4
Introduzione
Questa tesi si pone l’obiettivo di verificare come i cambiamenti di carattere politico,
sociale ed economico occorsi negli anni Settanta abbiano modificato il fenomeno
migratorio e la sua gestione in Europa, e come tale evoluzione abbia determinato il
contesto nel quale si sarebbe poi sviluppata la politica migratoria e dell’asilo dell’Unione
Europea. In particolare, si cercherà di comprendere perché gli stati europei abbiano
accolto favorevolmente i flussi migratori fino agli anni Settanta, e perché dalla fine di
questo decennio siano state invece introdotte diffuse misure restrittive imposte nei paesi
di accoglienza. Sulla base di questa analisi, si cercherà di studiare il modo in cui la
questione migratoria abbia cominciato a essere intesa e affrontata come un problema
comune necessitante una risposta collettiva. La scelta dell’argomento oggetto della tesi è
stata dettata non solo dalla rilevanza del tema dell’immigrazione nel discorso pubblico e
nella politica europea attuali, ma anche dalla necessità di ricostruire le modalità e le
condizioni del coordinamento delle politiche dei paesi europei in fatto di immigrazione
prima che queste si esprimessero in una vera e propria politica comune.
Il Capitolo I inquadra storicamente la dinamica migratoria in Europa è tra il
Secondo Dopoguerra e la decade degli anni Settanta, punto di svolta per l’immigrazione
in Europa, la quale passa dall’essere una risorsa per i paesi del Vecchio Continente, la
maggior parte dei quali necessitava di una ricostruzione interna a livello sociale ed
economico, a rappresentare una questione di rilievo sempre più presente nelle agende di
governo sia a livello statale sia a livello comunitario. Successivamente, il Capitolo I si
occupa di descrivere e approfondire gli eventi che hanno segnato il decennio degli anni
Settanta in Europa, partendo dalla crisi petrolifera del 1973, passando per il declino del
sistema di Bretton Woods e la fine degli imperi coloniali e arrivando alla
deindustrializzazione dell’economia europea; questi sono gli eventi che hanno contribuito
a modificare la gestione dell’immigrazione da parte dei paesi europei, avvenimenti
caratterizzati da una natura differente tra loro (storica, economica, politica, sociale), ma
tutti hanno contribuito a rendere l’immigrazione un problema da affrontare per l’Europa
nel passato, nel presente e molto probabilmente anche nel futuro.
Per comprendere il differente tipo di immigrazione che caratterizzò il periodo
precedente e quello successivo agli eventi pocanzi menzionati, nel Capitolo II i primi due
paragrafi descrivono due casi migratori: il primo riguarda l’immigrazione turca in
Germania, nel periodo compreso tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e i primi anni
Settanta, mentre la seconda realtà presentata è il flusso migratorio proveniente dal
5
Maghreb, ovvero da Marocco, Algeria e Tunisia, e diretto in Europa, con una particolare
attenzione alla Francia. In seguito, viene presentato il contesto migratorio in Europa negli
anni Settanta e Ottanta, per comprendere meglio l’evoluzione dei flussi migratori e le
modalità attraverso le quali gli stati europei tentano di rispondere ai problemi
dell’immigrazione.
Nel capitolo III ci si occupa di come gli stati europei, attraverso accordi e trattati
conclusi a livello comunitario dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, abbiano
cercato di trovare delle soluzioni per gestire il fenomeno migratorio sempre più a livello
comunitario, tentando di abbandonare il metodo intergovernativo caratterizzato da
negoziati e accordi conclusi tra i singoli paesi. L’ultimo paragrafo presenta la situazione
odierna dell’immigrazione in Europa e il dibattito che è nato attorno alla attuale gestione
del fenomeno da parte dell’Unione attraverso la corrispondente politica comune.
6
CAPITOLO I
LA CRISI IN EUROPA
1. Il fenomeno migratorio in Europa dal Secondo Dopoguerra ai primi anni
Settanta
Il periodo tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la crisi petrolifera del 1973 vide i
paesi dell’Europa occidentale, in particolare Francia, Gran Bretagna e Germania, mettere
in atto una serie di politiche tese a facilitare o incoraggiare l’immigrazione di forza lavoro
su larga scala. Questi stati conclusero accordi con paesi europei o extraeuropei, al fine di
ottenere quella manodopera di cui necessitavano per procedere a una rapida e continua
crescita economica successiva alle devastazioni della guerra da poco terminata.
Sebbene le politiche sviluppate e perseguite dagli stati europei nell’ambito
dell’accoglienza fossero differenti tra loro, il punto di raccordo era rappresentato dalla
domanda di manodopera da parte degli stati europei per sostenere la ripresa economica
prima e risolvere carenze settoriali di forza lavoro poi. Le economie dell’Europa
occidentale si riprendevano e si espandevano, ma gli imprenditori nei settori dell’industria
pesante, dell’agricoltura e dei servizi non erano in grado di attrarre forza lavoro locale, in
quanto la domanda del mercato del lavoro, per procedere alla ricostruzione economica
postbellica, era superiore all’offerta: per questi motivi i governi e le autorità statali di
Francia e Germania attuarono politiche il cui obiettivo era agevolare e incoraggiare
l’arrivo di lavoratori provenienti da paesi meno sviluppati caratterizzati da un’eccedenza
di manodopera.
Analizziamo ora le modalità attraverso le quali Francia, Germania e Gran
Bretagna hanno affrontato il problema
1
.
1.1 La Francia
In Francia il deficit demografico era un problema che riguardava lo stretto legame tra
sviluppo economico e necessità di manodopera, in quanto il primo non si sarebbe potuto
realizzare finché al secondo non si fosse trovata una soluzione efficace. Nel 1945 con un
decreto ministeriale venne creato l’Office National d’Immigration (ONI), istituzione
pubblica di carattere amministrativo sotto la tutela del Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale, per quanto concerneva il reclutamento di lavoratori, e del Ministero
1
Sarah Collinson, Le Migrazioni internazionali e l’Europa: un profilo storico comparato, Il Mulino,
Bologna, 1994 pp. 102-114 [Edizione originale: Europe and International Migration, Royal Institute of
International Affairs, London, Pinter, 1993]
7
della Salute Pubblica e della Popolazione, riguardo gli esami medici svolti sugli stranieri
giunti in Francia
2
. Quindi, all’epoca si occupava di organizzare e facilitare
l’immigrazione su larga scala.
All’interno di un vasto programma di immigrazione del 1946 per intraprendere
una coraggiosa politica di ripresa nazionale, la Francia nel 1947 concesse la cittadinanza
francese a tutti gli algerini, di modo che questi potessero spostarsi liberamente tra il paese
nordafricano e la Francia. Infatti, prima di tale data, l’Algeria era inserita all’interno del
territorio metropolitano, ma solo i francesi e pochi musulmani residenti nel paese
nordafricano godevano di diritti politici; con l’acquisizione della cittadinanza francese,
gli algerini ottennero la piena uguaglianza in materia di diritti con i francesi.
3
2 anni più
tardi gli algerini in Francia erano 265.000
4
, ma l’ONI all’epoca dichiarò che le politiche
migratorie dovessero favorire l’immigrazione europea, più idonea all’adattamento e
all’assimilazione culturale, evitando “la formazione di colonie […] sul territorio
nazionale”. Per tale motivo, la Francia rivolse la sua attenzione nei confronti dell’Italia,
con la quale nel novembre 1946 raggiunse un accordo che prevedeva l’arrivo di 200.000
italiani nell’anno seguente, ma l’ONI ne registrò solo 49.000
5
. Per sopperire a tale
mancanza, la Francia tra il 1950 e il 1951 firmò nuovi accordi con Germania e Italia e tre
anni più tardi, tramite una convenzione, si assicurò il reclutamento di manodopera
proveniente dalla Grecia.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta l’eccessiva rigidità delle strutture statali
deputate a regolare i flussi migratori diede un carattere sempre più informale
all’immigrazione in Francia, in quest’epoca dominata da flussi provenienti dall’Italia, dal
Belgio e dalla penisola iberica. Gran parte di questa immigrazione andava a soddisfare la
necessità di manodopera agricola a causa del massiccio trasferimento della popolazione
francese verso le città. Datori di lavoro e migranti avevano convenienza nell’aggirare i
meccanismi statali, gravati da pesanti procedure burocratiche, elaborati per regolamentare
i flussi. Le priorità economiche della Francia divennero più rilevanti rispetto alle
preoccupazioni di carattere demografico: i migranti venivano trattati come se fossero una
merce e fu abbandonato l’iniziale progetto elaborato in parallelo alle prime politiche
2
OFII – Office Français de l'Immigration et de l'Intégration
http://www.ofii.fr/qui_sommesnous_46/notre_histoire_22.html
3
Scipione Guarracino, Storia degli ultimi sessant’anni. Dalla guerra mondiale al conflitto globale, Bruno
Mondadori, Milano, 2004, p.102
4
Dati in G. Tapinos e Y. Moulier, France, in The Politcs of Migration Policies: The First World in the
1970s, di D. Kubat, Ney York, Center for Migration Studies, 1979
5
Dati in G. Tapinos, L’immigration étrangère en France, 1946-1973, Paris, Presses Universitaires de
France, 1975
8
migratorie francesi, volto a garantire “l’insediamento permanente e l’inserimento degli
stranieri nella società francese”
6
.
Gli accordi successivi, stipulati con i paesi di invio, si dimostrarono poco efficaci
nel regolare i flussi migratori e le autorità francesi iniziarono a perdere il controllo
sull’immigrazione la quale, dalla seconda metà degli anni sessanta, aumentò e si
diversificò. Gli accordi raggiunti nel 1963 con Portogallo, Marocco e Tunisia e nel 1965
con Jugoslavia e Turchia, rispecchiavano la volontà francese di razionalizzare e
disciplinare l’immigrazione. Alla fine del decennio la migrazione verso la Francia era
spontanea e per la maggior parte incontrollata, il ruolo dell’ONI si limitava a regolarizzare
gli immigrati già presenti nel paese e due nuovi accordi franco-algerini nel 1968 e nel
1971, con l’obiettivo di limitare la migrazione algerina rispettivamente a 35 000 e 25 000
unità all’anno
7
, insieme all’istituzione di un nuovo ufficio governativo per
l’immigrazione nel 1966,
8
mostravano una consapevolezza della necessità di
intraprendere una nuova e coerente politica di immigrazione volta a ridurre gli arrivi di
migranti.
1.2 La Germania
Terminata la guerra, la Germania occidentale non avvertiva la pressante necessità di
cercare forza lavoro all’estero, dal momento che poteva contare su milioni di tedeschi
rifugiati o espulsi dall’Europa Centrale e Orientale e su un flusso di persone provenienti
dalla Germania orientale fino alla costruzione del muro di Berlino nel 1961.
Solo tra la metà e la fine degli anni Cinquanta, la Germania occidentale iniziò ad
adoperarsi per ottenere nuova forza lavoro, concludendo un primo accordo bilaterale con
l’Italia nel 1955 sul reclutamento di manodopera che avrebbe costituito un precedente per
successivi accordi firmati negli anni Sessanta con Spagna, Grecia, Portogallo e altri paesi
extraeuropei come Tunisia, Marocco, Turchia e Jugoslavia. Oltre a questi accordi formali
tra gli stati contraenti, venivano elaborati programmi che prevedevano l’istituzione di
commissioni di reclutamento nei paesi di invio le quali, provvedevano all’assunzione di
lavoratori stranieri in Germania. Il duplice intento di questo sistema era quello di regolare
i flussi da una parte e proteggere il mercato del lavoro nazionale dall’altra.
La Repubblica Federale negli anni Sessanta praticò una politica
dell’immigrazione “qualificata” che in realtà era una politica di reclutamento della forza
6
Ibidem
7
Dati in S. Adler, International Migration and Dependence, Farnborough, Saxon House, 1977
8
Ibidem. In francese il nome del nuovo ufficio era “Direction de la Population et des Migrations”