sensory input. »
~ Stephen LaBerge
Fin dagli albori della storia dell’umanità, l’essere umano si è interrogato sulla natura paradossale e
nondimeno affascinante dei sogni, sulla loro provenienza ed il loro significato. Percependo il fenomeno
onirico come impregnato di mistero, ma portatore al contempo di un’inestimabile saggezza, l’uomo lo ha
addirittura, in molte culture, ritenuto un’esperienza a cui attribuire una dignità pari al fenomeno della veglia.
Il sogno è un’esperienza che accomuna tutti gli esseri umani, trasversale a tempi, luoghi, culture, identità e
ruoli sociali; è involontario, si produce spontaneamente nel corso del sonno, e questo suo carattere lo rende
universale. Esso rappresenta un aspetto dell’attività della coscienza che ha portata universale, al pari di
emozioni, sensazioni, pensiero, ed autoconsapevolezza. “Il sogno è forse all’origine di ogni forma di
riflessione dell’individuo su se stesso: ci porta immediatamente ad un’interrogazione sul suo significato,
che è sempre anche domanda sul significato che noi diamo alla nostra vita” (Coelli D., 2013). Inoltre, come
fa notare Revonsuo (2006), il sogno rivela il fenomeno della coscienza umana nella sua forma più pura,
operante all’interno di un contesto del tutto unico ed isolato come, per l’appunto, quello onirico (Revonsuo
A., 2006).
È toccante, nonché significativo, scoprire da quanto tempo l’essere umano avesse cominciato ad
interrogarsi sulla natura ed il significato di questo particolare fenomeno notturno, e quanto peso l’esperienza
onirico-visionaria rivestisse nell’assetto della vita individuale e sociale delle civiltà più distanti – sia nel
tempo, che nello spazio; tramite le testimonianze storiche in nostro possesso, possiamo spingerci indietro
nel tempo solo fin dove cominciò ad essere utilizzata la pittura e, solo molto dopo, la scrittura. Prima di
quel momento storico, gli esseri umani che ci hanno preceduto nel corso della storia non avevano ancora
sviluppato metodi adatti a tramandare efficacemente il proprio universo di esperienze e conoscenze
psicologico-culturali: questo, però, non significa che non sognassero, ma solo che non possiamo saperlo.
Infatti, da quando compaiono le prime documentazioni scritte, in esse si presentano immediatamente anche
i sogni: da Omero al Poema di Gilgamesh, essi hanno sempre colpito a tal punto la mente di veglia, che si
è sentita la necessità di raccontarli, interpretarli, comprenderli. Si può dunque ipotizzare plausibilmente che
5
i sogni abbiano rivestito grande importanza anche ben prima dell’avvento della scrittura, che abbiano
attraversato un’evoluzione nel corso di millenni, “che si perde nelle nebbie dell’origine della mente e della
coscienza” (Coelli D., 2013).
1.1 Il sogno nella preistoria
Entrando più nello specifico, numerosi archeologi e paleontologi ritengono che alcuni disegni a carboncino,
rinvenuti nelle Grotte di Lascaux, nella Francia sud-occidentale, e nelle celebri grotte di Altamira, in
Spagna, possano rappresentare una primordiale testimonianza di attività onirica risalente, addirittura, al
Paleolitico Superiore, tra il 13.000 e il 15.000 a.C. A partire dal 1979, le Grotte di Lascaux sono state
inserite nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità stabilito dall’UNESCO (Gaspani A., 2010).
Sembra infatti che riproducano la rappresentazione di un sogno, o comunque il frutto di un’operazione
mentale, probabilmente a valenza onirica, o di una fantasia (Cace C., 2015). Le raffigurazioni ritrovate sulle
pareti di queste grotte hanno portato numerosi antropologi ad ipotizzare che si trattasse di rappresentazioni
di natura onirica, in quanto gli animali riprodotti non sono mai inscritti all’interno di un contesto, di un
ambiente o di una situazione: vengono presentati sempre sospesi nel vuoto, fluttuanti nell’aria, privi di un
qualsiasi elemento grafico indicante una base, un terreno su cui poggiare; spesso le immagini risultano
persino sovrapposte. Potrebbe trattarsi di un intento raffigurativo di pregnanza simbolica o, più
semplicemente, appunto, onirico-visionaria. Ricordiamo inoltre che, all’interno della raffigurazione
animalistica del Paleolitico Superiore, non scopriamo mai configurazioni che si dispieghino secondo una
successione temporale o sequenziale, che possano quindi essere interpretate come narrazioni, storie, o
vicende (Coelli D., 2013). A tali osservazioni si aggiunge infatti la rilevazione di ben poche riproduzioni
della figura umana: le rare rappresentazioni di questo tipo mostrano piuttosto curiose figure di uomini-
animali, che gli storici hanno identificato presumibilmente come sciamani. La presenza dello
sciamanesimo, nel mondo del Paleolitico superiore, è stata verificata ed è oggi appurata anche nella
letteratura specialistica (Clottes-Lewis Williams, 2001). É pertanto plausibile immaginare le caverne del
Paleolitico Superiore, ad ora considerate dei veri e propri santuari, come “luoghi consacrati alla dimensione
notturna, onirica, visionaria, alla sperimentazione di questa presumibilmente «nuova» e potente attività
dell’immaginazione” (Coelli D., 2013), verosimilmente incoraggiata dalla strutturazione stessa delle grotte:
luoghi protetti, scuri, nascosti, avvolti dal buio e riparati dalla luce solare, che si prestavano dunque
facilmente all’accoglienza di attività quali il riposo ed il sonno.
1.2 Le prime testimonianze scritte
Le prime testimonianze scritte, riguardo l’esperienza del mondo onirico da parte dell’essere umano,
risalgono a 4500 anni fa circa, tra il 2500 ed il 2600 a.C., e giungono a noi dall’oriente antico; per la
precisione, provengono dalla biblioteca del Re Assurbanipal a Ninive dove, nel 1852, venne ritrovato uno
6
dei più preziosi e sacri poemi della cultura umana, tradotto vent’anni più tardi dall’assiriologo inglese
George Smith. Si tratta dell’”Epopea di Gilgamesh”, ritrovata incisa per intero, con caratteri sumerici
cuneiformi, su una serie di tavolette d’argilla asciugata al sole. Nel poema si fa più volte riferimento
esplicito al mondo onirico, come quando vengono descritti i sogni premonitori del re sumero di Uruk,
Gilgamesh, in uno dei quali egli incontra, come in seguito avverrà concretamente, il proprio alter-ego:
Enkidu. Nel racconto vengono riportate numerose esperienze oniriche. È molto interessante soffermarsi sul
fatto che il processo onirico viene qui presentato in associazione a quella che è considerata una delle più
antiche testimonianze di attività oniromantica: quando Gilgamesh riporta il sogno alla madre e sacerdotessa
Ninsun, infatti, questa lo interpreta, trovando in esso la chiave per la futura forza del figlio; lo stesso avviene
per tutte le altre esperienze oniriche riportate nella storia.
Sin dall’antichità, dunque, l’uomo ha saputo intuire l’utilità ed il valore della dimensione esistenziale
onirica, utilizzandola al fine di trarne utili consigli ed indicazioni all’interno della vita di veglia. Nella
cultura babilonese, i sogni venivano considerati, se propriamente compresi, un’inestimabile fonte di
informazioni, non solo riguardo al singolo individuo, ma anche della ben più ampia realtà circostante.
Un’altra fonte di inestimabile valore circa le testimonianze sul fenomeno onirico è rappresentata dai poemi
omerici (VIII secolo a.C.); leggendoli, si scopre che i sogni venivano considerati dalla civiltà greca come
una realtà oggettiva a tutti gli effetti. Il sognatore è vissuto come colui che assume un ruolo passivo e
diventa un tramite tra il mondo umano e quello divino. Proprio perché l’uomo era considerato un mezzo tra
gli dei e gli altri uomini, egli doveva essere saggio e puro. Si ritiene che lo stesso Omero comunicasse con
il mondo soprasensibile per mezzo dei sogni, tant’è che alcuni studiosi hanno inteso in senso allegorico la
sua cecità. Egli era cieco al mondo esterno, al mondo illusorio poiché, essendo un iniziato, percepiva il
mondo trascendente (Coelli D., 2013). In questo modo, la cecità era intesa come la vera vista – curioso
constatare che, in effetti, anche il celebre indovino Tiresia fosse cieco. I sogni premonitori presenti nei due
poemi, Iliade ed Odissea, erano considerati dei messaggi divini, che giungevano dall’alto piuttosto che da
informazioni del proprio inconscio personale. L’intento di Omero non era quello di descrivere gli eroi
secondo la propria fantasia, quanto piuttosto quello di voler tramandare una conoscenza reale, legata alla
tradizione popolare e ai ricordi accumulati dall’uomo nel corso del proprio sviluppo sulla Terra. Omero era
convinto che il sogno fosse una personificazione di creature trascendenti che si presentavano al sognatore
nel mondo onirico, per poi scomparire, più tardi, nella dimensione atemporale – concezione, questa, che
ritroviamo nel pensiero dello psicanalista James Hillman (1926 – 2011). L’atto di mostrarsi e parlare al
sognatore, da parte delle divinità, costituiva una caratteristica tipica dell’esperienza onirica greca antica; se
ne possono difatti trovare numerosi esempi sia nell’Odissea, sia nell’Iliade. A quell’epoca, ogni uomo era
convinto che i sogni fossero messaggi provenienti da una realtà divina. L’umanità ha pertanto da sempre
percepito il mistero che avvolge tale fenomeno, e si è costantemente interrogata a tale riguardo. Secondo la
riflessione di Platone (428/7 – 348/7 a.C.), durante lo stato di sonno, l’anima è come se si liberasse dal
corpo, considerato la sua tomba, al fine di stabilire una relazione di contatto con le creature più elevate.
Aristotele (384 – 322 a.C.) indicava l’incubazione – una pratica che ritroviamo anche nell’Epopea di
Gilgamesh – come una vera e propria terapia. Per il filosofo, il sogno era concepito come il risultato di
un’alterazione della percettività degli organi (oggi lo definiremmo “stato alterato di coscienza”), con
7
conseguente riflesso sul cuore, ritenuto la dimora delle immagini. Tale alterazione viene causata dai piccoli
movimenti fisiologici, che si determinano negli organi stessi, durante le ore della veglia, e che si realizzano
durante il sonno. Per Ippocrate (460 a.C. – 377 a.C.), l’anima è condizionata dalle sensazioni corporee
durante la veglia, mentre durante il sonno sarebbe in ogni caso libera, in quanto priva delle percezioni
quotidiane. Inoltre, secondo il filosofo, attraverso la vita onirica si ha la possibilità di intercettare e ricevere
messaggi dei quali mai, altrimenti, si sarebbe potuti venire a conoscenza. Ippocrate ci spiega il valore
diagnostico del sogno; infatti, secondo il filosofo, è proprio durante il sonno che l’anima sarebbe in grado
di cogliere le cause della propria malattia, percependole sotto forma di immagini. Secondo Ippocrate,
dunque, il sogno possiede un significativo aspetto terapeutico, e nella realtà onirica di un uomo si rispecchia
il suo stato di salute. Egli ritiene pertanto che i sogni siano ispirati dal piano divino e che la loro
interpretazione debba essere eseguita da “specialisti” (Coelli D., 2013).
Già Omero riporta fedelmente il processo di riflessione umana riguardo il fenomeno onirico, facendo
pronunciare a Penelope l’asserzione secondo la quale “per loro natura i sogni sono inesplicabili e portano
messaggi difficili da decifrare” (Omero, Odissea, 800-700 a.C.). Omero ci rende partecipi di come,
all’epoca della civiltà Greca, i sogni venissero considerati non tanto come acritiche espressioni di verità
assolute, bensì come manifestazioni che venivano comunque sottoposte al vaglio della ragione e della
riflessione. I versi da 560 a 567 dell’Odissea vedono inoltre la sposa di Odisseo affermare che sarebbero
due le porte attraverso le quali dovrebbero passare i sogni, per giungere alla mente del sognatore: una porta
ha i battenti di corno, e l’altra di avorio. I sogni che escono da quest’ultima “avvolgono di inganni la mente,
parole vane portando” (Odissea, 1977, XIX, v. 565), mentre i sogni che escono dalla prima “verità li
incorona, se un mortale li vede” (Odissea, 1977, XIX, v. 567). Il sogno presenta dunque un carattere
ambiguo e criptico, caratteristiche che lo hanno da sempre rivestito di un profondo fascino, ed hanno
catturato profondamente l’attenzione di veglia degli esseri umani. L’Egitto e la Grecia sono ad oggi, tra le
civiltà del mondo antico, quelle delle quali possediamo una documentazione più florida e ricca, rispetto alle
esperienze con il mondo onirico. È importante infine evidenziare come ogni civiltà antica connoti e declini
l’esperienza del rapporto con il sacro, che si attua nel sogno, a seconda delle proprie specificità culturali
(Coelli D., 2013).
1.3 Il sogno nell’Antico Egitto
È grazie allo storico greco Erodoto (848-post 430 a.C.) che disponiamo oggi di una conoscenza piuttosto
vasta circa le esperienze, credenze e pratiche di natura onirica degli antichi egizi. Questo popolo era
particolarmente interessato ai legami che il sogno intesse con la realtà, e considerava il fenomeno onirico
come un’intromissione degli dei nella vita degli uomini. Durante il Regno antico e medio della storia
egiziana (3000-2500 a.C.) (Bresciani E., 2005), ovvero la fase più antica della sua civiltà, il sogno era
percepito alla stregua di una realtà inquietante ed occulta, un habitat potenzialmente minaccioso dove è
possibile assistere ad apparizioni, fantasmi e soprattutto avere contatto con i morti, o i propri defunti. Ad
ogni modo, il fenomeno onirico era considerato e vissuto come esperienza reale, dimensione esterna al
8
sognatore, i cui abitanti erano ritenuti, proprio per questo motivo, assai temibili. “Si ha l’impressione, da
questi dati, che i sogni siano per gli egizi espressione delle forze del mondo infero” (Coelli D., 2013) –
concetto, quest’ultimo, cardine portante della teoria di Hillman (1988); ovvero di un logos, una “regione
mitologica” ben precisa, dalla quale possono emergere, e di conseguenza invadere la vita di veglia degli
uomini che, in quanto sognatori, sono possibili “ricettori” del fenomeno onirico. Chiunque presti una
minima attenzione alla propria personale esperienza onirica può confermare quanto i sogni siano
potenzialmente in grado di avere un forte impatto umorale sulla vita di veglia. Al di là, dunque, delle pur
notevoli differenze tra i vari contesti culturali, “una delle caratteristiche più stupefacenti del sogno è quella
di apparentare, oltrepassando secoli e civiltà, le esperienze psichiche ad esso relative di noi umani. In questo
caso, i sogni «cattivi» sembrano riportare la nostra fragile coscienza di veglia ai suoi albori, alla difficoltà
di venire a capo del mondo caotico che fa ad essa da sfondo, e dentro la quale si è prodotta” (Coelli D.,
2013). Con l’inizio del Nuovo Regno (1550-1069 a.C.), non solo nel resto del mondo antico, ma anche in
Egitto, il sogno viene ad essere percepito come lo strumento privilegiato attraverso cui gli dei manifestano
la propria volontà. Essi, invisibili alla luce del giorno, tranne che in rare occasioni cerimoniali, possono
invece comparire di notte, nello spazio onirico; si presentano solitamente nel loro aspetto effettivo,
principalmente per comunicare disposizioni e fare predizioni. In questi specifici casi, il volere del dio è
chiaro, ed il contenuto del sogno non necessita dunque di alcuna decifrazione; esistono però anche sogni
che vanno interpretati, in quanto di ostica comprensione. Essi sono oggetto di valutazione da parte di
professionisti competenti. Il passo di un antico papiro riporta quanto segue: “Il Dio ha creato i sogni per
indicare la via al dormiente i cui occhi sono nell’oscurità” (Papiro Insinger, citato in Saporetti, 1996). È
proprio per questo motivo che, paradossalmente, la parola sogno è traducibile dall’egiziano antico come
vegliare, o svegliarsi” (Coelli D., 2013). Per i sogni che nascevano spontaneamente, la cultura egizia aveva
istituzionalizzato luoghi ed occasioni di interpretazione. Sergio Donadoni (1990) riporta l’esistenza di una
categoria sacerdotale, appartenente al basso clero, che accoglieva i fedeli alle porte del tempio,
ascoltandone i problemi, svolgendo una funzione che mirava a ristabilire l’equilibrio in termini di giustizia,
ed esercitando una sorta di ruolo oracolare, che comprendeva appunto l’interpretazione dei sogni.
Esistevano a tale proposito i Libri dei sogni, ovvero dei manuali onirici, il più antico dei quali, parzialmente
conservato, risale all’epoca di Ramsete II (XIII a.C.). Da un punto di vista prettamente storico, difatti,
rimane costante l’idea di una sorta di “missione mistica” del sogno; è ciò che riscontriamo nel cosiddetto
Libro dei sogni ieratico, risalente al 2052-1778 a.C. Quest’opera si presenta come un vero e proprio
dizionario dei sogni, contenente le immagini oniriche più frequenti, al fine di fornire una guida per una
veloce e pratica consultazione. La concezione di base è che i sogni si dividano principalmente in due gruppi:
i sogni ingannatori, ricevuti dalle persone meno eticamente corrette, ed i sogni rivelatori di un significato
più profondo, di aiuto o prescrizione, ricevuti dalle persone più integre sul piano morale e valoriale. Si
riteneva inoltre che ogni suono o parola nel sogno indicasse un possibile significato. Il sogno si prospettava
pertanto come uno strumento tramite cui era possibile comunicare con i defunti, o con le divinità. In
aggiunta a ciò, già si ipotizzava che determinate immagini risultassero specificatamente dal vissuto
soggettivo del sognatore; pertanto, l’interpretazione di un sogno doveva comunque sempre tenere ben
presente, e fare riferimento, alla vita ed allo stato psico-fisiologico personale del sognatore. Ricordiamo un
9
ulteriore libro concernente l’interpretazione dei sogni che giunge a noi dalla cultura onirica assiro-
babilonese; pervenutoci su tavolette d’argilla, il manuale risale al 1728-1686 a.C. Le chiavi di lettura delle
immagini oniriche, all’interno della prospettiva culturale egizia, potevano essere in positivo, tramite la
valorizzazione di immagini simboliche, di associazioni di idee, di giochi di parole e paronomasie
(Bresciani, 1990), ma anche attraverso le qualità fonetiche e di assonanza. Le raccolte di tali interpretazioni
venivano elaborate ed in seguito conservate all’interno delle “Case della vita”, ossia delle istituzioni
collegate ai templi, le quali si occupavano della trasmissione del patrimonio culturale.
La letteratura egizia trabocca di racconti concernenti il tema onirico: ci viene riportato come spesso,
attraverso i sogni, un dio giungesse al cospetto di un personaggio autorevole, come un faraone, affidandogli
un compito, oppure vaticinando previsioni rispetto accadimenti futuri. Infine, i sogni più misteriosi, ma allo
stesso tempo affascinanti, sono quelli che necessitano di un’interpretazione, in quanto si presentano al
sognatore come particolarmente criptici ed enigmatici.
In conclusione, è possibile affermare, citando Coelli D. (2013), che la civiltà dell’antico Egitto attribuisse
al sogno un “valore transpersonale”, nella particolare accezione di “manifestazione del divino”, a fini di
volta in volta differenti: terapeutici, prescrittivi, oracolari, o premonitori.
1.4 Il sogno nella Grecia antica
La civiltà greca classica è databile nel periodo relativamente breve che va dal V al IV secolo a.C. Essa si
esprime a partire dalla trascrizione dei due poemi omerici (VIII secolo a.C.), fiorisce nell’età classica,
prosegue nell’età chiamata, non a caso, ellenistica (IV-I secolo a.C.), influenza la cultura romana, e pone
le basi della moderna visione scientifico-razionalista propria del mondo occidentale (Coelli D., 2013).
All’interno di questa tradizione culturale, troviamo ovunque tracce del fenomeno onirico: nella produzione
artistica, filosofica, scientifica, poetica, così come nella vita sociale, civile, politica e religiosa, nonché nelle
dimensioni di esistenza individuali.
Iniziamo riprendendo direttamente Aristotele, che così afferma: “Il miglior interprete dei sogni è colui che
sa notare le somiglianze” (Aristotele, De divinatione per somnum, 2). Da qui, dunque, la domanda da cui
prendiamo le mosse: a cosa somiglia il sogno? E con questo interrogativo non ci riferiamo qui alle varie
declinazioni del sogno, come le immagini o i pensieri onirici, bensì al sogno in quanto tale. Qual è la cosa
più simile al sogno? A quale mondo corrispondono i sogni, da quale universo provengono?
Questa domanda ha un assunto fondamentale: “conoscendo il «luogo» di appartenenza dei sogni,
conosceremo meglio ciò che essi vogliono, ciò che significano, e come dobbiamo trattarli” (Hillman J.,
1975).
Nella tradizione culturale greca, il sogno è personificato nella mitologia del demone Oneiros. Il sonno,
invece, è impersonato nella figura del dio Hypnos: figlio della Notte e, soprattutto, fratello gemello di
Thanatos, la Morte. La notte, a sua volta, è figlia del Caos e dell’Erebo (letteralmente traducibile in
“tenebre”, si riferisce al mondo infero, la dimora dei morti). Pertanto, la genealogia mitica del sogno